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Autore: Hejlyonne    14/05/2017    0 recensioni
Breve ritratto di un incontro tra due anime anonime, una ragazza e un giovane uomo, su un treno, in un luogo e in un tempo non specificati. Che ne verrà fuori dall'incontro di due anime così antitetiche?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg | Contesto: Contesto generale/vago
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Lei condivideva della porcellana la candidezza per la pelle, la fragilità per l’animo e la delicatezza per i suoi gesti. Aveva delle vittoriane l’animo sognatore e l’insanabile romanticismo.
Lo sguardo timido, segno di una intrinseca timidezza che aveva un che di infantile. Non aveva mai incrociato gli occhi di un’altra persona, né aveva cercato di scorgere in alcuno cosa vi si celava dietro.
Elegante come una gru, il suo corpo era sempre avvolto dai più delicati capi color pastello.
Si sedette compostamente sul sedile con quel suo fare sempre timoroso di nuocere a qualcuno. Chinò il capo e si perse in mille voluttuosi pensieri.
 
Lui la notò subito, ma in quel modo superficiale in cui si osserva distrattamente ogni persona, senza soffermarsi troppo su niente.
La sua pelle era scura come l’ebano, del quale il cuore ne condivideva la coriaceità.
La sua figura era ben piantata, tipica di un uomo ben radicato al suolo, estremamente pragmatico.
La sua barba era spuntata razionalmente, con una cura che non era né eccessiva né trascurata, ma semplicemente precisa, funzionale. La sua mente ragionava per numeri, i suoi occhi, protetti da dei leggeri occhiali argentei, scorgevano gli invisibili rapporti numerici che fluivano ovunque, creando infinite reti di interconnessione tra gli enti.
 
Così distanti, i loro corpi seduti l’uno accanto all’altro nello stesso spazio fisico, mentre le loro menti abitavano mondi differenti. Si persero nelle proprie dimensioni.
Una turbolenza spezzò quel mistico e silente equilibrio di un’azione quotidiana, di routine: un ragazzo accanto alla ragazza si alzò, urtando i nostri due passeggeri.
La ragazza sorrise timidamente, chinando subito il capo. L’uomo ricambiò e, per la prima volta, la guardò in viso. In lei vi era una particolarità, una perfezione che non aveva nulla dell’armonia numerica. Le chiese, senza nascondere una nota di entusiasmo, se parlava la sua stessa lingua.
 
Che cosa strana!” -pensò la ragazza- “chiedere a qualcuno se parla la propria lingua. È una cosa alla quale non si presta mai la dovuta attenzione”. Sorrise timidamente e rispose con il suo tono melodioso. La pronuncia era impeccabile.
Il corpo di lui ebbe un fremito. Quale straordinaria gioia provava per una cosa così semplice: lei che condivideva la sua lingua: i loro sistemi che avevano una possibilità di connettersi.
Quel semplice fattore comune diluì i timori e le insicurezze di lei.
Chiacchierarono, non importa per quanto, parlando delle cose più semplici, che per loro avevano una certa importanza. Parlarono. Si sorrisero. I loro occhi si incontrano: lui vide le mille costellazioni negli occhi di lei, ma ne scorse anche le nere striature dell’animo, la luce che li animava flebile, oscillante, per quanto mantenesse una certa brillantezza.
Lei si perse negli occhi di lui, neri come il più oscuro abisso, ma caldi, rassicuranti, allegri, intelligenti e attenti come non ne aveva mai visti. In quel nero rassicurante si perse, abbandonandosi senza resistenze.
Risero. Risero così tanto, di cuore, senza essersi detti niente. Sentirono, percepirono i loro cuori accordarsi sulla stessa melodia. Capirono di essere l’uno l’antico ritmo smarrito che a lungo avevano cercato senza neanche saperlo.
Le loro anime si intrecciarono, incastrarono alla perfezione, completandosi l’una con l’altra.
Il calore e l’energia di lui abbracciarono la fredda galassia di lei.
Un pensiero saettò nella mente di lei: un’increspatura emerse sulla sua fronte.
Il corpo di lui si irrigidì. Il cuore perse un battito. Gli disse che sarebbe dovuta scendere alla prossima fermata.
I due furono violentemente gettati nella realtà. Improvvisamente erano di nuovo in quel vagone, su quei sedili di legno, l’uno davanti all’altra. Intorno: la gente indaffarata nella propria quotidianità e indifferente. Il paesaggio era mutato. Ma quanto tempo era passato?
Il treno borbottava e le rotaie sferragliavano sotto il suo mastodontico peso, che non era comunque nulla paragonato a quello che ora i due sentivano addosso ai propri corpi.
La guardò, gli occhi deturpati dal panico.
Ci rivedremo?” le chiese di getto. Rimase in attesa, come se volesse aggrapparsi alle parole di lei.
La ragazza esitò. Si avvicinò alla porta. La banchina che si avvicinava inesorabilmente.
Forse un giorno ci rincontreremo
Era una promessa? Una constatazione? Un’esortazione? Un addio? Nessuno può dirlo, perché lo disse senza intonazione, poi scese.
Il giovane uomo non poté fare nulla per fermarla, fece per alzarsi, per prenderla per la giacca, ma la di lei figura era già stata inghiottita dall’anonimato della folla. La cercò con disperazione, senza scorgerla. Ritornò al suo posto, scoraggiato, l’animo ferito, lacerato.
Guardò davanti a sé, ma non scorse nessuna traccia che poteva testimoniare la presenza della ragazza.
Sentì nel petto aprirsi una voragine, crescere un abisso e improvvisamente si sentì come svuotato, si sentì come se una parte fondamentale del suo essere fosse improvvisamente venuta a mancare. Si sentiva incompleto.
Guardò il vuoto davanti a sé, una parodica estensione dell’assenza che sentiva dentro, per la quale non aveva nemmeno un nome.

 

 
   
 
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