Vermouth
sfrecciava a tutta velocità per le strade di Tokyo, diretta
all’aeroporto.
Ormai erano le tre di notte, e lungo la circonvallazione giravano solo
grossi
camion guidati da conducenti stanchi e assonnati, che di certo non
stavano a
badare a quella piccola ma veloce automobile che avanzava a
più di duecento
chilometri orari. Anche il fatto che fosse buio pesto la aiutava
parecchio,
celando alla loro vista il giallo canarino della sua Porsche 997 4S
COUPE'.
Veramente un gioiellino di macchina. L’aveva rubata giusto
un’ora prima,
apposta per quella fuga. Certo, forse non era proprio
l’ideale per passare
inosservati, ma, se proprio quello doveva essere il suo ultimo crimine,
voleva
assolutamente ritirarsi in grande stile. Se l’era voluto
concedere come ultimo
capriccio. Altroché quella vecchia carretta nera di Gin!
Pensare a lui la fece
sorridere, spietata. In quel momento, se tutto era andato secondo i
piani, il
suo caro ex-collega di lavoro si trovava tra le sbarre, oppure in
commissariato,
sotto torchio. Sempre che non fosse morto, si ritrovò a
pensare, ma scoprì che
non le importava. I tempi in cui lei e Gin condividevano il letto erano
finalmente finiti.
Un
cartello stradale la informò che era arrivata alla
deviazione giusta. Diede una
rapida occhiata agli specchietti retrovisori e svoltò a
destra, imboccando la
strada che conduceva al parcheggio.
Lì
veniva
la parte più difficile, perché, nonostante
l’ora tarda, l’area dell’aeroporto
era sicuramente più popolata. Scese in fretta al parcheggio
sotterraneo,
sperando che nessuno facesse troppo caso a lei, e parcheggiò
l’automobile
nell’angolo più buio e nascosto del garage. Anche
se l’avessero ritrovata
sarebbe stato praticamente impossibile risalire a lei, ma la prudenza
non era
mai troppa, come aveva imparato in anni ed anni di servizio.
Gettò
un’ultima occhiata di apprezzamento alla Porsche e si
affrettò a prendere il
tappeto mobile che l’avrebbe riportata in superficie. Che
peccato, però, era
proprio una gran macchina.
Forse appena
arrivo là riesco a
procurarmene una uguale
Immediatamente
si pentì di ciò che aveva pensato. No, non
avrebbe più commesso nessun tipo di
crimine, lo aveva promesso. A lui.
Rise di
sé stessa. La vecchia Vermouth, la donna spietata che aveva
ucciso, rubato,
spiato, mai si sarebbe preoccupata di uno stupido giuramento. Quante
volte
aveva mentito solo per ottenere i suoi scopi? Quante volte aveva dato
la sua
parola, ben sapendo che non l’avrebbe mai mantenuta?
Ma quella
volta era diverso, la sua promessa era stata sincera. E aveva
intenzione di
mantenerla fino agli ultimi istanti della sua vita, se lui avesse
mantenuto la
sua.
L’aria
fredda della notte le sferzò il viso, risvegliandola dai
suoi pensieri e
riportandola alla realtà. Inutile pensare ad una nuova vita
se ancora doveva
riuscire a scappare da quella vecchia; la situazione era più
pericolosa che
mai, doveva rimanere vigile.
L’aeroporto
era a dir poco enorme, ma per fortuna lei c’era stata
già parecchie volte,
perciò non faticò più di tanto per
raggiungere la zona ristorazione. Tentava di
non darlo a vedere, ma ogni volta che intravedeva un poliziotto di
guardia o un
membro della sicurezza tremava di paura. Cercò di
tranquillizzarsi pensando
che, anche se qualcuno dell’organizzazione aveva
già parlato, per loro non
sarebbe stato facile riconoscerla: era o non era la maga dei
travestimenti? In
quel momento era la copia esatta della bella Yukiko Kudo. Soltanto lui
avrebbe
potuto tradirla.
Raggiunse
il piccolo chiosco di frullati che lui le aveva indicato e
passò rapidamente in
rassegna tutti i tavoli: non c’era nessuno. Immediatamente
sentì lo stomaco
capovolgersi, e iniziò a sudare freddo.
Cosa
significava? Forse era semplicemente in ritardo, o era stato
trattenuto… o
forse…
I dubbi
che aveva cercato di mettere a tacere in quelle ultime ore
ricominciarono ad
assalirla, più forti e spietati di prima. Si
guardò febbrilmente intorno,
aspettandosi di scorgere gli agenti dell’FBI da un momento
all’altro.
E ora che
faccio? Me ne vado? Sono
ancora in tempo…
Ma in tempo
per fare cosa?
Si
sedette, prendendo qualche respiro profondo per calmarsi. Doveva
cercare di non
pensare al peggio. Lo aveva osservato a lungo, aveva visto in lui la
sua unica
speranza di distruggere l’organizzazione, e aveva avuto
ragione. Non era tipo
da ingannare le persone. Ma Vermouth lo conosceva bene, sapeva quanto
in lui
fosse forte e radicato il senso di giustizia. E se avesse avuto il
sopravvento
sulla parola data?
Passarono
cinque minuti, in cui non riuscì a fare altro che stare
lì seduta, senza sapere
cosa fare. Lui ancora non arrivava. Timori peggiori cominciarono ad
affollarle
la mente: e se qualcosa fosse andato storto? Ma no, impossibile! Gli
aveva detto
dove si nascondevano, qual era la loro base, chi erano i pezzi
grossi… Non
potevano essere scampati alla distruzione quella volta!
Eppure… Avevano mezzi
che neppure i migliori servizi segreti potevano vantare, lo sapeva.
Rischiò
di farsi prendere dal panico: la sua paura di essere catturata
dall’FBI era
niente rispetto all’ipotesi che l’organizzazione
fosse sopravvissuta a quella
notte. Lo scopo degli ultimi due anni della sua vita sarebbe andato in
fumo, e
lei non sarebbe riuscita più a scappare. Sarebbe finita
nelle loro mani, e
allora… Si guardò intorno, temendo di scorgere
figure in nero da un momento
all’altro. Le sembrava di vivere un incubo: li avvertiva
sempre più vicini a
sé, gli occhi puntati su di lei, ad esprimere mute,
terribili minacce.
Si
alzò,
con le gambe tremanti. Doveva almeno provare a fuggire: non poteva
farsi
trovare così, seduta e spaventata, ad aspettare la morte.
Valutò velocemente la
situazione: sicuramente il parcheggio era circondato, troppo pericoloso
tornarsi, così si diresse verso l’uscita
principale dell’aeroporto:
probabilmente era l’ultimo posto in cui l’avrebbero
aspettata. Tra i tanti
pensieri che le affollavano la mente, si stupì di trovarvi
anche una certa
preoccupazione per lui. Se le cose erano andate male, di sicuro lo
avevano
ammazzato, o peggio. Scosse la testa, per ritrovare
lucidità: ora doveva solo
pensare a fuggire. Si chinò sulla sua valigia, per estrarre
un cappellino, un
paio d’occhiali, qualsiasi cosa potesse aiutarla a confondere
la sua immagine.
Fu in
quella posizione che avvertì dei passi che si avvicinavano,
e capì che era
finita. Il battito del suo cuore impazzì. Non
alzò nemmeno gli occhi, mentre
l’ombra alta e scura di un uomo la ricopriva. Sulle sue
labbra si aprì un
sorriso amaro.
-Scusa il
ritardo, mi hanno trattenuto in centrale.
Le ci
volle qualche istante per capire a chi appartenesse quella voce.
Alzò di scatto
la testa, andando ad incrociare il suo sguardo blu.
-Kudo!
Notò
subito gli occhiali
da sole scuri che
Vermouth aveva estratto dal bagaglio.
-Ma come,
ti stavi già preparando a fuggire? Non ti fidavi di me?- la
provocò.
-E
perché
avrei dovuto?- rispose Vermouth, sprezzante, cercando di riprendere il
controllo di sé. Per un lungo, spaventoso istante aveva
provato l’impulso di
gettargli le braccia al collo, tanto era stato intenso il sollievo nel
vederlo.
Si sedette di nuovo, e Kudo la imitò.
-Allora,
è andato tutto secondo i piani?
Kudo
sorrise, evidentemente euforico.
-Il boss
si trova attualmente nella sede FBI a Tokyo, sotto torchio, insieme ai
suoi
collaboratori più stretti. I pesci piccoli invece sono tutti
dietro le sbarre,
in attesa del loro turno- il suo sorriso si allargò -anche
Gin è con loro. Non
avrei mai pensato si trovasse così in basso nella scala
gerarchica…
evidentemente, quella parte su cui stavamo indagando io e
l’FBI non era nulla
rispetto all’intera organizzazione.
L’immagine
di Gin chiuso in prigione insieme ai membri più
insignificanti del gruppo era
tanto dolce che Vermouth faticò a seguire il resto del
discorso. Kudo le spiegò
come avevano fatto irruzione nella residenza del boss, e come
contemporaneamente
altre unità dei servizi segreti avessero circondato tutte le
altre sedi sparse
per il Giappone e per gli Stati Uniti. Un’operazione
imponente, come poche se
ne erano viste in passato. Non avevano dato loro nemmeno un secondo per
reagire.
-Toglimi
una curiosità Kudo- lo interruppe lei -come hai fatto a
convincere l’FBI a
mettere in piedi una cosa simile fornendo loro solo una soffiata
anonima?
-In
effetti è stata dura- disse, palesemente soddisfatto -ho
dovuto insistere
parecchio, ma Jodie Starling per fortuna mi ha supportato. E’
una delle agenti
coinvolte da più tempo contro l’organizzazione, e
gode di una grande fiducia
nei confronti del capo. Senza il suo aiuto non ce l’avrei
fatta.
Si
rabbuiò
all’improvviso, e a Vermouth non servì molto tempo
per capire cosa gli stesse
passando per la mente. Essere lì con lei in quel momento
significava tradire la
fiducia di Jodie, che l’aveva aiutato.
Kudo la
guardò negli occhi, con un’espressione dura sul
volto. Lei ricambiò il suo
sguardo, e sperò che lui fosse in grado di leggere nel
profondo della sua anima
un pentimento profondo, sincero, dietro la maschera che portava. Ci
riuscì. La
sua espressione tornò quasi amichevole.
-Sai, devo
confessarti che anche per me è stata dura crederti. Quando
mi hai contattato
dicendo che volevi fornirmi tutte le informazioni per distruggere
l’organizzazione, ho pensato subito fosse una trappola, e
stanotte ho rischiato
di portare un consistente numero di agenti FBI nella tomba, seguendo le
tue
indicazioni.
-Non ti
fidavi di me, Kudo?- gli fece il verso lei.
-E
perché
avrei dovuto?
Sorrisero
entrambi, poi lui scosse la testa.
-Davvero
non so dove ho trovato il coraggio di fare una cosa del genere.
E invece
lo sapeva, si disse Vermouth, così come lo sapeva anche lei.
Da anni aveva
intuito il legame fortissimo tra lui ed Angel. Ran Mouri, la ragazza
che le
aveva salvato la vita, anni prima, era stata rapita da Gin, per
attirare Kudo
in trappola. Curioso come alla fine fosse stata quella ragazza a
decidere le
sorti dell’organizzazione: il suo rapimento aveva dato a lei
la spinta per
agire, e a Kudo la disperazione necessaria per fidarsi di una criminale.
-Come sta
Ran?- chiese Vermouth, fingendo poco interesse. Inutile, a dire il
vero, perchè
ormai Kudo aveva capito perfettamente l’affetto sincero che
nutriva per quella
ragazza. In caso contrario, non le avrebbe mai dato ascolto.
-Sta
benissimo, per fortuna. I dottori volevano darle dei tranquillanti, ma
lei ha
rifiutato, dicendo che non era per nulla sotto shock.
Scosse la
testa, e sulle sue labbra si dipinse un sorriso diverso da quello
orgoglioso
che aveva esibito fino a quel momento. Era un sorriso carico
d’amore.
Rendila
felice, Kudo, se lo merita.
Kudo si
riscosse all’improvviso, e guardò
l’orologio.
-E’
ora-
disse, alzandosi -andiamo, ti accompagno al gate.
Vermouth
si alzò a sua volta, e lo seguì attraverso
l’aeroporto. Notò che ancora non le
aveva dato né i documenti, né il biglietto per il
volo: evidentemente prima
voleva accertarsi che avesse davvero intenzione di andarsene. Sorrise,
comprendendolo pienamente: “fidarsi è bene, ma non
fidarsi è meglio” era il suo
motto preferito. Le venne in mente che non sapeva nemmeno quale sarebbe
stata
la sua destinazione.
-Attenzione,
il volo Byrd AD321 diretto a Monaco decollerà tra venti
minuti. Si pregano i
signori passeggeri di affrettarsi all’imbarco.
-Ecco,
è
il tuo volo, sbrighiamoci!
-Monaco?-
chiese lei, stupita.
-Ti
conviene fare scalo lì, per far perdere le tracce.
E’ uno degli aeroporti più
importanti d’Europa, da lì potrai andare dove
vorrai.
Lei
annuì, convinta –Puoi stare tranquillo, ho i miei
mezzi.
-Non ne
dubitavo.
Camminando
in fretta, arrivarono all’imbarco in pochi minuti. Kudo si
fermò e le consegnò
una busta.
-Qui dentro
c’è tutto- disse -Questo è il documento
di mia madre, che devi usare per
prendere questo volo. Una volta arrivata all’aeroporto di
Monaco ricorda, il
tuo nome è Brooke Johnson, vieni dal Massachusset e hai 35
anni. Ecco, questa è
la donna che devi diventare.
Le
mostrò
la foto sul passaporto: era sua, ma elaborata al computer, tanto che
era quasi
irriconoscibile. Capelli neri, occhi blu, naso alla francese e labbra
sottili.
-Pensi di
potercela fare?- chiese.
-Tu che
dici?- sorrise Vermouth indicando il suo viso, uguale identico a quello
della
madre di Shinichi.
-In
effetti fa impressione- disse lui con una smorfia.
-Attenzione,
ultima chiamata per i passeggeri del volo Byrd AD321…
-Sembra
che debba proprio andare- disse Vermouth, preparando il documento di
Yukiko.
-Già-
Kudo sospirò, poi la trafisse con lo sguardo.
-E’
anche
merito tuo se l’organizzazione d’ora in poi non
potrà nuocere a nessuno, e non
voglio nemmeno pensare alla minaccia mondiale che sarebbe diventata con
il
tempo- sospirò,
improvvisamente serio -Ma
soprattutto, hai salvato Ran, ed è solo per questo che io
ora ti lascio andare.
-Una vita
per una vita.
-Proprio
così, Vermouth. Hai una nuova vita, ora, e io ho dovuto
voltare le spalle ai
principi in cui credo da sempre per assicurartela. Vedi di non
sprecarla.
Senza una
parola, Vermouth si avvicinò al ragazzo e lo
baciò. Un bacio breve, pieno di
gratitudine. Lui non si ritrasse, come invece lei aveva creduto.
-Che
effetto fa baciare tua madre, Kudo?
Shinichi
la ignorò -Dove andrai, Sharon?- chiese.
Vermouth
sorrise e avvicinò le labbra al suo orecchio -A secret makes
a woman woman.
Note
dell’autrice:
piccola
one shot su uno dei personaggi più intriganti della storia,
la nostra Vermouth,
e Shinichi. L’avevo cominciata qualche tempo fa, e finalmente
mi sono decisa a
finirla. Fatemi sapere cosa ne pensate^-^