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Autore: Samy92    10/05/2017    5 recensioni
Il principe dei saiyan sulle parole di Francesco Renga e la sua relazione con Bulma. La bella turchina gli avrà regalato il suo giorno più bello nel mondo? Mi è venuto fuori questo piccolo delirio mentre oggi ascoltavo questa bellissima canzone, immaginandomi perfettamente la storia del saiyan e la scienziata riletta tra le note di Renga.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il mio giorno più bello nel mondo

All’inizio della sua relazione con Bulma era sempre stato così. Sentiva per lei una profonda e maniacale attrazione fisica, e per lei era lo stesso. Nessun impegno, nessun reale sentimento. Se lei non si fosse dimostrata così propensa a buttarsi nella tana del lupo, probabilmente lui non lo avrebbe mai fatto di sua iniziativa. Era o non era il principe dei saiyan?!
Nonostante tutto, ogni volta, dopo ogni notte, aveva tentato in qualche modo di allontanarsi da lei ma alla fine c’era sempre ricascato inevitabilmente facendo ricominciare troppe volte nella notte quella storia che ormai da tempo continuava a tirargli dei colpi bassi, che gli toglievano il respiro e che gli davano la certezza che nonostante provasse ad ostinarsi a non pensare a lei, non esisteva in realtà la possibilità di riuscire sul serio a raddrizzare il tiro dei suoi pensieri.
Si erano detti milioni di volte, dopo ogni intenso e passionale incontro, che tra loro era finita, che entrambi dovevano ricominciare un’altra vita dal giorno seguente all’ennesima notte che li aveva visti protagonisti, insieme alle stelle, a consumare quel principio di appartenenza che li avrebbe legati indissolubilmente l’uno all’altra. Si erano detti che non potevano continuare a portare avanti quel rapporto di amore e odio che li distingueva dalle coppie normali, loro che neanche erano una coppia, tranne poi tornare in quel luogo molto simile al Paradiso di cui ognuno di loro due aveva la chiave per spalancare la porta all’altro.
Erano sempre stati troppo forti e troppo ostinati da lasciarsi negli abbracci della notte e non rivolgersi neanche la parola fuori dalla loro camera. Lei, con la tempra di una tigre e il coraggio di una leonessa lo aveva abbracciato anche mentre se ne stava scappando nello spazio pur di non accettare di averla messa incinta del suo primo figlio.
Erano tremendamente bravi a difendersi dagli altri e a proteggersi dai sassi che inizialmente avevano sempre lanciato su quella loro strana relazione, che quasi nessuno dei loro conoscenti aveva approvato o compreso, a parte qualche caso isolato come Goku. Il migliore amico di lei e il fratello di sangue diverso, ma non troppo, che lui proprio non era riuscito a farsi andar giù senza prima sbatterci la testa più e più volte.
Erano stati bravi a lasciarsi i loro spazi senza interferire l’uno con l’altra, a capirsi e a cercarsi costantemente ma non troppo. Andava bene a lui e andava bene a lei che non aveva mai avuto bisogno di un uomo. Forte e indipendente, bella e coraggiosa. Ma quando stavano insieme bastava poco per toccare il cielo sopra le loro teste con un dito. Quel cielo che si specchiava nei bellissimi occhi di lei e che spalancava loro le porte dell’infinito che li aveva osservati delusi, allontanati e feriti finché non avevano trovato il modo giusto per farsi sorridere da quel loro rapporto sempre così difficile e complicato.
Erano solo due perduti amanti quando quel viaggio nell’universo aveva ricongiunto i punti, aveva provato una sensazione innata, come se in realtà quella donna fosse sempre stata con lui, come se la conoscesse da sempre e come se meravigliosamente, come il giorno che segue la notte, l’avesse finalmente incontrata.
Sole, Luna, caldo, freddo in un secondo si erano racchiusi in quell’invito azzardato di lei che si stava offrendo di portarsi a casa un assassino intergalattico e in quel “sei anche un po’ bruttina” che aveva utilizzato come un’autentica menzogna solo per proteggersi da quella strana sensazione che gli attanagliava lo stomaco quando la guardava.  Una menzogna, così come lo era stata tutta la sua vita, finché non aveva incontrato quel paio di occhi azzurri e brillanti e quel sorriso regalato costantemente, anche quando un vero motivo non c’era, solo per farlo sentire bene. Per farlo sentire a casa. Quel caldo sorriso che gli schiudeva tutte le porte dell’anima ogni volte che era con lei.
Alla fine, dopo anni era ancora lì, con lei. Non avevano lasciato che il tempo li cancellasse via. Non avevano fatto la fine dei graffiti abbandonati alle pareti, lentamente sgretolati dalla pioggia e dal calore senza aver prima la certezza di aver dato tutto alla loro storia. Perché era riuscito a dare quasi tutto alla sua Bulma. Anche lui aveva imparato a sorridere. Anche lui aveva imparato ad amare.
Adesso era lì, che la guardava, stretta saldamente al suo corpo, addormentata dopo l’ennesima notte d’amore in cui si era donata fino all’ultimo, non cedendo alla stanchezza fino a quando non avrebbe strappato via quell’espressione di selvaggio appagamento anche a lui che era instancabile ed insaziabile. Eppure lei riusciva ad abbassare le sue difese. A renderlo vulnerabile. A farlo suo.
Dei passi leggeri e barcollanti, che sembravano avere l’andamento di un ubriaco, si stavano avvicinando alla loro stanza, ridestandolo da quei dolci pensieri che nonostante tutto si portavano dietro l’amaro della malinconia e del rimorso per aver quasi perso tutto quello che aveva scoperto, solo con il passare del tempo, essere davvero importante: l’amore per una donna e l’amore per la famiglia.
Sapeva già a chi appartenevano quei passi e un impercettibile e genuino sorriso si dipinse sul suo volto, prima di sentire un leggero grattare alla porta che veniva aperta e di vedere la testolina azzurra sbucare da dietro di essa:
“Papino!” disse la bambina vedendo gli occhi neri del padre puntarsi sui suoi, con la solita nota di rimprovero. Forse per un sesto senso o forse perché la piccola inconsciamente sapeva già di aver fatto breccia nel cuore del suo papà, non ne fu per nulla intimorita. Anzi, quel cipiglio imbronciato la faceva spesso ridere di gusto, neanche fosse un pagliaccio e non un ex sterminatore di popoli e pianeti.
“Che vuoi, Bra?! Perché non stai dormendo?” chiese severo.
La bambina, di furbizia e di sembianze materne, si portò il dito alla bocca, tirando leggermente su con il naso, quasi a voler simulare il pianto:
“Papino, non riesco a dormire!” piagnucolò biascicando le parole che, a causa della tenera età, non riusciva ancora a pronunciare perfettamente.
“E allora?! Che vuoi da me?!” sbottò di nuovo il genitore, che sapeva perfettamente dove la piccola volesse andare a parare.
“Posso dormire con te e la mamma?!” chiese la piccola, piagnucolando più marcatamente di prima.
Cocciuta e ostinata come suo padre. Ogni sera era sempre la stessa storia. Ogni sera gli diceva sempre che doveva dormire nella sua camera perché era una saiyan e i saiyan non dormivano nel lettone con mamma e papà. Ma con lei era inutile. Così come, per Vegeta, era inutile pensare di resistere a quegli occhioni azzurri a cui aveva già ceduto molti anni prima. Come ogni sera si alzò sbuffando dal letto, attento a non svegliare Bulma scollandosela di dosso, e come ogni sera andò verso la bambina prendendola in braccio mentre lei si stringeva tra le braccia del suo papà che la portava a dormire insieme a lui. Sicura e protetta.
Ogni sera si ritrovava a guardare le sue bellissime donne che dormivano al suo fianco. Lui che per quasi trent’anni della sua vita aveva trascorso le notti nel buio della solitudine che alla fine Bulma aveva sconfitto per lui. Bra, nel sonno si strinse al suo braccio muscoloso, stringendolo con forza. Quella piccola pulce stava crescendo giorno dopo giorno, diventando sempre più simile a sua madre, anche se era già evidente qualche tratto del caratteraccio paterno che la rendeva semplicemente unica.
Come ogni sera pensò alla prima volta che l’aveva tenuta tra le braccia, appena nata, prendendola dalla goffa stretta di Trunks. In quel momento aveva provato un doloroso rimorso nei confronti di suo figlio, per non esserci stato fin dall’inizio anche per lui. Per essersi perso la bellezza del sangue del suo sangue che veniva al mondo. Ma stava cercando di recuperare e fare ammenda e Trunks sembrava averlo capito. Il ragazzino era molto più simile a lui di quanto non sembrasse e sapeva che per lui e per sua madre aveva sacrificato la sua stessa vita.
Poi Bra aveva aperto i suoi occhietti, dandogli la vista di quei bellissimi zaffiri che gli avevano sconvolto la vita più e più volte, mentre Bulma, bellissima nonostante la stanchezza per il parto, e Trunks si godevano sorridenti la scena dal letto di quell’anonima stanza d’ospedale.
Lui aveva guardato prima gli occhi sorridenti e teneri di sua figlia, poi quelli della sua donna e di suo figlio che lo guardavano con dolcezza e gioia. Tre paia di occhi di quell’azzurro così bello ed intenso che in quel preciso momento gli avevano fatto capire che quello, in quella stanza, insieme alla sua famiglia, era il suo giorno più bello nel mondo. 



 
"E un sorriso che è nato 
e sembra schiudere tutte le porte
e sembra schiuderle tutte le volte che sto con te"
Francesco Renga
   
 
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