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Autore: Lara_Van    08/06/2009    1 recensioni
Il mio tentativo di ricreare il progetto originale per il terzo volume della serie, quello dove Peter NON prende il virus. Odessa è in quarantena. Hiro e Ando sono sulle tracce di Sylar. E chi è quella misteriosa donna bionda?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Hiro Nakamura, Matt Parkman, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Primatech Paper

Odessa, Texas

Fu solo un suono debole. Solo un tintinnio di vetri infranti, niente di più, udibile a malapena. Ma per Peter, quel suono indicava l’apocalisse.
Si gettò verso la cassaforte, con dietro Nathan e Parkman, e si fermò scivolando in mezzo alla piccola stanza. I tre uomini fissarono la fiala distrutta al suolo. “E’ quello?” chiese Nathan. “E’ il virus?”
Peter non rispose. Era troppo impegnato a fissare la pozzanghera mortale, sconvolto. Era tutta colpa sua...
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Alla fine, fu Nathan a prendere il comando. Lo faceva sempre; era un ruolo che gli si addiceva.
“Avanti, Pete,” disse, scuotendo il fratello per farlo uscire dallo stordimento in cui era caduto. “Il mondo deve ancora essere salvato. In questo sei bravo, giusto?” Uno sguardo senza speranza venne dagli occhi di Peter, ma lui si riscosse e lo seguì fuori della cassaforte. I dintorni erano tutti silenziosi. Il circuito spaccato che sprizzava scintille era un ricordo di ciò che Adam aveva fatto. Di ciò che lui aveva fatto, su ordine di Adam.
Mentre si affrettavano in corridoio, Parkman, come sempre pragmatico, chiese, “Che cosa ti ha detto Adam sul virus, Peter? Forse... Uh, forse possiamo trovare un modo per contenerlo.”
Il giovane Petrelli corrugò la fronte, cercando di ricordare cosa esattamente l’immortale avesse detto. “Uh... Non molto. Ha menzionato... Si diffonde nell’aria, penso, ma dovrebbe spargersi solo per un miglio o due prima che la concentrazione diminuisca, dopodiché, continuerà a diffondersi ma non dovrebbe essere sufficientemente virulento da infettare qualcuno.”
Nathan annuì deciso. “Bene allora. Dovremmo poter fermare questa cosa prima che esca dalla città. Dobbiamo mettere Odessa in quarantena.”
Parkman scese le scale che portavano al piano terra. “Sei pazzo? Sai quanta organizzazione ci vorrebbe? Non convinceremo mai nessuno in tempo, il che ci lascia da soli a fare tutto.”
Le nuvole di depressione che avevano oscurato gli occhi di Peter si diradarono non appena raggiunsero la fine delle scale. “Troveremo un modo,” disse deciso. “Dobbiamo farlo.” E con quello, spinse la porta per passare nel magazzino principale della Primatech Paper.
La prima cosa che vide fu un uomo svenuto che aveva fatto sbattere il montacarichi contro il muro. Si affrettò verso di lui e lo spostò gentilmente dal sedile. “Nathan, aiutami!” urlò. “Non penso sia infetto, ma non posso--”
“Oh mio Dio, scotta!” chiamò Parkman dall’altra parte del magazzino. Un uomo era scivolato da una scala, anche lui svenuto. Nathan lasciò Peter per andare ad aiutarlo a portare a terra l’uomo. Lui si affrettò da loro dopo aver arrestato l’emorragia di sangue dalla fronte del primo uomo.
“Dobbiamo fermare la diffusione,” disse. “Se riusciamo a chiudere la città, non supererà i confini.”
Nathan annuì. “Bene allora. Andremo al Comune. Le autorità devono sapere che sta succedendo, ed in fretta.” Lui e Parkman si avviarono alla porta, ma Peter esitò.
“E per quanto riguarda queste persone?” chiese.
Parkman scosse la testa. “Mi dispiace, Peter, ma fermare l’epidemia del virus è più importante di salvarli.”
“Oh, allora è così che funziona, huh? I grandi problemi fanno perdere di valore alle singole vite?” disse Peter arrabbiato, un passo avanti verso di lui. Provocato, anche Parkman gli si mosse contro.
“Hey hey!” disse Nathan, frapponendosi fra i due. “Ascolta, Peter, rimani qui ad aiutare queste persone. Se puoi, prova ad interrompere la circolazione in autostrada. Io e Parkman andremo alla stazione di polizia e cercheremo di far in modo che le persone ci ascoltino.”
Peter fu d’accordo, e gli altri due se ne andarono alla svelta. Si guardò attorno ai corpi svenuti sparsi per tutta la stanza. “Cazzo,” disse. Anche con la super-forza di Niki, non sarebbe riuscito a portarli tutti in volo all’ospedale abbastanza velocemente. Bene, prima l’autostrada. Con tre passi veloci, fu in volo, alzandosi verso la città texana.
Mentre atterrava sul ponte dell’autostrada, l’unica vera strada che portava fuori Odessa, sorrise al ricordo dell’ultima volta che lo aveva attraversato, quando stava lottando contro il tempo per salvare una cheerleader… Il sorriso cambiò mentre le immagini di sua nipote gli riempivano la mente. Sapeva che era ancora vivo? Nathan si era preoccupato di dirglielo?
No, no, ora non era il momento per i ricordi. Si concentrò. Se non altro, Adam aveva fatto almeno una cosa buona. Gli aveva mostrato quando davvero potesse essere forte se se ne rendeva conto. Un colpo qui e là con la telecinesi, e…
La frana seppellì la fine del ponte sotto venti piedi di detriti e ciottoli. Nessuno avrebbe lasciato la città con quella strada per un po’.
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Peter atterrò prudentemente senza essere visto all’esterno del Comune di Odessa. Gli ci era voluto più tempo di quello che pensava per portare tutti gli infetti all’ospedale, e sperava che il ritardo non avrebbe causato loro sofferenza aggiuntiva.
Si gettò nella stazione di polizia, situata proprio di fianco al Comune, e trovò Nathan che lo aspettava. “Fatto,” disse. “Ho bloccato l’autostrada. Che sta succedendo?” Gesticolò verso il gruppo di persone che si stavano affollando da una stanza per le conferenze da tutte le direzioni.
“Non ci avrebbero ascoltato. Le persone stanno morendo, in tutta la città, ma non capiscono cosa provochi questi incidenti d’auto o questi casini,” disse Nathan. “Ma Parkman ha fatto… Qualcosa… Ed ora stanno aspettando un comunicato stampa.”
Peter annuì, cercando di sorridere, ma fallì.
“Hey, che c’è? Stai bene?” chiese Nathan, preoccupato.
Peter sospirò. “Fisicamente, sto bene.”
“Ma--?” lo incitò suo fratello.
“Ma niente. Ma tutto. Se anche una sola persona muore per il virus, è colpa mia. Se non fosse stato per me, Adam non sarebbe riuscito a diffonderlo.”
Nathan si alzò da dove sedeva, sul margine di una scrivania, ponendo le mani sulle spalle del fratello minore. “Ascolta, Peter, non è colpa tua. Adam ti ha manipolato; lui è quello che voleva tutto questo. Era bravo a controllare le persone, e ti ha convinto a fidarti di lui. È lui il criminale qui, non tu.”
Il giovane Petrelli annuì, ma non sembrava crederci veramente. “E tu?” chiese. “Non sembra esserci così caldo.”
Nathan sorrise, pulendosi il sudore dalla fronte. “Sono i nervi,” disse senza convinzione. “Sono abituato a telecamere e tutto, ma questo è un problema più serio rispetto alle solite conferenze stampa.”
“Già,” disse Peter, cercando di scherzare. “Dire al mondo che è stato rilasciato un virus e che se non lo conteniamo il 93% della popolazione morirà entro un anno. Suona “divertente” davvero.”
Suo fratello sorrise debolmente, pallido, ed insieme a Parkman si avviarono verso il podio che era stato eretto in fretta nella sala conferenze. Nathan iniziò a parlare:
“Grazie per essere venuti. La maggior parte di voi non sa chi io sia. Il mio nome è Nathan Petrelli, e l’anno scorso sono stato eletto al Congresso degli Stati Uniti. Vi ho convocati qui oggi per delle circostanze veramente sfortunate.” Si passò una mano tra i capelli, disidratato. “Qualche ora fa, un virus mortale è stato rilasciato qui ad Odessa. La malattia è incredibilmente virulenta, e devo richiedere l’immediata quarantena dell’intera città.” Ansimi udibili furono rilasciati da molte zone della folla. “Questa minaccia sembra quasi insormontabile, ma ho fiducia che con la collaborazione del governo e della cittadinanza, potremo contenere… Contenere questa… Questa minaccia…”
Improvvisamente, fu come se le sue gambe non potessero sostenere il suo peso e lui precipitò a terra.

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Casa Bennet,
Costa Verde

Claire Bennet trattenne il fiato per lo shock alle immagini sullo schermo televisivo.
Era stata una casualità. Non avrebbe nemmeno visto la trasmissione se non avesse duellato con Lyle per il telecomando. Ma mentre i canali cambiavano mentre cercava di prendere il telecomando dal fratellino, le parole ‘In diretta da Odessa, Texas’ in basso sullo schermo attirarono la sua attenzione. “Hey Lyle!” aveva detto. “Stanno trasmettendo qualcosa da Odessa. Ci diamo un’occhiata?”
Lyle si scosse. “Certo, tanto.”
Claire cadde con un tonfo sul divano al suo fianco, ed alzò il volume. Sorpresa, vide il viso di Nathan Petrelli riempire lo schermo. “Lyle, quello è mio padre!” disse. “Il mio padre biologico!”
“Credevo che fosse quel tizio grasso e calvo che era venuto a casa nostra l’anno scorso.”
Uno sguardo severo attraversò il suo viso al ricordo. “No. Lui era solo... Qualcuno che papà aveva assunto per impedirmi di scoprire chi fossero i miei veri genitori, ricordi? Papà ti ha raccontato quello che è successo a New York.”
“No. In realtà non ha detto molto a me e alla mamma,” puntualizzò Lyle.
“Be’, forse se tu stessi attento a quello che ti dice--!” iniziò Claire, alzando la voce.
Sandra Bennet scelse quel momento per entrae in salotto. “Ragazzi, state buoni. Abbiamo già avuto abbastanza sconvolgimenti in casa senza che voi due litighiate per tutto il tempo.” Claire si risistemò sul divano, furiosa, e guardò di nuovo verso lo schermo televisivo. Quello che vide le fece quasi prendere un infarto.
“Oh mio Dio,” disse. “Peter, sei vivo.”
Era impossibile, inconcepibile. L’ultima volta che lo aveva visto era esploso come un altro sole a diecimila metri d’altezza sopra New York. Ma non poteva confonderlo con un altro, anche senza i suoi capelli lunghi. Quegli occhi scuri che conosceva fin troppo bene sembravano quasi fissarla attraverso la la televisione.
“Mamma! Mamma!” urlò. “E’ lui! E’ vivo!”
“Chi, cara?” chiese Sandra, cercando di calmare l’agitazione di Claire.
Con un sospiro esasperato, lei gettò il dito verso lo schermo. “Lui! Mio zio! Peter Petrelli è vivo!”
Sandra piegò la testa da un lato, cercando apparentemente di estrapolare quel poco che suo marito le aveva detto sugli eventi di quattro mesi prima, e Claire stava per spiegarle quando un improvviso clamore dalla televisione attirò la sua attenzione. Si rivolse allo schermo e la bolla d’eccitazione che era cresciuta nel suo cuore si bucò all’improvviso.
La telecamera si stava muovendo un po’, e le persone si affollavano di fronte all’obiettivo, ma ciò che poté vedere le congelò le ossa. Il suo padre biologico, Nathan, era sdraiato sul pavimento della sala conferenze della stazione di polizia di Odessa (un posto a lei familiare dopo il ballo di benvenuto dell’anno precedente), apparentemente svenuto. Peter era inginocchiato al suo fianco, scuotendolo leggermente.
La trasmissione venne interrotta di colpo, per mostrare un servizio da un’altra parte. Claire non si fermò ad ascoltare quello che la donna agghindata doveva dire, ma invece si affrettò verso il computer che era nell’ufficio di suo padre. “Devo scoprire cosa sta succedendo!” mormorò fra sé.
Velocemente, scorse la ricerca di Google, prendendo una risorsa informativa online, e scannerizzando gli alticoli appena pubblicati.
“Oh mio Dio!” mormorò Claire mentre l’intera gravità degli eventi che si stavano svolgendo nella sua città natale la colpì.
Sandra le mise le mani sulle spalle. “Che c’è?” chiese.
“Ad Odessa, c’è una specie di... Epidemia. Un virus che ha già infettato quasi la maggior parte della città. Qui dicono che mio padre l’ha appena annunciato. La città è in quarantena, e…” Claire non finì la frase. Non voleva. Dirlo ad alta voce l’avrebbe reso reale. Peter era a Odessa. Intrappolato ad Odessa, assieme ad un virus mortale che avrebbe potuto anche ucciderlo...

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Uffici dell’Impresa
Costa Verde

Noah Bennet stava ricapitolando i fatti. Bishop gli aveva dato un aiuto economico, gli doveva troppo. Era ritornato a lavorare per l’Impresa- sotto appropriata “supervisione”, ovviamente- e Claire aveva lasciato perdere il suo piano. In cambio Sandra, Lyle e Claire sarebbero stati lasciati in pace.
“Che stai facendo di bello, Occhialetti?”
Bennet si tolse i suoi inconfondibili occhiali e si strofinò il naso. Avrebbe fatto di tutto per proteggere Claire, ma doveva davvero lavorare con lei? Scoccò un’occhiata attraverso l’ufficio alla ragazza nella poltrona davanti al caminetto.
Avvolgendosi i capelli biondi attorno alle dita, Elle sedeva con un braccio appoggiato alla sedia e le gambe accavallate. Vedendo il suo sguardo irritato, gli strizzò l’occhio e fece una bolla rosa con il chewing gum.
Noah alzò gli occhi. “Elle. Pensavo fossi al canile. Perché mi hanno assegnato te come partner?”
“Papi pensava che fossi la migliore per tenerti al guinzaglio,” esaminandosi le unghie lisce. Con la coda dell’occhio, lanciò a Bennet un sorriso birichino ed emise una sottile scintilla fra le dita.
Bennet scivolò dalla sedia dietro la scrivania di pesante legno di quercia. “Favoloso,” mormorò. “Maledettamente favoloso.”

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Casa Bennet
Costa Verde

Claire era sdraiata a letto, fissando la luna fosforescente che aveva appiccicato sul soffitto e pensando. I raggi del sole battevano contro le finestre e contro i suoi ricci biondi, distendendosi attraverso le coperte, riflettendo la luce nei suoi occhi. Sbatté le palpebre.
Era sola in casa. Lyle stava trascorrendo il pomeriggio con gli amici. Sandra stava usando un telefono prepagato per fare chiamate discrete a tutti i suoi amici a Odessa. E Claire era dibattuta.
Sei mesi fa, sarebbe semplicemente rimasta dov’era al momento a preoccuparsi. Sarebbe stata tranquilla in Costa Verde, lontana mille miglia dal Texas e da tutti i guai di Odessa. Ma poi, dal caos della Festa di Benvenuto, Peter era entrato nella sua vita di botto ed aveva cambiato tutto. Ed ora, Claire non era sicura che quello che avrebbe voluto fare era quello che doveva fare.
Il suo sangue poteva guarire le persone. Aveva visto con i suoi stessi occhi che poteva riportare le persone in vita, per l’amor di Dio! Forse poteva essere d’aiuto per curare il virus. E... Peter aveva bisogno di lei. Non era sicura di come lo sapesse, ma era sicura che aveva bisogno del suo aiuto.
La porta d’entrata si aprì scricchiolando, e Claire si affrettò di sotto, aspettando di vedere sua madre. “Mamma? Hai parlato con qualcuno a... Odessa...” La sua voce si interruppe mentre vedeva l’uomo alto e moro che stava sulla soglia al posto di Sandra.
“Sylar.”

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Ospedale Branek Memorial
Odessa, Texas

Nathan era stabile, avevano detto, e cosciente. Apparentemente il virus aveva il decorso dell’influenza, perciò i medici potevano trattarlo allo stesso modo, almeno. Tuttavia non volevano permettere a Peter di vederlo.
“Perché non posso entrare e basta?” chiese al dottore assegnato al fratello.
L’uomo più anziano sospirò. “Non possiamo permettere che lei venga esposto all’infezione con il rischio di propagarla,” disse. “Ci sono già abbastanza malati.”
Peter scosse la testa. “Tutti sono stati esposti, l’intera città. Ero nella stanza dove il virus è stato rilasciato. Non farà alcuna differenza se entro ora, no?”
Il dottore sorride tristemente. “Lo so, figliolo. Deve capire, è la procedura standard per questo tipo di situazioni.”
“Questo lo so. Sono un infermiere all’ospedale Saint Mary di New York. Conosco il protocollo d’emergenza. La prego. Nathan potrebbe morire. Solo... Mi faccia vedere mio fratello.”
Qualcosa nel viso di Peter colpì l’altro. “Va bene,” disse infine. “Cercherò di combinare qualcosa al più presto. Torni qui stasera, tardi, va bene?”
“Grazie,” disse Peter. Offrì all’uomo la mano. “Peter Petrelli, a proposito.”
“John Hardburn,” disse il dottore, sorridendo tetro.

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Casa Bennet
Costa Verde

Non può essere non può essere non può essere non può essere non può essere non può essere...
Claire inciampò all’indietro mentre si allontanava dalla figura scura davanti a lei. “Tu—tu sei morto!” sussurrò.
“Non proprio,” disse lui. “Solo privato della maggior parte dei mie poteri. Li ho persi tutti tranne il mio preferito. Ma ora ne ho in mente uno nuovo...” Sylar alzò il dito, indicando il suo cervello. Claire sapeva cosa sarebbe seguito, l’aveva visto già parecchie volte. Prima Jacky, poi Ted…
Voltando i talloni, scappò per la casa. Su per le scale veloce come poté, senza un vero piano in mente. Due volte si era trovata faccia a faccia con Sylar, e due volte Peter era intervenuto. Ma Peter al momento era ad Odessa, ed questa volta era sicura che non se ne sarebbe andato con rischio di diffondere il virus per salvarla. Se la doveva cavare da sola.
Raggiunse la sua camera, fissandosi attorno insicura. Lentamente, i pensati passi sulle scale le dissero che la stava seguendo. “Dio no,” mormorò. Ma ora era in trappola. Non poteva ritornare indietro per la stessa strada, e non c’era nessun altro posto dove andare. Forse avrebbe potuto nascondersi nell’armadio, ma non l’avrebbe ingannato a lungo…
E poi non ebbe più tempo. Sylar entrò nella stanza, sorridendo leggermente in una strana maniera da serial killer. Una forza invisibile, e Claire volò contro il letto. Per un momento, si ricordò stranamente ed orribilmente di Brody, e cosa aveva cercato di farle. Ma le somiglianze terminarono bruscamente quando Sylar si inginocchiò dietro la sua testa, tenendola giù con la telecinesi. Le lacrime scivolarono sul viso mentre si agitava sotto legami d’acciaio. “Non farlo,” sussurrò. Sylar alzò la mano libera e la puntò alla sua fronte.
“Ora, diamo un’occhiata al tuo bel cervellino.”
Agendo di sua volontà, la bocca di Claire sbottò, “Come vuoi, Dr. Mengela.” Non poteva fare resistenza con altro se non con le parole, ma le avrebbe usate per avere il maggior vantaggio possibile.
Ma al momento, anche quello gli fu tolto. Il coltello telecinetico tagliò in profondità, e lei urlò mentre il cranio veniva diviso. Dio, si era spezzata ogni osso del corpo, bruciata viva, affogata, ma niente le aveva fatto così male.
E poi... Il dolore cessò. Come se qualcuno avesse gettato dell’acqua sulle fiamme della sua testa. Aprì gli occhi e trovò Sylar allungato verso di lei, guardandola dall’altro in basso.
“Che succede ora?” sibilò. “Mangerai il mio cervello?”
Gli occhi del killer si spalancarono. “Claire, è disgustoso!” La sua bocca si storse in un approssimato sorriso. “Ancora viva, pur con il cranio rimosso. E le ossa stanno già ricrescendo, pure. Penso di dovermi sbrigare.”
Lei poté sentire le dita attraverso il cervello – non che ci fossero dei nervi scoperti, come precisò lui- ma lei sapeva che erano là, a violare la sua parte più segreta. Le lacrime scorrevano sul viso, e sentì un suono di qualcosa di bagnato che non poté identificare. Il mondo divenne per breve tempo nero...
Quando recuperò conoscenza pochi minuti dopo, si sentì leggermente molla, e nient’altro. Non era la paralisi che le aveva addormentato i muscoli. Poteva ancora sentire la sensazione sottile dei suoi vestiti, il movimento delle membra. No, era proprio qualcos’altro. Si sedette e realizzò che nei momenti in cui era svenuta, Sylar era scomparso.
Si alzò e vacillò verso lo specchio sopra la cesta dei panni. La visione del viso insanguinato non era una novità, ma quel giorno era differente. Di nuovo, iniziò a piangere, sedendosi sul pavimento ad appoggiandosi contro il letto, strinando un cuscino insanguinato al petto e tremando.
Gli ci vollero parecchi minuti per riprendersi. Si alzò, un po’ instabile in piedi. Per la centesima volta quel giorno, desiderò Peter. Era l’unica persona incontrata in quel breve arco di tempo che aveva dato un senso a tutto quel mondo pazzo in cui era precipitata.
Camminando verso il bagno, cercò nell’armadietto finché non trovò quello che stava cercando- il rasoio affilato che suo padre usava per radersi. Non certa del perché avesse bisogno di fare quella prova, mise la lama contro la pelle, prendendo un profondo respiro, e si tagliò.
Non ci fu dolore. Nemmeno un pizzicore. La pelle guarì, come sempre, e poté certamente sentire il taglio del coltello, ma non le fece male. Che cosa le aveva fatto quel figlio di puttana?

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Micah Sanders fissò sua cugina Monica. Gli stava sorridendo, ma si poteva vedere la tensione nei suoi occhi. “Ne sei sicura?” gli chiese. “Non che non voglia farlo, ma non sono del tutto sicura che lei lo faccia.”
“Ci aiuterà,” disse Micah sicuro. “Lo sa che abbiamo ragione.”
Monica alzò le spalle. “Va bene. Spero solo che tu sappia cosa stai facendo.”
Lui le ghignò, i suoi disordinati riccioli neri che gli cadevano sugli occhi. “Ho allenato il mio potere,” disse. “So esattamente cosa sto facendo. Ed ho anche imparato qualche nuovo trucco.”
La giovane diede uno sguardo alla porta. “Penso che ciò che c’è sul vialetto d’entrata sia più che un nuovo trucco, Micah.” Lui si scosse e fece una faccia innocente. Lui rise, a lungo e forte. Era la prima volta che entrambi si sentivano così sollevati dopo l’esplosione di pochi giorni prima.

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Hiro Nakamura lanciò la penna contro la scrivania, sospirando frustrato. “Che c’è?” gli chiese Ando ansioso.
Facendo il broncio come un bambino, Hiro si appoggiò alla sedia. “Mi annoio,” si lamentò. “Abbiamo salvato il mondo. Due volte. E ho vendicato la morte di mio padre. E adesso? Di nuovo alla stessa vecchia scrivania, a fare lo stesso lavoro?”
Ando alzò le spalle. “Cos’altro dovrebbe fare un eroe quando ha compiuto il suo dovere?”
Hiro si accigliò, poi un sorriso gli attraversò il viso. “Ho un’idea,” disse. “Abbiamo un sacco di amici negli Stati Uniti. Ti piacerebbe fargli visita?”
L’altro sospirò, alzando gli occhi. “Siamo appena tornati. O meglio, tu l’hai fatto. Ed io ho un lavoro da fare qui. Niente gloria, niente mondo da salvare, lavoro e basta. Come ogni altra persona sul pianeta.”
“Ma... Ma Ando, quando ho portato via Kensei da Odessa, Peter Petrelli e Matt Parkman stava discutendo su… Su un virus. Peter mi ha detto che il virus stava per essere rilasciato, l’aveva visto nel futuro! E se fosse davvero successo?” insistette Hiro. “Dovremo tornare indietro ad assicurarci che vada tutto bene. E tu potresti andare a trovare la tua amica spogliarellista.”
“Niki non è la mia ‘amica spogliarellista’!” mormorò Ando fra i denti, voltando la sedia più profondamente nel suo cubito, fuori dalla vista di Hiro.
L’uomo con gli occhiali si affacciò sopra il muro divisore. “Per favore, Ando?”
“Sì, sono sicuro che saranno felicissimi di ridarci il nostro lavoro dopo che ricompariremo di nuovo dopo mesi.” Hiro lo guardò semplicemente con tristezza, solo la metà superiore del viso che si vedeva. Ando sospirò. Non poteva resistere a quello sguardo. “Bene,” disse. “Ma se perdo il posto, sarà colpa tua.”
Sorridendo allegro, Hiro girò l’angolo, afferrò la spada, e sfrecciò nel cubito di Ando. Un frammento di secondo dopo, i due “druidi” da ufficio erano spariti.

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Claire si posizionò in mezzo ai binari, in piedi, aspettando. Un treno merci ci passava ogni pomeriggio esattamente alle quattro... Fra due minuti, quindi. Come sempre quando sperimentava le sue abilità, non aveva davvero idea di quello che stava facendo. Ma c’era una nebbia nella sua mente che proveniva dalla paura che gli dava l’assenza di dolore. Voleva sentire. Sentire qualcosa, anche se faceva male. Si era messa l’uniforme da cheerleader. Non sapeva perché. Forse era solo una reminescenza della prima volta che aveva scoperto il suo potere.
Il treno prese la curva in orario, e Claire allargò le braccia, preparandosi all’impatto.
Nel processo, non vide la donna. Lunghi capelli biondi le danzavano sugli occhi, ed i suoi occhi verde-nocciola erano nascosti dietro una maschera. Era vestita sportiva – un giubbotto di jeans, un top corto viola, ed i jeans. Solo la maschera la contraddistingueva da qualsiasi altra donna del pianeta. Ma al momento, stava correndo al fianco dei binari ad una velocità sorprendente.
Claire era a pochi centimetri dal treno che doveva colpirla quando sentì la spinta. Un altro corpo collise con il suo, spostandola dalla strada. Il vento per la velocità della locomotiva le passò di fronte. Il colpo del corpo che sbatteva sul terreno, una delle costole che si spezzava e trapassava la pelle – senza dolore.
Aprì gli occhi. “Che diavolo?” chiese. La donna era già in piedi, e le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei accettò l’aiuto, e barcollò sui piedi. La donna sembrava essere sui trenta, ed uno sguardo d’orrore le attraversò il viso mentre vide la costola spuntare oltre la stoffa blu dell’uniforme di Claire.
“Oh mio Dio, stai bene?” chiese.
Claire alzò le spalle. “Certo. Non fa male.” Rimise la costola dentro il corpo, sentendo lo scatto mentre guariva.
Gli occhi della donna si spalancarono. “Ecco perché volevano che ti salvassi.”
“Cosa?”
Lei rise. “E’ una storia lunga. Un tizio mi ha detto ‘salva la cheerleader, salva il mondo’. Poi mi ha detto dove trovarti, e quando. Ha detto così e basta.”
“Chi sei?” chiese Claire. Le sembrava leggermente familiare, ma la maschera le impediva di capire chi fosse. “Come mi ha tirato via dai binari?”
Dietro la maschera, le sorrise dolcemente. “Come si sei rimessa la costola a posto? Stavo solo... Cercando di aiutare.”
“Non è quello che ho chiesto.”
“Lo so.”
E poi se n’era andata, correndo nel campo da dove era venuta. Claire individuò una macchina nera parcheggiata in fondo alla strada, e vide che la donna di gettò dalla parte del guidatore. Il veicolo se ne andò veloce.

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Comune
Odessa, Texas

Peter avrebbe voluto volare in cielo per la frustrazione. Dal collasso di Nathan, sembrava che la città si fosse attaccata alle due persone della sua scorta per essere guidata, cioè, facendo nomi, lui stesso e Parkman.
Aveva l’addestramento da medico, certo, e Parkman era un poliziotto. Entrambi erano abituati ad occuparsi di emergenze. Ma non sapevano come occuparsi di quello più di quanto lo sapessero le autorità di Odessa. Che cosa avrebbe comportato per tutti, dalle madre preoccupate al sindaco stesso, per loro?
Come dato di fatto, era il sindaco con cui Peter stava parlando al momento. Il signor Drew era basso, e tarchiato, con occhialetti ampi sulla punta del naso. “Ma quello che non capisco, signor Petrelli,” disse, “è come sia potuto accadere dall’inizio. Perché un virus così pericoloso era conservato in una fabbrica di carta? Che cos’’avete a che fare lei e suo fratello con tutto ciò?”
“E’ una storia molto lunga, signor Drew,” disse lui, strofinandosi gli occhi. “E la prego, mi chiami Peter.”
Drey sorriste stancamente. “Va bene. Peter, abbiamo più che il tempo necessario per dirmi esattamente cosa, esattamente, stia accadendo nella mia città.”
Peter si decise. Gli ci vollero solo pochi momenti, ma non sapeva, nemmeno mentre parlava, se fosse la cosa giusta. “Posso avere la sua completa discrezione?” chiese. Il sindaco annuì. “Bene. C’è un posto dove possiamo parlare in privato?” Drew indicò una piccola stanza per conferenze. Entrarono velocemente, e Peter tirò la porta per chiuderla dietro di lui.
Prima di iniziare la storia, chiese il silenzio di lui. “Signor Drew, la prego, questo è molto importante. Mi prometta che non lo dirà a nessuno.” Un cenno. “Okay. Be’, credo che inizi tutto lo scorso ottobre. E da dove comincia la mia storia, comunque. E non penso che lei possa davvero capire cos’è successo stamani senza sapere i precedenti...”

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Casa Bennet
Costa Verde

Quando Claire arrivò a casa, un’ora dopo, sua madre era in preda al panico. Stava telefonando alla polizia, urlando a pieni polmoni. Non appena lei entrò dalla porta, il suo sguardo si trasformò in uno sconvolto. “Mi dispiace,” sussurrò. “E’ appena arrivata.” Riattaccò il telefono, e poi si gettò sulla figlia.
“Oh mio Dio, tesoro, abbiamo visto il sangue! Cos’è successo?”
Claire si morse il labbro, non volendo davvero rispondere. “Non... Non è nulla. Davvero. Solo... Una pedicure andata terribilmente male e basta.” Sorrise appena al breve ricordo di West. “Ero un po’ sconvolta di essermi tagliata un piede, perciò sono andata a farmi una passeggiata.”
Sandra la abbracciò per un po’, poi scoppiò a ridere isterica. “Non avrei mai pensato di sentire qualcuno dire una cosa del genere, figuriamoci mia figlia!” Si avviò per le scale, ancora mormorando fra sé.
Claire andò in salotto, crollando sul divano al fianco di Lyle, che sembrava concentrato su un videogame. Non era sicura del perché avesse mentito a sua madre; forse suo padre aveva ragione che le vecchie abitudini erano dure a morire. Ma aveva il diritto di sapere che un serial killer pazzo era stato in casa, di sicuro. Perché non andava di sopra e basta, per aiutarla con le macchie di sangue e a dirgli la verità? Sapeva la risposta ancora prima di pensarci. Noah Bennet aveva ragione su un’altra cosa: le persone come Sandra non dovrebbero sapere nulla sulle persone come Sylar.
“Allora, cos’è davvero successo?” chiese Lyle improvvisamente. Claire lo vide spegnere il videogame e guardarla.
“Proprio quello che ho detto,” si difese. “Mi sono tagliata un dito e sono andata a fare una passeggiata.”
Lyle alzò un attimo le sopracciglia. “Certo, perché io me la bevo di sicuro. Che è successo? Hai pianto.”
Se non fosse stata così irritata, Claire avrebbe potuto essere colpita dal fatto che l’avesse notato. Dopotutto, era bello sapere che qualcuno la notava in quella incasinata famiglia. Ma era irritata, oltre ogni ragionevole dubbio. “Bene,” sibilò sottovoce. “Lo vuoi sapere? Un serial killer che mi sta seguendo dall’ottobre dell’anno scorso è riuscito alla fine a prendermi, e mi ha aperto la testa in due per guardarmi il cervello per vedere come il mio potere funziona così ora anche lui è indistruttibile!”
Suo fratello la fissò semplicemente sorpreso.“Serial killer?”
Non puoi dirlo a mamma!” lo pregò, già rimpiangendo il suo sfogo irrazionale. “Si spaventerebbe a morte se lo sapesse. Ha preso quello per cui era venuto e non penso che tornerà, ma la farebbe impazzire il solo sapere che Sylar è stato qui…”
Lyle si morse un labbro, pensando. “Sylar. È il tizio che ha nominato papà. Quello alla Festa di Benvenuto. Quello che ha ucciso la tua amica.” Claire annuì. “Wow. E ti ha cercato per tutto questo tempo?”
Lei scosse la testa. “Non esattamente. Uno che può viaggiare nel tempo lo aveva accoltellato al petto a novembre. Tutti pensavano fosse morto. Ovviamente, non era così.”
Interessato, Lyle iniziò a fare altre domande, ma Claire scosse la testa. Sentendo sua madre che ritornava di sotto. “Te lo dirò più tardi, ma non quando lei può sentire.” Lui tornò al suo videogame, e lei a sdraiarsi sul divano di pelle.
Si chiese se stava facendo qualcosa di utile, a stare lì. Per quello che ne sapeva, era l’unica a sapere che Sylar era ancora là fuori. E di sicuro meditava vendetta, così come avrebbe continuato la sua “collezione” malata. C’erano persone che dovevano essere avvertite.
E persone che dovevano essere salvate, anche. Il suo sangue poteva guarire le ferite di proiettile, guarirle come se non ci fossero mai state. Forse avrebbe aiutato altrettanto bene anche ad Odessa. Era decisamente una prospettiva interessante...

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Appartamento di Suresh
Brooklyn, New York

Mohinder fissò la televisione sconvolto. “Maya!” chiamò. “Maya, guarda questo!” La donna dai capelli corvini entrò nella stanza e si appoggiò sullo schienale della poltrona dove era seduto. Lui indicò lo schermo. “Quello è l’uomo di cui ti parlavo!” esclamò. “Peter Petrelli è ancora vivo!”
Maya agrottò la fronte. Il giorno prima, dopo che Gabriel- Sylar- li aveva attaccati, aveva chiesto a Mohinder cose sulle abilità che stava studiando, ed espresso paura sulla pericolosità della sua. Lui le aveva raccontato la storia di un empatico che aveva conosciuto, che aveva assorbito l’abilità di un uomo radioattivo, perso il controllo, ed era esploso in cielo sopra la città. Aveva immaginato un uomo con un simile potere come un colosso lento nei movimenti. Ma quello che lui stava indicando era abbastanza basso e magro. Dubitava parecchio che un corpo così sottile potesse contenere davvero così tanto potere.
“Quello è Peter?” chiese dubbiosa. Mohinder annuì eccitato.
Guardarono interessati mentre le notizie proseguivano. Maya aveva delle difficoltà a capire- il suo inglese non era perfetto, ed il presentatore stava parlando molto velocemente- perciò Mohinder le fece un riassunto apposta.
“Stanno dicendo che la città da cui trasmettono- Odessa, in Texas, penso- è l’epicentro di un’epidemia di...” mentre il presentatore continuava, la sua voce si indebolì e la sua espressione si modificò. “Oh mio Dio. Il virus Shanti! Un po’ doveva essere conservato alla sede dell’Impresa là, e... Oh no.”
Si fissarono l’uno con l’altro in crescente apprensione.

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Comune
Odessa, Texas

Drey fissò Peter incredulo. “Perciò sta cercando di dirmi che ci sono tutte queste persone con... Con i super poteri là fuori, e lei è uno di loro, e…” Peter annuì silenziosamente. Non c’era molto che potessero aggiungere. “Ragazzo,” disse il sindaco, “Non ho mai sentito prima in vita mia una tale vagonata di stronzate.”
“Non sto mentendo,” disse Peter. “E’ la pura verità.”
“Allora, sei completamente pazzo. Non posso crederci di averci creduto davvero, anche se solo per un secondo,” disse Drew, ridendo con forza.
Frustrato ed esausto per le vicende della giornata, Peter si alzò di scatto da dov’era seduto dietro il tavolo della sala conferenze. Alzò una mano, e l’elettricità brillò tra la dita. Alzò l’altra, ed una piccola sfera galleggiante si formò sul suo palmo. Velocemente, lasciò dissipare la radiazione e concentrò l’energia elettrica su un vaso antico posato al centro del tavolo. Il vaso si frantumò, e lui scelse uno dei frammenti più affilati, infilandoselo senza esitazione nella pelle nuda del polso.
Il sangue fuoriuscì dalla ferita, e mentre guariva, lui si ricordò ancora di Claire. Avrebbe voluto trovarla. Da quello che sapeva, lei aveva vissuto là, ad Odessa. Voleva assicurarsi che stesse bene; significava per lui molto più di quello che era disposto ad ammettere. Era praticamente la sua migliore amica, anche se l’aveva conosciuta solo per poche brevi settimane prima di scomparire dei meandri dell’Impresa.
Quando spostò lo sguardo dalla sua pelle intatta, liberando la mente dalla cheerleader, Drew lo stava fissando sconvolto. “Io... Io...” balbettò.
“Vuole vedere altro?” chiese Peter. “Cosa devo fare ora? Buttare giù il muro? Volare? Alzare il tavolo con la mente? Dipingere il futuro? Siamo in una situazione di vita o di morte. Non stiamo parlando di due o tre persone. Stiamo parlando dell’intera razza umana. Sono stato nel futuro, sindaco Drew. L’ho visto. In meno di un anno, il 93% della popolazione mondiale morirà per questo virus se non riusciamo a contenere l’epidemia.”
Il sindaco attonito annuì. “Va bene. Capisco. Le credo. E non ne parlerò con nessuno.” Peter sorrise grato, e l’uomo più anziano si alzò avviandosi alla porta. Mentre usciva dalla sala conferenze, sembrava avere un ripensamento e si voltò. Oltre le spalle, disse, “Oh, e Peter? Chiamami Roger.”

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Casa Bennet
Costa Verde

Alla fine, fu Peter che la convinse. Lui aveva bisogno di lei, ne era assolutamente sicura. E quando fu notte fonda, quando il resto della casa dormiva, Claire scivolò giù dal letto. Andò all’armadio e ne estrasse cauta l’equipaggiamento scelto. Jeans scuri, un maglione nero a maniche corte con un cappuccio per nascondersi il viso, se ne avesse avuto bisogno, e le sue scarpe distintive banche e rosse.
Una volta vestita, frugò nel suo zaino per controllarne il contenuto un’ultima volta. Torcia, una penna ed un taccuino, pochi vestiti di ricambio. Una manciata di snack. I risparmi di una vita - circa ottocento dollari – ed una delle carte di credito di suo padre. E poche cose trovate in casa che immaginava probabilmente appartenessero a Noah, incluso un taser ed una piccola pistola. Non aveva idea di cosa l’avrebbe aspettata, ma voleva essere preparata.
Agganciando lo zaino oltre le spalle, si avviò in punta di piedi al piano di sotto. Ma mentre stava aprendo la porta d’ingresso, una voce dietro di lei sussurro, “Che diavolo stai facendo?” Guardò dietro le spalle e vide Lyle in boxer, che la guardava. Gli fece segno di stare zitto. “Che stai facendo?” chiese lui.
“Non te lo dico!” sibilò lei. Lyle scosse la testa. “Sì invece.” Occhi verdi contro occhi verdi, i fratelli che si fissavano.
Alla fine, fu Claire ad arrendersi. Lyle aveva una maniera si essere incredibilmente seccante ed infantile, ma aveva anche uno sguardo terribile. “Bene,” mormorò. “Vado ad Odessa. Peter ha bisogno del mio aiuto.”
“Vuoi dire quello zio esplosivo di cui non mi hai parlato?” Claire alzò un sopracciglio seccata. “Va bene,” disse Lyle. “Ma io vengo con te.”
La bocca di Claire si aprì di scatto. “No! Niente da fare!” disse, quasi dimenticandosi di tenere la voce bassa. “I miei poteri dovrebbero proteggermi dall’infezione, ma tu finirai in una trappola mortale se verrai ad Odessa.”
Lyle incrociò le braccia ed alzò il mento. “Vengo con te. Non hai mai finito di dirmi quello che è successo a novembre, e lo voglio sapere. Non è che dovete divertirvi solo tu e papà in questa famiglia, sai. Inoltre,” aggiunse quando Claire stava per iniziare a protestare ancora, “se non mi fai venire, sveglierò la mamma e sarai tu a non andare.”
Ribollendo, la cheerleader disse, “Bene. Puoi venire. Vai a prendere della roba. Vestiti, soldi, roba. Ritorna in due minuti o me ne andrò senza di te.”
Tre minuti dopo, due figure vestite di nero scivolarono via della casa e camminarono assieme in strada…

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Uffici dell’Impresa
Costa Verde

La cella era meglio di quella degli altri prigionieri – particolarmente meglio. I muri erano stati dipinti di verde foresta, ed il letto non era solo una lastra dura, almeno. Ma continuava ad essere senza dubbio una cella.
Noah Bennet sedeva nella non-lastra e lanciava una palla di gomma rosa contro il muro, prendendola, e lanciandola ancora in un ritmo senza fine. La bionda sottile che stava dietro la finestra da osservazione occultata male lo guardava per divertimento e giocava con le scintille. Al momento, chiese irritata, “Non ti sei ancora stancato?”
Scrutandola ironicamente dietro gli occhiali bordati di tartaruga, Noah si prese un momento per rispondere. “No,” disse, soddisfatto al percepire la sua ulteriore vittoria.
Profondi occhi blu innocenti lo osservarono ancora per qualche attimo. Poi Elle ghignò, “Ho un’idea. Perché non andiamo a trovare la tua famiglia?”
Noah raddrizzò la testa. Cercando di scoprire le sue carte. “Dov’è il trucco?”
Elle si morse il labbro, gli occhi brillanti di eccitazione. “Nessun trucco. Be’... Dopo aver visto la tua Orsacchiotta, andremo a fare quello che voglio io. D’accordo?”
“Dubito fortemente che “cio che tu vuoi fare” sarebbe positivo per rimanere in buona salute.”
“Ti faccio paura, Occhialetti?”
“Nemmeno un po’.”
La bionda elettrocinetica batté le mani. “Allora verrai?” Bennet diede un accenno rassegnato e si alzò per seguire Elle fuori la porta della sua “stanza”. Mentre entravano nell’atrio, un forte rumore ed un urlo soffocato raggiunse le loro orecchie, e le luci fluorescenti vacillarono e poi si spensero. Immediatamente, Elle si voltò, sembrando percepire la direzione di provenienza del suono. “Papi!” urlò. Concentrazioni luminose di scintille si radunarono attorno ai suoi pugni mentre correva attraverso il corridoio scuro verso l’ufficio di Bob Bishop. Noah la seguì.
Elle fu più veloce. Raggiunse l’ufficio in pochi secondi e aprì la porta di scatto, quasi fondendo la porta toccandola. Entrando nella stanza, Bennet vide il corpo di Bob Bishop sul pavimento, il cranio scoperchiato. Elle si voltò, lo shock e la confusione scritte sul viso.
Gli occhi di Bennet si strinsero. “E’ qui,” disse piano. “In qualche maniera, è qui. Rimani dietro di me!” Estratta la pistola dalla fondina di Bob, iniziò a camminare nel corridoio, tenendola diritta davanti a sé.
E poi, proprio com’era successo l’otto novembre, mesi prima, volò contro il muro, sbattendo la testa nella parete non dipinta così forte da vedere le stelle. Quando recuperò la vista, Elle era attaccata al muro, ansimando per l’aria. Il responsabile stava usando l’altra mano per tenere Noah fermo sul posto.
Sylar strinse gli occhi, concentrandosi. Lanciando un getto di telecinesi a Noah, lo fece svenire, e lui collassò sul pavimento. Poi si concentrò sulla bionda che si dibatteva ferocemente di fronte a lui. La soffocò, in maniera da lasciarla inconscia sul pavimento mentre prendeva il suo potere. Non era necessario prolungare la sofferenza della ragazza che lo aveva trasformato nel mostro che era diventato.
Elle si divincolò e combatté per l’aria, e piccole scintille danzarono su ogni dito mentre ansimava un respiro spezzato. Ma invece di usare l’aria per urlare o supplicare, come lui si sarebbe aspettato, lo usò per un sussurro. Solo una parola.
“Gabriel.”
E tutti i muri attorno all’uomo nascosto dentro un mostro si frantumarono.




  
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