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Autore: ayamehana    11/06/2017    2 recensioni
[Prima classificata parimerito al contest "Le Carte Delle Streghe" indetto da meryl watase sul forum di EFP]
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Yusaku Godai è un semplice studente universitario, che viene preso continuamente in giro dai suoi coinquilini. Kyoko, invece, è la naiade di uno stagno, che si trova in un giardino nascosto agli occhi di tutti. I due si conosceranno un po' per caso e, tra incomprensioni, incontri fugaci e allenatori troppo invadenti, matureranno una sorta di amicizia... che, nel corso del tempo, si trasformerà in qualcos'altro.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa dell'autrice: In questa storia, nomino più volte un giardino segreto, ma non ho mai fatto menzione esplicitamente dove si trova e come Yusaku vi sia arrivato. Dunque, vi prego di immaginare questo posto  al centro di una sorta di boscaglia, che si trova in un parco non molto distante dall'appartamento del nostro adorato protagonista. Molte leggende, magari, narrano che non bisogna avventurarvisi, perché potrebbero accadere strani avvenimenti - in fondo, sapete come sono le persone, sempre credulone alla minima sciocchezza.
Adesso immaginate questo povero studente, che si è trasferito a Tokyo per studiare e scopre questo giardino, senza aver la minima idea di quali strambe dicerie girino a riguardo.
Bene, per le altre spiegazioni, ci troviamo a fine storia.

Ringrazio, come sempre del resto, la mia betareader, Napee, per aver corretto e revisionato il tutto! Sei sempre la migliore!

 
I personaggi di questa oneshot sono tutti maggiorenni e appartengono al genio di Rumiko Takahashi.
L'immagine, che ho inserito, invece, l'ho presa da internet, visto che io non so disegnare. Giusto per screditarmi.

 

 

COME UNA NINFEA

Poche gocce di nostalgia |
non possono riempire mai |
questo stagno mio di follia, malinconia |
di te...
 
Questo luogo è deserto, esattamente come l’ultima volta che vi ho messo piede.
Una nuova primavera è alle porte e sugli alberi sono già spuntati i primi boccioli dei fiori di ciliegio. Presto sarà periodo di hanami e, anche quest’anno, mi sarebbe piaciuto rimirare la fioritura insieme a te.
Te, che da qualche mese a questa parte, non ci sei più.
Attraverso questo giardino incolto, con le erbacce che crescono alte e che mi solleticano le caviglie, e mi siedo accanto alla riva del tuo stagno. Osservo un raggio di sole, che penetra nelle tue acque torbide, generando una pioggia di luci dorate. Le ninfee, bianche e rosa, vi galleggiano sulla superficie, circondate da quelle loro grandi foglie verde scuro con cui eri solita coprirti, quando eri imbarazzata. Ricordo che una volta me ne lanciasti una contro, urlandomi che ero un depravato. Eri così buffa!
Sorrido, prima di prendere il mio album da disegno e posizionarmelo sulle ginocchia. Dopo tanto tempo, credo di essere ispirato. Forse, riuscirò finalmente a completare il mio progetto e a consegnarlo prima della scadenza. Sai bene che non sono mai stato bravo con le deadline. Sarà anche per questo che i coinquilini del mio palazzo mi considerano ancora un ronin, un fallito.
 
 
La prima volta che ti vidi eri immersa nelle acque torbide del tuo stagno. L’acqua ti arrivava alle cosce, lasciando scoperta una porzione generosa del tuo corpo.
Un raggio di sole filtrava attraverso le fronde degli alberi, illuminando d’oro quella tua lunga chioma dalle sfumature bluastre. Capii subito che c’era qualcosa di strano in te. Lo capii da quelle bizzarre creature bianche, che ti svolazzavano intorno, intrecciando i tuoi capelli con i fiori di loto. Tu ridevi e, dispettosa, spruzzavi loro addosso l’acqua del laghetto. Kami, avevi un sorriso talmente luminoso, da oscurare persino la luce del sole! Ne rimasi così folgorato, che decisi di ritrarlo. Forse, avrei persino potuto presentarlo per quello stupido compito, che mi avevano assegnato all’università.
Afferrai la matita: volevo riportare sulla carta tutte le sfumature del tuo volto, gli occhi grandi e docili, il naso perfetto, le labbra sottili a cuoricino.
Fu in quel momento che tu ti accorgesti di me. Mi guardasti per un breve momento e sul tuo viso passarono una serie di espressioni, di stupore, di curiosità… e infine, di rabbia. Lanciasti un urlo, che mi trapassò le orecchie da parte a parte, e ti tuffasti nell’acqua a coprire quel tuo corpo nudo. Inutile, ormai avevo già visto tutto. Mi tappai gli occhi con le mani e mi scusai: «Non è come sembra! I-Io non volevo spiarla, giuro!»

Tu mi guardasti; i denti schiacciati contro il labbro inferiore, gli occhi che sprizzavano scintille. Avrei potuto giurare che, se lo sguardo avesse avuto la capacità di incenerire, sarei diventato polvere all’istante!

«Maniaco! Depravato!», mi urlasti contro, lanciandomi addosso le foglie delle ninfee. Una, in particolare, mi colpì in faccia, facendomi imprecare.

«L-Le chiedo scusa… Passavo di qui e…», farfugliai in imbarazzo, sentendo un caldo improvviso. Stavo letteralmente andando a fuoco! Mi feci aria con il maglione, imponendo al mio cuore di riprendere un ritmo regolare. Che razza di idiota!

Tu mi guardasti, piccata. «Lei non dovrebbe essere qui. Questo non è un posto adatto agli umani.»

«C-Come…», balbettai in preda alla confusione più totale. All’epoca non avevo idea di che tipo di creatura tu fossi. Anzi, a dir la verità, non credevo nemmeno all’esistenza di esseri come fate, ninfe, streghe… «C-Chi è lei?»

Tu sbuffasti, spazientita. «Sono Kyoko, la naiade protettrice di questo stagno. Appartengo alla stirpe di Oceano e sono la figlia del dio di questo specchio d’acqua.»

Spalancai gli occhi, prima di scoppiare in una risata, dapprima divertita, poi isterica. «M-Ma lei è pazza! Non esistono dei e…», tacqui, fulminato da una tua occhiataccia.

«Di grazia, lei chi è per dire che la mia razza non esiste?»

«Yusaku Godai, un semplice studente del primo anno di università», risposi con una punta di ironia nella voce, prodigandomi in un piccolo inchino canzonatorio. «Stavo giusto per togliere il disturbo.» Detto questo, arraffai il mio album da disegno e la matita e li gettai nello zaino. «Arrivederci.»

«A-Aspetti!», mi urlasti e io, ancora una volta, mi girai a guardarti. Ti eri alzata in piedi e l’acqua ora ti ruscellava lungo il corpo. Arrossii e tu facesti altrettanto, rituffandoti nello stagno. Mi lanciasti un’ennesima occhiataccia, prima di aggiungere: «Resti, la prego. Gli umani mi affascinano, mi racconti qualcosa.»
 

Ti dissi che avevo vent’anni e che ero considerato un ronin da tutti, perché avevo fallito i test d’ammissione all’università per due anni di fila. Tu mi ascoltasti con attenzione, lisciandoti i lunghi capelli blu, e talvolta, interrompendomi per fare qualche commento sagace. Io ti osservavo con la coda dell’occhio, seguendo con lo sguardo quelle tue forme generose fasciate solamente da una veste leggera.  Eri stupenda, dannazione!
Ogni volta che mi sentivo giù, tu mi guardavi con quei tuoi grandi occhi da cerbiatta e, portandoti le mani chiuse di fronte al viso, mi incitavi: «Forza, Godai, puoi farcela! Non lasciarti abbattere da quello che ti dicono gli altri; tu non sei affatto un fallito!»
Sai, Kyoko, sei stata la prima e l’unica persona ad aver creduto subito in me. Questa è una delle tante ragioni per cui mi sono – perdutamente – innamorato di te.  
Me ne andavo ogni giorno al tramonto, con la promessa che sarei tornato l’indomani a raccontarti quello che accadeva nel mondo degli umani. E ogni pomeriggio, al mio arrivo, tu mi regalavi uno di quei tuoi splendidi sorrisi capaci di farmi mozzare il fiato.
Continuammo, così, a vederci per mesi e, pian piano, anche tu cominciasti ad aprirti un po’ con me. Un giorno, mi confidasti che, tempo prima, il tuo cuore era appartenuto a un essere umano. In quel momento, il mondo parve cadermi addosso: non volevo saperti felice tra le braccia di un altro!
Costui era un uomo sulla trentina, affascinante e intelligente, ma dannatamente timido e impacciato. Era finito nel tuo giardino come me, un po’ per caso, ed era rimasto rapito dalla bellezza della natura che ti circondava. Mi dicesti che era un insegnante di geografia appassionato di botanica, ma, solo quando mi svelasti il suo nome, mi si accese una lampadina. Soichiro Otonashi era venuto a trovarti tutti i pomeriggi e un giorno era improvvisamente sparito. Non avevi più avuto sue notizie e io sapevo il perché. Mi si strinse un po’ il cuore e decisi di non dirtelo. Il professor Otonashi lavorava nella mia vecchia scuola e la sua vita era stata stroncata da un brutto incidente stradale. Era morto sul colpo.
 
⸙⸙⸙
 
Con il passare delle settimane, mi resi conto che le dita mi fremevano dalla voglia di prendere una matita per disegnare ogni tua sfaccettatura; di imprimere sulla carta il tuo sorriso, la fossetta sulla tua guancia, il cipiglio che compariva in mezzo alle tue sopracciglia quando eri arrabbiata. Ogni tuo dettaglio, per me, era un nuovo tesoro da scoprire.

«Kyoko-san,  vorresti farmi da modella?» Non riuscivo a credere di avertelo chiesto davvero e il mio stupore aumentò ulteriormente, quando tu accettasti. Fu una tale gioia per me!

Ricordo ancora quel giorno di un anno fa: era fine marzo e i boccioli degli alberi di ciliegio nel tuo giardino avevano cominciato ad aprirsi, scoprendo una moltitudine di fiori rosa. Tu alzasti lo sguardo e io catturai sul foglio la tua espressione rapita nell’osservare quella meravigliosa cascata di petali.

«Vieni con me, Kyoko-san», ti dissi con il cuore colmo di tenerezza. «Il parco qui vicino è pieno di alberi di ciliegio. Possiamo sederci sul prato, guardare la loro fioritura, passare l’intera giornata a rilassarci, se vuoi!»

Tu scuotesti la testa, addolorata. «Sono la protettrice di questo stagno, mi è proibito lasciarlo», mormorasti con voce incrinata. Quante volte hai pensato di fuggire da qui, Kyoko? Quante volte hai desiderato la libertà?

«Capisco, allora permettimi di continuare a stare al tuo fianco.»

Tu apristi le labbra in un sorriso sincero. Un sorriso che, nonostante il freddo ancora pungente, mi scaldò il cuore.
 

Accadde qualche giorno più tardi. Quel pomeriggio ero in ritardo, perché ero stato costretto a fermarmi all’università per dare ripetizioni a una mia compagna di corso. A causa di una brutta febbre, che l’aveva costretta a letto, Kozue Nanao era rimasta indietro e si era messa in testa che dovevo essere io ad aiutarla a recuperare tutte le nozioni perse. Maledetta lei e la sua insistenza!
Quando arrivai nel tuo giardino, sentii una risata accompagnata da una calda voce maschile. Il sangue cominciò a ribollirmi nelle vene: insomma, chi diavolo poteva essere?!
Mi nascosi dietro ai cespugli e osservai la scena. In piedi, accanto al tuo stagno, c’era un ragazzo dall’aria benestante, che faceva battute di spirito e rideva insieme a te. Lo sbruffone - così decisi di chiamarlo - era vestito in tuta da ginnastica e portava una racchetta da tennis di traverso sulla schiena. Lo squadrai con gli occhi socchiusi: pelle abbronzata, capelli scuri, sorriso ammaliante con i denti perfettamente in linea e luccicanti.
Sentii la rabbia crescermi dentro: chi ero io per competere con quel pallone gonfiato pieno di soldi? Un semplice studente universitario, che nulla poteva offrirti se non la sua compagnia.
Aspettai che tu e l’idiota vi salutaste, prima di decidermi di uscire allo scoperto. Mi sentivo avvilito e anche un po’ tradito, ma ti rivolsi comunque un sorriso stanco.

«Ciao, scusami il ritardo», ti dissi, laconico, con una punta di tristezza nella voce.

Tu mi guardasti, confusa. «C’è qualcosa che non va, Godai-san?»

«No, nulla», mormorai, aprendo lo zaino ed estraendo il mio album da disegno. «Solo che… chi era quello

Ti vidi arrossire e abbassare lo sguardo. «Un allenatore di tennis. Mitaka-san è stato davvero molto garbato con me, è proprio una brava persona.»

Mi raccontasti che Mitaka stava facendo jogging, quando si era imbattuto nel tuo giardino. Mi fece un po’ male il cuore a pensare che quest’angolo segreto non fosse più solo nostro, ma che ora fosse stato scoperto da una nuova persona.
Pazienza, pensai al tempo. Probabilmente non tornerà nemmeno.
E invece tornò. Ti venne a trovare tutti i giorni e a me non rimaneva altro, se non aspettare che se ne andasse per uscire allo scoperto. Non volevo affrontarlo, non volevo conoscerlo… non avevo voglia di competere con lui per il tuo cuore!   
 

Poi, ci fu quel pomeriggio, in cui lui, per un qualche impegno, non poté presentarsi al suo appuntamento giornaliero con te. Mi sentii, in qualche modo, sollevato da ciò: potevo finalmente rimirarti e disegnare il tuo viso, senza quello sbruffone tra i piedi!

«Ecco, e con questo, ho finito!», esclamai, eccitato, sporgendomi verso di te per mostrarti il mio capolavoro. Ti ritraeva con i capelli al vento, fasciata solamente da una veste sottile, mentre qualche fatina ti svolazzava intorno, giocherellando con la tua lunga chioma.  

«È bellissimo, Godai-san», mi sussurrasti tu, prima di alzare lo sguardo e sorridermi dolcemente.

In quel momento, i tuoi occhi incontrarono i miei e io mi resi conto di quanto vicina tu fossi. Aprii la bocca, ma tu fosti più veloce e poggiasti le tue labbra sulle mie in un bacio fugace, in una tacita richiesta: Posso?
Certo che puoi, il mio cuore appartiene a te, risposi, lasciando cadere a terra l’album e stringendoti tra le braccia. È sempre appartenuto solamente a te. Non ho fatto altro che pensarti dal giorno in cui ti ho conosciuta.
Feci per entrare in acqua, volevo starti più vicino… volevo assaporare ogni centimetro del tuo corpo, ma tu mi fermasti con un cenno della testa.
«Fermo, non pensare di bagnarti nel mio stagno. Per gli umani, quest’acqua può essere fatale. Non voglio che tu… che tu stia male per colpa mia!»

Non protestai e facemmo, invece, l’amore sulla riva, con l’erba che mi solleticava la schiena nuda. Fu il giorno più bello della mia vita: finalmente potevo toccarti, potevo sentire sulla pelle il sapore dei tuoi baci. M’inebriai del tuo profumo, simile a quello delle ninfee appena sbocciate.
Se mi concentro, forse, riesco ancora a sentirlo tutt’oggi. In fondo, nel tuo giardino, tutto, dallo sbocciare dei fiori al lento scorrere delle stagioni, racconta qualcosa di te.  
Mi fermai solo un attimo per guardarti: eri bellissima, con i capelli scompigliati e gli occhi pieni di desiderio… e, dannazione, eri mia, non di Soichiro Otonashi, non di Shun Mitaka, ma solamente e semplicemente mia! «Kyoko, io…»

«Ma bene… Guarda, guarda che bel quadretto!», sibilò una voce alle nostre spalle. Ti sentii sussultare e io mi girai, mentre il sangue mi si congelava nelle vene. Lui era lì, in piedi, con gli occhi serrati e le braccia incrociate. Sul suo volto era dipinta un’unica espressione di puro e profondo odio nei miei confronti. «Quindi è così che stanno le cose, Kyoko-san, eh? Nonostante abbia provato e riprovato a conquistare il tuo cuore, tu hai deciso di donarlo a lui… Chi è? Cos’ha lui che io non ho?»

Tu ti liberasti dalla mia presa e sgusciasti in acqua, imbarazzata. Avevi le guance rosse, eri praticamente sotto shock! Ti osservai, mentre cercavi di coprirti con le foglie delle ninfee, come una bambina che, colta a far qualche birichinata, cerca di nascondersi dai genitori.

«Non vedi che la stai mettendo in imbarazzo, così?!», urlai in preda a una rabbia cieca. Odiavo il pensiero che qualcuno potesse farti del male! «Io, comunque, sono Yusaku Godai, uno studente universitario, e non sono affari tuoi quello che Kyoko-san fa e perché!»

Mitaka scoppiò a ridere e la sua risata suonò amara alle mie orecchie. «Uno studente universitario, eh?!», mi canzonò lo sbruffone, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Peccato, avevo tutte le carte per vincere il cuore di Kyoko-san, eppure… lei ha scelto uno come te.»

«Smettila, Mitaka-san!», ti intromettesti tu all’improvviso, facendomi sobbalzare. Non ti avevo mai vista  così arrabbiata, nemmeno quando mi cogliesti a osservarti, mentre facevi il bagno, la prima volta che ci incontrammo! «Godai-san è… uno studente in gamba! Sta facendo di tutto per guadagnarsi una laurea e un buon futuro, non è vero?!»

Io annuii, ma sapevo, in cuor mio, che l’università e la laurea erano passate ormai in secondo piano, rispetto al mio desiderio di conquistarti.

«Beh, vedremo chi avrà la meglio, alla fine!», sentenziò Mitaka, girando sui tacchi e andandosene.
 
⸙⸙⸙
 
I giorni seguenti furono un vero supplizio. Non avevo più bisogno di nascondermi da quel pallone gonfiato, ma dovevo comunque assistere alle sue continue avances nei tuoi confronti. Ero arrabbiato, sì, ma sapevo bene di avere qualcosa che lui non poteva ottenere: il tuo amore.
Cambiò tutto in un giorno di fine aprile. Quel pomeriggio, infatti, Mitaka non si presentò da solo, ma in compagnia di una giovane donna dai voluminosi capelli fulvi. Costei indossava un abito scuro lungo fino alle caviglie, che aderiva perfettamente al suo corpo, formoso e pieno di curve.

«Vedi, Akemi, la ragazza che mi ha rubato il cuore si trova laggiù, dentro le acque dello stagno», iniziò lo sbruffone, mentre la suddetta Akemi arricciava le labbra, tinte di rosso, in un sorriso divertito. «E questo, invece, è l’idiota che è riuscito a conquistarla», continuò Mitaka, puntando un dito contro di me.

«Oh, capisco… Sembra divertente come situazione», commentò la donna, frugando nella borsetta per estrarne un pacchetto di sigarette. «Ricordati del pagamento che mi hai offerto, Mitaka. Non accetto sconti.»

«Ehi, che fai?! Qui non si possono accendere fuochi!», sbraitasti tu, guadagnandoti una semplice alzata di sopracciglia dalla rossa.

«Certo che questa qui ha davvero un bel caratterino», mormorò Akemi, sbuffando una nuvola di fumo. «Tranquilla, carina, ci vorrà un attimo, poi ce ne andremo.»

«Chi è questa, Mitaka?!», mi intromisi io, alzandomi in piedi. Il nostro giardino stava davvero cominciando ad affollarsi di gente; ero arrivato al limite della sopportazione.

«Oh, lei è… Akemi Roppongi, una mia vecchia conoscenza, nonché una grande strega di questo quartiere. Mi ha offerto il suo aiuto in cambio di…», l’allenatore di tennis tossì; mentre la rossa si aggrappava al suo braccio, assumendo un’espressione languida.  

«Mitaka-san ha accettato di uscire con me», esclamò la donna, trattenendo un urlo di felicità.

Li osservai con il voltastomaco: era davvero una scena raccapricciante. Non mi interessava la vita amorosa di quello sbruffone; perché doveva esibirla così, davanti a noi?!
Spostai lo sguardo su di te e notai che ti eri irrigidita sul posto. Al tempo non capii il motivo e forse, non lo comprendo ancora oggi.

«Akemi, non serve che sventoli la tua ricompensa di fronte a tutti», la rimproverò Mitaka, sciogliendosi dall’abbraccio. «Comunque, l’importante è che tu faccia quello che ti ho chiesto.»

Tu inarcasti un sopracciglio, mentre sul tuo viso passava un’ombra di stupore, misto a… terrore. E lì, realizzai che qualunque cosa l’allenatore avesse chiesto a quella strega, non prometteva di certo nulla di buono.

«Vedi, Kyoko-san, ho provato in tutti i modi a conquistare il tuo cuore, senza ottenere, però, alcun risultato. Ora mi sono stancato. Se non posso avere io il tuo amore, non lo avrà nessun altro», affermò l’idiota, incrociando le braccia al petto. Un sorriso derisorio si formò sulle sue labbra, quando posò i suoi occhi su di me.

«Che vuoi fare?!», chiesi a voce fin troppo alta. Mi avvicinai a te, pronto a proteggerti nel caso in cui quella strega ti avesse fatto del male. Ti sentivo tremare sotto il tocco leggero della mia mano;  eri così fragile, sembravi fatta di porcellana!

«Non le starei troppo vicino, se fossi in te», mi ammonì la rossa e io, di tutta risposta, la guardai senza capire. Cosa voleva fare? Dove voleva andare a parare? Akemi sollevò le braccia e aprì le labbra a cuoricino, intonando un canto a bassa voce. «D’ora in avanti, non potrai più avvicinarti a questa donna. Non potrai più toccarla, né lambire la sua pelle con i tuoi baci. Lei dovrà stare all’interno del suo stagno e… che sia maledetta, se proverà a fare un singolo passo verso di te! Le sue mani si trasformeranno in petali, il suo corpo in radici e vivrà per sempre come una ninfea, come quella naiade che, cercando di conquistare il suo bel raggio di sole, venne intrappolata dal fango del suo lago. Così sia, da oggi e per sempre.»  

Fu come ricevere una pugnalata alle costole: mi mancò il fiato e cominciò a girarmi la testa. Mi allontanai da te di qualche passo e caddi a terra, picchiando il fondoschiena sul prato; lo stesso prato,  su cui, solo qualche giorno prima, avevamo fatto l’amore.
L’idea di non poterti più toccare, di non poter più sfiorarti, mi uccise più di mille coltelli. Era questa la punizione che mi ero meritato per averti amata più della mia stessa vita?!
 
⸙⸙⸙
 
Dopo quel giorno, cercai di presentarmi nel tuo giardino il meno possibile. Il solo vederti era capace di accendere in me sensazioni contrastanti: la voglia di toccarti, di lambire la tua pelle con mille e mille baci; l’incontrollabile pulsare del basso ventre, che mi invitava a cedere alla follia… e poi, il dolore della perdita e la consapevolezza che non avrei più ottenuto indietro quel che mi era stato sottratto. Talvolta, mi approssimavo al tuo laghetto, per poi rimanere nascosto tra gli alberi a osservare quel tuo bel volto oscurato dall’angoscia. Il tuo sorriso si era spento e anche le fate sembravano risentire di quella tua tristezza. Le vedevo svolazzarti intorno, simili a tante piccole lucciole, cui era stata negata l’essenza stessa della vita.
Vederti in quello stato, Kyoko, mi lacerava il cuore… Avrei voluto avvicinarmi per dirti che non era colpa tua, che era il nostro amore a essere maledetto. Avrei voluto chiederti scusa, al tempo, per averti fatto del male e mi dispiace di essere stato così codardo da fuggirmene via, anziché affrontarti. Non volevo – e non potevo – mostrarmi. Sapevo bene che il solo vedermi era capace di ferirti gli occhi.
Poi, un pomeriggio, mi feci coraggio e decisi di dirti addio. Non potevamo continuare così, non potevo più sopportare quelle lacrime che ti solcavano perennemente le guance. Ci stavamo trafiggendo il cuore a vicenda ed era ora di farla finita, per il bene di entrambi.

«Kyoko-san, devo dirti una cosa…», iniziai, tenendo il capo chino e gli occhi puntati ai piedi. Sentivo su di me il tuo sguardo penetrante e mi sforzai a non alzare la testa per incontrarlo. Chiusi le mani a pugno sopra le cosce che avevano cominciato a tremare, come il resto delle gambe. Idiota, mi dissi, non farti vedere così debole. Devi essere forte anche per lei. «Io…»

«So bene quel che mi vuoi dire, Godai-san, ma… sei sicuro che staresti bene… senza di me?», mormorasti tu con un filo di voce. A quel punto, alzai gli occhi su di te e, per la prima volta dopo tanto tempo, ti vidi in volto. La tua bellezza era rimasta immutata sotto quel velo di malinconia che ti avvolgeva.

Una lama invisibile mi tagliò il petto in due. «C-Certo…», balbettai dapprima; poi, mi schiarii la gola e cercai di dare alla mia voce un tono più sicuro. «Certo che sì.»

Una lacrima solitaria sfuggì dalle tue ciglia. «Invece io… proprio non ci riesco.»

Anche questa volta come la prima, tu fosti più veloce di me. Non feci in tempo a dirti di non farlo, che eri già di fronte a me, con una mano sulla mia guancia. Poggiasti la tua bocca sulla mia in un bacio a fior di labbra, che sapeva di sale, di passione e di… ninfee, proprio come quel tuo profumo che tanto ti caratterizzava.

Poi, d’un tratto, il cielo sopra le nostre teste si oscurò e un forte vento si levò da terra. Una forza misteriosa mi separò da te, facendomi ruzzolare al suolo. Inveii a denti stretti, massaggiandomi il fondoschiena e, solo quando sentii un tuo urlo, alzai gli occhi di scatto. Le acque del tuo stagno si erano aperte in un mulinello, torbido e nero come la notte, e ti stavano trascinando al loro interno. «Kyoko-san!», urlai, alzandomi in piedi.

Ti vidi mettere le mani a coppa intorno alla bocca e mimare un ‘Mi dispiace’. Già, eri a conoscenza dell’incantesimo che ti legava al tuo laghetto e, nonostante ciò, ti eri gettata comunque tra le mie braccia.
Mi sentii in parte responsabile: era colpa mia, in fondo, se la tua vita era stata condannata a finire in quel modo. Colpa mia per essermi imbattuto nel tuo giardino e per aver accettato il tuo cuore in dono. In quel momento, desiderai con tutto me stesso di non averti mai incontrata.
Incespicai verso di te, in un ultimo moto di frenesia; ma mi fermai quando vidi che era ormai troppo tardi. Il tuo corpo, perfetto oggetto delle mie passioni più recondite, si era trasformato in uno stelo, e le tue mani si erano aperte a formare dei candidi petali bianchi, venati d’azzurro.

Le parole della strega Akemi tornarono a rimbombarmi nelle orecchie, più forti di prima: Le sue mani si trasformeranno in petali, il suo corpo in radici e vivrà per sempre come una ninfea, come quella naiade che, cercando di conquistare il suo bel raggio di sole, venne intrappolata dal fango del suo lago. Così sia, da oggi e per sempre.
 
⸙⸙⸙
 
Per qualche tempo, dopo la tua dipartita, non riuscii a uscire di casa. Mi diedi per malato all’università e saltai così tanti esami, che i miei coinquilini cominciarono a prendermi in giro, dicendo che avrei perso l’anno. A me, però, non importava; in fondo, cosa si aspettavano loro da un ronin incapace come me?
Non riuscivo più a studiare, non riuscivo più a prendere in mano un album da disegno, senza pensare a te, al tuo sorriso e alla tua voce calda e dolce. Non facevo altro se non piangermi addosso e bere birra; ubriacarmi e rigettare tutto sul pavimento. La mia stanza era diventata un porcile, ma non me ne curavo… non m’interessava più nulla, volevo solo morire e ritrovare quella pace dei sensi, che avevo perduto con la tua scomparsa.
Fu Kozue Nanao a salvarmi. Mi disse che non potevo continuare a stare così; che dovevo rialzarmi e ricominciare a vivere, perché sicuramente tu avresti voluto questo per me. Fu una vera e propria rivelazione: pian piano iniziai nuovamente a frequentare i corsi alla Geidai, mettendoci una passione tutta nuova.
Poi, un giorno, tornando dall’università, passai per caso di fronte a un campo sportivo e lo vidi. Lo sbruffone stava flirtando con una sua studentessa e, quando distese le labbra in un sorriso, i suoi denti brillarono di luce propria. Non sembrava provato dalla tua dipartita, o almeno non pareva esserlo quanto me. Come faceva a essere così rilassato ben sapendo che tu non c’eri più? La rabbia mi crebbe dentro e accese una scintilla, che mi fece perdere il lume della ragione.
Entrai nel campo da tennis e mi frapposi fra lui e la ragazzina: avevano smesso di ridere e ora, tutta la loro attenzione era rivolta su di me.

Mitaka, in particolare, aprì la bocca in un ghigno canzonatorio, che mi fece pulsare il sangue nel cervello. «Oh, Godai! Ti vedo in gran forma! Non te la stai passando male, dopo che Kyoko…»

Non lo lasciai finire, non potei. Gli sferrai un pugno talmente forte, che mi sembrò quasi di sentire il suo naso rompersi in un sonoro crack. Quando ritirai la mano, notai con poco stupore che era imbrattata di sangue. L’idiota, dal canto suo, si portò le dita alla faccia, ululando imprecazioni di ogni genere; mentre io gli ghermivo il colletto della polo, trascinandolo verso di me.

«Bastardo, io ti ammazzo! Me l’hai portata via!», ringhiai con una furia che non mi era mai appartenuta. Le lacrime cominciarono a pizzicarmi gli occhi e io le lasciai scivolare lungo le mie guance, incurante degli sguardi curiosi delle ragazze e dei passanti.

Lo sbruffone, approfittando del mio temporaneo tentennamento, si divincolò da me e mi scagliò un cazzotto, che mi spaccò le labbra in due. Caddi a terra, mentre nella mia bocca, il sapore del sangue si mischiava a quello salato delle lacrime. Ricacciai indietro un conato di vomito e mi alzai in piedi, spinto probabilmente dall’ultima goccia di dignità che mi rimaneva. Lanciai un’occhiataccia a Mitaka che, intanto, si stava tamponando il naso con un fazzoletto, e mi preparai a sfregiargli quella faccia da schiaffi che si ritrovava.
In quel momento, però, qualcuno alle mie spalle gridò e mi afferrò per le braccia, trascinandomi lontano dall’idiota, che ti aveva condannata a vivere come un fiore. Scalciai e urlai, giurando con tutto me stesso che l’avrei fatto fuori con le mie stesse mani.
 

È passata una settimana da allora e io non ho ancora mantenuto la mia promessa, anche perché i miei coinquilini sembrano fare a gara per tenermi sott’occhio. Dannazione a loro, soprattutto a quella rompiscatole di Ichinose, che non riesce proprio a farsi gli affari suoi; è più forte di lei.
Termino il mio disegno con un rapido gesto della mano e rimango a osservarlo per qualche minuto. Ho ritratto la ninfea più bella dello stagno, quella con i petali bianchi venati d’azzurro. Una singola lacrima si posa sul mio album e, allargandosi, crea una sottospecie di sbavatura, che mi fa sbuffare. So già che dovrò rifare tutto.
Mi asciugo i rimasugli del pianto con la manica del maglione e alzo lo sguardo su di te. Mi sembra quasi di sentire la tua voce nell’aria, che mi carezza e mi sussurra di andare avanti, perché tu credi in me… e non smetterai mai di farlo.

Mi sporgo in avanti e afferro delicatamente uno dei tuoi petali. Devo avere le traveggole, perché posso giurare di sentirlo aprirsi sotto le mie dita. «Ti amo, Kyoko», sussurro, e le mie parole si disperdono nel tuo giardino come il vento. «Mi pento di non avertelo mai detto prima.»

Il mio cuore è gonfio di cicatrici, che non si saneranno mai e che probabilmente non finiranno di sanguinare; ma devo continuare a vivere. Devo farlo per te.
Prometto che un giorno, quando arriverò al cospetto degli dei, racconterò loro della donna meravigliosa che ha stravolto completamente la mia vita. Spero che siano abbastanza clementi e che mi permettano di rinascere come foglia, radici, albero… o uomo. Prego che per allora anche tu ti sarai reincarnata, così che io possa venirti a cercare. So già che ti riconoscerò: mi basterà sentire la tua risata cristallina e, a quel punto, non avrò più dubbi.

 

Note dell'autrice: La trasformazione di Kyoko si rifà al mito di Ninfea e del suo amato Raggio di Sole. Potete trovare la sua storia in moltissimi siti, se la cosa vi incuriosisce.

Comunque, spulciando su Wikipedia, ho scoperto che, secondo i miti, le acque delle naiadi erano considerate tossiche per gli esseri umani e, se quest'ultimi vi entravano in contatto, potevano incappare in febbri funeste o persino nella morte. Ecco perché Kyoko dice a Yusaku di non bagnarsi con l'acqua del suo stagno.

Nel complesso, mi è piaciuto scrivere questa oneshot e penso proprio che la trasformerò in una long, prima o poi. Vi ringrazio per aver letto fin qui e vi mando un abbraccio forte!


Ayamehana.
  
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