6
Harlock improvvisamente ruzzolò da una parte
all’altra del grande letto a baldacchino, sul quale si concedeva qualche ora di
sonno, e cadde sul pavimento. Si svegliò di colpo. Imprecò appena a denti
stretti per la sorpresa e poi scattò in piedi.
L’Arcadia aveva fatto una manovra strana e molto brusca. La cosa non gli
piacque per niente. Si rivestì in fretta e prontamente uscì dalla sua cabina,
per raggiungere il ponte di comando e capire che cosa stesse accadendo.
In postazione trovò Yattaran, anche lui era stato sbalzato fuori dal letto e si
era precipitato a controllare. Stava spasmodicamente visionando lo schermo
della sua postazione con aria preoccupata.
«Che diamine succede?» gli chiese Harlock accigliato.
L’Arcadia di notte navigava in modalità automatica, gestita e controllata dal
Computer Centrale. Quell’avaria aveva l’acre sapore del pericolo.
Il primo ufficiale continuò a tenere lo sguardo incollato sui dati che gli
scorrevano davanti.
«Sembrerebbe… - esitò appena - …un guasto del Computer Centrale» pronunciò poi con
cautela, come se avesse paura di affermarlo a voce alta.
Harlock strabuzzò l’occhio buono.
«Che dici? È impossibile!».
Se fosse stato vero, la cosa avrebbe implicato, di conseguenza, un danno alla mente di Tochiro, che ancora viveva sotto
forma di essenza spirituale inglobata in quel particolare computer. Il Capitano
non voleva neppure contemplare una simile prospettiva, ma, in preda alla
preoccupazione, si precipitò subito nella sala dove era allocato lo speciale
macchinario, la cui particolare peculiarità era però sconosciuta ai più. Quando
entrò gli fu subito chiaro che Yattaran aveva visto giusto. L’enorme massa composta
da metallo, titanio e fili intrecciati, sempre illuminata da una miriade di
luci colorate, che si accendevano e spegnevano in modo aritmico, ora appariva
come disattivata. Buia. Morta. Come se qualcuno avesse tirato via la spina di
botto e creato un guasto. Era rimasta accesa una sola e unica lucina rossa, che
lampeggiava flebilmente, ricordando uno di quei segnali di avaria, o pericolo,
tipici dei vecchi computer di una volta.
«Tochiro, amico mio! Che succede? Parlami!» disse Harlock molto preoccupato,
poggiando le mani nude sul freddo acciaio. Non era mai capitata prima una cosa
del genere e tutto ciò non gli piaceva affatto.
Il silenzio fu una risposta più che eloquente.
Il Capitano allora non ebbe più dubbi, uscì subito da quella specie di Sancta
Sanctorum e come una furia irruppe nella cabina di Portia.
La donna, sebbene colta nel sonno, non si fece sorprendere e gli si avventò
contro, sfoderando un pugnale che teneva sotto il cuscino. Ebbe un attimo di
esitazione solo quando si rese conto che si trattava di lui. Per scongiurare quella
minaccia inattesa, era balzata dal letto con uno scatto felino, incurante di
indossare solamente slip e canotta. Harlock allora le afferrò il polso e lo
strinse in una morsa d’acciaio, obbligandola così a mollare la presa. L’arma
bianca cadde ai suoi piedi producendo un rumore metallico. Portia non si arrese
e fece per sferrargli un calcio, ma il pirata fu molto più veloce di lei e le
girò il braccio, immobilizzandola con la schiena contro il suo corpo.
«A che gioco state giocando?» le sibilò tagliente in un orecchio.
Non era da lui essere così aggressivo, ma si trattava di Tochiro e aveva perso
il lume della ragione, come poche volte gli accadeva.
«Non so di che cosa tu stia parlando» gli rispose Portia con la voce arrochita
dal dolore che la torsione al braccio le procurava.
Harlock serrò ancora di più la stretta facendola guaire per la fitta lancinante
che le provocò.
«Sì che lo sai! Non avrei dovuto fidarmi di un manipolo di delinquenti prezzolati
come voi».
«Senti chi parla. L’agnellino!» lo schernì lei.
«Non ho voglia di perdere tempo. Dimmi subito che cosa avete fatto al Computer
Centrale e ti risparmierò la vita».
«Dannazione! Come devo dirtelo? Non so di che stai parlando!».
«Non ti sei neppure accorta della manovra brusca che ha fatto la nave, vero? Ma
certo, perché tu ne eri al corrente».
«Me ne sono accorta eccome, pensavo a un errore e mi sono rimessa a dormire,
dato che tutto pareva rientrato subito nella norma».
«Hai sempre la risposta giusta» commentò sarcastico, aumentando ancora la
torsione, portandola quasi al limite della frattura.
Portia si sentì mancare per il dolore e finse di cedere. Harlock che era comunque
un uomo non avvezzo ad usare tali metodi, temendo di avere esagerato, allentò
appena la presa. Fu in quel momento che la donna, con il calcagno, gli assestò
un poderoso calcio in uno stinco. Lui, colto di sorpresa, accusò il colpo e
mollò quasi del tutto la stretta, allora Portia, fulminea, si girò e gli
assestò un pugno di una potenza inaudita che lo fece quasi vacillare, sia per
il dolore, ma più che altro per la sorpresa. Picchiava con più forza di un uomo
del doppio della sua stazza. Lei, intanto, approfittando del vantaggio recuperò
il coltello e, prima che il Capitano potesse fare, o dire nient’altro, glielo
puntò dritto alla giugulare.
Harlock si riprese subito dalla sorpresa iniziale. Freddo e con una calma spaventosa
avanzò impercettibilmente verso di lei, facendo in modo che la punta della lama
gli ferisse appena la gola, giusto per farle capire che non aveva paura, né che
la temeva.
Portia, di contro, non si fece neppure scalfire dall’audacia dell’uomo e, anzi,
aumentò ancora di più la pressione, aprendo appena i lembi della ferita e facendo
così stillare da essa una goccia di sangue, che colò lungo il collo del pirata.
«Vedo che non hai paura, ma sappi che potrei tagliarti la gola» gli disse decisa.
«Fallo» la sfidò con distacco.
In realtà era già pronto a disarmarla una seconda volta, ma a sorpresa la donna
allontanò l’arma dalla sua carne e gli porse il coltello dalla parte del manico.
«Non sono qui per ucciderti né per ingannarti. Qualcuno sta giocando sporco per
confondere le acque. La posta in gioco deve essere altissima, spero tu mi creda
e spero che tu voglia andare a caccia del vero responsabile dell’avaria, ma
soprattutto spero che tu voglia andare in fondo a questa faccenda, perché,
credimi, si sono impegnati troppo, quindi qualcosa di terribile e grave accadrà
presto».
Fu a quel punto che l’interfono gracchiò.
«Capitano! Dove siete? Venite sul ponte, io e…come ti chiami tu? - chiese
Yattaran - ah..., sì, ecco… io ed Emily abbiamo appena scoperto che Dupont è
evaso!».
«Che ci fa lei lì? Immobilizzala e non farla scappare, arrivo subito!».
«Immobilizzarla? Capitano, ma che dite?».
«Per una volta dammi ascolto, Yattaran».
«Va bene…» rispose interdetto il primo ufficiale. Non voleva protrarre oltre la
discussione, perché aveva avvertito che Harlock era molto arrabbiato, ma la
ragazza lo stava aiutando e non certo ostacolando.
«Continui a non fidarti? Emily è solo una ragazzina, ma è molto in gamba,
sicuramente sta collaborando con il tuo uomo» gli disse Portia amareggiata.
Harlock non le rispose e le lanciò un’occhiata intensa e molto severa, tanto
che la donna per la prima volta, da quando lui aveva fatto irruzione nella sua
cabina, si sentì a disagio nell’essere in biancheria intima.
«Vestiti!» le intimò, come se le avesse letto nel pensiero.
«Girati» replicò seccata, ma solo per controbatterlo, il suo atteggiamento l’aveva
innervosita non poco.
Il Pirata incrociò le braccia al petto e non si mosse. Pur non parlando, la sua
risposta fu eloquente.
«Che gentiluomo!».
«Non m’interessano le tue grazie. Ma se pensi che ti volterò le spalle, per
darti un vantaggio, te lo puoi anche scordare» spiegò tagliente.
Portia non gli rispose più e con aria di sfida, fissandolo dritto nell’occhio,
si tolse la canotta, si mise il reggiseno e in fine indossò la tuta. Lui,
immobile, inespressivo, sembrava una statua di ghiaccio, come se la vista delle
sue nudità non gli facesse né caldo né freddo, e in realtà era proprio così. Dopo
la sua esperienza con le mazoniane, si era abituato a essere impermeabile alla
bellezza femminile, non era certo tipo da farsi abbindolare dall’avvenenza di
una donna, seppur attraente e sensuale come effettivamente era Portia. Di
contro, lei non era una che si formalizzava troppo, così non le era pesato
mostrarsi a lui, anche se la sua aperta indifferenza l’aveva indispettita. Non
era abituata a essere ignorata.
«Ora che ti sei goduto lo spettacolo possiamo anche andare» lo punzecchiò.
Lui non le rispose, l’afferrò saldamente per un braccio e se la portò dietro.
***
Dopo i dovuti chiarimenti trai due equipaggi, Yattaran rilevò che il Computer
Centrale era come in stand by, una sorta di coma
indotto elettromagnetico. Non era rotto, né fuso, ma non funzionava. Era
come congelato. Dopo questa scoperta, che era sicuramente terribile, ma che
lasciava aperta la porta alla speranza di poterlo riattivare e ripristinare, era
stato deciso di esaminare il sistema di sicurezza della nave e di esaminare le videoregistrazioni
della sala, l’unica parte dell’Arcadia che aveva un sistema di sorveglianza
video perpetuo, con archiviazione telematica e automatica.
Entrambi gli equipaggi erano sul ponte, a cercare di capire che cosa fosse
accaduto e come avesse fatto Dupont, notoriamente impedito e molto maldestro, a
causare quel guasto, evadere e a sparire nel nulla all’interno dell’Arcadia,
tutto da solo.
Yattaran, seguito passo dopo passo dalla giovane hacker Emily Kolburn, nome in
codice “E”, si
apprestò a visionare il materiale, per vedere di venire a capo di qualcosa.
Non era così semplice come poteva apparire, causare danni a quello speciale
computer, dato che era dotato di un sistema di auto protezione a prova di
bomba.
I video però non mostravano nessun intruso o sabotatore. Sembrava che l’unico a
essere entrato e uscito da quella sala fosse stato solo Harlock. L’unica cosa
che si vedeva era che a un certo punto, proprio poche ore prima, si era
prodotta come una piccola scintilla, a causa della quale il Computer Centrale
si era spento di colpo, eccenzion fatta per quell’unica lucina rossa.
Yattaran e la ragazzina si guardarono negli occhi.
«Anche tu lo pensi?» chiese lei.
«Sì» le rispose grave il primo ufficiale.
«Intendete rendere partecipi anche noi? » chiese spazientito Harlock, che ancora
nutriva numerose riserve su quegli ospiti indesiderati, sebbene fosse stata
sancita una sorta di tregua momentanea, per cercare di risolvere il grave problema
che stava minando anche la loro collaborazione.
«Sì, Capitano, scusate. Dunque, sia io che Emily pensiamo che nonostante
l’apparenza si tratti sicuramente di un sabotaggio».
«Ad opera dei fantasmi?» s’intromise
sarcastico Boone.
«No. Il trucco deve esserci per forza, tutto sta nello scoprirlo» ribatté Emily.
«Personalmente, nonostante le grandi innovazioni degli ultimi tempi, non credo
sia stata messa a punto nessuna tecnologia che renda invisibili le persone»
commentò Kei fulminando Portia con lo sguardo.
La giovane ufficiale era rimasta molto male nel vedere che Harlock era stato
ferito, seppur lievissimamente, dalla procace nuova arrivata, che non le
piaceva neanche un po’. Infatti di sua spontanea iniziativa aveva deciso di
tenerla strettamente sott’occhio e la studiava.
«Non risulta neanche a me» intervenne Griffin Jones, nome in codice “F” . Il suo parere era piuttosto autorevole perché,
da ex poliziotto dell’Autorità Galattica, a suo tempo aveva avuto accesso a
file classificati e riservati di un certo livello. Di certo una tecnologia del
genere sarebbe stata data loro in dotazione, se fosse esistita, anche a livello
di prototipo.
«Posso fare una ricerca. Sono in grado di intrufolarmi nel loro archivio dati »
disse con la sua voce metallica e argentina Android.
«È troppo rischioso, potrebbero scoprirti e localizzarci» le disse Portia.
«Non se noi, mentre lei ricerca, le azioniamo uno schermo protettivo
elettromagnetico» disse Emily scambiandosi un’occhiata d’intesa con Yattaran.
«Cioè?» chiese Kei non capendo bene.
«Lascia perdere, roba da smanettoni, bionda» le spiegò in modo piacione Boone
facendole l’occhiolino.
Kei stava per rispondergli a tono, ma fu anticipata.
«Procedete» disse Harlock, che non aveva voglia di perdere tempo. Si fidava
delle capacità di Yattaran e anche quella ragazzina gli pareva in gamba e
sveglia, ma soprattutto non era il caso di indugiare oltre.
Collegarono Android alla rete dell’Arcardia, poi Yattaran ed Emily si misero,
ciascuno per conto proprio, a lavorare alacremente per schermarla e lasciarla
libera di intrufolarsi negli archivi segretati della Coalizione e dell’Autorità
Galattica.
Dopo circa quaranta minuti di ricerca, Android aprì gli occhi e sorrise.
«Non esiste nessuna traccia di tecnologie invisibili o similari».
«Ve l’avevo detto!» disse Griffin.
«Però ho scoperto una cosa interessante» aggiunse.
«Cosa?» le chiese Yattaran
«Se resto collegata ai vostri computer posso pilotare questa nave, posso
sostituire il vostro pilota automatico avariato».
«Levatelo dalla testa! - saltò su Maji - Non ti daremo mai accesso ai nostri file
criptati! Scopriresti tutti i segreti dell’Arcadia».
«Volevo solo rendermi utile. Essere… come dite voi umani? Ah sì, amichevole!»
ribatté l’umanoide artificiale.
«Basta con queste chiacchiere inutili. Continuate a cercare» intervenne Harlock,
che poi abbandonò tutti e si diresse nuovamente nella sala del Computer Centrale.
Tutto desiderava, meno che venisse svelato
IL segreto.
Qualche ora seguente,
dopo svariate visioni e revisioni del materiale video, Emily ad un certo punto
notò un particolare quasi impercettibile. Un bruscolino nero che si spostava
nella stanza. Yattaran prontamente isolò un fotogramma e ingrandì l’immagine.
«Ma è una mosca!» si meravigliò sbigottito il primo ufficiale.
«Non è possibile!» gli fece eco Kei, che accorse a sincerarsi con i propri
occhi.
«Che c’è di strano? Sembra che non ne abbiate mai vista una» commentò stupito
Tetsuda.
«Sono anni che non facciamo scalo sulla Terra - spiegò duro Harlock, che era
spuntato all’improvviso - quindi è impossibile che una mosca si sia introdotta
sulla nave».
«Potrebbe essere un alieno killer a forma di mosca? Ah no, aspetta, un alieno
che ha usato il correttore retinale per fingersi una mosca, meglio eh?».
«Finiscila di fare l’idiota una volta tanto, Marcus!» lo redarguì Portia.
«Più che una mosca pare un moscerino - disse Emily che lo stava osservando attentamente
- Vediamo se riesco ad ingrandirlo ancora di più» e cominciò a spippolare freneticamente sulla tastiera.
Yattaran la seguiva con lo sguardo, era dura da ammettere ma quella ragazzina
era una potenza e conosceva dei trucchetti che avrebbe tanto voluto imparare.
«Ecco, ci sono!» disse Emily con aria trionfante «Le zampe hanno qualcosa che
non va, non hanno quella sorta di peletti
finali».
«E quindi?» chiese polemica Kei.
«Potrebbe darsi che non sia un vero moscerino - spiegò Emily - Android, per
favore, fai una ricerca per vedere se esistono nuove nanotecnologie».
La macchina sorrise ed annui e cominciò subito, pochi secondi dopo aprì gli
occhi.
«Esiste un progetto chiamato Maikuro,
in cui sono stati sviluppati, tra le altre cose, anche micro robot. Alta tecnologia
a forma di insetto».
«Bingo!» esultò Yattaran.
«Che c’è?» chiese Emily.
«Ho isolato una parte del video e l’ho ingrandito al massimo!».
Subito lo trasferì nello schermo olografico, per renderlo visibile a tutti.
Si vedeva chiaramente il moscerino meccanico che volava verso il Computer
Centrale, vi ci posava sopra, emetteva una microscarica di qualcosa,
evidentemente molto potente, e lo metteva fuori uso.
«Ora non ci resta che capire chi ha introdotto questo micro ordigno
sull’Arcadia e dov’è finito il vostro amico» commentò molto seria Kei, fissando
l’equipaggio della Raza. Per lei erano colpevoli, senza ombra di dubbio.
«Credo che sia tutto chiaro a questo punto. Ho capito come ci hanno fregato, senza
volerlo è stato uno dei tuoi uomini ad aprirmi gli occhi - disse criptico Harlock
a Portia - Tu verrai con me a ritrovare il fuggitivo. I tuoi amici, invece,
saranno rimessi sotto chiave».
«Ma Capitano, Emily ci ha aiutati» disse mogio Yattaran. La ragazzina gli
piaceva e gli ricordava tanto Mayu.
«Solo in via precauzionale» spiegò Harlock.
«Non ti preoccupare, li terremo chiusi e li sorveglieremo finché non avremo
ritrovato quell’uomo» disse Kei, che era più che felice di rinchiuderli.
«Bene, andiamo - disse Harlock a Porzia - ma prima lascia le tue armi ai miei
uomini, coltello compreso, ovviamente».
La donna non disse una parola e fece come le era stato chiesto, anche se lanciò
al pirata un’occhiata di malcelato rimprovero per la sua scarsa fiducia.
«Ah, dimenticavo, anche Android verrà con noi» concluse Harlock, a cui
interessava solo rianimare il suo più caro amico, senza però tradire il loro
grande segreto.
Note
MAIKURO è una parola giapponese (マイクロ) e significa “micro”.
Per questa tecnologia mi sono ispirata ai mini droni a forma di insetti esistenti
realmente anche oggi. Cliccando qui potete vedere come appaiono. Io ho
immaginato una tecnologia ancora più microscopica e ancora più evoluta. Anche
se la mosca (ovvero in questo caso il moscerino) è anche un omaggio sotto forma
di citazione, ad una serie TV tra le più belle degli ultimi anni: Breaking Bad
e chi l’ha vista capirà, chi non la vista prenda per buone le mie parole :)
Bibliografia
(Via
via verranno aggiunte varie informazioni all’equipaggio della Raza e questo
promemoria sarà d’ora in poi sempre alla fine di ogni capitolo, pronto per
esser consultato e fare chiarezza per chi ne avesse bisogno)
Portia Lin nome in codice “B”
Marcus Boone, nome in codice “C”
Ryo Tetsuda, nome in codice “D”
Emily Kolburn nome in codice
“E”
Griffin Jones nome in codice “F”
Android nessun nome in codice