"It's like a
game. Repetitive. Even a little tedious after more than twenty years."
Katniss Everdeen, The Hunger
Games, Mockingjay
Giorno Uno
«
Bellamy, mi senti? Raven? Mi
sentite? Qualcuno mi sente?»
Qualcosa
nella radio fa un rumore
talmente forte che lei quasi la fa cadere di mano. Si illude che sia
una
riposta, che qualcuno la senta, prima di rendersi conto che la mano che
preme
il pulsante stringe e trema così convulsamente che
è lei stessa a disturbare il
campo.
«
C'è qualcuno che può sentirmi?
Raven?»
Un
appello che è più una
disperata richiesta d'aiuto. Il mondo si sta spegnendo, ma coltiva da
qualche
parte la speranza che prima di morire riuscirà a contattare
la navicella.
Bellamy riuscirà a sentirla. Raven rimetterà in
sesto il sistema di
comunicazioni. Lo sa. Lo sa. Lo sa.
Giorno Quattro
«
Questa è la navicella
in orbita verso l’Arca, parla Raven Reyes. Questo messaggio
è per Clarke
Griffin, pianeta terra. I nostri sistemi di comunicazione sono fuori
uso, ma,
Clarke, se riesci a sentirci…» Raven si umetta le
labbra, non sapendo come
proseguire. « Dio, perché lo sto facendo? Non
può sentirci. È folle. »
Si
toglie le cuffie
dalle orecchie e si alza dalla postazione. Non ha mai voluto che
nessuno la
vedesse piangere, ma la persona all’altra plancia ha gli
occhi lucidi quanto i
suoi. « Dai qua. »
Bellamy
le prende
gentilmente di mano i comandi e indossa le grosse cuffie. Raven lo
osserva da
dietro: chiaramente non ha idea di cosa stia facendo, ma non ha alcuna
importanza. Nulla in quella stanza funziona, né
potrà mai farlo.
L'emozione
nella voce
di Bellamy le strappa un sorriso e le spezza il cuore nello stesso
tempo.
«
Clarke, se ci senti,
la navicella è giunta a destinazione. Ce l’abbiamo
fatta, grazie a te. Come
sempre. Immagino che sia, come al solito, uno a zero per te,
Principessa. »
Giorno Sei
Sottovoce.
Quasi fuori portata
della radio. « Dio, non ho idea di come fare questa
cosa.» più forte, dritto
nel microfono. « Qui è Clarke Griffin, pianeta
Terra, giorno sesto dopo il
Praimfaya. Questo è un messaggio per la navicella diretta
all'arca, per il
pilota Raven Reyes. Per... » la voce si spegne un momento.
È un messaggio
ufficiale, una fonte. Non può. Non può. Non
può. « Per i sopravvissuti della
Skaikru.»
I
sopravvissuti della Skaikru
sono letteralmente sparpagliati nello spazio, sottoterra o nel vuoto. I
sopravvissuti. Per quanto ne sa, al momento presente l'unica
sopravvissuta è
lei. Il pensiero la fa sentire improvvisamente minuscola. Il messaggio
ufficiale rimane incompleto.
Giorno Diciotto
«
Clarke...» la voce si
spezza mentre Bellamy osserva dall'enorme vetrata della navicella
quello che
hanno definito Praimfaya. È spaventoso esattamente come
pensava, la Terra come
un grosso bubbone infetto e pulsante. Impensabile che persino lei,
persino
Wanheda, abbia trovato un modo per sopravvivere. Eppure, contro ogni
logica, ha
tenuto la radio in camera. E ci sono quei momenti in cui riesce a
sentirsi così
insopportabilmente solo in dodici metri quadrati condivisi con due
persone. «
Se mi senti, significa che sei viva. Volevo solo... Mi dispiace di
averti
lasciato indietro. La testa quassù non funziona molto bene.
Potrebbe essere la
carenza di ossigeno, o potrei essere io. »
«
Smettila di dire
cazzate.» Bellamy ha ancora il dito premuto sul tasto di
registrazione, per cui
la voce autorevole di Raven si insinua nel ricevitore rotto.
« Stai parlando
con una persona morta utilizzando un apparecchio fuori uso.»
«
Lo so. Volevo solo...
Certe volte è insopportabile. Non sono pazzo, lo so che non
mi sente.» lascia
cadere le braccia lungo i fianchi, ma la radio rimane saldamente
stretta in
mano. « Certe volte mi guardo intorno e mi chiedo se valesse
la pena lasciarla
indietro. Non riesco a trovare la risposta, Raven.» alza lo
sguardo, distoglie
gli occhi da quelli castani della ragazza, fissandoli in quel cielo
muto e
spietato. Immenso e così vuoto da far girare la testa.
«
Sai cosa
risponderebbe lei.» mormora semplicemente Raven,
abbracciandolo alle spalle. «
Devi lasciar andare, Bellamy.»
Giorno Ventinove
«
Bellamy Blake, mi ricevi? Raven
Reyes? Qualcuno mi riceve?»
Voce
più sicura, così squillante
da suonare nervosa. È la prima volta che Clarke si sente
completamente in forze
e sente di voler aggiungere qualcosa al messaggio ufficiale che ha
messo
insieme a stento nella prima settimana e che ha ripetuto nella speranza
che in
qualche modo la navicella potesse intercettarlo. « Qui parla
Clarke Griffin ed
è passato un mese dal Praimfaya. Non è come nulla
che avevamo immaginato.»
pausa. « L'aria non è respirabile, ne no avuto la
prova.» Non si dilunga in
spiegazioni, ma quello è stato uno dei momenti
più duri. I cadaveri con le
orbite spalancate e la pelle piagata. Gli animali morti nel bosco. Il
terrore
di trovare qualche volto conosciuto, e la certezza che prima o poi
sarebbe
successo. Quel giorno sarebbe arrivato, e non importava che le persone
che più
amava al momento erano al sicuro. Le avrebbe spezzato il cuore in ogni
caso, e
in ogni caso lei si sarebbe rialzata, si sarebbe asciugata gli occhi e
avrebbe
voltato le spalle. Le persone che amava erano al sicuro, e tanto
bastava.
Doveva bastare, o sarebbe impazzita.
Giorno Cinquantadue
«
Clarke...»
Giorno Sessantatre
«
Parla Clarke Griffin dalla
Terra, a due mesi dal Praimfaya. Sono al sicuro, ma chiunque sia fuori
ormai è
morto da tempo. Voi e il bunker siete l'unica speranza
perché il genere umano
sopravviva.»
Ormai
è diventata routine, come
l'esercizio fisico appena sveglia, come il controllo dei livelli
dell'aria. È
un gesto abituale che la aiuta a non impazzire, a convivere con il
silenzio per
tutto il resto del giorno. Ad un certo punto arriva a capire Jasper che
ha
deciso di andarsene sparando la musica altissima. Riempire i vuoti. E,
nel loro
caso, i vuoti erano terrificanti. Lo spazio intorno a Clarke non
è ampio, il
più delle volte le fa rabbia quanto sia piccolo, ma ci sono
anche i momenti in
cui il silenzio lo dilata, lo aumenta a dismisura, e quello spazio
è
vertiginoso, non è più familiare, è un
incubo a occhi aperti. Ci sono anche le
mattine in cui piange prima di prendere in mano la radio, se lo
concede, ma mai
nella radio. Non sa nemmeno perché. Nessuno la sente. Sa
benissimo che nessuno
la sente. Ma non vuole dar loro questo ulteriore colpo. È
una cosa stupida, sa
benissimo che sarebbero felici di sentirla in lacrime,
purché viva. Ma non
vuole.
Giorno Novantacinque
È
qualcosa che ha a che fare con
Bellamy, in qualche modo.
Se ne
rende conto una mattina,
seduta sulla branda con la radio in mano, e il pensiero la coglie alla
sprovvista. È qualcosa che ha a che fare con Bellamy Blake e
con il loro addio.
Con il fatto che lui è il cuore, con il fatto che per una
volta ha fatto la
scelta giusta, quella di lasciarla indietro, anche se probabilmente
fosse stato
per lui avrebbe capovolto tutto. Bellamy che per salvare sua sorella
è rimasto
immobile davanti a una pistola, Bellamy che "oppure morirò
nel
tentativo". Era sempre stata lei a lasciarlo indietro, mai lui. E lo
ricorda il dolore al petto quando lo aveva chiuso fuori dalla navicella
consapevolmente, ricorda come lei abbia sempre fatto quello che doveva
essere
fatto e lui la cosa giusta.
Non vuole
dar loro questo ulteriore colpo.
Non è
accurato.
Bellamy
non la avrebbe mai
lasciata indietro, ma alla fine lo aveva fatto, perché in un
modo contorto e
sbagliato e atroce era la cosa giusta. In un mondo in cui avevano
ucciso e
tradito e ingannato rimaneva l'unica scelta.
L'unica
scelta.
Sudore
freddo.
E alla
fine Bellamy aveva usato
la testa al posto del cuore, come lei gli aveva chiesto. L'idea la fa
sentire
in un milione di modi diversi che non sa nemmeno descrivere, ma sa
quanto gli
debba essere costato. Ognuno di quei mille modi ha spezzato anche il
suo cuore,
dopotutto.
«
Bellamy, mi senti? Sono Clarke
Griffin, pianeta Terra, e questi sono i primi tre mesi dal Praimfaya.
»
Giorno Centocinquanta
I suoi
messaggi smettono di
essere un tentativo di contatto e diventano qualcosa di più
simile a un diario.
È quasi patetico per certi versi, ma non le interessa. Non
c'è nessuno a
giudicarlo tale. Non è più seduta dritta sulla
branda, si porta dietro la radio
nei momenti più impensabili, parla mentre è
ancora sdraiata appena sveglia o la
sera tardi, prima di spegnere le luci, seduta accanto alla plancia,
rimandando
sempre di un attimo ancora il buio e il silenzio. Non ha più
la speranza che la
radio gracchi all'improvviso captando chissà che segnale, ma
la porta con sé e
ogni tanto aggiunge qualche frase ai suoi patetici messaggi. Una
ragazza che
sta morendo di solitudine aggrappata a una radio rotta e ad un cuore
ancora più
spezzato.
«
Bellamy» mormora semplicemente
nella radio prima di addormentarsi.
Giorno trecentosessantasei
Non
ha mai permesso a
sé stesso quasi di pensarlo, mai di dirlo ad alta voce.
Conosce la realtà, sa
che riaprirebbe una ferita, soprattutto in Raven. Ma quella sera
è stata
proprio lei a far girare una bottiglia di liquore che Monty ha prodotto
con le
alghe della stazione - una cosa così poco da Monty da essere
allarmante, se
ancora ci fosse qualcosa di allarmante. Il sapore è forte e
orrendo, ma lo
stordimento è esattamente quello sperato. In quello stato,
Bellamy può
permettersi di tornare all'oblò dove la terra brucia sotto i
suoi occhi.
Scivola
accanto al
finestrone, la radio muta serrata in mano. La vista di quell'universo
muto e
vuoto e immenso lo schiaccia certe volte, ne avverte
l'enormità che sembra
quasi crescere a dismisura e gli manca l'aria, come se tutto l'ossigeno
del
mondo non potesse mai più essere sufficiente.
Il
senso di vuoto e
solitudine riesce a sopraffarlo, ogni tanto, e lì si chiede
contro ogni logica
come possa Clarke resistere a qualcosa del genere. Un attimo dopo
ricorda a sé
stesso che non è sopravvissuta, che non può
sentire più niente, né il vuoto né
la solitudine né la sua stupida voce dentro la stupida radio.
Ma
non importa.
«
Clarke, io... Non sei
da sola, non mollare. Se mi senti, io... Tornerò a
prenderti. Lo prometto.»
Giorno Seicentododici
«
Clarke Griffin dal pianeta
terra, navicella Arca, mi sentite?» Questa volta la sua voce
è di nuovo viva,
squillante. « Bellamy, avevo ragione.» Il tono
concitato tradisce la sua
emozione, e per un momento non le interessa che nessuno
sentirà mai quello che
a lei sembra l'annuncio più importante del mondo.
« Il sangue nero è la chiave,
e se non bastassi io come prova, ho una sopravvissuta con me.»
La
ragazzina la guarda dalla sua
branda, confusa. Probabilmente si chiede perché Clarke si
ostini a tentare,
quando le ha già spiegato che non c'è modo di
comunicare con nessuno. « Avevo
ragione, i sanguenero sopportano le radiazioni. Sia Maddie che io siamo
quasi
morte, ma ce l'abbiamo fatta. Potrebbero essercene altri, potremmo...
C’è una
speranza. L'idea di mia madre. Se solo avessimo avuto più
tempo, se solo… Vi
darò altre notizie appena posso. Passo e chiudo.»
Maddie la osserva mordersi il
labbro inferiore, la mano in tensione che stringe la piccola radio. La
ragazzina non lo sa, ma quello è il ventesimo compleanno di
Clarke Griffin.
Giorno Settecentoquaranta
Quando ha
smesso di cercare di
contattare la navicella ed ha iniziato a rivolgersi semplicemente a
Bellamy?
Giorno Milleottocentoventisei
Sono
cambiate molte
cose, ma non la radio muta sulla mensola sopra la branda di Bellamy.
È una sera
strana e agitata sulla navicella, e ci ha messo un po' per trovare, in
quei
pochi metri quadrati, un posto dove stare in pace. Alla fine quel posto
è
sempre davanti al grande oblò, e solo seduto lì
davanti riesce a soffiare il
suo inutile messaggio nella radio, le spalle che quasi tremano. Non ha
modo di
contattare O - ha importanza? In realtà non ha nemmeno alcun
modo di contattare
Clarke, ma non gli interessa. Ha provato ad essere la testa, ad
affrontare il
tutto in maniera razionale e a far funzionare le cose sulla navicella.
Non è
morta invano.
Ma
certe volte
l'inutile radio rotta è la sua coperta contro lo shock. Il
suo cedimento. Certe
volte, in maniera quasi assurda, gli viene da pensare che deve essere
lo stesso
senso di stordimento e di colpa che provava sua madre quando beveva di
nascosto. La stessa vertigine del continuare, consapevolmente, ad
avvelenarti.
«
Principessa, come vorrei
che riuscissi a sentire questo... Torniamo a casa. Stiamo tornando a
casa.»
Giorno Milleottocentotrentatre
«
Bellamy, dimmi che riesci a
sentirmi » esordisce nervosa. Non ha tempo per i convenevoli,
non stavolta. «
è… è finita. Se mi senti, se mi
sentite, potete iniziare le procedure per il
rientro. Potete tornare a casa. » per quanto si sforzi, la
sua voce si spezza
sul finale. Sono notti che non dorme, giorni che osserva il cielo,
aspettando,
un rumore, un punto luminoso, qualcosa.
Sono gli ultimi giorni, si ripete
quando apre gli occhi, quando li alza al cielo. Si sorprende a
distrarsi mentre
spiega a Maddie quali sono le piante infestanti e come depurare
l’acqua
piovana. Si sorprende a immaginarli lì, tutti in fila per
lei, come lo erano
stati davanti a Raven.
Giorno Milleottocentonovantanove
«
… Ti ricordi quando hai detto
che ti avrebbe fatto comodo una pausa da tutti quegli sforzi per
tenermi in
vita? » è una domanda stupida, ma ha trovato
quella bottiglia di liquore, e per
quanto fosse diseducativo per Maddie e avesse un pessimo retrogusto,
certe sere
sono davvero troppo enormemente vuote. « Stavo
pensando… Solo, non prendertela
troppo comoda, okay? »
Giorno Millenovecentosettantasei
«
Okay. » la voce trema sul
finale di quell’unica sillaba. Le capita spesso, negli ultimi
giorni – la voce
si spegne, gli occhi vagano inevitabilmente verso l’alto. Che
sia l’apertura
nel Rover o uno dei piccoli oblò del bunker. Che sia il
cielo oltre le fronde.
Sempre maledettamente, spietatamente vuoto. Persino
l’abitudine che l’aveva
tenuta ancorata alla realtà, che le aveva permesso di non
impazzire nei suoi
seicento giorni di solitudine assoluta, prima di incontrare Maddie,
sembra
perdere presa sulla sua mente esausta. La delusione della speranza ha
un effetto
più devastante dell’alienazione. «
Abbiamo stabilito che l’aria e l’acqua sono
sufficientemente sicure per muoverci. Stiamo vedendo le prime specie di
animali. Ricordi lo strano cerbiatto quando siamo arrivati la prima
volta sulla
Terra? Niente del genere, ma alcuni colori sono più
brillanti, innaturali.
Dovresti vederli. Octavia dovrebbe vederli. » fa una pausa,
come per dare a
Bellamy il tempo di dedicare un pensiero a sua sorella. È
stupido, dal momento
che chiaramente lui non la sente. Non l’ha mai sentita e
quello è chiaramente
un segno del fatto che non ce la fa più a tenere insieme i
pezzi, ma non
importa. Le sembra di vederlo sollevare lo sguardo, tormentarsi il
labbro
inferiore con i denti, sospirare. Sbattere le palpebre guardando
lontano. « Se
non sentiremo niente da voi prima di allora, domattina partiremo per il
bunker.
So che da fuori non si può aprire, ma voglio fare un
tentativo. » l’idea la
atterrisce esattamente quanto la atterrisce il fatto di non avere
ancora
notizie dalla navicella. Se stanno bene, perché in quattro
mesi nessuno è uscito?
Nessuna
risposta nella radio,
nessuna risposta alla domanda che la tormenta. È
così abituata, ormai, a
sentirle rimbombare dentro. Vorrebbe non aver finito tutto il liquore,
ora.
«
Bene. » sospira « Se non ci
sentiamo prima, cercatemi lì. »
Uno
sguardo d’intesa con Maddie,
che in quegli ultimi anni ha imparato a comprendere diverse delle
stranezze di
Clarke, ma mai quella. Maddie che ha già lasciato andare i
suoi morti, che ha
già accettato di essere l’ultima del suo popolo.
Che non può comprendere come
Clarke Griffin, che ha inciso sul suo fucile i nomi di tutte le persone
che ha
perso, possa ostinarsi a parlare tutti i giorni in una radio rotta che
nessuno
può sentire.
I nomi di
tutte le persone che ha
perso. Tra quei nomi, Bellamy Blake non c’è.
Piccola nota
Lo so, la
volta scorsa avevo
detto "primo e ultimo esperimento Bellarke", ma sono tornata. In
parte è merito delle bellissime recensioni che ho ricevuto,
pareri entusiasti e
così articolati che mi hanno fatto venire voglia di lasciare
aperta questa
porta. In parte è colpa di quei due che mannaggia a loro, si
tradiscono, si
sparano addosso, mi fanno venir voglia di non shipparli mai
più e invece eccoci
qua. Come sempre, non sono estremamente convinta del risultato e non
sono
sicura di essere riuscita a tenerli IC: come sapete mi preme
particolarmente ed
è sempre l'aspetto di cui mi preoccupo di più.
Per questo ringrazio chi leggerà
e ancor più chi lascerà un piccolo parere :)