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Autore: lady lina 77    18/05/2017    0 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le spiaceva aver dovuto dare quella punizione a Clowance ma di certo non poteva lasciar correre che fosse scappata di casa. Doveva fare in modo che non le venisse più in mente di fare nulla del genere e obbligarla a tener pulita la stalla e l'aia era un buon modo per aiutare sua figlia a ricordare la lezione.

Certo, immaginava perfettamente quanto sua figlia odiasse quel lavoro. Clowance era nata per essere coccolata, per fare la signorina per bene, per essere ammirata, per essere sempre al centro dell'attenzione e riverita.

E ora era in cortile, coi suoi lunghissimi e lucidi capelli rossi legati in una coda di cavallo, con vestitini modesti, che accatastava i ciocchi della legna che Jud aveva spaccato quella mattina.

Riusciva, dalla finestra della sua camera, a percepirne lo sguardo imbronciato e offeso. Però, notò con stupore, stava lavorando con lena, senza risparmiarsi nel fare quello che lei aveva stabilito fosse il suo compito per il pomeriggio. Prendeva uno ad uno i ciocchi, li portava sotto la veranda e li accatastava ordinatamente.

Aveva accato a se i fratelli e lei aveva fatto finta di non accorgersene. Sapeva che Jeremy voleva aiutare la sorella e sapeva anche quanto suo figlio fosse diventato un punto di riferimento per Clowance, dopo l'incidente di Ross. Per questo l'aveva lasciato fare, senza intervenire affinché facesse tutto da sola. Jeremy la stava aiutando e parevano divertirsi molto insieme, mentre lavoravano. Ridacchiavano e scherzavano insieme e in questo rivedeva molto il legame che avevano una volta, a Londra, quando Ross non c'era. Jeremy allora era molto protettivo con la sorellina e lei lo guardava come si guarda a un eroe. Suo figlio era molto sensibile e capiva forse meglio dello stesso Ross lo stato d'animo della sorella e si prendeva cura di lei in maniera impeccabile, facendo di tutto affinché fosse serena. La inteneriva il comportamento di Jeremy, così maturo, così dolce e attento, nonostante avesse solo nove anni. Era fiera di lui e grata che stesse accanto a Clowance a quel modo, lei ne aveva bisogno e lui pure, probabilmente, in un momento del genere.

Accanto a loro c'era Bella che un po' gattonava e un po' cercava di tirarsi su nell'aia. Era piena di terra dalla testa ai piedi e pronta per un bagno nella tinozza, ma instancabilmente seguiva i due fratelli in tutti i loro movimenti, ridendo divertita assieme a loro.

Artù, il cucciolo trovato da Clowance tre giorni prima, durante la sua fuga, si era subito ambientato alla sua nuova casa e ora seguiva i bambini in tutti i loro giochi, come in quel momento, dove non mollava Bella nemmeno per un attimo e camminava accanto a lei che gattonava e ogni tanto lo guardava e rideva, tirandogli le orecchie o il pelo del petto. Lui, come tutti i cuccioli, non se ne lamentava ma prendeva tutto come fosse un gioco, reagendo alle attenzioni della bimba in modo festoso.

La notte dormiva in una cesta nella camera dei bambini e non si svegliava che di mattina, quando si alzavano per andare a scuola.

Era un cucciolo molto buono, dolce e a suo modo educato, non sporcava in casa e si faceva fare di tutto, persino il bagno, senza protestare.

"ARTU'!!!".

La voce di Clowance la fece sussultare. Aveva urlato talmente forte da far tremare i vetri della stanza. Si affacciò e scoppiò a ridere vedendo il cucciolo che, quatto quatto, ogni volta che Jeremy e Clowance si voltavano, andava alla pigna di legna accatastata e, ciocco dopo ciocco, ributtava tutto in giro, convinto di giocare.

Demelza si mise la mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere troppo fragorosamente e non essere sentita. Clowance e Jeremy, come dei pazzi, correvano dietro al cagnolino che sguazzava felice per il prato con un pezzo di legno in bocca e Bella, seduta, rideva e batteva le manine divertita.

Demelza si perse a guardarli, rendendosi conto che era da tanto che non si sentiva serena e che non rideva di gusto. La paura per la fuga di Clowance non l'aveva ancora abbandonata e la situazione con Ross era difficile da gestire. Erano lontani, distanti. E lei era stanca e si sentiva persa senza di lui e senza l'amore e la complicità che da sempre li univa.

Rivoleva il suo uomo, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, amava ogni cosa di lui, anche i lati che la facevano arrabbiare da morire. Era testardo, a volte scontroso, incosciente e scapestrato. Ma aveva un cuore d'oro, una nobiltà d'animo rara, era dolce ma non sdolcinato, era tenero quel giusto che riusciva ancora, dopo tanti anni di matrimonio, a scaldarle il cuore e a sorprenderla nei momenti in cui meno se lo aspettava. Le mancavano le loro lunghe chiacchierate la sera, i suoi baci, il contatto fisico con lui, la passione, la complicità, le risate e gli scherzi camerateschi che li univano ogni volta che si trovavano faccia a faccia.

E se tutte queste cose fossero andate perse per sempre? Era Ross che aveva ancora davanti ma non lo riconosceva nella sua freddezza, nel suo modo di fare distaccato e scostante, sia con lei che con i bambini.

Quasi intuendo di essere al centro dei suoi pensieri, Ross entrò nella stanza. Era a petto nudo, aveva appena fatto un bagno e stava cercando una camicia che, dai suoi movimenti goffi davanti all'armadio, evidentemente non trovava.

"Lascia stare, te la prendo io". Demelza gli si avvicinò, rovistando fra la biancheria piegata.

"Non devi disturbarti".

Demelza deglutì davanti a quel tono freddo e distaccato. Era dalla sera in cui Clowance era scappata, che era così. Freddo, assente, quasi infastidito dalla loro presenza. "Non mi disturbi affatto, sono tua moglie dopo tutto".

Le urla e le risate dei bambini li raggiunsero e Ross fece un sorrisetto sarcastico. "Sembra una cosa molto divertente, questa punizione che le hai dato" – commentò in modo polemico, riferendosi a Clowance.

Demelza avrebbe voluto rispondere a tono ma si trattenne. Era ancora turbata ed arrabbiata con lui per la fuga della loro bambina e il ricordo di Valentin la rendeva piuttosto di cattivo umore, quando ci pensava. "I bambini riescono a trovare il modo di divertirsi in ogni situazione".

Ross alzò le spalle. "Se ti va bene così, fa pure. In fondo quella esperta in casa, in fatto di educazione, sei tu".

A quella frase sibillina, non riuscì a trattenersi. Perché faceva così? Perché cercava di provocarla? "Io non sono esperta, semplicemente li conosco meglio di te, allo stato attuale dei fatti! Una volta ci occupavamo insieme, di loro. Ora invece non è più possibile e non lo sarà finché non sarai guarito. O finché comincerai ad usare il cuore nel rapportarti con loro. Non ho intenzione di uscire di notte, di nuovo, alla ricerca di qualche nostro figlio scomparso". E così dicendo, gli lanciò con fare rabbioso la camicia che aveva tirato fuori dal cassetto.

Ross, con un gesto secco, si rimise la camicia nervosamente. "Perché ti arrabbi? Me ne sto zitto come dici tu, non intervengo in quello che fai o dici ai bambini e rispetto ogni tua decisione in rigoroso silenzio".

"Lo fai per il loro bene, Ross, ho perché ti diverti a fare il sostenuto e l'offeso con me?". Odiava discutere con lui, odiava sentirlo tanto lontano ed era come se fossero tornati a tanti anni prima, a quando c'era Elizabeth e loro due non riuscivano più a capirsi.

Ross si morse il labbro, sedendosi sul letto. "Credi che per me sia facile?" - disse, sospirando, in tono più conciliante rispetto a poco prima. "Io mi sono svegliato in questa casa non sapendo nemmeno chi ero e c'eri tu, c'erano i bambini e io non avevo idea di chi foste. Certo, siamo sposati e loro sono i miei figli ma per me siete estranei. Questa casa mi è estranea! Così come i modi di fare e le abitudini di tutti voi, il vostro modo di stare insieme e tutto quello che pretendete da me. Ci ho ho provato a rendermi utile, ad avvicinarmi, ma non vi conosco! Mi dici che eravamo felici ed innamorati e con te avverto solo tensione. Mi dici che ero un padre innamorato dei miei bambini e che loro lo erano di me ma quando mi rapporto con loro sono solo problemi. Non so come muovermi, non so cosa dire, non so cosa aspettarmi da voi e non so cosa voi vi aspettate da me".

Demelza lo aveva ascoltato in silenzio, mentre la rabbia lasciava posto alla tristezza e alla preoccupazione per lui. Era uno sfogo quello di Ross e lo conosceva abbastanza bene per capire quanto si sentisse frustrato a non sapere cosa fare. Anche senza memoria, era un uomo che voleva arrivare dappertutto e in quel momento non aveva i mezzi per farlo.

Provò pena per lui. E la voglia di abbracciarlo e di sostenerlo come sempre. Non aveva voglia di litigare, dopo tutto, non ne aveva avuta nemmeno durante il loro battibecco di poco prima. Voleva solo che stesse bene, che fosse sereno e che avvertisse la loro presenza come qualcosa di piacevole con cui convivere e non come qualcosa da cui scappare. Da quando si era risvegliato, non avevano ancora avuto un momento di intimità loro e forse questo avrebbe aiutato entrambi, forse lo avrebbe fatto ricordare o forse, semplicemente, avrebbe riacceso un po' quello che era il loro rapporto.

Gli si avvicinò, lo fronteggiò viso a viso e gli accarezzò la guancia e la mandibola, sfiorandolo piano con l'indice. Poi si sedette sulle sue gambe e lo sentì irrigidirsi, ma non si fece scoraggiare. Lo baciò sul mento, per poi salire fino alle labbra. Ma in quel momento lui la fermò, prendendole il polso che stava risalendo sulla sua spalla ed allontanando il viso da lei. "No..." - sussurrò, col fiato corto.

Demelza sussultò davanti a quel rifiuto. Non era mai successo che la respingesse, mai! Nemmeno quando aveva in mente solo Elizabeth... "Ross, ti prego! Sono io, siamo noi! E ho bisogno di te".

Di tutta risposta, suo marito si alzò in piedi, costringendola a fare altrettanto. "Demelza...".

"Cosa?" - chiese quasi con disperazione, notando quanto fosse titubante in quel momento. Cosa aveva? Paura? O semplicemente, non era più attratto da lei?

Ross scosse la testa. "Non prendertela ma non posso, non è giusto. Io ti trovo bellissima, desiderabile e affascinante, lo vedo che sei in gamba e forte e sicuramente sei il sogno di ogni uomo. Ed eri il mio sogno. Ma ora...".

"Ora cosa?".

"Demelza, io non so com'ero prima ma non me la sento di fare l'amore con una donna semplicemente perché ne sono attratto. Certo, sei mia moglie ma come ti ho detto prima, per me sei una sconosciuta. E sicuramente il vero me stesso ti ama alla follia ma io, ora...".

Demelza sentì gli occhi pungerle. Sapeva che stava per dirle qualcosa di spiacevole e terribile, qualcosa che avrebbe spezzato quel poco di forza che aveva. "Ora cosa? Non mi ami più? E' questo che vuoi dire, giusto? Non puoi fare l'amore con una donna che non ami".

Ross annuì. "Sì. E' giusto così per me. E soprattutto verso di te". Guardò il letto, la camera, tutto ciò che una volta era stato il loro mondo. "Credo che dovrei dormire in un'altra stanza, è un po' che ci penso. Sto bene ora, le ferite sono guarite e tu sarai più comoda e meno a disagio con la camera tutta per te. Per ora... Poi magari, più avanti...".

Demelza gli voltò le spalle, sentendosi improvvisamente fredda e svuotata, senza nulla per cui combattere. Non la amava più e anche se non era il vero Ross a dirglielo, era comunque terribile sentirselo dire. Era sola, dannatamente sola! Come quando era a Londra, ma allora era stato per scelta. Ora invece era lui che prendeva le distanze, che la allontanava, che la rifiutava. Sentì che non aveva la forza di combattere, di riprovarci, di tentare un nuovo approccio. Sentì semplicemente il desiderio di chiudersi in se stessa per non soffrire più. "Va bene, dì a Prudie di prepararti un letto in libreria, se è questo quello che vuoi".

"Mi dispiace" – provò ad argomentare lui, sentendosi in colpa.

Demelza lo guardò brevemente, poi abbassò lo sguardo ed uscì dalla stanza. "Non devi chiedermi scusa, come hai detto tu, è meglio così".

Lo lasciò solo, comprendendo i motivi che lo spingevano a comportarsi così ma allo stesso tempo non riuscendo ad accettarli. C'era una frattura enorme fra di loro, adesso. E nemmeno tutto il suo amore poteva sanarla, non c'era niente che potesse fare se Ross non faceva il primo passo.

Quasi in tranche, raggiunse l'aia. I bambini ridevano e sghignazzavano nella stalla assime a Jud e nel cortile era rimasto solo Artù che mordicchiava uno dei ciocchi di legno che aveva rubato.

Si rese conto che le lacrime le rigavano il viso e che aveva bisogno di stringere a se qualcosa. Non aveva voluto un altro cane ma ora era felice che ci fosse quel piccolo cucciolo nella loro vita.

Si avvicinò, lo prese in braccio e Artù le leccò il viso e le lacrime. Era strano, era come se capisse. Anche Garrick era così, ora che ci pensava. Quando era triste arrivava da lei come in cerca di coccole e alla fine era lui che coccolava lei, come se quel suo bisogno di attenzioni fosse solo una scusa per starle vicino.

Col cucciolo fra le braccia, tornò in casa e sorpassò Ross che, in cucina, parlava con Prudie della sistemazione della notte. Non disse nulla, non ne aveva la forza, lo ignorò e basta.

Salì al piano di sopra e tornò nella sua stanza, ora deserta. Si mise sul letto, lasciando che il cucciolo si muovesse sul materasso. Era piccolo e curioso come tutti i cuccioli di due mesi, annusava e toccava con il muso e le zampe ogni cosa e poi le lanciava degli sguardi furtivi e curiosi, scodinzolando e cercando la sua attenzione e un contatto con lei.
Demelza, mani nelle mani, lo guardava rapita, invidiando il suo mondo fatto di giochi e ingenuità. Era bellissimo, sarebbe diventato un cane grande e maestoso proprio come il re di cui portava il nome.
Allungò la mano ad accarezzarlo, aveva il pelo morbido e fine e profumava di sapone dopo il bagno che gli avevano fatto i suoi bambini.
Si sentì in colpa per il fatto di desiderare un contatto, per il desiderio di affezionarsi e volergli bene. Le sembrava di tradire Garrick ma poi capì che non era così. L'amore per Garrick non sarebbe mai finito e il suo cuore era grande abbastanza per un nuovo amore che non cancellasse il ricordo del vecchio. Lo abbraccio' e lo bacio' sulla testolina e Artù la lecco' tutto felice sulla guancia. Dopo la terribile giornata con Ross e quanto si erano detti, quello di Artù era il primo gesto d'affetto della giornata.

Lo strinse a se, cullandosi con lui nel silenzio. Si chiese cosa avrebbe fatto, come sarebbe riuscita ad andare avanti, come avrebbe spiegato ai bambini il fatto che il loro papà non dormisse più con lei. "Perché proprio a noi?" - si chiese, guardando il soffitto, mentre Artù le si accucciava sul ventre.

Rimase così, persa nel nulla, per lunghi minuti. Poi un bussare violento la fece sobbalzare assieme al cucciolo.

"Signora!" - urlò Prudie, da dietro l'uscio.

Demelza si mise a sedere, sistemandosi i capelli dietro le spalle. "Prudie, entra! Cosa c'è?".

La serva entrò, consegnandole una lettera. "E' arrivato un paggio dalla casa di Miss Penvenen e del dottor Enys. Mi ha detto di consegnarvi questo messaggio".

Demelza prese la lettera, stranita da quel fatto. Perché Dwight e Caroline gli scrivevano un messaggio? Non lo avevano mai fatto e le occasioni di incontrarsi erano sempre molte, per loro. Una strana ansia e uno strano sesto senso la colsero, facendola rabbrividire. Aprì la busta, lentamente, mentre Artù la guardava incuriosito.

E appena lesse, le si mozzò il fiato.


"Con immenso dolore, vi comunichiamo che stanotte la nostra piccola Sarah ci ha lasciati per sempre.

Caroline e Dwight".

  
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