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Autore: Maledetta    13/05/2017    0 recensioni
Seguito di Little Soldier Won't Grow Up (anche se non sembra)
In cui Mike è un universitario depresso, Chester fa il turno di notte in un pub irlandese e niente ha davvero senso.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'In The End (we'll be together)'
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HOW TO FALL IN LOVE WAITING FOR THE BUS

(And not to cry yourself to sleep every night for that)

 

Mike Shinoda aveva sempre odiato aspettare l'autobus. 

Odiava gli autobus in generale, in realtà, ma caso voleva che gli toccasse essere un dannatissimo universitario squattrinato che non poteva permettersi né una macchina né tantomeno un'appartamento più vicino all'università, quindi ogni mattina si mordeva la lingua e saliva su un catorcio fin troppo malandato e traboccante di gente che si apprestava ad affrontare un'altra giornata di merda. 

La routine. Dio, quanto odiava la routine. Lo faceva capire Mad World. E se a ventidue anni arrivavi a capire quella dannata canzone... be', allora c'era seriamente qualcosa di molto sbagliato nella tua vita. O almeno, così la pensava lui.

Però, sul serio, la sua vita era una rottura di coglioni assurda: ogni mattina alzarsi a orari che erano praticamente una bestemmia, fare colazione, la doccia, vestirsi, camminare fino alla fermata di quel fottuto, maledetto autobus, andare in classe, sorbirsi ore di lezione di legge quando a lui di legge non poteva fregargliene di meno... e poi tornare a casa, mangiare, studiare per ore e ore e ore, e poi andare a dormire. Ma seriamente, chi diavolo glielo faceva fare? Non poteva semplicemente mandare a fanculo i suoi genitori e le loro aspettative, scappare e fare qualcosa di figo della propria vita? Poteva infagottare quel poco che aveva, mollare quel buco di appartamento e quello schifo di università e diventare qualcosa tipo un pilota di corse clandestine. Oppure fondare una cavolo di band e diventare famoso. Oppure semplicemente vivere sotto un fottuto ponte, libero come un gatto. Ma la verità era che non avrebbe fatto un cazzo, perché gli avevano insegnato a stare e al suo posto e a fare quello che gli veniva detto: avrebbe vissuto la vita del cazzo che i suoi volevano che vivesse e sarebbe stato zitto, come ogni bravo figlio avrebbe dovuto fare.

E quello era il ragionamento standard del lunedì mattina, quando ancora non si era alzato e non aveva bevuto il suo cazzo dì caffè. Quando ancora non aveva voglia di vivere... non che poi gli venisse, la voglia di vivere, ma almeno gli passava un po' la voglia di non esistere ed era meglio di niente. 

Quel particolare lunedì mattina, stava quasi per decidere di non alzarsi: in fondo a che diavolo sarebbe servito?

Era sveglio da più o meno un'ora, e la luce cominciava a filtrare pigramente attraverso le tende, illuminando la sua cameretta clustrofobica. 

Ogni tanto si guardava attorno e si sentiva un fottutissimo monaco.

Chiuso nella sua stanzetta per la maggior parte della sua giornata come se ce lo avessero murato vivo, con una montagna di libri di legge che non aveva nessuna voglia di studiare come unica compagnia.

Se ne stava steso nel suo letto, mezzo scoperto, a pensare al nulla. La polvere danzava nell'aria davanti a lui e si posava silenziosamente sui pochi mobili. Sembrava tutto così piccolo e grigio, quella mattina.

Era aprile, o giù di lì. Una volta era abbastanza preciso ed entusiasta a proposito della vita da ricordarsi la data di quello che gli succedeva, ma poi con il tempo era andata sfumando finché era arrivato a non sapere nemmeno che giorno era nel momento in cui accadeva, figurarsi ricordarselo.

Nemmeno sapeva di preciso quando la sua vita avesse cominciato a fare così schifo. Forse era stato quando i suoi gli avevano detto che lo volevano avvocato, e che se si fosse azzardato a non passare l'esame di ammissione di proposito poteva considerarsi diseredato.

Forse era stato dopo il primo mese di università, dopo che la sua ragazza lo aveva mollato con la scusa di non riuscire a reggere la distanza, e i suoi amici erano spariti e non si erano più fatti sentire. 

Forse era stato quando il mondo era diventato grigio. Non lo sapeva nemmeno lui. 

La sveglia suonò proprio mentre se lo chiedeva. Per circa dieci minuti tornò a considerare l'idea di non alzarsi, poi la macchina del caffè della cucina fece din, e il profumo del caffè gli svegliò quasi del tutto il cervello, rovinando i suoi piani di ribellione contro il sistema e di dormire un altra decina di ore.

Tirò un pugno all'aggeggio infernale che trillava sul suo comodino, poi si alzò di malavoglia e andò a versarsi il suo maledetto caffè.

Fece colazione con calma, con la televisione che blaterava qualcosa su un attentato Dio solo sapeva dove e lo sguardo perso fuori dalla finestra. C'era una Camaro rossa parcheggiata proprio sotto casa sua e non sapeva perché, ma per un attimo ebbe l'impressione che avrebbe dovuto ricordargli qualcosa. Poi notò il gatto nero del figlio di puttana che viveva nel condominio di fronte che stava pisciando di nuovo sulla porta del palazzo, e smise di pensarci. 

Si fece la doccia velocemente, si vestì e poi uscì in strada. Lanciò un'occhiataccia al gatto prima di andare verso la fermata dell'autobus, giusto per esternargli tutto il suo odio e il suo rancore. Quella stupida bestia se lo meritava, cazzo.

Il marciapiede era bagnato: doveva essere piovuto durante la notte... o forse era solo passato il lava strade. Non c'era nessuno per strada: un cazzo di nessuno. Solo nuvole gonfie in cielo e qualche raro uccello che canticchiava sconsolato, e poi... be', c'erano auto, furgoni, camion... una moto ogni tanto. Aria grigia che usciva dai tubi di scappamento, foglie secche reduci dall'inverno che svolazzavano qua e là, pezzi di carta straccia ammucchiati ai bordi delle strade... Mike non aveva idea nemmeno di quando il mondo avesse cominciato a fare così schifo... perché pazienza la sua vita, ma tutto il mondo sembrava una esagerazione quasi crudele.

Qualcosa doveva essere andato tremendamente storto quando Dio aveva creato l'universo, se si era arrivati a una cosa del genere.

I suoi passi risuonavano nella sua testa assieme ai suoi pensieri, mentre la pensilina di plastica grigia si faceva lentamente sempre più vicina.

Mike si sedette al suo solito posto, tirò fuori una sigaretta dal pacchetto sgualcito che teneva in tasca e se la accese, poi si mise a fissare il vuoto, mentre leggere spirali di fumo azzurrino si alzavano verso il cielo. Non sapeva nemmeno di preciso quand'era che aveva cominciato a fumare, o perché l'avesse fatto... però sapeva che ormai quei cinque minuti in cui fumava la sigaretta sotto la pensilina erano gli unici in cui si sentiva quasi vivo. Poi basta. Fumava solo quella. La sua vita, invece che un giorno alla volta, aveva cominciato a passare una sigaretta alla volta... ed era abbastanza patetico, ma almeno aveva quei cinque minuti.

Si tolse la sigaretta dalla bocca e la guardò con una specie di pigra curiosità per un paio di secondi.

Camel.

Cazzo, era una Camel. Come diavolo ci era finita una fottuta Camel in un pacchetto di Lucky Strike? Si strinse nelle spalle e se la rimise in bocca: tanto era sempre catrame.

L'aveva quasi finita, quando vide arrivare il ragazzo. Poteva avere la sua età, più o meno. Forse aveva un anno o due di più. Era biondo tinto, non troppo alto, vestito di scuro e correva come se avesse dovuto prendere un treno verso la terra promessa che era già partito da cinque minuti. 

Gli si fermò esattamente davanti, piegato in due e con i capelli bagnati, per Dio solo sapeva quale motivo.

Mike notò che era maledettamente pallido, ma non sembrava malato: sembrava più che avesse la carnagione chiara. Portava un paio di occhiali da vista piuttosto spessi, aveva un piercing al labbro, le sfumature di un qualcosa di indefinito tra l'azzurro e l'arancione gli spuntavano dalle maniche della giacca di pelle che portava e nel complesso sembrava solo un ragazzo... insomma, niente di particolare. Eppure Mike rabbrividì mentre lo guardava. Era strano, ma... aveva come la sensazione di conoscerlo già: per un attimo vide una versione più vecchia e più stanca di lui. Vide un tizio con l'aspetto ancora abbastanza giovane da essere definito un ragazzo, ma con lo sguardo abbastanza devastato da sembrare più vecchio di trent'anni. Senza occhiali, con il viso bruciato dal sole, i capelli castani tagliati cortissimi e una divisa da soldato piena di polvere. Ma durò solo un secondo, poi Mike scosse la testa e quello che aveva davanti tornò a essere un ragazzo biondo piegato in due.

-Scusa...- sbuffò respirando affannosamente -Sai per caso se è già passato quello che va verso la zona industriale?-

Mike lo guardò basito per un secondo o due, con la sigaretta ancora accesa che gli si consumava in mano.

-Dici a me?- chiese alla fine.

Il ragazzo si rimise dritto e roteò gli occhi al cielo.

-No.- disse -Sto dicendo al fottuto elfo che ti sta seduto di fianco. Certo che parlo con te!-

Accennò una risatina, ma si fermò quando vide lo sguardo assassino che Mike gli stava rivolgendo. Era stato un tipo spiritoso, una volta, ma adesso non aveva voglia di esserlo. Soprattutto di lunedì mattina.

Il ragazzo lo guardò inclinando appena la testa di lato con espressione leggermente interdetta.

-Scusami, non volevo offenderti...- borbottò.

-Dovrebbe passare fra venti minuti, o giù di lì.- bofonchiò Mike.

In un certo senso sperava di toglierselo di torno, ma il ragazzo non sembrava avere la minima intenzione di andare da nessuna parte.

Sospirò di sollievo e si sbragò sulla panca accanto a lui, cominciando pigramente a frugarsi nelle tasche e a imprecare a bassa voce.

All'inizio, Mike fece del suo meglio per ignorarlo, ma poi vederlo lì che si autoperquisiva cominciò a farlo innervosire.

-Problemi?- sputò alla fine.

-Ho perso le sigarette.- rispose lui in tono vagamente scocciato.

Mike sospirò e tirò fuori il suo pacchetto.

-Serviti pure.-

Il ragazzo lo guardò come se gli stesse mettendo in mano il santo Graal. 

In religioso silenzio estrasse una sigaretta e se la mise in bocca, poi appoggiò il pacchetto sulla panca.

Era strano: era come se quel piccolo spazio che c'era tra loro fosse una lingua di terra chiusa tra due fronti. La terra di nessuno.

E in quel momento c'era un fottuto pacchetto di sigarette in mezzo alla terra di nessuno, come se fosse un'offerta di pace, o qualcosa del genere.

-Ti serve l'accendino?- chiese.

-No... dovrei averlo.-

Il ragazzo biondo fece apparire dal niente un clipper di plastica blu dall'aria vissuta e si accese la sigaretta.

-Grazie mille...- disse dopo aver fatto il primo tiro -Mi chiamo Chester, comunque.-

-Michael...- borbottò Mike alzando gli occhi al cielo.

Odiava gli obblighi sociali quasi quanto odiava i lunedì mattina. Una volta era stato una persona socievole, ma a quel punto era passata una vita dall'ultima volta che aveva avuto voglia di fare amicizia con qualcuno.

Chester rimase in silenzio per un po', fumandosi con calma la sua sigaretta. Mike si concesse di lanciargli un'occhiata ogni tanto: era un bel ragazzo, in fondo. Fumava con la sinistra e con lo sguardo perso nel vuoto, mentre con la mano destra tamburellava qualcosa contro i pantaloni giganteschi che portava. Era un bel ragazzo, in un certo senso, ma non aveva niente di poi così familiare: di sicuro, Mike non poteva averlo già visto. O magari lo aveva visto per strada, o al supermercato, o chissà dove.

Di sicuro non lo conosceva: se lo avesse conosciuto, avrebbe quanto meno ricordato il suo nome. Chester era un nome insolito fra quelli che avevano meno di settant'anni. Mike non era nemmeno sicuro di averne mai visto uno che avesse meno di settant'anni, prima di ritrovarsi davanti lui.

-Michael, uhm?- lo sentì dire dopo un po' -È strano, ma ho come l'impressione di averti già visto da qualche parte.-

Forse alla fine lo conosceva davvero. Magari lo aveva davvero visto da qualche parte: magari si erano addirittura parlati, una volta... però era abbastanza sicuro che se lo sarebbe ricordato.

-Può essere...- ammise -Ormai abito qui da qualche anno. Magari ci si siamo incrociati in giro.-

-Na'.- escluse Chester -Mi sono appena trasferito. Non ho nemmeno finito di disfare quei cazzo di scatoloni. Probabilmente mi sbaglio.-

Mike lo guardò ancora un po', poi decise che forse, in fondo, aveva ragione lui e tornò a fissare l'asfalto sbiadito della strada davanti a loro finché non arrivò il suo autobus.

 

[***]

 

Nell'ultima parte della sua mera e inutile esistenza, Mike aveva preso la tendenza a dimenticare... be', più che dimenticare a dire il vero evitava direttamente di ricordare: lasciava che il tempo gli scorresse addosso senza cambiare niente. 

Il sole si alzava e calava, i giorni venivano e passavano, gli anni iniziavano e finivano, ma era come se non lo facessero. Era come leggere la pagina di un libro di storia senza che effettivamente ti fregasse qualcosa di storia: tutto quello che ti rimaneva era un'infarinatura generale di quello che era successo negli anni venti del '300 e le date, i dettagli e i particolari diventavano un minestrone. 

Mike Shinoda aveva un'infarinatura generale di quello che era successo negli ultimi due anni della sua vita, e tutto il resto era un minestrone grigio di fogli di giornale spiaccicati sulla strada e odore di pioggia... non che piovesse sempre da quelle parti, ma le giornate di pioggia erano le uniche che riusciva in qualche modo a ricordare.

I dieci minuti che aveva passato a chiacchierare con uno strano ragazzo biondo sotto la pensilina dell'autobus la mattina del 27 aprile erano i primi che si ricordava chiaramente da decisamente troppo tempo.

Si ricordava il sapore della sigaretta tra le sue labbra, il fresco umido dell'aria e poi la giacca di pelle decisamente datata che Chester indossava, l'esatta sfumatura di biondo dei suoi capelli... sembrava che il mondo per quei dieci minuti fosse tornato ad essere nitido. Eppure, per quanto riuscisse a ricordarselo, non era sicuro che gli fosse piaciuto. Una volta l'avrebbe adorato, ma adesso... trovava irritante quel suo essere così pieno di vita, così sfacciato, così allegro. Di lunedì mattina poi. Essere così felici il lunedì mattina era semplicemente illegale, e forse anche un po' immorale. Anche se ci si era appena trasferiti e non si aveva ancora un motivo per essere infelici.

Comunque Mike passó tutta la settimana a chiedersi perché quei dieci minuti gli fossero rimasti in testa, o perché quel ragazzo gli sembrasse così familiare... in fondo non sapeva nemmeno come facesse di cognome. Era semplicemente assurdo.

Non si ricordava di preciso quando fosse stata l'ultima volta che aveva avuto un chiodo fisso. Il suo archivio suggeriva qualcosa a proposito di una canzone metal all'ultimo anno di liceo, ma tutto quello che ne rimaneva erano una manciata di note, un titolo e qualche verso. Si chiedeva se un giorno anche quel ragazzo biondo sarebbe diventato niente di più che un'immagine sfocata dentro la sua testa.

Quando suonò la sveglia il lunedì dopo era quasi riuscito a convincersi di sì.

Spense la sveglia, e come in un copione ripetuto un milione di volte, si impose di alzarsi. E poi fu tutto la solita routine di merda: caffè, doccia, vestiti, chiavi, strada, occhiataccia al gatto di quel bastardo del vicino, e poi via, verso orizzonti anche troppo esplorati.

La strada era asciutta quel giorno, un vento leggero muoveva le foglie sui rari alberi piantati lungo la strada, e il sole stava pigramente salendo in cielo, colorando l'est di un rosa pallido che aveva un che di deprimente. Mike aveva notato che sembrava un po' tutto deprimente, quando si aveva la tendenza a deprimersi. E lui ultimamente ce l'aveva. Cazzo se ce l'aveva.

Le strade erano più silenziose, quando c'era il sole. La gente se la prendeva più con calma, e mandava a quel paese quella strizza assurda di ritrovarsi bloccati in mezzo a un traffico infernale perché pioveva e ogni povero coglione che lavorava a più di trenta metri da casa sua si vedeva costretto a prendere la macchina.

Quando arrivò alla pensilina, Chester era già lì e si stava fumando una sigaretta. All'inizio Mike ebbe la tentazione di mostrarsi sorpreso e di usarla come scusa per parlargli, ma poi invece si sedette e rimase zitto pregando che lui non lo notasse, e tanti saluti.

-Ciao.- borbottò Chester dopo un po' -Vuoi una sigaretta? In fondo te ne devo una.-

Mike si chiese che diavolo di tattica di approccio fosse quella per cinque secondi, ma poi si rese conto che non gli interessava davvero. Magari gli andava di parlare.

-Che marca fumi?- domandò alla fine.

-Marlboro rosse?-

-Ok...- 

In realtà Mike non era mai stato un tipo da Marlboro. Nel senso che non ne aveva mai fumata una in vita sua: aveva sempre fumato Lucky, a parte qualche sigaretta scroccata qua e là. Era curioso che non fosse mai incappato in una Marlboro prima di allora, visto quanto famose erano.

Chester gli porse il pacchetto senza nemmeno guardarlo. Quel lunedì non sembrava poi così allegro.

-Bella giornata, eh?- domandò quando entrambi ebbero una sigaretta accesa in mano.

-Già...- rispose Mike -Come ti trovi qui? Ti sei ambientato?-

-Oh, sì... non è così male. Tu abiti qui da tanto?-

-Due o tre anni. Circa da quando ho iniziato l'università.-

-Vai all'università?-

-Sì...- sospirò Mike -E tu?-

-Na'... ero una capra a scuola.- ridacchiò Chester -Faccio il barista in un pub irlandese qui vicino. La domenica è aperto tutta la notte, anche se non ho ancora capito che cazzo di senso abbia.-

-Gli irlandesi sono strani...- disse Mike.

-Puoi dirlo, fratello. Cosa studi?-

-Legge...- 

Mike si morse il labbro e fece un tiro più lungo degli altri. Chiuse gli occhi e cercò di non pensarci.

-Avevo un cugino che studiava legge...- borbottò Chester sovrappensiero.

-E gli piaceva?-

-La notte prima di discutere la tesi ha scritto Fanculo mondo su un muro del campus con il suo sangue, poi è andato in camera e si è steso sul letto ad aspettare di morire dissanguato.-

-Oh... mi dispiace.-

-No no, ma è sopravvissuto!- esclamò Chester -Il suo compagno di stanza l'ha beccato in tempo... però l'hanno espulso per vandalismo.-

-Beato lui...- bofonchiò Mike.

Chester ridacchiò e scosse la testa.

-Nemmeno a te piace, eh?-

-Non ne hai nemmeno idea... a volte veramente non...- si interruppe.

-Che c'é?-

Chester lo guardò smarrito, come se l'avesse davvero preso di sorpresa.

Non aveva la giacca quel giorno: portava una vecchia camicia consumata e un paio di jeans talmente grandi che avrebbero potuto usarli come tenda e dormirci sotto tutti e due. 

Mike ci mise un attimo a ricordarsi l'ultima volta che era stato in campeggio: dovevano essere passati almeno cinque anni.

-Quello è il mio autobus...- bofonchiò indicato l'autobus che veniva verso di loro.

-E quindi?-

Mike scosse la testa e buttò via il mozzicone della sigaretta.

-Niente.- disse -Solo non credevo di essere qui da così tanto.-

 

[***]

 

Esattamente, Dio solo sapeva quando l'idea di trovare Chester sotto la pensilina il lunedì mattina aveva smesso di scatenare a Mike sentimenti contrastanti e aveva iniziato a diventare un'abitudine.

Probabilmente fu attorno all'inizio di Giugno. 

In un certo senso, quei dieci minuti di chiacchiere e di sigarette che si scroccavano a vicenda divenne una parte della sua routine, anche se rispetto a tutto il resto del minestrone aveva un colore diverso. Era un biondo chiaro invece che un grigio, un pacchetto di sigarette che rimaneva a casa due lunedì al mese, dieci minuti di qualcosa dove prima c'erano dieci minuti di niente.

Non era male avere almeno quelli. 

E poi Chester non era male: continuava a sembrargli troppo felice per essere umano, ma non era male.

Quel lunedì mattina faceva caldo. 

Il gatto del vicino era acciambellato incima a un cassonetto a prendere il sole e faceva le fusa da solo. Le strade erano deserte: era la maledizione di luglio. O forse una benedizione: una volta Mike adorava avere gente attorno, ma ora come ora preferiva stare solo.

Il sole era ancora basso sull'orizzonte e la sua luce rosata si rifletteva sulla plastica trasparente della pensilina. Mike si aspettava di vederla riflettersi anche sui capelli chiari di Chester, ma Chester non era ancora arrivato: in compenso riusciva a vederlo mentre camminava dall'altra parte del marciapiede, a circa quaranta metri nella direzione opposta rispetto a quella da cui era venuto lui. Era assieme a una ragazza appena un po' più bassa di lui con i capelli rossi e un seno prosperoso. Erano ancora troppo lontani per riuscire a vederla in faccia, ma sembrava una bella ragazza e pareva che Chester si stesse divertendo a parlare con lei. Mike si sentì strano guardandoli. Come se stesse vedendo qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, ma durò solo un attimo. Poi la ragazza imboccò un vicolo e Chester venne verso di lui, e qualunque pensiero stesse facendo sparì dalla sua testa, anche se quel maledetto ragazzo sembrava addirittura più felice del solito.

-Novità?- gli chiese.

Chester si buttò letteralmente sulla panca.

-Fanculo, sì!- esclamo.

Mike era abbastanza sicuro di non averlo mai visto così euforico... e ok, non lo conosceva da molto, ma Chester era sempre almeno un po' euforico. Talmente tanto che anche se era più giovane di lui di un anno, a volte Mike aveva l'impressione di avere a che fare con un ragazzino. A volte invece si chiedeva se, se fosse stato libero come lo era lui, sarebbe stato felice come lui. Ma tanto non sarebbe mai stato libero come Chester, quindi era inutile anche solo pensarci.

-Hai intenzione di condividere, o...?-

-Credo di essermi innamorato.- disse Chester con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

-La rossa?-

-Non è veramente rossa, ma sai com'é: lavoriamo in un pub irlandese... si chiama Samantha. Non è fottutamente stupenda?-

Mike si sforzò di sorridere, anche se non ne aveva voglia. Non sapeva nemmeno perché non ne avesse voglia: ultimamente l'allegria di Chester aveva cominciato a contagiarlo, e negli ultimi lunedì vedere il suo sorriso in qualche modo lo aveva fatto sentire... meglio? Vederlo felice, per qualche motivo assurdo che lui non voleva neanche lontanamente sapere, lo faceva stare meglio. Però in quel momento non aveva la minima voglia di stare meglio.

-Sì... è carina.- spiccicó alla fine.

Chester rise e tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni.

-Tutto bene?- chiese offrendogliene una.

-Sì...- bofonchiò Mike mettendosela fra le labbra -'Folo ftanco...- aggiunse mentre se l'accendeva.

-A te non piace proprio tutta questa storia, vero? Voglio dire: l'università, il diventare grandi eccetera.-

-Non ho problemi con il diventare grande. È solo che... a me non frega un cazzo di legge, ok? E questo non è decisamente quello che volevo dalla mia vita.-

-E cosa volevi dalla tua vita?-

Mike sospirò e rimase in silenzio per quindici secondi che sembrarono un'eternità, fingendo di fumare per non far capire che ci stava effettivamente pensando. Perché Cristo: aveva ventidue anni, cazzo. Da lui ci si aspettava almeno che sapesse cosa voleva.

-È questa la fregatura...- rispose alla fine -Non lo so.-

-E allora perché continui a tirare avanti? Molla tutto e cerca di capire chi cazzo sei per davvero.-

-Non è così facile, Chester.-

-Lo è, fidati.- bofonchiò lui.

Non sembrava più tanto felice adesso.

-O almeno per me lo è stato.-

-Perché a te non frega niente di quello che la gente pensa di te.-

-A te invece sì?-

-A me interessa di quello che i miei genitori pensano di me.- disse Mike abbassando lo sguardo -Hanno sputato sangue per mandarmi all'università. Che schifo di persona sarei se mollassi tutto solo perché non mi piace?-

-Quindi per te è più importante che i tuoi genitori siano contenti di te che essere contento tu?-

-Non mi aspetto che tu lo capisca...-

Nessuni in fondo lo capiva. A volte persino lui aveva la sensazione che fosse un ragionamento completamente sbagliato. Quindi perché avrebbe dovuto capirlo Chester?

-Non è che non lo capisco...- disse invece lui -È solo che non credo che ti faccia bene vivere così.-

-Che cosa dovrei fare secondo te?-

-Non lo so... sono qui combattuto se dirti di andartene per il tuo bene o dirti di restare per continuare a scroccarti sigarette.-

Mike ridacchiò tra sé e sé e lo ringraziò mentalmente per averla buttata lì. Non ce l'avrebbe fatta a parlarne ancora.

-Lo so che adesso sembra che tutto ti sia crollato addosso e che ti senti come se fossi intrappolato sotto le fottute macerie e non riuscissi a liberarti, ma... vedrai che andrà tutto bene.-

Senza che lui se ne accorgesse Chester gli si era avvicinato un po'. Il mozzicone della sigaretta era sparito, e la sua mano era posata sulla spalla sua spalla. I suoi occhi erano grandi e profondi dietro gli occhiali, la luce ora quasi arancione gli si rifletteva sui capelli e gli sfumava sulle guance, facendolo sembrare un po' meno pallido. Per un attimo un'immagine diversa di lui balenò nella mente di Mike.

Stavolta era più giovane: poteva avere sui diciassette anni. 

Portava una camicia di flanella rossa legata attorno alla vita, dei jeans neri attillatissimi strappati sulle ginocchia e una maglietta scura con disegnato sopra una specie di scheletro vestito come se stesse andando a una parata. Era mano nella mano con un ragazzo con i capelli quasi bianchi e il viso cadaverico, truccato come un cantante emo. Eppure, malgrado il trucco aggressivo, aveva lineamenti dolci e una risata tenera come quello di un bambino. Chester sembrava così felice che guardarlo faceva quasi male.

Poi Mike sbatté le palpebre e la scena si dissolse: Chester era ancora lì, con la mano sulla sua spalla, e lo guardava, e lui si sentiva così assurdamente sveglio che fece una pazzia. 

Una volta era convinto di avere una specie di piccolo spirito malefico dentro la testa che si divertiva a fargli fare cazzate e poi a vederlo soffrire. Gli aveva persino dato un nome: lo chiamava Otis. E in quel momento Otis gli tornò in mente, perché doveva starsi divertendo da morire: si sentì diventare rosso prima ancora di aver finito di abbracciare Chester... il che era ridicolo, perché andiamo: una volta era stato un amante del contatto, e ora bastava un dannatissimo abbraccio consolatorio a farlo andare in crisi.

Chester ricambiò l'abbraccio con una calma quasi rassicurante.

-Tutto bene, Mike.- bofonchiò -Andrà tutto bene.-

Quel giorno Mike non prese l'autobus per andare a lezione.

 

[***]

 

Dicembre venne e passò e un nuovo anno sorse dai resti dei petardi sparsi lungo la strada e dall'odore di polvere da sparo sparso nell'aria, accompagnato dai botti che risuonavano in ogni singolo millimetro cubo di tutta la fottuta realtà. 

Mike passò tutta la notte dell'ultimo dell'anno seduto sul davanzale della finestra, a osservare il mondo che impazziva sotto e sopra di lui: in fondo quella era l'unica notte dell'anno che riusciva ancora a piacergli. Passò le ore a guardare il vuoto e a pensare. Cercava di tirare le somme dell'anno che aveva passato, ma era sempre il solito minestrone: se lo ricordava a grandi linee, ma i dettagli... i dettagli erano un disastro. Tutto quello che restava veramente erano dieci minuti a settimana e una sigaretta fra le labbra. 

Il mondo fuori dalla finestra del suo buco di appartamento era buio, ma sembrava felice: i lampioni erano accesi, i locali aperti, la luna era alta in cielo e quando il vento tirava dalla sua parte riusciva a sentire la musica che veniva dalle feste in centro.

Avrebbe potuto essere anche lui fuori a divertirsi: Chester l'aveva praticamente invitato ad una festa, ma non aveva avuto il coraggio di dirgli di sì. Una volta avrebbe accettato senza pensarci due volte, ma il Mike che era stato a diciotto anni era morto e sepolto ormai. E quello attuale preferiva starsene tutta la notte a fissare il niente fuori dalla sua finestra che, convinto di essere qualcosa, si muoveva e si contorceva come se fosse vivo, e a chiedersi dove fosse Chester, se stesse bene, se si divertisse, se fosse con Samantha.

Più ci pensava e più odiava quella donna: non importava che Chester fosse solo suo amico o che lo vedesse solo una volta a settimana, quella là lo mandava in bestia. Perché si capiva distante un chilometro che era una puttana e che lo stava soltanto usando, ma a Chester non sembrava dispiacere. Lui sembrava solo innamorato perso, e per certi versi quello lo faceva incazzare ancora di più: perché Chester non era stupido, e Mike era piuttosto sicuro che sapesse cosa quella ragazza gli stesse facendo, ma continuava a scodinzolarle attorno come un idiota in ogni caso.

L'aria fresca dell'inverno gli accarezzava il viso, e l'odore di polvere da sparo gli riempiva i polmoni e gli annebbiava un po' la mente. Aveva quasi sonno, ma se si addormentava rischiava di farsi un volo di sei piani e quindi rimaneva là, a guardare il vuoto e a pensare al suo unico amico che si faceva strapazzare da una stronza rossa tinta.

Come anno, non cominciò alla grande: cominciò con un febbrone che dal primo di gennaio durò fino al 4, e dopo aver rischiato un attacco di panico dovuto al fatto che all'improvviso gli scaffali sopra la scrivania che teneva in camera sembravano essere diventati sei invece che tre e aver passato una giornata a vedere draghi che si rincorrevano sul suo soffitto, Mike credette di essere ancora delirante quando la mattina del 5 riuscì per la prima volta a mettersi in piedi e a guardare fuori della finestra e vide la neve. Da quelle parti non nevicava spesso e quando succedeva (se succedeva) di solito era una poltiglia triste e grigiastra che a mala pena riusciva ad attaccarsi alle strade... quindi Mike rimase per cinque minuti abbondanti a fissare la neve che fioccava giù come se nessuno le avesse detto era troppo a sud per pretendere di vivere e ricopriva le case, le strade e tutto quanto. Poi sbuffò e andò a buttarsi di nuovo nel suo letto chiedendosi perché diavolo ogni volta che si ammalava doveva vedere cose strane e inquietanti come la neve in Florida. 

Il 5 e il 6 finì per passarli a dormire, e il 7 a cercare di prepararsi psicologicamente a cominciare un'altro anno di merda.

Il primo giorno di lezione fu l'8.

Il primo autobus di lunedì lo prese l'11. Si avviò verso la fermata con tre maglioni infilati l'uno sopra l'altro e la testa che ancora gli galleggiava per il sonno. 

C'era ancora un po' di neve per strada, ma non c'era più neanche l'ombra dello strato bianco e perfetto di qualche giorno prima: c'erano solo mucchi grigi e acquosi che si scioglievano nella luce rosata e soffusa dell'alba e gli facevano odiare l'inverno ancora di più di quanto non lo odiasse di suo... perché alla fine la neve gli piaceva anche, finché non cominciava a sciogliersi. Quel giorno non c'era niente che svolazzava per strada: le foglie e i pezzi di carta se ne stavano incollati a terra, zuppi d'acqua e... be', se Mike avesse avuto ancora quella vena da poeta maledetto che non si ricordava di aver perso avrebbe detto che erano zuppi dei sogni infranti dei bambini che diventano grandi, ma... non si ricordava esattamente quando, ma doveva averla persa. Perché adesso la neve sciolta non gli diceva niente: era solo fottutissima neve grigia e deprimente che si scioglieva su una maledetta strada.

Quasi non c'erano auto quella mattina: solo qualche autotreno guidato da un camionista stanco che probabilmente avrebbe ucciso per essere a casa con la sua famiglia, oppure in qualche Road House squallido a sfondarsi di birra calda.

Il sole era là, al suo solito posto, che sorgeva piano piano. C'era stato un tempo, un numero indeterminato di anni prima, in cui Mike aveva avuto l'abitudine di passare giornate intere a chiedersi se essere il sole fosse noioso... poi ovviamente era cresciuto, e un maestro di scienze sfigato e frustrato gli aveva spiegato che non era il sole che girava attorno alla Terra. 

Trovò Chester sotto la pensilina, con un giaccone pesante addosso, una sigaretta spenta in bocca e lo sguardo sulle piccole nuvole rosate che si rincorrevano nel cielo azzurrino. Se Mike avesse avuto una macchinetta fotografica gli avrebbe fatto una dannata foto, perché era un'immagine semplicemente stupenda: al limite del surreale. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta in cui vedere una persona gli aveva fatto quell'effetto, e la cosa, in un modo o nell'altro, non gli dispiaceva. 

 

[***]

 

Le settimane si trascinarono l'una dietro l'altra. Un altro pacchetto di sigarette fu comprato e finito, e lentamente gennaio scivolò via, un lunedì alla volta. 

E fu così che arrivò il suo compleanno: zoppicando sulle strade umidicce e ricoperte di arcobaleni di benzina di un giovedì di pioggia di quasi metà febbraio. 

Mike, a dire il vero, nemmeno si ricordava che fosse il suo compleanno.

Quella mattina non si ricordava nemmeno di essere vivo: mentre camminava stava facendo tutto un ragionamento per cercare di capire perché la prima versione di Matrix non avesse funzionato. Si chiedeva perché la gente non fosse riuscita ad adattarsi all'essere felice: a lui sarebbe piaciuto essere felice. 

Continuò a pensarci per minuti interi. Non badò nemmeno al grigio del cielo o alla pioggerellina che gli bagnava il cappuccio della felpa tirato su. L'unica cosa a cui badava era la consapevolezza martellante del desiderio che fosse lunedì. 

Nel sul Matrix ideale, nella sua idea di mondo ideale, sarebbe stato lunedì.

Invece non era lunedì. Era solo un fottuto giovedì di pioggia di quasi metà febbraio, e c'era il mondo per strada perché pioveva e tutti prendevano la macchina per non prendere l'acqua.

L'aria era piena del rumore graffiante dei motori e dei fumi di scarico delle marmitte di centinaia di auto che si rincorrevano sull'asfalto bagnato senza andare da nessuna parte. 

La pensilina apparve così dal nulla che quando Mike la vide, per un attimo si convinse di essere dentro Matrix per davvero e pensò di essere appena incappato in un glitch di quelli bastardi. Poi si rese conto che si era soltanto distratto mentre camminava e si diede del deficiente.

C'era qualcuno seduto al riparo dalla pioggia: un ragazzo con un impermeabile scuro seduto a fumare una sigaretta.

Mike si fermò, impalato al suo posto come un coglione e con il cuore che batteva talmente in fretta che sembrava stesse per esplodere, perché quello non poteva essere Chester. Non poteva.

Si preparò psicologicamente a sedersi di fianco al tizio e ignorarlo finché non fosse arrivato il suo autobus, sperando che non fosse troppo in ritardo, ma proprio quando stava per farlo una voce fin troppo familiare sovrastò il casino dei motori in strada.

-Hey raggio di sole...- disse Chester con un sorriso in faccia che gli andava da un orecchio all'altro -Buon compleanno!-

Mike non aveva mai voluto baciare qualcuno così tanto in vita sua.

 

[***]

 

Quando i sogni cominciarono Mike nemmeno se ne accorse. O almeno, non subito. 

Accade che una mattina si svegliò sudato circa un'ora e mezza prima che suonasse la sveglia... e sapeva che aveva sognato Chester: lo aveva visto di nuovo vestito da soldato, riparato dietro una lamiera mentre dall'altra parte si scatenava l'inferno, ma non ci fece caso. Probabilmente pensò che fosse una cosa normale, o qualcosa del genere.

Cominciò a farsi venire qualche dubbio quando cominciò a sognarselo nudo su un letto in fiamme... e all'inizio in realtà si fece più problemi per il fatto che il letto fosse in fiamme che non per Chester nudo.

All'inizio non se ne rese nemmeno conto. Per tipo tutto il primo mese il suo cervello rimase perfettamente tranquillo in proposito, forse perché non era la prima e probabilmente nemmeno l'ultima volta che sognava un ragazzo nudo, o forse perché era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che aveva sognato un qualsiasi essere umano nudo che nemmeno si ricordava cosa significasse... o magari semplicemente era passato un bel pezzo dall'ultima volta in cui gli era fregato abbastanza della propria vita da concedersi di struggersi di un qualunque problema di natura sentimentale.

Poi però, una mattina, qualcosa in lui scattò.

Successe mentre faceva colazione, e all'improvviso la tazza che fino a un secondo prima era stata nella sua mano era sfracellata per terra e il caffé che c'era dentro sparso ovunque, ma per la maggior parte sul suo pigiama.

-Che cazzo.- esclamò al nulla fissando la pozzanghera marrone che andava allargandosi sul pavimento della cucina -Da quando in qua sogno Chester nudo?-

Questo accadeva di venerdì. Inutile dire che il lunedì dopo fu un disastro.

Era ormai fine marzo, e l'aria aveva cominciato a scaldarsi. 

Il sole non sembrava altro che un riflesso di luce rosso arancio sulle finestre delle case e il rumore delle auto ancora non appestava l'aria. Era uscito prima, e il mondo era ancora in ordine.

Qualche uccellino cinguettava pigramente su qualche albero mezzo soffocato dallo smog e nelle crepe nel cemento ogni tanto si vedeva un filo d'erba imperlato di rugiada. Ma Mike non notava niente di tutto questo.

O meglio: notava tutto, ma non ci badava veramente. Tutto quello a cui badava era la conversazione abbastanza accesa che si stava tenendo nel retrobottega del suo cervello tra il suo lato depresso e quella piccola parte di lui che aveva ancora voglia di vivere e che aveva deciso di interpretare quei maledetti sogni come un inconfondibile segno di innamoramento. Non è che assistere al dibattito avesse un qualche senso: non è che lui potesse fare granché, o che potesse metterci il naso in qualche modo. Era praticamente come guardarlo in televisione: l'unica cosa che poteva fare era sospirare e rendersi conto che, innamorato o no, lui Chester non sarebbe riuscito nemmeno a guardarlo negli occhi. 

Dirgli che se lo sognava di notte, ovviamente, non poteva: Chester aveva una ragazza e per quanto stronza Samantha fosse, era ovvio che lui l'amava. E poi andiamo, a chi mai sarebbe piaciuto uno come lui?

Mike era troppo fragile per piacere persino a se stesso, figurarsi piacere a qualcun'altro. Chester, poi... Dio, Chester era su un altro pianeta. Totalmente fuori dalla sua portata.

Che fosse davvero innamorato oppure no, sarebbe rimasto soltanto nella sua testa, e fine della storia.

 

[***]

 

Il mese successivo non fu altro che un lento e logorante sprofondare nell'abisso. Mike non riusciva più nemmeno a studiare: era tutto così tanto un minestrone che a malapena si ricordava quale fosse il suo nome.

E poi il lunedì mattina all'improvviso per dieci minuti il mondo tornava a colori, e le cose, per quei dieci stupidissimi minuti, pareva quasi che avessero senso. Per quello sputo di tempo Mike si dimenticava persino di avere quella che se fosse stato un ragazzino avrebbe definito una cotta colossale per Chester, e semplicemente si godeva la sua presenza e si beava della sensazione che il mondo per una volta girasse nel verso giusto. E man mano che le settimane passavano, quei dieci minuti diventavano sempre più chiari nei suoi ricordi. Ogni volta sembravano un po' più veri. Un po' più reali. E ogni volta lui era un po' più lì: ogni volta rimuginava un po' meno e si lasciava andare un po' di più, ed era un po' più se stesso della volta prima. 

A inizio aprile riuscì persino a ridere. Nemmeno si ricordava di preciso quando fosse stata l'ultima volta che aveva riso.

E Chester lo fissò per circa dieci secondi con lo sguardo più stupito che gli avesse mai visto, e i suoi occhi sembravano più grandi e più luminosi dietro gli occhiali.

-Che c'é?-

-Hai riso.-

-Uhm... sì?-

E scoppiò a ridere, e per un secondo o giù di lì Mike ebbe il dubbio di non aver mai visto niente di così bello in vita sua.

-Ma allora sai come si fa...-

-Certo che lo so, cretino. Non sono sempre stato uno sfigato depresso.-

Chester l'aveva abbracciato stretto e aveva riso ancora, e a un certo punto Mike aveva cominciato ricominciato a ridergli sulla spalla e il suo autobus era passato e non se ne era nemmeno accorto e tutto, per dieci fottutissimi minuti, aveva avuto un senso.

 

[***]

 

Per un po' non successe niente. Ogni tanto capitava ancora che Mike ridesse e a volte succedeva che che Chester lo abbracciasse per un motivo o per l'altro, e lui si sentiva felice come un bambino.

A volte capitava che lasciasse passare l'autobus e saltasse le lezioni soltanto per rimanere a chiacchierare con lui altri dieci minuti, soprattuto quando la notte prima lo aveva visto morire dissanguato nel bel mezzo del deserto oppure aveva sognato di fargli cose che un ragazzo cresciuto con dei sani principi morali non avrebbe mai dovuto sognare di fare. 

Fu più o meno quello che successe un lunedì mattina di metà ottobre. C'era il sole, e il semestre stava finendo e Mike davvero non avrebbe dovuto bruciare, ma appena vide l'espressione di Chester decise che in fondo aveva ventitré anni e di legge non gli era mai fregato niente, e se anche avesse perso un esame non sarebbe morto nessuno. E se anche qualcuno fosse morto... be', per quanto gli riguardava quel qualcuno poteva anche andare a fottersi.

Chester aveva i capelli più in disordine del solito e correva come correva la prima volta che l'aveva visto: come se stesse cercando di prendere un treno per la terra promessa che era già partito da cinque minuti. Però la sua faccia era diversa: così felice che sembrava sul punto di saltare in aria da un momento all'altro.

-Mike!- esclamò appena gli fu davanti -Ho notizie fottutamente grandi... ma non posso parlartene qui, devo... ti va un caffè?-

Mike annuì, anche se sapevano benissimo entrambi che lui il caffè lo aveva già bevuto: in fondo non avrebbe potuto fare altro, davanti a quella faccia.

Dieci minuti dopo erano seduti in una tavola calda con due tazze di brodaglia vagamente simile al caffè davanti, e Chester parlava a vanvera da più o meno cinque.

Mike non lo stava neanche veramente ascoltando: si limitava a fissarlo e a bere qualche sorso di caffè ogni tanto...

-E quindi se tutto va bene alla fine del prossimo mese di sposiamo.-

Peccato che poi all'improvviso tutto andò a puttane. Così, senza preavviso, dal nulla: un semplice ci sposiamo e il mondo all'improvviso ricominciò a girare in senso orario.

-Aspetta, cosa?-

-Io e Sam! Ci sposiamo.-

Chester sorrise e Mike si sentì morire.

-Davvero?- spiccicò.

Posò la tazza di caffè sul tavolo e cercò di non iperventilare. E di non svenire. E di sembrare normale.

-Già. Non è meraviglioso?-

-Uhm... sì, sì. È... meraviglioso.- bofonchiò.

Chester lo guardava pieno di aspettative, ma Mike a malapena se ne accorse: l'unica cosa che sapeva era che doveva uscire da quella situazione prima che peggiorasse ancora.

Tirò fuori cinque dollari dal portafogli e li mise sotto la tazza, poi si alzò e scappò.

 

[***]

 

Dopo quello, Mike saltò due lunedì: non ce la faceva nemmeno a pensare di vedere Chester, si svegliava urlando una notte sì e l'altra anche, come diavolo ci si aspettava che potesse passarci dieci minuti insieme?

Avrebbe voluto parlargli, cercare di capire, ma... ogni volta che pensava a lui gli tornavano in mente incubi in cui erano due soldati in mezzo al deserto, ridotti a due colabrodo, incapaci persino di respirare ancora. 

Dio: Chester stava per sposarsi. Con una stronza a cui quasi sicuramente di lui non fregava niente... e probabilmente lo sapeva che per lei contava meno di zero, eppure sembrava così felice... così dannatamente innamorato che pensarci faceva male.

Il terzo lunedì era il primo di novembre, e quando Mike arrivò alla pensilina Chester non c'era ancora. Pioveva forte quel giorno: il cielo era talmente scuro che l'alba non si vedeva. Sembrava che fosse ancora notte, i lampioni erano ancora accesi e la pioggia ticchettava incessantemente sul tettuccio della pensilina. 

Mike si accese una sigaretta e aspettò. Chester arrivò poco dopo bagnato come un pulcino e gli sorrise mestamente mentre gli si sedeva accanto.

Gli passò il pacchetto di sigarette in assoluto silenzio e lui se ne accese una senza nemmeno guardarlo.

-Mi dispiace...- borbottò qualche secondo dopo.

Mike si girò a guardarlo. Non aveva gli occhiali quel giorno e in qualche modo sembrava più normale senza... non averli gli toglieva quel qualcosa di più reale degli altri che aveva sempre avuto ai suoi occhi e lo faceva assomigliare ancora di più al soldato dei suoi incubi.

-Per cosa?- chiese.

-Per averti rovesciato addosso la cosa del matrimonio. Non volevo spaventarti...-

-Non sono spaventato.- si affrettò a dire -È solo che... non mi piace che le cose cambino.-

La cosa divertente era che in parte era anche vero: odiava la routine, ma la triste realtà era che negli ultimi anni l'abitudine si era impossessata di lui e l'aveva fatto diventare uno zombie.

-Non cambierà niente, Mike. Te lo prometto: continuerò a venire qui e a essere tuo amico.-

Mike quasi rise: più una risata isterica che altro. Perché a lui in fondo sarebbe andato bene: alla fine avrebbe potuto definirsi come il re dell'accontentarsi e tirare avanti.

Perché era il classico ragazzo che si innamorava aspettando l'autobus, e poi cercava di non piangere fino ad addormentarsi tutte le maledette notti.

 

 

 

ANGOLINO NERO PER UN'ANIMA NERA

Eh, volevate! Pensavate di esservi liberati di me, ah? Guarda che facce, guarda: non se l'aspettavano!

E ok, lasciamo da parte quella leggenda di Zeb e parliamo dei fatti nostri.

Ora vi starete chiedendo che diavolo ci faccia io qui con un'altra os che non ha un cazzo di senso, immagino. Be', la mia risposta è che lo saprete quando uscirà la terza e ultima parte della storia.

Bye😘

 

Cursed_Soldier

   
 
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