Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: SarcasticColdDade    19/05/2017    1 recensioni
Yuki Yoshimura è un medico, dedita alle sue routine e ad una vita tranquilla. Il suo unico scopo nella vita è sempre stato quello di aiutare gli altri, per non sentirsi mai un peso. Dentro di sé però sa di essere diversa dagli altri: non sa perché, come non sa se lo scoprirà mai. Almeno fino all'incontro con uno strano uomo.
O meglio, un demone.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avevo chiesto ad Abaddon un parere sulla mia gravidanza non proprio normale perché sapevo che da lei avrei sicuramente ottenuto qualche informazione; quello che non mi immaginavo era che si sarebbe gettata a capofitto nella lettura di non uno, ma ben tre libri diversi.
- La gravidanza media di un demone può variare dai sette agli undici mesi.. - mi recita, seduta su una delle due poltrone della stanza.
- Undici mesi?! - chiedo sbigottita, interrompendola probabilmente sul più bello.
Sollevando lo sguardo per guardarmi, si stringe poi nelle spalle. - Sta tranquilla, penso che la tua durerà non più di sette mesi – mi confessa, dopo una lunga occhiata a tutto il mio corpo.
- In base a cosa si può determinare quanto durerà? - le chiedo, sgranocchiando nel frattempo dei biscotti che Sebastian aveva lasciato nella stanza, insieme a del thè ancora bollente.
- Dalla stazza del corpo della madre, e soprattutto da quanto è in salute – risponde, riprendendo a leggere in quello stesso momento – Il numero dei mesi si riduce a seconda dello stato di salute in cui si trova il corpo della neo mamma: più questo è debole, e più il feto avrà bisogno di tempo per diventare forte – recita nuovamente, chiudendo poi l’enorme volume preso da chissà dove.
- In pratica.. - mormoro, facendo una pausa – Più il mio corpo è in salute e meno dura la gravidanza? - chiedo, giusto per conferma.
Il suo annuire subito dopo mi toglie ogni dubbio. - Il tuo corpo è in piena salute, e per la tua età sei una donna robusta, penso che sette mesi sarà il tuo massimo – ammette, alzandosi poi dal suo posto per sgranchirsi le gambe.
Ormai erano ore che ce ne stavamo chiuse in camera a leggere, mentre Sebastian era impegnato con Ciel in chissà quale interessante attività.
- Sette mesi.. - ripeto, tra me e me. Sono di meno di quello che pensavo, dal momento che solitamente una gravidanza normale ne dura nove...certo, ci sono casi in cui il bambino nasce prematuro anche solamente con sette mesi, ma i casi non sono poi così frequenti.
Due mesi in meno rispetto a qualunque altra gravidanza non sono pochi, ma è una cosa che mi conviene accettare in fretta...prima che l’ansia mi divori, almeno.
- Già, e in questo momento sei già al tuo terzo mese – mormora, condividendo quell’informazione con me per la prima volta – Congratulazioni! - esclama, prima che io stessa possa rispondere.
Mi rendo conto solo dopo qualche secondo che la sto fissando con la bocca quasi spalancata. - T-terzo mese? - chiedo – Quindi ne mancano solo quattro prima del parto? - chiedo, sentendo di nuovo la paura salire improvvisamente. No, non posso farmi prendere dal panico in questo modo, non è da me.
- Non...te lo avevo detto? - domanda, dopo che ho decisamente smorzato il suo entusiasmo.
- No, non l’avevi fatto – ammetto, mentre un buco allo stomaco mi rende difficile pensare razionalmente. Il tempo prima del parto è anche meno di quello che avevo pensato: come avevo fatto in quei mesi a non accorgermi assolutamente di quello che stava succedendo dentro di me?
- Quattro mesi sono parecchi, se ci pensi – mormora, affiancandomi nel vano tentativo di consolarmi – Insomma...hai tutto il tempo del mondo per prepararti, e quando sarà il momento.. - aggiunge, facendo una pausa per posare una mano sulla mia spalla - ...dovrai solamente spingere e...urlare, se vuoi...e spingere e puff! Finirà prima che tu te ne accorga! - esclama, tornando a guardarmi con aria entusiasta.
- A dirlo così sembra una passeggiata – ammetto, pensando a quell’imminente futuro.
- Con me come levatrice lo sarà – mi promette, riuscendo a sollevarmi improvvisamente il morale con quelle semplici parole – Andrà tutto alla grande, vedrai! - aggiunge, dandomi l’ennesima pacca sulla spalla.
Senza sapere esattamente come rispondere, rimango in silenzio per qualche secondo. Quando alla fine scuoto impercettibilmente il capo, mi lascio scappare un piccolo sospiro. - Hai ragione, andrà tutto bene – ripeto, recitando quelle parole quasi come un mantra.
- E io diventerò zia – aggiunge, neanche questa volta riuscendo a trattenere l’entusiasmo – E Sebastian papà! - aggiunge, anche se si vede chiaramente che quel particolare le è ancora quasi difficile da credere.
- E’ così strano? - le chiedo allora, visto che fino a quel momento non avevo mai davvero toccato quell’argomento.
Voltandosi ancora una volta verso di me, torna in un secondo l’Abaddon seria di sempre. - Un po’ lo è, in effetti – ammette – Sono cresciuta al fianco di mio fratello, e per secoli è sempre stato il demone freddo e calcolatore che mio padre voleva che fosse – mi racconta – Non ho mai pensato a lui come qualcuno in grado di costruirsi una famiglia, non in modo normale, almeno.. - aggiunge, riflettendo per qualche secondo su quel particolare.
- La nascita della nostra storia non si può proprio definire normale, però.. - le ricordo, rimuginando sul passato per l’ennesima volta. Chi l’avrebbe mai detto che saremmo finiti così, dopo quella notte in strada.
- Eppure nonostante questo… - mormora – E’ riuscito per la prima volta nella sua lunga vita a mettere da parte morte e distruzione per dedicarsi a qualcosa di migliore – aggiunge – Qualcosa che lo sta rendendo felice per la prima volta – conclude, mentre incrocio le gambe sulla poltrona dove sto comodamente seduta, tornando ancora una volta a posare entrambe le mani sul mio ventre.
Intenta a sorridere per quelle sue parole, non mi rendo conto che sono rimasta in silenzio più a lungo di quello che avevo pensato: ancora una volta, infatti, è lei a parlare.
- Significhi molto per mio fratello, sai? - mi domanda, attirando nuovamente la mia attenzione – E poi sai tenergli testa come in pochi sanno fare – aggiunge, pronunciando quelle parole con un certo orgoglio
- Possiamo dire che ha trovato pane per i suoi denti – mormoro, fiera a mia volta di quelle mie parole.
- Direi che era anche ora – ammette.
Mentre entrambe ridiamo di quella piccola conversazione, finiamo per essere interrotte da un bussare ritmico alla porta.
Quando ad affacciarsi è Sebastian, non me ne stupisco. - Interrompo qualche conversazione delicata tra donne? - chiede, chiudendosi poi la porta alle spalle.
- Parlavamo della gravidanza – ammette Abaddon – Più qualche discorso su di te, come sempre – aggiunge.
- Sparlavate di me, quindi? - ci chiede, avvicinandosi a noi.
Da quando mi ero svegliata quella mattina non avevo accennato neanche una volta a vestirmi: ormai erano quasi le 18 del pomeriggio, e io ero ancora beatamente in pigiama. Avevo deciso di prendermi un giorno dall’ambulatorio, da un lato perché quella mattina mi ero svegliata più stanca del solito.
La notte prima non avevo dormito esattamente bene, e la cosa peggiore era che non sapevo perché.
Forse era stato a causa di un brutto sogno, sta di fatto che mi ero svegliata alle tre di mattina per poi non riuscire a chiudere più occhio. Ormai erano 15 ore che ero in piedi, vigile per metà.
- Non tanto quanto pensi – rispondo io, stropicciandomi il viso con fare assonnato. Forse era finalmente arrivato il momento di chiudere gli occhi e di fare una sana dormita.
Nel vedere quel mio gesto, Abaddon fa per congedarsi. - Vi lascio soli – mormora infatti – Così ti do anche il cambio con Ciel – aggiunge, rivolta questa volta unicamente al fratello.
- Sai...è bello non essere più l’unico demone al servizio di Ciel – ammette, sorprendendo entrambi.
- Non pensavo che avrei mai sentito queste parole uscire dalla tua bocca – ammetto, quasi sconcertata.
- Neanche io, se può consolarti – ammette Abaddon, dando poi una pacca sulla spalla del fratello, prima di allontanarsi verso la porta.
Solo quando ci lascia davvero soli mi alzo per sistemare i libri che mi aveva portato, che scopro essere molto più pesanti di quello che avevo pensato.
- Hai l’aria stanca – ammette Sebastian, dopo che il suo sguardo non mi aveva mollato per neanche mezzo secondo.
Stringendomi intorno al corpo la mia vestaglia, socchiudo gli occhi un attimo prima di tornare a guardarlo. - Non ho dormito benissimo la scorsa notte – ammetto – Non so perché – aggiungo, mentre lo guardo sfilarsi la giacca, abbandonandola poco dopo sullo schienale della poltrona.
Avvicinandosi a piccoli passi, mi posa una mano sulla fronte non appena ne ha la possibilità.
- Niente febbre – mormoro, persino prima che se ne possa rendere conto lui stesso – Sono solo sveglia da troppo tempo – aggiungo, chiarendo la situazione.
- E non sai perché? - mi chiede.
Mi stringo nelle spalle, confusa quanto lui. - Immagino di aver fatto un brutto sogno, ed è per questo che mi sono svegliata – ammetto – Forse è per lo stesso motivo che non mi sono riaddormentata – aggiungo, riflettendo su quel particolare.
- Peccato che non ricordi niente di un possibile sogno – mi lamento subito dopo, poco prima di lasciarmi andare sul letto. E’ sempre stato così morbido e comodo?
- Incubo o meno, stenditi finché non torno – mi ordina, praticamente – Vado a prepararti qualcosa da mangiare – aggiunge.
Prima che possa darmi le spalle, mi trasporto con estrema semplicità a pochi passi da lui. - Stasera ho voglia di cucinare – ammetto, prendendolo alla sprovvista.
- Questa cosa del teletrasporto sta diventando fastidiosa – ammette.
- Ricordi quando tu lo facevi a me? - domando con fare retorico, stringendomi nelle spalle con aria innocente.
Dopo quelle mie parole, non può che lasciarsi andare ad un piccolo sospiro. - Touché – mormora semplicemente.
Sorridendo, allungo una mano nella sua direzione. - Andiamo? - chiedo.
Quando riapre gli occhi, si limita ad afferrare la mia mano, lasciando intrecciare le dita con le mie.
Concentrandomi sulla cucina, e su una cena di cui il mio corpo comincia a sentire il bisogno, lascio che il vuoto allo stomaco prenda il possesso del mio corpo.
In un secondo, siamo entrambi circondati da pentole e padelle: non sappiamo per quanto ancora saremo da soli, quindi ci mettiamo all’opera entrambi senza esitazione alcuna.


***

Se c’era una cosa che adoravo fare, era mangiare in santa pace nella mia stanza: anche se da sola, dal momento che Sebastian non ne aveva bisogno.
- Non capirò mai questa tua passione sfrenata per le uova – mormora, guardandomi seduto sulla sedia opposta alla mia.
Appena ne avevo avuto la possibilità avevo comprato un piccolo tavolo da aggiungere alla mia camera spoglia, anche perché le cene nella sala da pranzo della Residenza erano sempre un mortorio, così come i pranzi ovviamente.
Il più delle volte preferivo mangiare per conto mio, studiando nel frattempo le cartelle mediche dei miei pazienti...era un modo per unire l’utile al dilettevole, del resto.
E fino a quel momento aveva funzionato decisamente bene.
- Perché tu non le mangi – rispondo – Come non mangi il formaggio, i pomodori, il bacon.. - recito, come se stessi stilando una lista immaginaria.
- D’accordo, ho capito – mi interrompe lui ad un certo punto, scuotendo poi impercettibilmente il capo – Ma del resto sai bene che nella mia dieta non c’è posto per cose del genere.. - aggiunge, ricordandomi quel piccolo particolare al quale ormai ero abituata.
Da quando Ciel era diventato un demone, e la sua anima era stata di conseguenza consumata, a Sebastian non erano rimaste molte alternative per rimanere in vita.
L’unica soluzione era uccidere senza pietà, o continuare a stipulare contratti...ma con la seconda opzione l’attesa era lunga, e ultimamente anche a causa del suo rapimento, le forze avevano cominciato ad abbandonarlo.
Da quando lo conoscevo, aveva stipulato almeno una decina di contratti: le anime da riscuotere di certo non gli mancavano, ma allo stesso tempo ogni tanto doveva nutrirsi di qualcuno, e per farlo poteva usare solo la forza.
Niente contratti, niente accordi.
Ma anche a questo avevamo trovato una soluzione, alla fine.
Londra era famosa, tra le tante cose belle, per i suoi serial killer: Jack lo Squartatore era solo uno degli esempi più logici che mi venivano in mente.
Il punto era che i criminali non mancavano mai nella nostra splendida città, e le carceri di Londra potevano anche tendere a riempirsi facilmente.
Alla fine proprio quel luogo era diventato il territorio di caccia di Sebastian: dopo aver corrotto un paio di guardie, trovare delle anime di cui cibarsi era stato un gioco da ragazzi.
Anche quel suo modo di fare univa l’utile al dilettevole, se ci riflettevo: lui aveva modo di riprendere le forze quando non poteva attendere la scadenza dei contratti e allo stesso tempo si assicurava che criminali del calibro di Jack lo Squartatore non vedessero più la luce del sole.
Anche se non stava a noi giudicare, era la soluzione migliore a cui eravamo riusciti a pensare.
E ogni volta ero stata io stessa a studiare la storia criminale dei prescelti, e nessuno di loro era mai stato uno stinco di santo: uno degli ultimi aveva sterminato l’intera famiglia dopo che la moglie gli aveva comunicato che aveva intenzione di lasciarlo.
Jane Fletcher, 45 anni, era stata la prima vittima, a seguire c’erano stati la figlia Lily, 18 anni, il figlio Jon, 6 anni e la più piccola Annie, di 2 anni.
E gli omicidi erano stati compiuti senza esitazione alcuna.
- Pensi di andare a fare un altro giro nel carcere di Londra? - gli chiedo – Non sarebbe una cattiva idea.. - ammetto, guardandolo più nel dettaglio. A prima vista non sta male, eppure so che non si è ancora ripreso dalla ferita all’addome, nonostante ormai sia ben cicatrizzata.
- Mi vedi così messo male? - mi domanda allora, sollevando il sopracciglio.
- No, ma mi preoccupo per te – rispondo, posando la forchetta rubata dall’incursione in cucina accanto al piatto. Dopo due uova e del pane tostato sono piena, considerando che avevo passato la giornata a mangiare cereali.
In un primo momento, lo guardo incrociare entrambe le braccia al petto, con la sua solita aria fiera e orgogliosa, quella di chi non viene mai ferito.
Ma lui era stato ferito, e a giudicare da quanto aveva mangiato ultimamente, la sua forza non era ancora al 100%.
- La ferita ormai si è chiusa, sto bene – ammette, riaprendo questa volta gli occhi che aveva precedentemente socchiuso.
- Sento che c’è un “ma” in questo tue parole – mormoro, riducendo gli occhi a due fessure.
- Ma preferisco essere pronto a qualunque cosa, per questo ho mangiato così tanto ultimamente – ammette – Le acque sono calme ad troppo tempo – aggiunge poco dopo, riflettendo esattamente quelli che erano stati i miei stessi pensieri.
I Norton non avevano fatto nessuna mossa da quando Sebastian era tornato: non ci erano giunte voci e per la prima volta dopo un lungo periodo, i giornali non avevano parlato di loro neanche una singola volta.
Le acque erano davvero troppo calme, e questo forse era il dettaglio che ci faceva insospettire di più.
Gregory era morto, a detta di Sebastian...ma in fondo era morto anche secoli prima, quando lui stesso aveva assistito alla sua esecuzione. Cosa ci assicurava che questa volta era davvero sistemato per sempre?
- Pensi davvero che Gregory sia morto? - gli chiedo infatti – So che mi hai detto di averlo ucciso...ma stiamo comunque parlando di un demone che doveva essere morto già da un pezzo – aggiungo, stringendomi nelle spalle.
- Ho ferito anche lui con la Spada dell’Inferno – ammette, condividendo con me un dettaglio che la prima volta avevi omesso.
- Avevi la Spada dell’Inferno e l’hai lasciata lì? - domando, senza credere io stessa a quelle parole. Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
- Abaddon lo sa? - gli chiedo, quando ormai sta per rispondermi.
Vedo chiaramente che sta ancora cercando le parole migliori per spiegarsi, l’espressione di quando lo fa è sempre la stessa.
- Non c’è bisogno che lo sappia – risponde – Perché non avevo modo di portarla via – ammette poco dopo, tornando a guardarmi.
Con un sospiro, riprende poco dopo a parlare. - A quanto pare chi è stato ferito da quella maledetta spada perde la capacità di impugnarla senza farsi ulteriormente male a sua volta – mi spiega – Ricordi la bruciatura sulla mano che hai pulito? - mi chiede, chiarendo una faccenda alla quale non ero stata in grado di dare una spiegazione fino a quel momento.
- Te la sei procurata impugnandola? - chiedo, sbigottita. Quando era arrivato il momento di dargli una sistemata, la prima cosa alla quale avevo pensato era la ferita sull’addome: oltre ad essere sporca aveva bisogno di essere ricucita da capo, per evitare anche la più minima infezione.
La ferita alla quale non avevo fatto caso invece era proprio quella alla mano: l’intero palmo era bruciato, e coperto da un pezzo di stoffa di fortuna che aveva recuperato dalla sua stessa giacca.
Avevo avuto modo di pulirlo solo in un secondo momento, anche se non mi aveva chiarito la natura di quella seconda ferita. Avevo deciso di non insistere solo perché non mi sembrava grave quanto lo squarcio all’addome.
- E per breve tempo – aggiunge – Se l’avessi impugnata anche solo qualche secondo di più probabilmente ora non avrei la mano – ammette, facendomi venire i brividi per un momento.
- E questa non è neanche la parte migliore – aggiunge, alzandosi dal suo posto per andare a piazzarsi davanti alla finestra.
- Oh, davvero? - domando, spronandolo a parlare.
- Dopo aver colpito Gregory, ed essere stato costretto a farla cadere a terra, è semplicemente sparita – mormora, con un tono quasi esasperato. Avere a disposizione un’arma così potente e non poterla prendere per nasconderla -o distruggerla magari- era qualcosa che di sicuro non aveva ancora digerito.
- Sparita? - ripeto.
Di tutta risposta lo sento annuire, infilando entrambe le mani in tasca. - E il bello è che non sappiamo niente di come funzioni – mormora – Nei libri non se ne parla, è come se le istruzioni fossero riservate all’elitè dei demoni – aggiunge.
- Quindi…praticamente non abbiamo niente – mormoro, probabilmente girando il dito nella piaga.
- Praticamente – risponde lui, girandosi nuovamente nella mia direzione – E ora le acque sono troppo calme – aggiunge, riflettendo ancora una volta i miei stessi pensieri.
Con l’ennesimo sospiro, lo guardo avvicinarsi alla mia sedia, finché non mi è di nuovo accanto.
- Come sta? - mi domanda, posando poco dopo una mano sul mio ventre. A quando pare, ha voglia di cambiare completamente argomento.
Decido di accontentarlo posando a mia volta la mano sulla sua. - Bene, ma non si è ancora fatto sentire – ammetto – Immagino che comincerà a scalciare il prossimo mese – aggiungo, pensando ancora tuttavia nei termini di una gravidanza normale – Abaddon dice che mi basteranno sette mesi, non di più – concludo, rendendolo partecipe di quella conversazione che avevamo avuto non molto tempo prima.
- Se lo dice lei, io mi fido – ammette – Il che è un grande passo avanti se pensi a come la apostrofavo quando è comparsa per la prima volta al ballo dei Norton – aggiunge, senza perdere l’occasione di sottolineare quel dettaglio.
- E’ davvero un grande passo avanti – concordo, sorridendogli poco prima di alzarmi dalla sedia.
- Adesso che ne dici se recuperi qualche ora di sonno? - mi domanda, cominciando a trascinarmi verso il letto prima ancora che possa rispondere – Ormai sono più di 15 ore che sei in piedi – aggiunge.
- Le hai contate? - gli chiedo, divertita.
- Mi preoccupo per te – risponde unicamente, da una parte anche facendomi il verso.
- Pff – borbotto, raggiungendo tuttavia finalmente il mio letto.
Stringendomi ancora una volta la vestaglia intorno al corpo, comincio a stendermi sul materasso, finendo per posare poco dopo il viso sul cuscino morbido. Mi sembra un sogno essere di nuovo sdraiata, dopo tutto quel tempo sveglia.
Mi domando se riuscirò davvero ad addormentarmi.
La verità è che sono stanca, ma qualcosa mi impedisce di chiudere definitivamente gli occhi.
- A cosa stai pensando? - mi domanda Sebastian, liberandosi della camicia per indossare una maglia decisamente più comoda. Prima che possa rispondere, mi raggiunge anche lui sul letto, stendendosi esattamente al mio fianco.
- Sono stanca, ma qualcosa mi impedisce di addormentarmi – ammetto, finalmente ad alta voce – Credo centri qualcosa con un sogno che ho fatto la scorsa notte...quello che mi ha svegliata – aggiungo, spiegandomi meglio.
- Il sogno che non ricordi? - domanda, sistemando una ciocca dei miei capelli dietro il mio orecchio.
- Esatto – rispondo – Non ricordo assolutamente niente, eppure ho paura a riaddormentarmi – aggiungo, rabbrividendo mentre pronuncio quelle mie stesse parole.
- Di certo è strano – ammette – Neanche io so esattamente cosa dire al riguardo – continua, lasciandomi per un momento senza parole.
- Tu che non sai cosa dire? - ripeto – Allora sono proprio nei guai.. - aggiungo, scuotendo impercettibilmente il capo, tuttavia sorridendo
- Però posso aiutarti a dormire – ammette – Questo posso farlo – aggiunge, continuando ad accarezzare i miei capelli.
- Tra poco – rispondo, lasciando scivolare un braccio dietro la sua schiena, stringendomi a lui – Per ora questo è meglio che dormire – aggiungo, con un sorriso sulle labbra.
- Se proprio non vuoi dormire subito.. - mormora, attirando completamente la mia attenzione quando si solleva a sedere sul letto.
Facendomi forza sul gomito, mi sollevo a mia volta, cercando di scrutare oltre la sua spalla. - Mh? - mugugno, confusa.
Da dove sono io tutto quello che riesco a vedere sono le sue braccia muoversi, mentre a quanto pare sta cercando qualcosa nel cassetto del mio enorme comodino.
Dopo qualche secondo di ricerca, e dopo aver provato ancora una volta a vedere cosa stia combinando, finalmente smette di darmi le spalle.
Quando si volta nella mia direzione, in mano ha una piccola scatola nera, più piccola del suo stesso palmo - Co-cos’è? - domando, balbettando quella semplice parola.
- L’ho trovato ieri in un negozio d’antiquariato, e ho pensato che ti sarebbe piaciuto – risponde – Tra i demoni non esiste il matrimonio, non proprio almeno.. - aggiunge, tenendo gli occhi fissi unicamente sulla piccola scatola sulla sua mano – Ma so bene tra gli umani è solito regalarsi cose del genere per dimostrare il proprio affetto – conclude, questa volta finendo per aprire il piccolo contenitore.
Al suo interno, ovviamente, staziona un piccolo anello: a vederlo sembra davvero una fede nuziale, la sola differenza è che è completamente d’argento invece che essere d’oro.
E’ priva di pietre o altri gingilli, particolare che preferisco di più tra tutti.
- Come mai improvvisamente ti interessa tanto delle usanze umane? - domando, non sapendo bene come reagire a quel regalo inaspettato.
- Perché tu lo sei per metà – risponde, sorridendo con fare innocente.
- Ottima risposta – ammetto, anche se inizialmente con un groppo alla gola. Continuando a mantenere il nostro contatto visivo, allungo la mano con un gesto istintivo, mettendo in bella mostra l’anulare in particolare.
Il suo sguardo è confuso dopo quel mio gesto, tanto che per un momento sembra quasi sul punto di ritrarsi. - Cosa dovrei fare? - mi chiede allora, in un tono talmente innocente che quasi scoppio a ridere lì su due piedi.
- Solitamente chi regala l’anello ha anche il compito di metterlo all’anulare della donna – gli spiego, guardandolo arrivare a quella conclusione tanto semplice in quello stesso momento.
Portandosi una mano dietro la nuca, evita per un momento di guardarmi, mentre io sorrido divertita. - Si, avrei dovuto pensarci da solo – ammette, scuotendo poi appena il capo.
Resto così in attesa, finché non afferra l’anello dal suo contenitore, lasciando quest’ultimo sul letto.
Prendendo la mia mano, segue alla lettera le mie indicazioni: con delicatezza, infila l’anello nuovo di zecca al mio anulare, dove alla fine staziona alla perfezione. La misura è giusta, come se fosse stato creato solo per il mio dito.
- So che odi le pietre sugli anelli, per questo mi sembrava perfetto – mormoro poi, mentre io mi sono incantata a guardare il piccolo oggetto d’argento.
- Lo è – rispondo, abbandonando quella visione per concentrarmi di nuovo su di lui, finendo per raggiungerlo di nuovo poco dopo – Grazie – mormoro, circondandogli il collo con entrambe le braccia per poi baciarlo.
Quando mi allontano dal suo viso, sposta ancora una volta una ciocca di capelli dai miei occhi, costringendomi a stendermi ancora una volta.
- Adesso però è davvero il momento di dormire un po’ - mi ricorda, senza tuttavia mollare la presa dal mio fianco.
- Resti qui? - gli domando.
- Sempre meglio che dare retta a Ciel – risponde, sorridendomi divertito – Dormi ora – aggiunge in un sussurro, riprendendo ad accarezzarmi i capelli.
Quel suo gesto mi rilassa, finché a poco a poco non comincio a perdere le forze.
Sono stanca, ma ho paura di dormire.
Perché?

  
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