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Autore: Defiance    28/05/2017    4 recensioni
Dal testo:
"3…
Si voltò nuovamente verso Clarke. Ora aveva gli occhi lucidi, si sforzava di non piangere.
Ti amo, mimò con le labbra.
2, 1…
Bellamy dovette resistere all'impulso di frantumare quel vetro che li separava.
Poi il razzo partì.
E lui non riuscì a dirle che l’amava."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Sorpresa
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: "I personaggi non mi appartengono. La storia è stata scritta senza nessuno scopo di lucro."


I Got You Now




“Clarke!”
Bellamy urlava all’interno della navicella, batteva freneticamente le mani contro il vetro.
“Clarke, cosa stai facendo? Muoviti, Sali! Raven apri la porta, che aspetti?”
“Bellamy…”
Il ragazzo la guardò con occhi sgranati.
Aveva capito, non necessitava chiarimenti.
“No. NO! Non la lascio sola”
I suoi occhi si posarono sulla giovane Griffin che lo osservava dall’esterno; posò la mano sul vetro, come se potesse toccare quella di lui, sentire il calore della sua pelle.
Lancio tra 10, 9, 8…
“Raven fammi scendere!”
Clarke sorrise.
7, 6, 5…
“Mi dispiace, Bell. Non posso.”
4, 3…
Si voltò nuovamente verso Clarke. Ora aveva gli occhi lucidi, si sforzava di non piangere.
Ti amo, mimò con le labbra.
2, 1…
Bellamy dovette resistere all’impulso di frantumare quel vetro che li separava.
Poi il razzo partì.
E lui non riuscì a dirle che l’amava.
 
Bellamy fu spinto sul sedile e vi cadde di peso, lo sguardo perso nel vuoto. Monty gli allacciò le cinture cercando di fare il più in fretta possibile, poi sussurrò un flebile “mi dispiace” che arrivò ovattato alle sue orecchie, quasi come fosse un ricordo remoto che tornava a galla nel suo cervello.
“Dimmi che non lo avevate già deciso” sibilò stringendo i pugni, poi alzò la voce “dimmi che non era il vostro piano fin dall’inizio!”
Raven chiuse gli occhi.
“Mi dispiace, Bell. Avevamo bisogno di qualcuno che avviasse il razzo e che ci guidasse fino all’anello. Clarke si è offerta volontaria perché ha una possibilità in più di chiunque altro di sopravvivere sulla Terra.”
“Non stava a voi decidere! Lo avrei fatto io.”
“E questo è proprio il motivo per cui non ha voluto dirtelo” borbottò Murphy, col tono di una persona che palesa l’ovvio.
Il maggiore dei Blake gli rivolse un’occhiataccia.
Era arrabbiato, disperato, triste.
Aveva appena finito di parlare con sua sorella, di salutarla promettendole di rivedersi e si era voltato a cercare lo sguardo rassicurante della Griffin… Solo che lei non era più accanto a lui. Era scesa dalla navicella, senza dirgli assolutamente nulla.
“Potrebbe non funzionare. Potrebbe non essere immune”
“E noi potremmo non riuscire a tornare sulla Terra” ribatté Monty, “abbiamo entrambi la stessa probabilità di sopravvivere”
Bellamy chiuse gli occhi. Non era sicuro di riuscire a vivere cinque anni lontano da Clarke, logorato dal dubbio, da quella stramaledetta incognita che gli stava squarciando lo stomaco e la gola.
L’avrebbe mai più rivista?
 
 
Aveva avuto abbastanza tempo, nel corso di quei cinque anni, per rimuginare sui suoi errori.
Sola com’era stata, Clarke non aveva avuto molto da fare e tormentarsi pensando a tutto il tempo che aveva perso con Bellamy era diventato il suo passatempo preferito.
Ci aveva messo troppo a comprendere i sentimenti che provava per il ragazzo, troppo per accettarli e troppo per trovare il coraggio di esternarli.
Perché lo sapeva, toccava a lei fare il primo passo, specialmente dopo tutte le volte che gli aveva voltato le spalle e dopo tutte le volte che gli aveva impedito di dirle cosa provava.
Lo aveva fatto di proposito, rifiutandosi di pensare che potessero morire senza prima essersi detti quelle due paroline.
Ma lo aveva fatto, alla fine, aveva ceduto.
Aveva ceduto quando Raven le aveva detto che qualcuno sarebbe dovuto restare nel laboratorio, aveva ceduto dopo aver deciso che quel qualcuno sarebbe stata lei.
Così era andata da lui e lo aveva trovato assorto nei suoi pensieri.
Non si era neanche accorto che era entrata nella stanza, che aveva chiuso la porta a chiave.
Sapeva che era ancora arrabbiato per la storia del bunker, che l’unico motivo per cui aveva accantonato la questione era che sarebbero potuti morire qualche ora dopo. In condizioni normali glielo avrebbe fatto pesare di più, ma lei accettava anche questa consapevolezza, perché per lei significava tutto.
Non avrebbe passato i successivi anni sulla navicella con loro, non avrebbe potuto chiedere ammenda. Probabilmente sarebbe anche morta e non si sarebbero più rivisti.
Doveva prendere tutto quello che poteva, finché ancora poteva farlo.
“Bell”
Il ragazzo non si voltò, ma lo sentì sospirare rassegnato.
“Non ho potuto salutare Octavia”
“Sono sicura che Raven riuscirà a metterci in contatto con il bunker prima di partire”
Metterci. Stava giocando con il fuoco e doveva stare attenta. Non voleva mentirgli, doveva fare in modo di non trovarsi in quella situazione.
Hai ancora speranza?”
Respiriamo ancora
Sorrisero entrambi. Un po’ se la aspettava quella risposta, Bellamy.
Ebbe un improvviso impulso di abbracciarla, un bisogno logorante di stringerla a sé e di sentire il suo corpo contro il proprio.
Clarke si lasciò avvolgere dalle sua braccia e sprofondò il viso nell’incavo del suo collo. Poi si tirò leggermente indietro, abbastanza da riuscire a prendere il volto del giovane tra le mani e a posare le sue labbra su quelle di lui.
Un bacio lento, dolce, innocente, che diceva tutto e niente allo stesso tempo.
Avvertì la presa di Bellamy farsi più salda contro la sua schiena, percepì le sue mani cercare di avvicinarla ancor più a sé, di stringerla il più forte possibile.
Separarono le labbra il tempo necessario a guardarsi, a cercare conferme l’uno negli occhi dell’altra, poi le fecero scontrare nuovamente e questa volta non ci fu dolcezza, ma un misto di desiderio e bisogno fisico dell’altro.
I loro baci si facevano sempre più profondi, le loro carezze sempre più lussuriose, i loro respiri sempre più franti.
Non riusciva a pensare, il maggiore dei Blake. I suoi sensi erano oscurati dalle emozioni che stava provando, dal fatto di trovarsi nella situazione che aveva desiderato di più da quando l’aveva conosciuta.
“Clarke…” riuscì a mormorare riacquistando un minimo di lucidità.
La sentì rabbrividire tra le sue braccia e si rese conto che si era completamente aggrappata a lui in cerca di sostegno, che aveva il respiro accelerato.
Lo guardò supplichevole.
“Sei sicura?”
La bionda annuì e tornò a baciarlo, a toccarlo, a stringerlo.
E per quanto sbagliato fosse in quel momento, non esitarono a togliersi di dosso le tute, a gettarle in un angolo e ad abbandonarsi a quel sentimento che avevano represso entrambi per troppo tempo.
 
 
Bellamy non credeva di essere finalmente tornato sulla terra.
Il primo luogo dov’erano andati era stato Polis: aveva riabbracciato sua sorella, per loro nel bunker le cose erano filate inaspettatamente lisce.
Scoprire che non erano riusciti a mettersi in contatto con Clarke e che lei non aveva mai fatto ritorno, però, era stato un duro colpo da digerire.
Aveva deciso di andare a cercarla comunque, non si sarebbe arreso così facilmente, non con lei, non con la donna che amava. Non quando non era stato in grado di dirglielo prima di separarsi.
Si erano divisi per coprire più terreno possibile nel minor tempo, ma le ricerche durarono comunque qualche settimana, fin quando Bellamy aveva trovato una piccola casetta costruita nel bosco, vicino ai rottami della navicella con cui i Cento erano arrivati sulla terra in primo luogo.
Si pietrificò quando notò che un bambino piccolo era spuntato fuori dalla porta e lo osservava con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
“Ehi” esordì Bellamy, stupito della presenza di quella creaturina che gli appariva così familiare anche se non l’aveva mai vista prima.
“Va tutto bene, non voglio farti del male”
Non sapeva come fosse possibile, forse c’erano stati dei sopravvissuti tra i terrestri fuori dal bunker, com’era già successo dopo il primo Praimfaya. Bellamy sapeva solo che doveva salvarlo.
“Lo so” disse il bimbo con una vocina flebile ma decisa.
“Sei uguale a lui”
“Uguale a chi?” chiese confuso il maggiore dei Blake, la fronte corrugata.
“L’uomo del dipinto” spiegò il bambino, scompigliandosi i suoi riccioli biondi con una manina, “La mia mamma lo guarda in continuazione. E piange”.
“La tua mamma?” domandò Bellamy, “Sta bene anche lei? Se mi porti da lei, posso aiutarvi entrambi. Posso accompagnarvi a New Polis, dove sarete al sicuro”
“È andata a cercare da mangiare” mormorò, “però quando torna non le dire che ero fuori. Si arrabbia sempre quando esco e lei non c’è”
Il moro sorrise.
“Chissà perché. Come ti chiami, piccolino?” indagò, avvicinandosi al bimbo e arruffandogli i capelli.
“Jake. E tu?”
“Io sono…”
“…Bellamy.”
Sussultò.
Sussultò nel sentire quella voce pronunciare incredula il suo nome. Si voltò, doveva vederla con i suoi occhi.
“Clarke?!”
La bionda aveva gli occhi lucidi, tremava.
Il cibo che si era procurata tra i boschi le sfuggì di mano, cadendo per terra.
Era più magra di quanto ricordasse, i suoi capelli e i suoi abiti erano diversi da quelli che usava portare prima. Immaginò che si fosse dovuta accontentare.
Si sorrisero, spostò lo sguardo da lei al bambino alla sua destra, per poi puntarlo di nuovo su di lei, in tempo per cogliere la paura nei suoi occhi.
Non gli ci volle molto per capirne il motivo e gli fu immediatamente chiara la ragione per cui quel bambino gli era sembrato così familiare.
Era suo figlio.
Era loro figlio.
 
 
“Bellamy, trovato niente?”
Octavia comparve alle spalle di Clarke prima che potessero dire o fare altro.
“Clarke! Sapevo che saresti sopravvissuta!”
Abbracciò la bionda per diversi secondi, poi si voltò verso il fratello.
“Dovremmo davvero tornare a New Po…” si interruppe vedendo un piccolo bambino che la scrutava intimorito, “E lui chi è? Da dove…?”
Bellamy tirò su col naso e guardò altrove, un gesto sufficiente a far comprendere alla sorella cosa stava accadendo.
“Oh. OH! Esclamò la minore dei Blake, scioccata.
Clarke si avvicinò al bambino, che sembrava sempre più confuso e gli mise le mani sulle spalle.
“Perché non vai a prendere le tue cose, Jake?”
“Andiamo via, mamma?”
La Griffin annuì e abbozzò un sorriso per rassicurarlo, convincendolo dunque ad entrare nella casetta per prendere qualsiasi cosa volesse portare con sé.
“Ti aiuto io!” si offrì volontaria Octavia, la quale non aveva la minima intenzione di restare sola con suo fratello e Clarke; era perfettamente consapevole che a breve sarebbe scoppiata una bomba… Bellamy era troppo calmo.
Una volta che Octavia fu sparita dietro a Jake, la bionda si alzò e trovò il coraggio di avvicinarsi all’uomo.
Dal primo momento in cui l’aveva rivisto, aveva desiderato abbracciarlo, stringerlo a sé, baciarlo… Ma non sapeva come comportarsi.
Ovviamente quando aveva deciso di sacrificarsi e restare sulla Terra non aveva la più pallida idea di essere incinta, ma sicuramente Bellamy lo sapeva già… Ricordava perfettamente che la loro prima, ed ultima, volta insieme fosse stata due ore prima di separarsi per cinque, lunghi, interminabili anni.
“Bellamy, io…”
Poi lui la spiazzò. Perché tra tutte le cose che avrebbe potuto fare, decise di afferrarla e circondarla con le sue braccia.
Sprofondò il viso nell’incavo del collo della giovane, mentre lei iniziò a singhiozzare con la fronte poggiata al petto dell’uomo che amava.
“Ti amo, Clarke. Ti amo e mi dispiace di non esserci stato. Io… Io avrei dovuto essere qui, con te. E con…”
“Bellamy, no.” Gemette stringendosi ancora più forte a lui, “Non è stata colpa tua”
L’uomo sospirò profondamente, poi sollevò il volto di Clarke facendo una leggera pressione sotto il suo mento. La guardò negli occhi, entrambi li avevano lucidi. La baciò.
E quel bacio sapeva di rimpianto, di gioia, di dolore, del più puro dei sentimenti, di amore.
Si staccò da lei con fatica e posò la fronte contro la sua.
“Lui lo sa?” domandò con voce tremante, cercando di cacciare indietro le lacrime. “Sa che sono suo padre?”
La bionda scosse la testa.
“Non potevo dirglielo. Non potevo rischiare di dargli una falsa speranza o che tu non volessi…”
“No. Non ti azzardare a finire questa frase, Clarke. Come hai potuto anche solo pensare che io…”
“Mi dispiace, va bene? Non ti arrabbiare, non ora” non aveva la minima voglia di discutere con lui, lo aveva appena ritrovato, voleva solamente tenerlo stretto, tenerlo con sé, perché ancora non riusciva a credere di essere finalmente tra le sue braccia.
Gli prese il volto tra le mani, lo baciò ancora e Bellamy non si tirò indietro, anzi, assecondò i suoi movimenti con dolcezza, rafforzando sempre di più la presa sulla sua schiena.
“Sposami, Clarke” lo disse quasi come se fosse una supplica, tra un bacio ed un altro.
“Cosa?” biascicò lei, convinta di aver sentito male.
“Sposami” ripeté l’uomo, “Abbiamo già perso troppo tempo”
La bionda scoppiò nuovamente a piangere, si aggrappò a lui con maggiore forza e annuì con foga, per poi catturare nuovamente le sue labbra nelle proprie.
Qualche secondo dopo Octavia si schiarì la voce alle loro spalle e i due si allontanarono.
Clarke guardò suo figlio che la stava osservando con un sorrisetto furbastro stampato sul volto, cosa che la face ridere. E avvertì anche Bellamy ridacchiare, rendendosi immediatamente conto di quanto quei due si somigliassero.
Avevano la stessa risata, la stessa forma degli occhi, anche se di colore diverso, le stesse espressioni. Era a ciò a cui si era aggrappata per tutti quegli anni, la sua unica gioia, la sua fonte di salvezza e speranza.
Lui e il pensiero di rivedere suo padre, un giorno.
Strinse la sua piccola mano nella propria e gli scompigliò i capelli.
Jake alzò lo sguardo per incontrare il volto di Bellamy e socchiuse gli occhi.
“Se spezzi il cuore della mamma, te la dovrai vedere con me” disse nel suo miglior tono minaccioso, che più che altro suonava buffo “Non mi importa se sei il mio papà”.
Octavia scoppiò a ridere, Bellamy e Clarke, che fino ad un istante prima erano divertiti dalla reazione del bambino, si immobilizzarono. Gli aveva forse sentiti?
“Jake, come…?”
Il piccolo tirò fuori dal suo zainetto un quadernetto che la Griffin conosceva bene; era girato su una pagina ben precisa quando glielo porse.
Era uno dei tanti ritratti di Bellamy che aveva disegnato nel corso di quei solitari anni.
“Mi hai sentita”
Jake annuì, poi si girò e abbracciò Bellamy, il quale, spiazzato, si accovacciò per stringere a sé il figlio.
“Ci sono io ora, piccolo. Ci penso io a voi” gli promise.
Non si sarebbero separati mai più.
Lui non l'avrebbe mai permesso.
Per nulla al mondo.

 




Angolo Dell'Autrice
Ciao a tutti!
Sono tornata, con un'altra Bellarke ovviamente.
Ci tengo a precisare che il momento in cui Clarke e Bellamy si separano è così diverso dalla
serie perché avevo scritto tutto prima della puntata e ho deciso di lasciare come stava.
Ed è anche il motivo per cui non ho sostituito Jake con una Maddie (che in questa storia sarebbe comunque
stata la figlia di Bell e Clarke). 
Ringrazio chiunque leggerà questa storia e spero tanto che vi piaccia, se vi va lasciatemi una recensione per
farmi sapere cosa ne pensate!
A presto,
Bell
 

 
  
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