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Autore: Hamlet Moriarty    29/05/2017    6 recensioni
"Quelle parole provocarono in me una sorta di reazione a scoppio ritardato che, simile a un ritorno di fiamma, mi fece riacquistare in un unico colpo ogni percezione sensoriale.
Uno strano presentimento mi invase, una voce nella mia testa esclamò improvvisamente: c'è qualcosa di tremendamente, assolutamente sbagliato in tutto questo."
[...]
"Lui è qui, proprio in questo momento."
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Tralasciando il season finale perché se ci ripenso mi sento male, mi sono rimesso a leggere Creepypasta stories e mescolandone un paio ecco a voi la dance macabre più schifosamente angst a cui abbia mai pensato.

Sono tornato su efp in veste ufficiosa, non ufficiale.

J


THIS IS GOSPEL

for the fallen ones

locked away in a permanent

slumber



Cominciò verso la fine di novembre, e all'inizio non vi feci nemmeno troppo caso.

In fin dei conti, era libero di andare dove più gli aggradava. Diciamoci la verità, non stiamo parlando del classico tipo "casa – scuola – chiesa". Quello era il mio ruolo.

Dean Winchester amava divertirsi; mi sarei accigliato se all'improvviso avesse smesso di mettere il naso fuori di casa – tale atteggiamento non sarebbe più inspiegabile di quello che nel giro di poche settimane divenne curioso al limite del preoccupante.

Difatti, le sue uscite sospette cominciarono a ricorrere, intorno a Natale, con un'insolita cadenza. Tutti i martedì se ne andava dopo aver cenato chiudendo a chiave l'appartamento, pur sapendomi ancora lì a studiare, come se dubitasse delle mie capacità di gestire quattro stanze messe in croce e un sistema di antifurto.


Era ancora arrabbiato con me. Lo capivo dal modo in cui mi ignorava, da come non rispondeva alle mie domande. Mi guardava distrattamente, talvolta i suoi occhi vedevano oltre la mia faccia senza soffermarsi su di essa.

Mi detestava con ogni fibra del suo corpo, con ogni particella subatomica coalizzata in una campagna di astio nei miei confronti. Le mie, di particelle subatomiche, erano peraltro completamente di parte. Mi detestavo anche io.

Non lo biasimavo per questo, ma eravamo coinquilini – e amici – da sei anni. Avevamo anche un corso in comune all'università. Lo avevo aiutato con fisica molecolare. Gli avevo prestato alcuni libri - gli avevo prestato Robinson Crusoe. Nei miei parametri, significava più di quanto potessi spiegare razionalmente, perché quel libro mi stava a cuore come null'altro al mondo. Non l'avevo mai nemmeno dato in mano ad altri, figurarsi concedere ad un essere umano di tenerlo per sé senza che io fossi personalmente lì a supervisionare che non togliesse gli angoli dalle pagine, o cancellasse qualche appunto scritto a matita sui margini.

Comunque.

Dopo tutto questo pensavo che un minimo di spiegazione fosse d'obbligo nei miei confronti.

E non capivo. Con scarso successo, tentai di formulare qualche ipotesi.

Forse stava frequentando gente nuova. Forse aveva seguito suo fratello in quel circolo di tossici che vedeva regolarmente, forse aveva trovato un lavoro notturno di cui non poteva o voleva parlare.

Forse aveva una ragazza, ma onestamente non avrei saputo dire. Dubitavo che fosse quest'ultima la risposta, perché a Dean non piaceva impegnarsi, non era fatto per le cose fisse.

Era proprio questo dettaglio a rendermi diffidente.

Ogni singolo martedì.

Dalle otto alle nove. Se si fosse trattato di una scampagnata in degno stile Winchester, sarebbe tornato ad orari ogni volta diversi, con i vestiti in disordine, le occhiaie a segnargli il viso, un sorriso sornione sulle labbra; oppure non sarebbe tornato affatto fino al mattino successivo.

Tutti i martedì, invece, rincasava dopo un'ora di assenza, puntuale come uno scolaretto, e marciava a testa bassa fino alla sua stanza, limitandosi a lanciarmi una breve occhiata apprensiva.

Dal canto mio, avrei dovuto essere più esplicito, mi riconosco lo sbaglio. Avrei dovuto confrontarlo a pugni stretti e ranghi serrati, senza battere ciglio.

"So che sei arrabbiato per quello che è successo, ma sono preoccupato per te e vorrei sapere cosa ti sta succedendo. Parlami."

Non suonava troppo difficile, in effetti.

Ma se c'era una cosa che avevo imparato negli ultimi anni di indipendenza universitaria era che:


a. Dean non si lasciava aiutare se offertagli una mano. Il che porta al punto

b. Gli esseri umani sono stupidamente orgogliosi.

Anche io sono stupidamente orgoglioso, perché nel mio sentire di meritarmi un minimo di considerazione avevo deciso di stare zitto e aspettare che fosse lui a venire da me a scusarsi; o a prendermi a schiaffi. Non glie l'avrei certo impedito, sapevo di meritarmi anche quello.

Con il passare del tempo, il disagio cominciò a perseguitarmi come un fastidio quasi fisico. C'era qualcosa di storto, scomodo, oserei dire alienante, nel modo in cui mi guardava. Si perdeva per lunghi istanti a fissarmi, quando ci incrociavamo nell'appartamento, come se non potesse più gestire la mia presenza. I suoi occhi mi scrutavano pieni di dubbio, poi mormorava qualche sconnessa parola di congedo e si allontanava senza voltarsi. La situazione che si stava creando mi portò a tenermi a distanza, perché nemmeno io ero tanto certo di come gestirla.

Cominciai a temere che mi chiedesse di andarmene.


Finché, una sera, non tornò con qualcuno. Non riconobbi l'altra persona finchè non la vidi aprendo appena la porta. Ero già pronto ad arrabbiarmi e a sfoderare tutto il sarcasmo tagliente di cui ero capace – sapeva che gli accordi prevedevano che portasse le sue sveltine dove gli pareva, ma non nell'appartamento che condivideva con un'altra persona, cioè io, per l'amor del cielo. Non avevo bisogno di altre difficoltà a dormire, un persistente disturbo da insonnia mi bastava senza che Dean si intrattenesse con la barista di turno nella stanza accanto.

E poi, dopo quello che era successo tra di noi, un comportamento simile mi avrebbe infastidito ancora di più, oltre che privarmi completamente di ritmi circadiani sani. Qualsiasi problema avesse con me non l'avrebbe certamente risolto tenendomi il muso e esibendo le sue "conquiste facili" come trofei di plastica.

Io non ero stato una conquista facile.

Ero stato la sua sfida più difficile, e ora si rifiutava di parlarmi. Da settimane.


Invece era Sam.

Aveva un aspetto piuttosto sano. Di certo, non quello di un tossicodipendente. Forse in quei martedì l'aveva aiutato con la riabilitazione? La possibilità di una risposta così ovvia mi fece sentire stupido per tutti i sospetti che avevo covato.

... una birra?

Mi accontento di un bicchiere d'acqua. Mi spieghi cosa c'è di così urgente?

Bisbigliavano, non volevano che io sentissi. Chiusi piano la porta e mi sedetti con la schiena contro di essa, tendendo l'orecchio.

... Castiel starà studiando. – era tanto che non lo sentivo pronunciare il mio nome, e ne realizzai tristemente tutta la nostalgia.

Un breve sospiro da Sam, che spostò una sedia e si accomodò.

Dean, ne abbiamo già parlato.

Allora gliel'aveva detto. Diavolo. Pazienza.

Lo so, ma ne sono quasi certo.

Ovvio, perché Castiel Novak non faceva altro che studiare, studiare, studiare.

Poi una volta ogni morte di papa si ubriacava e succedevano i peggiori disastri. La voce di questo pensiero aveva una fastidiosa nota canzonatoria.

Come sei arrivato a questo?

La domanda sferzò il silenzio, tagliente come un rasoio. Dean rimase zitto. Cercai di capire, mi schiacciai contro la porta, smanioso di ascoltare.

A malapena mangi. Dean, devi riprenderti, ti stai buttando via come ho fatto io per mesi. Non voglio vederti così. Non voglio essere io lo spettatore.

Rimase in silenzio, quasi sentivo la sua mascella stringersi, i suoi occhi vagare nel vuoto, la fronte corrugarsi. Poi, inaspettato come un fulmine a ciel sereno, un lungo sospiro e un singhiozzo rotto. Ero talmente stupito che non reagii in alcun modo.

Ho combinato un casino.

Lo sai che non è così, non ricominciare.

Un piede colpì il pavimento, la sedia su cui Dean era seduto si spostò un pochino, ricominciarono a parlare ad alta voce. Era irrilevante che fossi proprio lì accanto, evidentemente.

Il senso di colpa era proprio una cosa da lui, distintiva di Dean Winchester come per me lo era l'indifferenza.

Ho fatto un casino. – ripeté con veemenza. – Se non l'avessi convinto a festeggiare per il dottorato, se non l'avessi convinto ad andare in quel pub. Se non l'avessi fatto ubriacare...

Se non... – e qui si fermò. Fui contento che lo fece, perché quelle poche parole ebbero su di me un effetto così devastante che non sentivo nemmeno il sangue rombarmi nelle orecchie o il cuore sfondarmi il petto. Ero letteralmente congelato, schiacciato da un misto di emozioni insopportabili e opprimenti. Mi sentivo troppo leggero, incorporeo, spaventato per muovere anche un solo muscolo.

Se non..?

Sam cercò di suonare il più docile possibile nello spronarlo a continuare.

Dean mormorò qualcosa talmente piano che poteva essere udito solo da chi era con lui nella stanza. Non c'era possibilità che riuscissi a cogliere distintamente una sola parola, ma sapevo che aveva effettivamente detto qualcosa solo perché quell'apparente silenzio fu seguito da altro silenzio, più teso di quanto fosse sopportabile percepire. Traboccante di stupore. Quindi non aveva detto nulla?

In ogni caso, non necessitavo di sentirglielo dire per sapere esattamente cosa avesse detto.

Se non l'avessi baciato.

Diamine. Detto da lui, in quelle circostanze, suonava anche più catastrofico. Ancora appoggiato contro alla porta, nella mia stanza buia, mi interrogai sugli avvenimenti dell'ultimo periodo. Era davvero stato così terribile da renderci incapaci di parlare?

Pensavo che il solo rifletterci mi avrebbe fatto sentire male. Ero nauseato.

Eppure il mio cuore era spoglio di qualsiasi rumore, e non capivo perchè. Non mi sentivo fisicamente agitato, ma la mia mente era in preda alla rabbia e alla tristezza. Desideravo fare irruzione in quella stanza e urlargli in faccia quanto mi sentissi disgustato e miserabile, ma non riuscii a muovere un muscolo. Ogni mio centimetro era quieto, assente, come addormentato. Per la prima volta, quella sensazione di totale distacco di ogni percezione fisica mi preoccupò.

Rimasi lì.

– … Non demonizzarti così, di sicuro non è significato nulla. Eravate ubriachi, no? Magari è stato un incidente.

Infatti. Vorrei che non lo fosse stato.

E ancora silenzio.

Non sopportavo lo stato di gelo in cui il mio corpo era precipitato, era come se la sensazione dondolante del battito del mio cuore mi avesse momentaneamente abbandonato. Ero troppo fermo, e il disagio strisciò lungo la mia schiena. Almeno quello riuscii a sentirlo.

Diamine, Dean... perché non me ne hai mai... – . – Perché non posso! Non ci riesco, Sam, se n'è andato da due mesi e semplicemente non ci voglio riuscire. So che suona stupido, ma ci tenevo veramente a lui, e mi ha prestato quel maledettissimo libro. È tutta colpa di quel libro. So che ci teneva anche lui.

Sam di sicuro non poteva comprendere quanto Robinson Crusoe fosse rilevante nell'intera faccenda, ma qualsiasi dubbio avesse al riguardo preferì tenerlo per sé.

- È per questo che stai vedendo Padre Shurley così spesso? Per essere perdonato?

La sedia su cui era seduto Dean scricchiolò. – Non devo rendere conto a nessuno, figurarsi di un Dio in cui non credo. Non cerco il Suo perdono, o scemenze simili. Il problema è un altro.

Da qui in poi, persi stralci di conversazione.

Quelle parole, quel se n'è andato, provocarono in me una sorta di reazione a scoppio ritardato che, simile a un ritorno di fiamma, mi fece riacquistare in un unico colpo ogni percezione sensoriale.
Uno strano presentimento mi invase, una voce nella mia testa esclamò improvvisamente: c'è qualcosa di tremendamente, assolutamente sbagliato in tutto questo.

E non è quella sera che vi siete ubriacati, o il libro, o questa conversazione. C'è qualcosa che non va in te.

In un tale stato di disorientamento, una chiarissima sensazione colmò il vuoto lasciato dall'apparente staticità del mio cuore. Un dolore acuto al fianco sinistro, come se vi fossi stato preso a pugni il giorno prima e adesso gli organi liquefatti avessero cominciato a decomporsi entro i confini della mia pelle.

Mi scoprii il torace, e notai una cospicua macchia nera che saliva dal bacino ben oltre il lembo tirato della maglietta, fino al petto e alla clavicola. Il dolore non cessò, e quando toccai il gigantesco livido, le dita affondarono nella pelle dove dovevano esserci le costole, trovando al loro posto quelle che sotto all'epidermide sembravano una manciata di schegge. Trattenni il respiro.

Tastai ancora più a fondo con le mani, che corsero sulla pelle come su carta bianca finché non si scontrarono con un'increspatura slabbrata, ruvida. Dovetti alzare ancora di più la maglietta per vedere meglio il taglio autoptico a forma di Y che mi deturpava tutto il torace come segni precisi, quasi fatti a regola geometrica, su una mappa. L'abrasione pulsò una o due volte, le mie orecchie si riempirono di un suono sgradevole, stridente, di gomme sull'asfalto, un clacson, le sirene.

Vidi tutto buio per qualche terribile istante, poi un paio di abbaglianti luci bianche lampeggiarono davanti a me costringendomi a serrare gli occhi, prima di sparire.

Urla e pianti. Uno, due, tre. Quattro. Cinque colpi. Poi il mio corpo si riaddormentò.

Dei conati mi scossero per intero e quando aprii la bocca il sangue uscì copiosamente, dopo tutto quel tempo passato in attesa di venirne liberato.

Un viscido agitarsi contro allo sterno catturò la mia attenzione, ora completamente offuscata dalla paura. Percepii, con sommo orrore, che qualcosa di vivo si contorceva dentro al mio petto.

Mi alzai in piedi e barcollai contro alla porta. La aprii e mi precipitai nella cucina dove Sam e Dean stavano parlando, tenendomi al muro con le mani, lasciando macchie di sangue ovunque. Alla luce della lampada, il mio corpo mi si presentò con la chiarezza di uno schiaffo, distrutto, livido, irrecuperabile.

Dean, aiutami. – la mia voce schioccò nel silenzio attonito della stanza, ma nessuno dei due si voltò a guardarmi. Avrei preferito che Dean mi vedesse e si ritraesse disgustato, mi urlasse che ero un mostro, che dovevo stare lontano da lui.

Avevo bisogno di una reazione da parte sua che negasse ciò che era, tuttavia, tragicamente lampante.

Dean, ti prego. Mi dispiace…

Non si girò. Il sangue continuava a colare fuori dalla mia bocca, gli insetti si dibattevano e brulicavano. In tutto questo, nel sottile panico che si impossessava di me lentamente, gustandosi la mia calma indifferente un minuto alla volta, il mio cuore rimaneva in un silenzio assorto, meditante.


Del resto, ero morto.


Sam, Castiel non c'è più da due mesi, eppure io posso sentire che lui è ancora qui. Sento la sua presenza. Lo sento, che mi guarda. È qui, proprio in questo momento.


E, per un solo istante, mi guardò.




NdA

Niente da dire. Avevo voglia di scrivere qualcosa di abbastanza macabro perché Hannibal fa questo effetto alle persone (ops).

Stay tuned, tornerò assetato di vendetta nei confronti dei produttori.

Buona vita a tutti:)

aDIEU.

   
 
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