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Autore: JacobStark    10/06/2017    2 recensioni
ATTENZIONE, IL CAPITOLO 7 E' STATO RICARICATO A CAUSA DI UN PROBLEMA DEI SERVER
Davanti a lui c’era una ragazza dall’aria stranamente familiare, profondamente addormentata nonostante le urla di Akane. La dormiente era rossa di capelli, ben dotata, snella ma muscolosa e cosa più importante, o imbarazzante, Ranma sul momento non seppe dirlo, era completamente nuda.
Ma la cosa che riuscì a pietrificare il ragazzo fu un’altra. Perché il volto, il volto era quello di lui in forma di ragazza!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nuovi fiori sbocciano a Nerima

 

Ran-chan

Quella mattina si era svegliata presto, e, tramite Kasumi, che l’aveva accolta con un sorriso e la colazione, aveva saputo che Tofu voleva vederla per dei controlli. La recente battaglia e il risveglio del Ki sopito avrebbe potuto influenzare in qualche strano modo la sua amnesia. Mangiò di gusto e decise di sbrigarsi con la visita medica, in modo da riavere un po’ di quella che, almeno per lei, era normalità. Fece velocemente la strada, un po’ saltando un po’ correndo, stando attenta  a non entrare nei giardini altrui. Dopo un paio di volte che l’avevano sgridata aveva imparato la lezione. Quando arrivò alla clinica si ritrovò a dover aspettare. Tofu l’avvertì che era meglio se aspettava in sala d’attesa, era arrivato un paziente abbastanza grave. «Ok, posso dare una mano?» «No, grazie. Lui è molto riservato, e mi ha chiesto di non far sapere in giro delle sue condizioni.» Inutile dire che la cosa fece solo incuriosire di più Ranma, che però si sedette su di un divanetto e, mentre Tofu stava per rientrare nello studio, si ricordò di una cosa. «Dottore, mi sono dimenticata. Kasumi ha detto di chiederle quando era libero, voleva parlare con lui di una cosa.» Troppo tardi si rese conto dell’errore commesso. Continuava a dimenticare che Tofu tendeva ad andare in tilt quando si parlava della maggiore delle Tendo. Ed infatti: «Devvero? Parlumi vuole Kasare con me?» disse, dirigendosi verso lo studio e schiantandosi contro la porta, chiusa. «Forse è meglio che io la accompagni finché non si riprende.» disse, alzandosi e facendo finalmente centrare la porta al dottore. Quando entrò vide qualcosa di inquietante. Su di un lettino, con la schiena coperta di bende, c’era, con i suoi inconfondibili capelli color neve, Artorias. A giudicare dal sangue che macchiava le bende doveva avere una gran brutta ferita. E non era la prima. Il corpo del giovane era coperto di vecchie cicatrici. C’e n’erano per tutti i gusti, segni di artigli, tagli da lama, addirittura dei buchi che sarebbero potuti essere colpi di proiettile. Era inquietante quante fossero. Prima che potesse fermarsi, e che Tofu potesse fermarla, appoggiò la mano, lasciandola scorrere e sentendo i muscoli possenti di lui contrarsi sotto le sue dita. Era come se reagisse direttamente al suo tocco. Si accorse che era addormentato. Poi Tofu la fece indietreggiare. «E’ stato portato qui ieri sera, dopo l’assalto alla fortezza. A quanto pare ha affrontato qualcosa che è riuscito a ferirlo nonostante la sua forza. Questo ragazzo ha una pelle a dir poco d’acciaio, ho fatto fatica persino a ricucire la ferita. Non pensavo che il corpo umano potesse raggiungere certi livelli Comunque ho usato l’agopuntuta per metterlo a dormire, ne ha bisogno. Gli cambio le bende spesso, ma ha chiesto di tornare a casa. Perché dopo l’esame non lo accompagni tu? Mi sentirei più tranquillo a sapere che c’è qualcuno con lui.» Ranma era contenta. Non avrebbe potuto sperare in una direzione più interessante per la sua giornata. Poi il dottore le fede alcune domande noiose, ma capiva di dover avere pazienza. La recente battaglia e gli sforzi del risveglio del Ki tuttavia non avevano avuto nessun effetto sulla sua memoria. La visita si concluse, e subito dopo, con molta calma, Tofu svegliò Artorias, rimuovendo diversi aghi dal suo corpo. Il ragazzo si rialzò massaggiandosi la testa, ancora un po’ rigido. «Grazie doc, mi spiace averla costretta ad usare gli aghi, ma i sedativi difficilmente hanno effetto su di me. Allora, posso tornare a casa?» Tofu lo guardò, esasperato. «Si, ma preferirei che ti accompagnasse qualcuno e…» «Guardi, sono spiacente ma a casa mia hanno da fare oggi, quindi credo che dovrò cavarmela da solo.» «… e- fece Tofu, fingendo di non essere stato interrotto- guarda caso oggi Ranma era passata per una visita di controllo. Magari potrebbe accompagnati.» «Non ho certo bisogno di una balia, ma se la fa sentire più tranquillo va bene.» disse il ragazzo, mentre lei origliava da dietro la porta. Si rimise a sedere, fingendo di non sapere nulla. Artorias, quando la vide, rimase di stucco. «Ranma? Avevo capito male, pensavo che fossi tuo fratello, mi dispiace.» «Come diavolo hai fatto a confonderti?» «In giapponese non usate il genere per specificare il sesso di una persona. E sia tuo  fratello che tu avete non solo lo stesso nome, ma è anche un nome valido per entrambi i sessi. Da qui la mia confusione. Bene madamigella, andiamo?» Ranma si sentì attraversare da una scossa. Non l’avevano mai chiamata madamigella, le sembrava di ricordare che fosse un modo galante di dire ragazza in Europa. Vedere un ragazzo così gentile e galante le faceva uno strano effetto, considerando che tutti gli altri ragazzi in giro per Nerima o avevano fifa di suo fratello oppure erano dei cascamorti fastidiosi. 

Passeggiare accanto a lui era piacevole e strano, perché, nonostante la sua ferita, era dritto in piedi, come se non ne risentisse, ma non mosso da uno sconfinato orgoglio come suo fratello. Era come se gli risultasse naturale. Arrivarono in poco tempo alla casa del ragazzo, dove venne accolte dalla cameriera automa, che però sembrava stanca e debilitata almeno quanto Artorias, se non di più. «Lei, in quanto legata ha me, condivide un frammento della mia anima. In questo momento sta prendendo la maggior parte del mio dolore su di sé. In quanto automa non lo percepisce naturalmente, ma è come se fosse… scarica. Ogni volta che la guardo mi sento male per lei. Non riesco a pensare a quanto dolore mi stia risparmiando.» Spiegò Artorias, osservando l’automa con uno sguardo preoccupato. Anche Ranma la guardò con uno sguardo triste. Quell’automa l’aveva visto in battaglia, l’aveva vista sprigionare una potenza assurda, e vederla ora, così debole da riuscire appena a preparare un the. «Ascolta Ranma, avrei bisogno di un favore molto grande. E’ imbarazzante chiederlo ad una ragazza, e normalmente lo farebbe l’automa, ma ho assolutamente bisogno che tu mi metta un unguento speciale della mia famiglia. La ferita che ho subito è molto più spirituale che fisica, anche perché non mi ha trafitto Kuno, ma i demone che risiedeva nella spada. Era forte, ed io l’ho sottovalutato. Potresti farmi questo favore?» disse, infilandosi dietro ad un paravento e si sfilò la maglia, prendendo poi un barattolo pieno di un unguento profumato. Ran-chan non aveva avuto nemmeno il tempo di dare una risposta, che si ritrovò nella condizione di non poter rifiutare. Si sedette accanto a lui, preparandosi a svolgere le bende. Come aveva visto prima il corpo di Artorias era coperto di cicatrici, e, nel punto in cui si trovava la ferita fresca, si ramificava, oltre che il sangue, un sottile reticolo nero, che sembrava scendere in profondità nella ferita, che l’aveva trapassato da parte a parte, senza però sfiorare gli organi, per pura fortuna. Piano piano, seguendo le istruzioni, Ranma applicò l’unguento, spingendolo, per quanto fosse possibile, in profondità nella ferita, vedendo, in tempo reale, la ragnatela nera ritirarsi, come se avesse orrore del medicinale. «Cosa diavolo c’è in questo unguento?» chiese, curiosa. «AH- mugolò lui, dopo che lei aveva spinto troppo forte.- E’ un antica ricetta di famiglia, un misto di strozzalupo, miele d’aglio e bacche di biancospino, più alcune sostanze alchemiche segrete. Serve ad aumentare la rigenerazione dei tessuti e a tenere lontana l’oscurità.» spiegò lui, che intanto si era girato per farle applicare l’unguento al retro della ferita. «Senti, mi puoi dire che ci fai in Giappone?» chiese la rossa, curiosa. «Siamo venuti ad espandere l’attività di famiglia, non l’avevo già detto?» «Si, ma che ci fai tu qui. Perché hai scelto questo paese?» chiese, mentre lo bendava. «Volevo allontanarmi dalla mia famiglia. Gli Stark sono… soffocanti, pieni di tradizioni, regolamenti. Certo, questi ci permettono di funzionare da diversi secoli, ma è faticoso. Una delle regole è quella di potersi sposare solo con persone forti ed abili almeno quanto noi, almeno nelle capacità fisiche. Oppure ci sono regole molto severe sull’istruzione dei bambini, sopratutto per quelli appartenenti alla famiglia reale. Allontanarsi da loro significa, almeno in parte, sfuggire a quel controllo.» Finì la frase e si rialzò, evidentemente più in forma di prima. Anche la Maiden, che era arrivata con il the, sembrava più tranquilla. Poco dopo arrivarono anche Elsa ed Alberto, insieme alla cameriera di lei. «Ranma, che piacere vederti! Ti stai già prendendo cura di mio fratello? Guarda che ci sono parecchie cose da fare prima di mettervi insieme!» disse, sorridendo. Ran-chan, rossa in volto come i suoi capelli, allo stesso tempo notò che la ragazza non aveva perso la sua compostezza nel suo prenderla in giro. Fece quello che le riusciva meglio quindi. Attaccò a sua volta. «E tu? Ti accompagni al dottor Jones?» (Akane l’aveva praticamente costretta a vedere tutti i film, ma l’unica cosa che ci aveva trovato la rossa nel divo era lo stesso carattere del fratello ed una somiglianza spaventosa con Galipò-san.) Elsa arrossì, scambiando uno sguardo con il castano. Poi passò a guardare suo fratello, quasi spaventata. Per tutta risposta lui le fece un sorriso e si mise a ridere. «AHAHAHAH-Ahi!- disse, mettendosi una mano sulla ferita- Cosa mi guardi sorella, è compito mio esaminare gli eventuali pretendenti alla tua mano, e direi che, se lui regge con nostro padre, che è più che adatto. Spero però che tu ti sia ricordata di fare rapporto alla sede principale, perché io non sono ancora nelle condizioni di fare molto. Sono a mala pena riuscito a tornare a casa, ed il medico mi ha detto di stare a riposo, almeno per un po’. Dovrete occuparvi voi di alcuni affari che…» Ran-chan, confusa e imbarazzata scappò approfittando della distrazione generale. Si rifugiò fuori, chiedendosi come mai avesse fatto una cosa del genere, come gli fosse venuto in mente di mettersi a fare quelle cose con un ragazzo che conosceva da pochissimo tempo. Ma cosa le passava per la testaaa! Si chiese, scompigliandosi i capelli e agitandosi come una matta. Decise che gli ci voleva una dose si allenamento eccessivo. 



Un paio di giorni dopo, a casa Stark

Artorias era impegnato nella parte più tediosa del lavoro, ovvero occuparsi delle scartoffie. Nei due giorni di malattia se ne erano accumulate parecchie. Elsa aveva fatto il possibile, ma molti documenti e simili necessitavano della sua firma ed approvazione. Mentre scartabellava tra le scartoffie trovò una lettera. Era una lettera proveniente dal Giappone stesso, ma non portava simboli governativi o simili. Profumava di incenso e fiori, così intensamente che Artorias cominciò a starnutire come un pazzo. Lesse il mittente, ed un sorriso gli compare sul volto. Una cosa stava andando al suo posto, era tanto che quell’ospite doveva arrivare, ed era proprio il caso di prepararsi. Avrebbe fatto di tutto per allontanarsi dalla scrivania, ed uscì veloce come un fulmine nonostante le ferita, ordinano alla cameriera di preparare la sala da ricevimento e di avvertire la sorella di prepararsi in armatura, in modo da accogliere l’ospite con tutti gli onori. 

La ragazza Stark si limitò a sospirare, pensando a quanto suo fratello sapesse essere irresponsabile e irrazionale a volte. Quando suo fratello le passò la lettera vide che, tuttavia, l’occasione richiedeva davvero una certa preparazione. Una vecchia conoscenza dei loro genitori. Insomma, Elsa aiutò a mettere insieme un piccolo ricevimento. Nel primo pomeriggio arrivò la loro ospite. Era una donna sulla quarantina, nonostante l’età ancora di una bellezza folgorante. Aveva i capelli castani raccolti sulla testa con un fermaglio simile ad una farfalla, e due profondi occhi dello stesso colore. Indossava un kimono azzurro, ed Elsa rimase colpita dall’eleganza con cui vestiva un abito così semplice. Lei e suo fratello indossavano le corazze d’ordinanza, una di cuoio e acciaio per lui, una seta intrecciata e altrettanto metallo per lei. Anche se non sembrava la seta intrecciata era robusta quanto il cuoio lavorato di migliore qualità. «Benvenuta nella nostra casa. A nome degli Stark di Flott Vinter, le rinnovo il benvenuto, Nodoka Higurashi.» La donna, seduta davanti a loro, era leggermente a disagio su di una sedia, palesemente abituata a sedersi a terra, in ginocchio. Elsa le sorrise, in modo da farle notare che lo sforzo era stato apprezzato. La donna le sorrise di rimando, riempiendola di calore. Era una sensazione che solo i, rari, sorrisi della madre le avevano dato. Artorias riprese i convenevoli. «Sono lieto di accogliervi in casa nostra, dopo che voi avete accolto i nostri genitori tanti anni fa.» Poi Nodoka rispose: «Ed io sono lieta di essere accolta qui. Ed infinitamente dispiaciuta di non poter tenere fede al patto simulato con i vostri genitori. purtroppo ho generato un solo figlio, e mio marito aveva preso accordi ben prima della sua nascita. Magari parlandogli potrei convincerlo ad accordarci per la prossima generazione e…» Artorias la fermò, alzando le mani. «Non è un problema Higurashi-sama. In fondo possiamo aspettare. Se suo figlio conosce l’onore sono certo che potremmo organizzarci, anche creando una casata cadetta. Non è importante, siamo solo lieti che lei sia qui con noi.” I convenevoli continuarono, presero un tè e si congedarono, dopo aver promesso di rivedersi presto, magari con la sua famiglia al completo. La donna uscì, salutandoli e recuperando la katana che portava avvolta in una stola rossa, di un tessuto curioso, simile a pelliccia intrecciata. Elsa si rivolse al fratello: «Stai pensando a Ran-chan e alla fortuna che hai avuto a non avere una ragazza da sposare, vero?»  disse la bionda, con un sorrisetto sardonico sul volto. Artorias, che stava riflettendo su una certa cosa, si riprese. «No, pensavo che Higurashi-sama somiglia una sacco hai fratelli Saotome. Ed anche Ranma mi aveva accennato che sarebbe passata a trovarli la madre.» «Fratello, deve essere un’incredibile coincidenza. Per quale motivo una donna come lei avrebbe mai dovuto mentire? E su di una cosa così evidente poi. Insomma, viviamo davanti a loro, ce ne accorgeremmo subit…» Elsa non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che un urlo delle signora Nodoka la interruppe. Davanti a lei, svenuta allo stesso modo, Ranma. Entrambe avevano un espressione stupita e spaventata sul volto. Gli Stark, che, nonostante fossero nobili e tutto erano andati a vedere cosa succedeva sul tetto, si stupirono nel vedere Ranma e suo padre portare le due donne. Inutile dire che Artorias, nonostante le ferite, saltò a terra, chiedendosi cosa sarebbe successo.


 

Ranma

Quello che era successo non sarebbe dovuto succedere. Sua madre e sua sorella si erano, incontrate. Era appena riuscito a sentire sua madre, così diceva suo padre, «Ciao bella ragazza, chi sei?» «Salve signora, io mi chiamo Ranma Saotome. Sono ospite in questa casa, e sono figlia di Genma Saotome. Lei chi è?» Sua madre era svenuta, e, senza apparente motivo, sua sorella pure. Insieme a suo padre le portò dentro, tentando di tenere separate le due donne. All’improvviso Ranma si ritrovò davanti il loro vicino. «Allora, me la spieghi questa?» disse, con il suo solito sorriso storto. «Questa quale?» chiese il moro, che non capiva. «Tua madre è Nodoka Higurashi, una persona a cui la nostra famiglia deve moltissimo. Con i nostri genitori, in particolare, aveva stretto un patto secondo il quale ci sarebbe stato un matrimonio. Ci è venuta a trovare poco fa, affermando di avere avuto un solo figlio maschio, che il marito aveva preteso di far sposare per un’altro patto, e lei, fedele al suo desiderio di essere una…- fece una pausa - …come si dice in giapponese…- continuò a tentare di ricordare- … Insomma una moglie giapponese perfetta, decise di non contestarlo. Quindi spiegami da dove salta fuori tua sorella. E non te la cavi con la scusa* di un’amnesia, perché è impossibile che si ricordai solo di te. E nemmeno con quella dell’adozione, perché voi due siate uguali a lei. Quindi…» poi lo afferrò per la maglia e lo trascinò via. 

Poco dopo erano nuovamente al parco, impegnati in una seria conversazione. Gli raccontò tutto. La scissione, il suo rapporto con la gemella comparsa all’improvviso, le deduzioni di Tofu, la loro scelta (sua e di Akane) di non far sapere nulla a nessuno, e soprattutto Ran-chan. Di come si fosse  affezionato a lei nonostante la stranezza della situazione. Questo discorso era stato molto diverso da quello che aveva fatto con Akane. Era stato uno sfogo, condito da continui “non ci crederai mai” e “ti giuro che non sono pazzo.”, ma Artorias non sembrava nemmeno farsi il problema. Lo ascoltò con attenzione, concentrato, come se cercasse di capire qualcosa. Poi sorrise nuovamente. «Non avrei mai detto che mi sarei ritrovato davanti ad un mistero del genere. La divisione in due identità distinte di una persona maledetta da qualcosa. Ed una delle due metà è veramente bella.» Ranma guardò il suo nuovo amico con uno sguardo inquieto. «Artorias…» «Ehi, indipendentemente dalla vostra storia originale, ora siete persone diverse. Lei è diversa da te, per quanto siate simili fisicamente, e la cosa più importante è quella. A prescindere da tutto voi due siete qualcosa di talmente unico che varrà sempre la pena di starvi intorno. Quindi dobbiamo solo trovare una scusa decente per tua madre. Magari una bella maledizione.» disse, facendo perdere un colpo a Ranma. Troppe né aveva subite a causa delle maledizioni. 

Quando tornarono a casa la scena che lo accolse era a dir poco paradossale.  C’erano Akane, Elsa, Ranma e sua madre che prendevano il the sedute tutte assieme, calmissime. Quello che stava succedendo era al limite dell’assurdo. Pregò che Akane non avesse avuto uno dei suoi attacchi di sincerità mista ad idiozia. «Ciao fratellone, perché non mi hai detto che mamma veniva a trovarci? Mi sarei preparata.» Ranma rimase allibito da quelle parole. Ed il peggio fu la risposta di sua mamma. «Ranma, tesoro, mi è dispiaciuto non rivedere entrambi i miei bambini qui.    Sono così felice di vedervi.» disse. Sua madre gli somigliava molto, come si era aspettato, ma a vederla vicino a sua sorella la loro somiglianza era davvero smaccata. Aveva uno sguardo dolce, ma velato da una vena di freddezza, come se stesse ancora cercando di capire qualcosa. Purtroppo Ran-chan era troppo entusiasta per notarlo, e lui certo non le avrebbe guastato la festa. Sorrise anche lui, ed abbracciò la madre. Profumava di orchidee, di dolci e di, di… qualcosa di buono. Era bello. Solo un poco meno bello che con Akane, e questo era da considerarsi un complimento niente male. Ci stette a lungo in quell’abbraccio, godendoselo appieno. Percepì suo padre che si avvicinava, e si distrasse un attimo per infliggergli uno sguardo del tipo “intromettiti e ti pesto a sangue”. Era troppo bello per essere interrotto da qualche folle idea di quello scemo. Si gustò l’abbraccio ancora per un po’, per poi forzarsi a lasciare due delle tre donne più importanti della sua vita. La terza era Akane, ma non era momento di abbracciare lei. Poi. Poi avrebbe avuto tutto il tempo. In quel periodo si stupiva sempre di quanto pensasse ad Akane. Non che prima non ci pensasse, ed anche spesso, ma ultimante, nonostante tutto, la sua mente era occupato dal pensiero fisso della sua fidanzata. Si chiese se non stesse diventando leggermente maniacale, ed in quel caso era meglio darsi una calmata. Alla fine si staccò da loro, e dovette subire i rimbrotti da parte di entrambe, l’una per non averla avvertita che veniva loro madre a trovarli, l’altra per non aver menzionato l’amnesia della sorella e figlia. «Allora, come stai mamma?» chiese lui, tentando di fare una domanda che non sembrasse troppo banale o stupida. «Io sto bene, e sono così contenta di avervi qui. Poter riabbracciare i miei amati bambini non ha prezzo. Sono felice di sapere che la tua fidanzata è una brava ragazza come Akane. E tu, bambina mia.- disse, rivolta a Ran-chan- Se non fosse per ciò che ha fatto tuo fratello per renderti libera avrei già il fidanzato perfetto per te.» disse, rivolgendo uno sguardo significativo ad Artorias, che però fece un ceno con la testa, come per dire che non importava. Ranma, rossa come i suoi capelli, balbettò «M-ma cosa dici mamma! Io, io non sono pronta. Ho appena perso la memoria, sto cercando di capire cosa voglio fare, dove voglio andare e, e…» Nodoka si limitò a sorridere. «Oh, tranquilla tesoro. Intendo far sposare entrambi i miei figli lo stesso giorno, quindi rimandiamo il matrimonio del mio ragazzo finché anche tu non avrai trovato un uomo degno di te.» Immediatamente Genma tentò di ribattere «Ma cara, la palestra, la successione..» «No. Ti sei portati i miei figli in giro per il mondo decidendo per me e per loro, ora reclamo la mia autorità di madre e decido che voglio una doppia cerimonia per entrambi i miei figli.» disse Nodoka, con una calma ed una fermezza tali che Genma non poté ribattere. Si limitò a stare zitto, osservando la sua  famiglia riunita. Ranma non sapeva dire se il suo sguardo era felice o preoccupato, ma decise che in quel momento avrebbe potuto ignorare l’espressione di suo padre. 

Alla fine della giornata però riuscì a farsi spiegare da suo padre cosa era successo. O meglio, cosa non era successo. Di fatto quando sua madre si era svegliata aveva chiesto dove fossero i suoi figli. Entrambi, sia maschio che femmina, come se li avesse messi al mondo lei e li conoscesse da sempre. Ran-chan naturalmente era stata più che felice di abbracciare sua madre, una volta spiegata la situazione. Come previsto, la situazione era paradossale, forse addirittura oltre gli standard di Nerima. Il che era tutto dire, considerando che razza di cose accadevano da quelle parti. Ma era andato tutto fin troppo bene, e la cosa lo insospettiva parecchio. 
 

*Io preferivo “supercazzola”, ma non c’entrava molto con il resto delle parole.


 

Akane

Quella giornata era realmente stata una delle più assurde. Conoscere la mamma di Ranma, vedere lo strano modo in cui lei aveva accettato la presenza di una figlia apparsa dal nulla, vedere loro tre finalmente riuniti, vedere la tenerezza con cui li aveva abbracciati, aveva sentito come un colpo al cuore. Sapeva che la colpa era del fatto che lei non aveva ricordi di quel tipo. Non ricordava quasi nulla di sua madre. Il calore di un sorriso,  un vago profumo dolce, la morbidezza di una mano che le accarezzava il viso. Tutto questo le mancava ancora di più di quello che credeva. Guardò le sue sorelle, e si rese conto che anche loro sentivano la stessa cosa. Dovette notarlo anche la signora Nodoka, e la cosa la colpì, tanto che, dopo aver liberato i figli dal suo abbraccio, invitò anche loro tra le sue braccia, con una piccola scusa «Venite qui, se saremo parenti voglio abbracciare anche la mia nuova nuora e le sue sorelle.» Akane e le sue sorelle si guardarono per un attimo negli occhi, per poi avvicinarsi alla donna ed abbracciarla. Ed Akane lo sentì. Non era lo stesso di sua madre, ma era tanto tanto simile. Era calda, e profumava di buono. Quell’abbraccio gli fece piacere, ma gli fece anche ricordare ancor di più quanto le mancasse sua madre. 

Alla fine si sciolsero dall’abbraccio, ma la sera si accorse che Ranma, dopo che si erano incontrati sul tetto, non ci era rimasto bene. «Non è giusto. Persino quando mia madre torna tu riesci a rubarmi un abbraccio.» Era cupo, ma non così tanto rispetto a quello che Akane temeva. Sembrava quasi che volesse un rimborso. «Ma tua madre ci ha chiesto…» «Non mi interessa- Ranma le avvinghiò un braccio intorno al suo collo e la avvicinò a sé- ed ora voglio qualcosa in cambio di quell’abbraccio che TU e le tue sorelle mi avete rubato.» gli bisbigliò nell’orecchio, facendole salire un brivido lungo la schiena. Strofinò la guancia contro quella di Ranma, e questo causò un brivido a lui. 

«Oh, ma che carini! Allora il mio bambino ha trovato la ragazza per lui. Siete due bravissimi attori, sapete?» Nodoka Saotome-Igurashi (aveva tenuto anche il cognome da ragazza) li stava osservando nel buio, compiaciuta. E l’unica cosa che Ranma riuscì a dire fu «Ciao mamma.»

 

 

 

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Salve a tutti i miei lettori. 

È mezzanotte e mezza e questo capitolo è in lavorazione da quando è uscito il precedente. Ho fatto altro nel frattempo, e sopratutto ho il simpatico problemino dell’esame di maturità che mi sfiata sul collo. Quindi ho un bisogno spasmodico di fare qualcosa che non sia studiare, e la sera ho solo il tempo (e la forza) di scrivere. Quindi spero, spero davvero che il capitolo vi piaccia, che vi piaccia la relazione che si tra creando tra Ran-chan ed Artorias, che vi piaccia la mia idea sulla mamma di Ranma, che vi piaccia tutto insomma. 

Un saluto a tutti i miei lettori ed eventuali recensori dal vostro 

Jacob Stark di Grande Inverno

  
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