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Autore: _Alexis J Frost_    29/04/2017    0 recensioni
{ ambientato durante la seconda stagione, prima degli eventi dell'episodio 9 ; Soukoku. }
«Eravamo così distruttivi da giocare con il fuoco appena avvertivamo il caldo. Sembravamo ascoltatori di un giuramento di morte. Questo era il soukoku: due esseri che creavano opere servendosi del sangue e del nero della distruzione. Non è così, Chuuya?»
Nakahara scoccò la lingua, tornando a guardare dinnanzi a sé.
«Ti prego: sembra la descrizione di un amore sconsiderato tra criminali.»
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partners in Crime - Mask and Alchool
 

Nessuno riusciva ad abbandonare il luogo in cui loro agivano.
Come nero che tutto risucchia, la loro sola presenza annullava ogni speranza di vita e il verde terreno veniva pitturato di elegante rosso. 
Già, nero come il nome che li precedeva: Soukoku. La partners in crime più temuta della Portmafia.
Rosso come la pittura della folle regina di un regno matto, giacché matti erano anche loro.
Matti e incomprensibili persino a loro sé stessi che, ancora dopo tanti anni, continuavano la loro cocciuta recita alimentando dunque il mito di quella follia e l'illusorio sentimento d'odio.
«Ricordo il giorno in cui te ne andasti. Stappai uno dei liquori migliori e cari e brindai. E' stato uno dei migliori giorni della mia vita!»
Il sorriso che aveva curvato le labbra dell'uomo dai capelli aranciati che portava il nome di Chuuya Nakahara sembrava così vero, eppure non avrebbe potuto essere più falso.
Quella notte non era stata così gioiosa così come voleva far credere a Dazai; come voleva far credere a sé stesso che guardandosi dinnanzi uno specchio di verità cercava di abbigliarsi di bugie. 
Menzogne di salvezza erano quelle.  Come il liquore che aveva lasciato circolare nel suo sangue, queste possedevano il medesimo scopo di narcotizzare i dubbi, le illusioni, la realtà che lo portava ad odiare quell'uomo e sdegnare sé stesso. 
Mentire non era altro che la sua primissima forma di difesa.
«Collaborerò ancora con te solo perché la situazione lo richiede. Non lo avrei mai fatto in un caso differente.»
Dazai gli aveva sorriso, sfacciato, come i ricordi gli suggerivano. I suoi sguardi erano sempre stati incomprensibili a tutti, tranne che per una persona ormai dormiente in eterno.
Lo stesso uomo che lo aveva allontanato dalla sua vita precedente e da lui.
Sentì ancora la rabbia ribollire dentro di sé, fiamme ardenti nel suo stomaco.
«Oh, Chuuya! Ammetti che infondo ti sono mancato!» 
 «Mancato? A dire il vero vivo meglio da quando te ne sei andato. E' stata una liberazione!» 
Aveva serrato i pugni; le labbra si erano increspate in un ghigno. «Ma sarebbe ancora meglio ucciderti. Rivedendoti non mi è passata la voglia di farlo.»
Cancellando definitivamente la vita di Dazai Osamu, Chuuya Nakahara forse sarebbe stato libero dai sentimenti contrastanti che riuscivano a trovare sfogo nella rabbia. Questo era il succo della questione, una delle taciute verità.
Dazai rise di gusto.
«Sai che non ci riuscirai mai, vero, Chuuya?»
«Non sottovalutarmi, Dazai.»
«Non lo faccio. Si tratta solo della realtà dei fatti. Tu conosci troppo me ed io troppo te. Non possiamo eliminarci, fattene una ragione.»
Chuuya gli voltò le spalle, muovendosi con passi pesanti e furiosi verso l'uscita dell'edificio. Lo odiava, altroché! 
«Non m'interessa! Ti ucciderò comunque!»
Dazai lo affiancò velocemente, non perdendo l'ebete sorriso che irritava maggiormente quello che un tempo era stato suo compagno.
«Suvvia, non essere sempre così isterico. Vuoi una tisana, tappetto?»
«Voglio che stai zitto! Le mie orecchie si rifiutano di sentire la tua voce!»
«Allora parlerò di più.»
Chuuya mosse velocemente la gamba destra con l'intento di colpire l'uomo a lui di fianco. Un comune soggetto, con tutta probabilità, non avrebbe avuto neanche il tempo di metabolizzare il colpo mentre Dazai era persino riuscito a pararlo con incredibile prontezza.
Lo aveva detto giusto poco prima: entrambi conoscevano troppo infondo e fin troppo bene la persona che un tempo gli era compagna. Questa solo constatazione rendeva chiara l'impossibilità di battersi. Una tale consapevolezza, accompagnata dall'esperienza insieme, li aveva costretti entrambi ad un'eterna collaborazione. I corpi non sapevano agire in modi differenti.
«Oh! Sempre la solita testa calda», cantilenò Dazai, «Dovresti ascoltarmi quando ti dico che non riuscirai mai neanche a colpirmi.»
«Tu dovresti ascoltarmi quando ti dico di tacere.»
«L'ho mai fatto in passato?»
«Non sei una persona diversa, adesso? Potresti anche cambiare questo!»
«Ci sono abitudini che non si possono perdere neanche volendo.»
Chuuya osservò quella criptica espressione; ancora una volta, quell'uomo era per lui un mistero irrisolvibile. O che non aveva intenzione di risolvere per il suo stesse bene, che dir si voglia.
Avrebbe voluto togliergli la maschera e scoprire quale volto nascondesse realmente. 
Sarebbe stato tutto così semplice; avrebbe soddisfatto ogni domanda, ogni ira.
«Tch. Non vedo l'ora di finire questo compito e brindare ad un "spero che sia l'ultima volta."» 
Così come aveva fatto allora. 
Aveva stappato quella bottiglia dicendo a sé stesso di aver appena avuto in dono una grande fortuna. Erano state le stesse parole che aveva detto al Boss nonostante la sensazione di scetticismo di quest'ultimo. 
Chissà se il suo volto avesse involontariamente detto ciò che le labbra avevano tentato di nascondere. Si era sempre augurato il contrario.
Lo faceva anche mentre svuotava il bicchiere ricolmo di liquore. L'alcool era sempre un ottimo amico quando bisognava dimenticare, tanto caro da concederti infine anche un sonno apparentemente tranquillo.
Eppure, quando gli occhi si riaprirono, neanche i postumi riuscirono a cancellare quel vuoto.
Era stato come ricevere un pugno in faccia. 
Ma, se un occhio nero può guarire, una mancanza... no, quella non può essere ricolmata. 
La delusione che aveva provato nel vedere gettati al vento anni di cooperazione, come se nulla fosse accaduto, non passò mai. L'amaro in bocca di non esser stato neanche avvertito di persona, come se non fosse stato altro che una pedina da sfruttare solo nel lavoro, lo avvertiva ogni qualvolta lo vedesse.
Per questo il suo iniziale fastidio divenuto poi un divertente passatempo si era poi tramutato in reale odio. Aveva visto qualcuno abbandonare la propria famiglia -perché, nonostante tutto, la Portmafia rappresentava anche questo-, trovandone una seconda in un batter di ciglia. Cosa vi era stato prima? Ah, nulla! Solo qualcosa da gettare nella spazzatura! Già. 
Dinnanzi a sé aveva un uomo che ora cooperava con uno stupido quattrocchi, dimenticando il Soukoku, dimenticando Chuuya Nakahara.
Come avrebbe potuto non odiarlo? 
«L'opera d'arte finale da parte del Soukoku. Potrebbe anche essere, chissà. Neanche io ho più voglia di collaborare con te.» 
Chuuya l'osservò da dietro la spalla con espressione confusa. Perduto nei pensieri, l'udire quella frase lo aveva alquanto sorpreso. Non era la prima volta che i loro crimini perfetti venivano considerati delle opere d'arte di sangue, tuttavia, Dazai non aveva mai utilizzato quei termini.
Si era quasi convinto che rinnegasse persino la perfezione dei loro compiti.
«Eravamo così distruttivi da giocare con il fuoco appena avvertivamo il caldo. Sembravamo ascoltatori di un giuramento di morte. Questo era il soukoku: due esseri che creavano opere servendosi del sangue e del nero della distruzione. Non è così, Chuuya?»
Nakahara scoccò la lingua, tornando a guardare dinnanzi a sé.
«Ti prego: sembra la descrizione di un amore sconsiderato tra criminali.»
Dazai rise. Quella risposta lo aveva sorpreso alquanto.
«Vedere l'amore in un discorso di distruzione! Questa mi è nuova.»
«Da uno che parla di suicidi di coppia mi aspetto questo ed anche di più.»
«Infatti è da te che non ci si aspetterebbe una versione del genere.»
La freccia aveva centrato in pieno il suo bersaglio.
Nakahara stesso sembrava non avere idea di come rispondere. 
Il reale dubbio era: perché quel collegamento?
«Qualunque cosa sia, è bene che non se ne parli più. Il Soukoku ha smesso di esistere dal momento in cui te ne sei andato; mi fa ribrezzo anche solo ricordare di aver cooperato al tuo fianco.»
«Se così fosse non saresti qui, adesso.»
«A differenza di qualcuno non abbandono la famiglia e non rinnego il mio lavoro. La mia presenza qui è solo dettata da questo. Non siamo tutti come te.»
«Ecco. Finalmente siamo giunti al nocciolo della questione.»
Chuuya inspirò profondamente, tornando a voltarsi per guardarlo con tutto l'astio che avrebbe potuto riservare per qualcuno. 
«Cosa ti aspettavi che pensassi di te? Prima mi eri insopportabile ma adesso che ti vedo come un traditore della Portmafia non posso che odiarti completamente.»
«Traditore della Portmafia o di Chuuya Nakahara?» Dazai inclinò il capo di lato, incrociando le braccia al petto.
«E' la stessa cosa. Tradendo la Portmafia, tradisci me.»
«No, non è la stessa cosa. Non fingere di non aver compreso.»
«Cosa ti passa per il cervello lo sai solo tu, Dazai.»
«Allora sarò più chiaro», proseguì l'uomo dai capelli castani, «per quanto non ci sopportavamo, eravamo una partnership nell'ambito lavorativo. Collaboravamo perfettamente, ci aiutavamo quando ve ne era bisogno. Ma poi il duo divenne un singolo e a te mai è andato giù che tu non sia stato informato di nulla, che non sia stato minimamente considerato. I tuoi sentimenti per la Portmafia non hanno fatto altro che aggiungersi a questo tuo odio per il mio comportamento nei tuoi riguardi. »
Chuuya lo osservò in silenzio ma non voleva in nessun modo ammettere che sì, avesse proprio ragione. Per cui tornò a dargli le spalle. 
«Lo hai detto tu stesso, il duo divenne un singolo. Non vale neanche la pena di proseguire il discorso. Sbrighiamoci, abbiamo una missione da compiere. Poi potrai tornare dal quattrocchi, la tigre mannara e tutto il restante di idioti da cui ti circondi. Bè, idioti chiamano idioti, suppongo.»
Dazai rise; quel momento di serietà di pochi istanti prima venne subito sostituito con i soliti comportamenti superficiali e perennemente scherzosi. «Allora ci toccherà cooperare ancora più spesso! Sei chiamo a me gli idioti, tra tutti sei il peggiore!»
«Io ti uccido!» Ringhiò Chuuya, tornando a camminar velocemente. «A costo di entrare in una chiesa e mettermi improvvisamente a pregare e fare fioretti, io con te non ci lavoro più! Ti uccido e basta!»


Quella notte il Soukoku aveva ancora una volta dimostrato la sua furia.
Eppure, vi fu anche qualcos'altro che si mostrò, forse per la prima volta. Furono parole che Chuuya non riuscì ad udire, sfinito com'era dallo sforzo eccessivo commesso. 
Ora riposa, amico mio. Aveva detto Dazai. 
In cuor suo non aveva mai tradito quella piccola, maledetta testa calda. In realtà teneva a lui quanto ai membri dell'agenzia; forse...forse anche di più. Ma non poteva dirglielo e Chuuya non poteva saperlo. Come Dazai non era a conoscenza del pensiero reciproco.
Ma, chissà, forse un giorno quella verità sarebbe saltata fuori. Forse sarebbe emersa senza lasciarsi guidare dai litigi e le maschere.
Forse partners in crime avrebbe assunto per loro un diverso significato. 

  
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