C’era ancora un’altra cosa da
sistemare, e ora che Lara stava iniziando ad avere le risposte che voleva,
sentiva che mancava veramente poco per ottenerla completamente.
Era arrivata di fronte al palazzo
dove abitava Sark, e aveva notato le luci accese,
cosa veramente insolita per lui il venerdì sera. Di sicuro era ancora risentito
nei suoi riguardi, ma voleva perlomeno tentare di parlargli.
Un’altra cosa sicura, Lara se ne
rese conto, fu che Julian non si aspettava di vederla
di fronte alla sua porta.
“Che fai
qui?” sbottò.
“Aspettavi qualcun altro?”
“No… entra.”
Lara mosse qualche passo dentro
l’appartamento, e si levò la giacca che appoggiò sulla spalliera del divano.
Notò che sul tavolino lì vicino c’era una bottiglia di vino, vuota per tre
quarti, e un bicchiere.
“Perché sei venuta qui?”
“Non lo so. Forse ti volevo
chiedere scusa… non sono stata pienamente in me durante quest’anno,
e ho l’impressione di commettere errori uno dietro all’altro.”
Sark
non disse una parola, e Lara continuò a parlare, sempre dandogli le spalle.
“Tu e mia madre avete sempre avuto ragione, io non posso resistere in questo
mondo, anche se ci ho provato. Julian, è ancora
valida la tua proposta?”
Sark
non voleva credere alle sue orecchie.
“Lara, davvero hai deciso di
accettare?”
Lara si voltò, e annuì “Sì.”
Lentamente, raggiunse la chiusura
della catenina dove un anno prima aveva messo l’anello
di fidanzamento, la aprì, e porse l’anello a Sark.
“Complimenti, ci sei riuscito.
Non proprio nei tempi che ti eri prefisso, ma ci sei riuscito.”
Sark
sfilò dal dito di Lara la fede nuziale, e mise al suo posto l’anello che le
aveva regalato. La fede Lara la infilò nella catenina
che portava al collo, anche se lui non capiva perché volesse tenerla ancora, ma
non le fece domande. Sapeva solo che finalmente era riuscito a convincerla, e
che avrebbero lasciato quel mondo alle spalle.
“Ci vorrà un po’ di tempo.
Dovremo organizzare le cose.”
“Abbiamo tutto il tempo del
mondo.”
“E poi
voglio che Katarina torni a vivere con te. Non trovo giusto che dobbiate vivere separate. Insomma, tu sei
sua… Lara, che succede?”
Lara si era rattristata in viso
nel sentir nominare il nome della bambina, e Sark le
chiese che cosa le fosse accaduto.
“Non le è successo niente. Ho
solo preso una decisione per il suo bene… quella che mia madre non ha avuto il
coraggio di prendere per me.”
“Cosa hai
fatto?”
“Kathy
non vive più in Svizzera, anzi, dove viva esattamente
non lo so. So solo che l’ho affidata a delle persone che le vorranno bene come
gliene voglio io, e la faranno crescere lontano da tutto questo… lontano da me.”
“Perché,
Lara? Tu adori quella bambina! Non le hai mai fatto
del male!”
“Ah no? Ho dovuto mentirle sulla
morte di Irina, le mentivo in continuazione su quello
che faccio, su dove andavo, chi vedevo, sui lividi che a volte avevo addosso… Katarina è molto sveglia, può fare qualsiasi cosa,
diventare qualunque cosa lei voglia, e non posso precluderle questo solo perché
io ho commesso degli errori. Lei non pagherà per le colpe mie e di mia madre. Mai.”
Gli occhi di Lara erano pieni di
lacrime, e Sark l’aveva abbracciata, lasciando che si
sfogasse. Finalmente le sue distrazioni, gli scatti di umore, e tutte le altre cose avevano un senso.
“Quando…?”
“Appena
dopo il furto di Vladimir. Non avrei mai immaginato che mi facesse tanto male
non vederla più…”
“Quando avremo sistemato le cose
qui, niente ci impedirà come ultima missione di andare
alla sua ricerca. Nessun bambino dovrebbe crescere separato dalla sua famiglia.
Vedrai, Galway è un posto splendido, e tu e Kathy l’adorerete, te lo
prometto.”
***
“Io e Sark
ci sposiamo.”
“Lo credi saggio?” domandò Olena dall’altro capo del filo. “Non ho ancora avuto una
risposta da Vassili su di lui.”
“Di Sark
io mi sono sempre fidata.”
“Quando
avete deciso di sposarvi?”
“Come minimo tra sei mesi, ma
potrebbe volerci un po’ di più. Dobbiamo sistemare molte cose, tra l’agenzia,
il matrimonio, la casa...”
“E il
lavoro che mi hai assegnato, Lara?”
“Continualo. Spero tu arrivi ad
una conclusione entro questo termine, perché dopo non vorrò più sentire parlare
di niente anche lontanamente imparentato allo spionaggio.”
“Farò del mio meglio. Come hai risolto con Smirnoff?”
“Non ho risolto… non nel modo che
intendi tu. Credo mi sarà utile. Tu indaghi dall’esterno, lui dall’interno. Se
prova a fare qualche scherzo lo uccido.”
“Bene. Vassili mi contatterà a giorni, ne sono certa. Così sarai più
tranquilla.”
“D’accordo. Ciao, Olena.”
***
Il responso
di Vassili non arrivò.
Il ragazzo era scomparso dalla
faccia della terra, ed erano ormai due mesi che era partito per il regno Unito
e la Russia, alla ricerca di materiale. Era un comportamento che ci si poteva
aspettare da lui, diceva Olena che lo conosceva bene,
ma non durante una missione. Qualcuno doveva sapere di loro, e delle indagini
che stavano svolgendo.
Il pensiero di Lara corse a Ilir, alias John
Matheson, ma poi si ricordò che era solo un agente di
un’agenzia governativa, e senza gli agganci necessari per entrare in contatto
con gente che potesse conoscere Vassili. Rimaneva solo la talpa, viva, e
ansiosa di farle sapere che non aveva smesso di seguirla, anche se era rimasta
silenziosa fino a quel momento.
Lara, entrando nel suo ufficio,
ebbe per la prima volta il timore che ci fosse qualcuno che ascoltasse le sue
conversazioni, telefoniche e non, e che la cosa potesse
capitare anche a casa.
Alzò la cornetta, e disse a Sergej che sarebbe andata da lui.
“Ciao Lara, in che posso
aiutarti, oggi?”
Sergej
la conosceva da quando era entrata a far parte
dell’organizzazione, come Vladimir, e non si sarebbe mai sognato di chiamarla
‘miss Derevko’ o ‘signora’ come facevano gli altri a
parte Sark e Ilir. Per lui
rimaneva sempre la stessa ragazzina di diciannove anni che era venuta a farsi
spiegare come si caricava una pistola perché non ne aveva
mai vista o tenuta una in mano prima di quel momento.
“Non sono qui per esercitarmi…
non oggi, almeno. Ho bisogno che tu faccia una cosa
per me. Tu rimani sempre per ultimo, qua dentro, e sei il primo ad arrivare,
vero?”
“Sì. Perché?”
“Vorrei che controllassi il mio
ufficio. Ho paura che dovrò ricorrere alla disinfestazione.”
“Disinfestazione… ho capito. Vuoi
che ci pensi io all’eliminazione?”
“No, dimmi solo che hai trovato,
e dove. Penserò io al resto.”
“Come desideri, capo.”
“Ah, Sergej…
Senti, levami una curiosità. Quanti operativi usano una Six Towers, qua dentro?”
“Perché
questa domanda?”
“Curiosità. È una splendida
arma.”
“Se mi
ricordo bene, Smirnoff, Patan,
tu, e qualche altra decina. Non mi ricordo.”
“Non Sark?
Mi sembrava di avergliene vista maneggiare una.”
“No, ne sono certo. La sua è una nove millimetri, la pistola più precisa sulla terra,
come dice Eastwood in quel film. Ci sono forse
problemi?
“Lascia stare. Ricordati della
disinfestazione, Sergej, e fammi sapere.”
Era appena uscita dall’armeria,
che si trovò di fronte Ilir.
Le fece cenno di seguirlo, e la portò nel SL-29.
“Sentiamo, hai
qualcosa da dirmi?”
“Se
scoprono che sto facendo il triplo gioco…”
“Non ti ho mai chiesto di fare il
triplo gioco. Quello che fa la CIA non mi interessa. Che hai da dirmi?”
“Mentre
passavo vicino al suo ufficio, ho ascoltato una telefonata di Sark. Ha fatto imprigionare a Marsiglia qualcuno.”
“Chi?”
“Qualcuno che stava investigando
sul suo conto, credo, la telefonata è stata molto corta.”
“C’è dell’altro.”
“Sì. Proprio qui in questo
sottolivello. Uno degli archivisti ha notato delle cose strane, e ha detto a
me. Io ora lo dico a te. In questo sottolivello sono
stati uccisi degli uomini.”
“Cosa?”
“Sergej
non è l’unico a passare molto tempo qui. L’archivista di cui parlo ha eletto
questo posto come sua casa, e mi ha detto che una
sera, mentre finiva il suo lavoro, ha visto degli uomini portare via delle
sacche… sacche che contenevano corpi. Ne ha contate nove.”
“E
dove?”
John
indicò una stanza in fondo al corridoio.
“Mio fratello è alla scientifica,
diciamo che so cosa guardare e come.”
Aprì la porta, e Lara ci guardò
dentro. Niente, tutto era pulito, e non c’era assolutamente niente all’interno.
Guardò John, e l’uomo accanto a lei raggiunse l’interruttore
e spense le luci.
L’agente era rimasto fermo
accanto a lei, senza mostrarsi troppo impressionato da quanto vedeva. Ma per lei era un’altra cosa. C’erano impronte insanguinate, schizzi di sangue, lungo tutto il pavimento e
le pareti, e nel buio risplendevano di una luminescenza sinistra. Lara aveva
una mano alla bocca, come se volesse evitare di urlare, ma la voce non usciva,
gli occhi fissavano quelle strisce di luce sbarrati, increduli.
“Chiunque sia stato non sapeva
che il sangue non va via semplicemente lavandolo.”
Lara uscì dalla stanza
barcollando, e cercando a tastoni una parete a cui
appoggiarsi. Le mancava l’aria, e sentiva dentro di sé un peso, fatto di urla che non riusciva a sciogliersi.
“O mio
Dio… o mio Dio…”
“Conficcato in un angolo ho trovato
un proiettile. È di una nove millimetri.”
Lara neanche lo stava a sentire. Continuava a non riuscire a credere a quel che
aveva visto.
“La CIA può offrirti la protezione testimoni, Derevko.
Tu stai rischiando la vita qui, inutilmente, e puoi fare di meglio con quello
che sai…”
“Non mi daranno mai la protezione testimoni, signor Matheson,
o Smirnoff, o come diavolo vuoi essere chiamato. Sono nella lista dei dieci maggiori ricercati dalla CIA, sono
perfino evasa da una loro struttura di detenzione. Sai che mi faranno? Mi
sbatteranno in una cella, e sarà questione di giorni, forse mesi se sono
fortunata, prima che decidano di mandarmi a morire con un’iniezione letale o
altro. Tanto vale che rimanga qui e faccia quello che posso
per trovare quel figlio di puttana.”
“Morirai.”
“Certo. Ma
a lui andrà anche peggio.”
Ormai sapeva che sarebbe morta comunque. Quella sua ricerca della verità
non poteva avere altra fine.
***
Vassili fissava la porta della
sua cella.
Da cacciatore era diventato
preda, e la cosa non gli garbava affatto.
Non capiva però a che pro
ingabbiarlo in quel posto. Avrebbero potuto sparargli e buttare il corpo in
mare, invece si ostinavano a tenerlo in vita… forse la sua testa valeva il
rischio, lei e tutto il suo contenuto di informazioni.
Allora perché non lo stavano torturando? Mistero.
In due mesi aveva pensato molto a
chi avrebbe potuto giocargli quel tiro, ma la risposta era sempre quella: il
suo ultimo e misterioso obiettivo. Evidentemente al signore non piaceva che
degli estranei andassero a frugare nella sua vita
passata. Non era scappato fino ad allora perché voleva
avere tempo di fermarsi un attimo, riordinare le idee. E
voleva vedere come si sarebbero evolute le cose per lui. Ora però gli stava
venendo a noia quella sistemazione forzata, e dalla suola della scarpa levò
fuori quello che assomigliava ad un coltello a serramanico. Lo nascose dentro
la manica della camicia che aveva addosso, e attese che venissero
a servirgli il pranzo.
“Ehi, russo, non sei ancora morto
avvelenato?”
Vassili fece un appunto mentale
sul modo di uccidere quell’uomo. Se
possibile, doveva essere lungo e doloroso, tanto quanto era stato per
lui il suo soggiorno con un carceriere del genere.
“Sto parlando con te!” disse
l’uomo, un colosso algerino, sollevando da terra il giovane russo come fosse un fuscello. Vassili lasciò scivolare giù dalla tasca
il coltello fino a quando non sentì l’impugnatura in
mano, e tagliò la gola dell’uomo. L’algerino spalancò gli occhi per la
sorpresa, e incrociò i freddi occhi dorati del suo aggressore
prima di cadere a terra. Continuando a guardare l’uomo morente, Vassili prese la sua pistola e controllò i colpi nel caricatore. Era
ancora pieno, e la cosa lo rallegrò.
Uscì dalla sua cella senza
preoccuparsi di essere visto. Percorse solo qualche metro
prima di sentirsi intimare di fermarsi nella sua lingua.
“No, non mi va.
Ritenta, sarai più fortunato.”
Continuò a dirigersi verso la
fine del corridoio, forte del fatto che l’uomo dietro di lui non avrebbe
sparato. Il loro principale, quasi sicuramente, voleva avere lui l’onore.
Le guardie erano diventate
quattro, una dietro di lui e tre davanti. Che
seccatura, pensò Vassili, alzando lentamente le mani. In un lampo, il coltello
sporco di sangue, nuovamente nascosto nella manica, ritornò nella sua mano.
Vassili si voltò e lo lanciò, colpendo la guardia al cuore.
L’attimo di sorpresa delle altre
guardie fu il loro grande errore. Vassili prese la
pistola che aveva rubato al primo agente morto, e fece fuoco.
Sperava non ci
fosse nessun altro. Odiava lasciare tracce e testimoni
dietro di sé.
Con passo veloce, uscì da quell’edificio abbandonato in mezzo al niente, e prese una
delle auto dei suoi carcerieri. Doveva arrivare a Losanna e in fretta.
Olena Marinovskaja doveva essere furiosa con lui. Vassili deglutì
nervosamente pensando a com’era finito l’ultimo freelance
che l’aveva tradita, ma aveva tutte le attenuanti del caso. E
si sarebbe fatto perdonare con il contenuto della cassetta di sicurezza.
***
Sergej effettuò la disinfestazione, ma di cimici neanche l’ombra.
Lara se lo aspettava, in fondo.
Se mai ci fossero state, ora erano state tolte, visto che
lo scopo era stato raggiunto. Ringraziò l’armaiolo, e ritornò al sottolivello
dove aveva il suo ufficio.
Rimaneva il mistero di quell’esecuzione nell’SL-29. Il
proiettile era di una nove millimetri, ma non aveva
bisogno di esaminare la rigatura del proiettile per sapere che proveniva senza
dubbio dall’arma di Sark. E
decise di andare a dirglielo.
“Per quanto credevi di tenermi
nascosta la verità?” esordì entrando senza tanti complimenti nel suo ufficio.
“Di che parli, Lara?”
“Lo sai benissimo.”
“Sono sotto accusa?” domandò Sark, appoggiandosi allo schienale della poltrona, e
fissando Lara negli occhi.
“Sì. Lo sei.”
“E cos’avrei
fatto?”
“Dimmelo tu” disse Lara, posando
sulla scrivania dell’ufficio di Sark una busta di
plastica con all’interno il proiettile. “È stato
trovato in una stanza dell’SL-29, conficcato in un
angolo del muro. In quella stanza, tra l’altro, mura e pavimento erano completamente schizzati di sangue. Certe tracce non si
cancellano con una semplice pulita.”
“Come lo hai saputo?” mormorò
piano Sark.
“Non ha la minima importanza, Julian.”
Per la prima volta da quando lo
conosceva, Sark non le sembrò padrone della
situazione.
“Lara… non avresti mai dovuto
scoprirlo.”
“Voglio tutta la storia. Adesso.”
“Quando l’agenzia fu
ripristinata, dopo l’attacco, e mi resi conto che tu e il prigioniero eravate scomparsi, mi ricordai che per ogni evenienza tu
avevi nascosto in quel braccialetto che hai sempre un dispositivo di
localizzazione. L’ho seguito, e ti ho liberato. Mentre aspettavo all’ospedale però, ricevetti una telefonata. Avevano trovato tua
madre. Dopo quello che Irina aveva fatto per me e mia
sorella, mi sono sentito in dovere di vendicarla.”
“Quegli operativi avrebbero
potuto dirci molte cose! Per chi lavoravano, per esempio, chi li aveva
assoldati, da chi era partita l’idea! Non sarei qui a farmi tutte queste
domande!”
“Non avrebbero mai parlato. Ho
preferito risparmiarti questa incombenza, amore. Eri
sconvolta da tutto quello che ti era successo… l’attacco, il rapimento,
l’incidente, eri stata anche quasi uccisa con quel
colpo di pistola alla testa…”
“Insomma, ti dovrei ringraziare.”
“Non lo pretendo. Ho solo pensato di proteggerti, non volevo ingannarti.
Credimi.”
E Lara gli
credette. Desiderava credergli con tutto il cuore.
Ma
quelle ultime parole le avrebbe ricordate a lungo.
Erano passati da casa sua perché
doveva mettere in cassaforte dei documenti, ma quando arrivarono di fronte alla
porta si resero conto che era aperta, e la serratura
scassinata.
La casa di Sark
era stata rivoltata e messa a soqquadro. I cassetti erano svuotati e il
contenuto sparso sul pavimento, altri una volta chiusi a chiave portavano i
segni di un ferro da scasso. La cassaforte, dietro un quadro ora squarciato,
era aperta e vuota. Gli altri locali non erano certo in migliori condizioni.
Lara pensò che le invasioni barbariche di Unni e
Vandali di sicuro aveva fatto meno danni. Sembrava un tentativo di rapina, a
giudicare dalla scomparsa del denaro in cassaforte e degli oggetti di pregio
che Sark collezionava, ma non riusciva a capire
perché stesse letteralmente sbiancando. Sembrava in preda al panico, e neanche
questo Lara immaginava di lui.
“Dobbiamo chiamare la polizia.”
“Se è
una battuta non fa ridere.”
“Viviamo con un altro nome, ricordi?
Non è Julian Sark ad essere
stato rapinato, ma Victor Ramsey.”
Sark
sembrava averlo scordato, ma non voleva assolutamente coinvolgere la polizia di
Taipei. Lara lo aiutò a mettere un po’ d’ordine in
quel caos, una cosa che come minimo avrebbe preso tutta la sera.
“Non occorre che resti, Lara.”
“Hai bisogno di
aiuto, e non dire di no” disse Lara, posando soprabito e borsa e
iniziando a raccogliere dei libri.
Il cellulare di Lara suonò qualche
minuto dopo. Olena.
“Pronto?”
“Lara, sono io. Vassili è qui.”
“Michelle?
Ciao! Mi dispiace che non potremo più essere in affari insieme…”
“Non puoi parlare?”
“No. È una decisione
irremovibile. L’agenzia non si può ancora permettere di riallacciare la branca
africana, assieme a quella europea.”
“Allora ascolta solo. Vassili era
stato rapito e tenuto imprigionato per mesi, ma è scappato e mi ha fatto avere
le informazioni che ha raccolto in giro per l’Europa.
So chi ha ucciso tua madre, e chi ha organizzato il commando.”
“Da-Davvero?
Oh, ma è una notizia incredibile…”
Coprì il microfono con la mano e
si rivolse a Sark, che la guardava con aria
perplessa.
“È Michelle
Dahlgren. Città del Capo.”
“Ah, capisco. E
qual è questa notizia?”
“Si sposa.”
“Falle le mie congratulazioni,
allora” disse, portando fuori di casa due sacchi pieni di roba rotta ormai da
buttare. Lara aspettò di non sentire più i suoi passi, e chiuse piano la porta
di casa.
“Parla, Olena,
ma in fretta. Chi?”
“Lara, preferirei non dirtelo per
telefono.”
“Chi?”
Olena
fece un respiro profondo. Avrebbe preferito farla sedere e ubriacare di vodka,
perché la notizia le avrebbe fatto molto, molto male.
“Lara, il mandante dell’omicidio di Irina e del commando che ha semidistrutto la tua agenzia
è un’unica persona… e io credo che tu sappia a chi mi sto riferendo. È Sark.”