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Autore: Asuna0002    27/04/2017    3 recensioni
Del resto, perché continuare a vivere, se ciò che ti tiene ancorato a questo mondo è morto?
«Perduti, questo siamo»
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank/Hazel, I sette della Profezia, Jason/Piper, Percy Jackson, Percy/Annabeth
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Dodici mesi...

***

Niente ha più un senso da dodici mesi.

Perché dovrebbe averlo?

***

Da tempo non faccio un sorriso.

Del resto, ho un motivo per farlo?


Avevo ben sei motivi per sorridere, e sono morti tutti.

Da dodici mesi...


***

Sono caduti uno dopo l'altro sotto il mio sguardo.

Dopo dodici mesi ricordo ancora con chiarezza i loro corpi che si accasciavano a terra privati della vita, poco prima di scomparire.


***

Dodici mesi...

Non pensavo di poter vivere tanto senza di loro.


***

Anche se certe volte avevo voglia di annegare Torcia Umana e quel Super Man biondo, volevo a tutti loro un bene dell'anima.

Quel tipo di bene che non dimentichi neanche con un tuffo nel Lete.


Quel tipo di bene che può darti la forza di un Dio con la D maiuscola, ma che può anche distruggerli lentamente fino a riturti nell'ombra di ciò che eri una volta.

Quello che è successo a me, insomma.
Sono l'ombra di ciò che ero, da dodici mesi.


***

Ho provato tante volte a farla finita.
E ogni volta che lo stavo per fare, viene uno dei Sette.

La scena è sempre la stessa.


Squotono la testa e mi dicono che non è la cosa giusta da fare, che devo continuare a vivere per loro che non ce l'avevano fatta e di lasciarmi il passato alle spalle.

Sono dodici mesi che lo fanno...

***
Sono dodici mesi che non dico o sento il loro nome...


Perché se lo faccio, scoppio a piangere fino a che non crollo addormentato.

***

Sono morti da dodici mesi e io non sono mai andato a trovarli.

Farlo significherebbe accettare...
accettare la loro morte...
E io non voglio farlo, non devo farlo.


***

I sette sono morti da dodici mesi, io con loro.

Mi considero un morto che cammina, in attesa del giorno del giudizio.


***

Sono morti da dodici mesi.

E da allora io ho smesso di vivere...

***

Perduti, questo siamo.

Da dodici mesi...

***

Dodici mesi senza tutti loro...

Esiste percaso condanna peggiore?

***
Dodici mesi...
Dodici mesi...

Dodici mesi è troppo...


Sto per raggiungervi, amici miei...
Ve lo giuro...

Aspettatemi....
Sto arrivando...


***

Mentre pensava a tutto ciò che stava per abbandonare, Percy non si stupì di non avere rimpianti nel lasciare quella Terra.

Quando si rialzò dal letto con chiari intenti suicidi, il suo sguardo cadde su Jason.
L'amico lo guardava a braccia incrociate, gli occhi azzurri ora in un'eterna tempesta.

Il biondo era l'unico che non gli aveva mai parlato in quei momenti, limitandosi sempre a quell'espressione contrariata che tante volte l'aveva riportato indietro.

Espressione che stavolta non servirà a nulla, si disse dirigendosi in bagno, ignorando lo sguardo serio di Leo che lo aspettava appoggiato allo stipite della porta.

Entrato finalmente in bagno, cercò lo sgabello che avrebbe messo fine alla sua tanto dolorosa esistenza.
Fece vagare lo sguardo per la stanza, alla ricerca dell'oggetto, e lo trovò sotto la finestra; mosse velocemente qualche passo verso esso ma, quando vi fu davanti, si fermò di botto: la finestra offriva un panorama che pochi sapevano apprezzare.

Il mare era calmo, calmo come difficilmente lo era stato in quel mese così importante per lui, inspirò a pieni polmoni l'odore di salsedine che tanto amava e che l'avrebbe accompagnato in quel grande passo come l'aveva accompagnato in molte fasi importanti della sua vita: c'era stato quando, a undici anni, Grover era arrivato senza pantaloni per portarlo al Campo, c'era stato alla sua prima Caccia alla Bandiera e quando aveva scoperto le sue origini, c'era stato nel Mare dei Mostri e nel duello contro Luke, c'era stato quando aveva salvato Bessie, c'era stato nella battaglia di Manhattan e nel suo secondo bacio con Annabeth (il solo ricordo gli si fece stringere il cuore dalla nostalgia), c'era stato quando aveva recuperato la memoria, nel suo viaggio per l'Europa e infine all'Acropoli di Atene, dove tutto era finito.

Percy sospirò, stava per dire addio a quel profumo divino per sempre.

Il pensiero volò a sua madre, dovevano far santa quella donna per tutto ciò che le aveva fatto patire da quando era nato, prima con la scuola, poi con le sue avventure al Campo.

L'avrebbe davvero lasciata da sola?
Avrebbe davvero avuto il coraggio di abbandonarla di nuovo, stavolta per sempre?

No, lei aveva Paul e, ora, anche la piccola Sophie, la sua sorellina di qualche mese.

L'immagine improvvisa della neonata che dormiva tranquilla nella culla diede gli diede una fitta al petto.

Sophie non l'avrebbe mai conosciuto...

L'avrebbe abbandonata, come suo padre, Poseidone, aveva fatto con lui quando aveva la sua età.

Non le avrebbe fatto conoscere l'amore che poteva darle, l'amore di un fratello.

Davvero non sarebbe stato lì a farle da supporto quando avrebbe mosso i prima passi?

Poteva sul serio farle questo?

Si vergognò profondamente di sé stesso quando la risposta fu sì.

Inspirò profondamente l'odore di salsedine, cercando in esso, senza saperne il perché, la certezza che sarebbe stato indolore.

Perché lui di dolore ne aveva patito fin troppo, e non ne voleva più.

Si riscosse da quei tristi pensieri, oramai divenuti una costante nel suo triste mondo, quando qualcosa, o meglio qualcuno, lo tirò dolcemente dal basso.

Abbassò lo sguardo, individuando subito il micio accucciato sulle sue scarpe, un laccio nella boccuccia, che lo guardava supplicante, le orecchie appiattite contro il piccolo cranio.

Ignorando gli occhi supplicanti del micio, lo prese in braccio, stupendosi per la millesima volta di quanto sembrasse vera, quell'illusione, creata dalla sua mente depressa.

Posò lo sgabello ai piedi del letto e si accinge a trovare una corda per impiccarsi. Esaminò la stanza, cercando in essa "l'arma del delitto" perfetta.

Perché non usare una tenda?, gli suggerì una vocina nella testa.

Gli venne quasi da ridere a quel pensiero: centinaia di divinità diverse volevano che incontrasse la sua fine per mano loro e lui ora l'avrebbe incontrata con una tenda legata al collo.

Scostò il tessuto tra il quale avrebbe spirato e vide Piper che lo osservava triste dietro esso, la piuma fra le dita.

Lei si limitò a mettergli una mano sul petto, come a trasmettergli il suo supporto, e raggiunse Jason sul letto.

Percy osservò la coppia per qualche secondo, osservò l'affetto che li circondava, osservò l'amore che li univa e osservò la lacrima, cadutagli sulla mano, al pensiero che erano morti esattamente così: l'uno tra le braccia dell'altro.

Non reggendo oltre quella dolorosa e allo stesso tempo bellissima vista, staccò la tenda e si diresse velocemente verso il letto a castello, dove salì su quello superiore.

Non avrebbe dovuto sorprendersi, in fondo, si aspettava di trovare qualcuno sopra quel letto; tuttavia non poté fare a meno di sobbalzare quando vi trovò Hazel ad aspettarlo, comodamente seduta sopra.

In tutti i suoi tentativi, per così dire, di suicidio, non l'aveva mai più vista dopo la prima volta...

Dopo tutti quei mesi, se lo ricordava ancora, il suo primo tentativo.

Ricordava ancora la folle corsa verso un punto qualsiasi di Nuova Roma, dopo che alla festa per la sconfitta di Gea, avevano iniziato ad elogiare lui, solo lui.
Perché in quel bagno di sangue era riuscito a sopravvivere, lui. E loro no.

Poi senatori lo avevano chiamato per fare un discorso, e non aveva retto oltre.

Ed era scappato, correndo più veloce di quanto avesse mai fatto, fuggendo dal loro ricordo.

Alla fine, quando le sue gambe si erano finalmente fermate, si era puntato Vortice al petto, pronto a farla finita quando all'improvviso si era ritrovato a terra, la guancia bruciante su cui, era sicuro, doveva esserci l'impronta di uno schiaffo. Aveva alzato lo sguardo e aveva visto la ragazza che lo guardava furiosa.

«Non essere più idiota di quanto tu già non sia, Jackson» parole piene di rabbia erano state, quelle, tanto da convincerlo che fosse causata per la sua morte.

Poi tutto si era fatto buio, e Percy si era risvegliato nella Quinta Coorte, sul letto di Frank e, nascosta tra le pieghe della coperta, miracolosamente uscita indenne dalla perquisizione dei romani quando erano scappati con l'Argo II, c'era una loro foto, sua, di Hazel e di Frank, e ridevano.

Percy si riscosse improvvisamente, scacciando l'immagine, e guardò la ragazza negli occhi, brillanti come l'oro più puro, cercando in essi, con una sorta di timore, una conferma dell'odio manifestato mesi prima.

Forse è inutile dirvi che non trovò nulla di ciò che si aspettava.

Non trovò rabbia e non trovò disprezzo.

Trovò calore, conforto, perdono, affetto e, perché no, anche un abbraccio in cui sfogare le sue lacrime e i suoi "mi dispiace".

"Mi dispiace" per non aver fatto di più.

"Mi dispiace" per la vostra morte.

"Mi dispiace" per non aver trovato la forza.

"Mi dispiace" per i vostri occhi vuoti.

E pianse.

Pianse tutto ciò che non aveva pianto in quei mesi, pianse tutte le lacrime non versate e che adesso non era più in grado di trattenere e sopprimere, pianse fino a che le lacrime non cessarono, fino a quando i singhiozzi non si acquietarono, fino a che non si sentì vuoto, come un Vaso di Pandora finalmente aperto, sul fondo solo l'attesa della fine al posto della speranza.

Sussurrò all'orecchio di Hazel un ultimo "scusa" e un "grazie" prima di liberarsi dalla stretta dell'amica e afferrare velocemente la tenda, legandola alla trave vicina, fortunatamente abbastanza bassa per i suoi scopi e saltò giù dal letto.

Fece per salire sullo sgabello, ad aspettare il momento adatto, quando una mano lo trattenne per la spalla e si girò.

Uno spento verde mare incontrò un grigio venato di lacrime.

Lui continuò a fissare lei come se non la vedesse e la bionda proruppe in un singhiozzo secco che non fu udito dalle orecchie del moro e si gettò fra le braccia confortevoli del semidio.

Percy fu inondato dal profumo di libri che aveva tanto amato e se ne beò, non lo ricordava così... intenso.

Strinse a sé Annabeth, come a non lasciarla andare via da lui di nuovo, come a pregarla di perdonarlo per ciò che stava per fare.

Ma non poteva più vivere senza di loro, senza i suoi baci, e la lasciò libera dalla sua presa.

Osservò distrattamente i Sette riuniti finalmente dopo un anno e pensò a quanto avrebbe dato per passare il resto delle sua vita con loro, quando ancora erano tutti vivi...

Guardò l'ora e salì sullo sgabello, iniziando a fare il nodo intorno al collo.

Mancava poco ancora, e avrebbe messo la parola Fine alla sua vita.

Pensò a Nico, e sperò che Solace riuscisse riportare indietro il ragazzino spensierato che era.

Pensò a Reyna, e pregò che riuscisse a trovare l'amore.

Pensò a sua madre, che avrebbe sopportato un'altra perdita, il cui vuoto forse non sarebbe riuscita a colmare.

Pensò a Chirone, che avrebbe visto la vita dell'ennesimo semidio spegnersi.

Pensò a Calipso, che attendeva ancora che un eroe la salvasse dalla sua maledizione.

Pensò a tutti i ragazzi morti durante la Prima e la Seconda Guerra, che avevano incontrato la fine volendo ancora vivere.

E quello fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso: mentre la mezzanotte scattava, un corpo senza vita pendeva dal soffitto, accogliendo la Morte come una vecchia amica come, esattamente un anno prima, l'avevano accolta altri sei ragazzi.

***


«Jackson! Chi non muore si rivede, eh?» il commento sarcastico di Caronte fu la prima cosa che sentì, fu l'inizio... e fu la fine.


Spero che questa one short vi sia piaciuta!!! È il mio primo lavoro che non sia una long e spero di averlo fatto bene.
Cmq, commentate, che mi fa sempre piacere avere un parere dal lettore!<3
   
 
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