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Autore: mrs konstantyn    11/06/2017    0 recensioni
"Il giovanotto, che di nome faceva Feliks, aveva imparato a sbrigare le sue faccende con zelo, senza lamentarsi o mostrare la sua stanchezza, limitandosi, a fine giornata, a cercare un po' di tranquillità accucciandosi in un angolo del focolare, dove si metteva a sedere nella cenere, sporcandosi la candida pelle ed i già malridotti abiti che indossava, guadagnandosi così il canzonatorio nomignolo di "Cenerentola"."
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APH crossover, prevalentemente LietPol, contiene accenni di PruAus
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta un gentiluomo, il quale aveva una moglie, dalla bellezza incomparabile ad altri, e dai modi sì cortesi e garbati, che nessuno avrebbe mai potuto volerle male. Ella gli donò un figlio, poco prima di lasciare lui vedovo ed il pargolo orfano, a causa di un'ingiusta quanto terribile malattia. Il pover'uomo ne fu devastato.
L'unica cosa in grado di ricordargli la consorte scomparsa -così da acquistare il suo dolore- era il figlioletto, che da lei aveva ricevuto in dono la medesima grazia, un'equivalente fascino ed una bontà pari alla sua.

Per sopperire alla mancanza ed alla necessità di una madre che suo figlio avrebbe potuto avere, l'uomo decise a malincuore di risposarsi. Tanta era la necessità, e decisamente inferiori le riflessioni, che egli si maritò con una donna che in nulla rassomigliava alla prima moglie, la quale, a sua volta, aveva un figlio pressappoco coetaneo di quello del gentiluomo, con il quale l'età era l'unico tratto in comune, se non forse quello di essere tale e quale alla genitrice, come due gocce d'acqua. Come la donna, il giovane possedeva una tracotanza ed un arroganza tali che, comparate ad i modi del fratellastro, non facevano che evidenziarsi ed aumentare dismisura.
La donna non attese nemmeno di metter piede nella casa per mettere in chiaro immediatamente chi avrebbe comandato nella famiglia appena formatasi.
Stabilì che fosse il figliastro ad occuparsi delle faccende più triviali, relegando a lui compiti come governare la cucina, spazzare le scale e rifare le camere della signora e del signorino. Un ulteriore beffa, consisteva nel permettere al ragazzo di indossare -visto che aveva lottato tanto per impedire che venissero buttati- i vecchi abiti della defunta madre, schernendo in tal modo, l'aspetto e la corporatura esili e femminei del giovane.
Il povero figlio, al quale non fu destinato nemmeno un letto -fu costretto, appunto, a dormire in uno scomodo giaciglio di paglia nel granaio- fu costretto a subire, suo malgrado, le angherie della matrigna e del fratellastro, accettandole senza mostrare segni di stizza, almeno esteriore, dato che ogni rammarico sarebbe stato fonte di dispiacere per il padre, e pretesto per denotare la sua presunta maleducazione per la donna.
Il giovanotto, che di nome faceva Feliks, aveva imparato a sbrigare le sue faccende con zelo, senza lamentarsi o mostrare la sua stanchezza, limitandosi, a fine giornata, a cercare un po' di tranquillità accucciandosi in un angolo del focolare, dove si metteva a sedere nella cenere, sporcandosi la candida pelle ed i già malridotti abiti che indossava, guadagnandosi così il canzonatorio nomignolo di "Cenerentola".

Accadde un giorno, come era già avvenuto precedentemente, che la matrigna mandasse Cenerentola, o meglio Feliks, nel bosco adiacente alla villetta di campagna che abitavano, intimandogli di non tornare senza aver raccolto una quantità sufficiente di legna asciutta da far ardere nel camino. Ovviamente, sia lei che lui erano ben consapevoli che, neanche un giorno dopo un violento temporale, portare a termine quel compito sarebbe stato impossibile; tutto sommato, ora che ci pensava, l'avere una scusa per ritardare il suo rientro non era esattamente qualcosa di cui lamentarsi.

Nonostante facesse di tutto per ingoiare il rospo e fingere di aver accettato la sua condizione, essa non faceva che peggiorare, giorno dopo giorno. Erano passati cinque anni dalla perdita di suo padre, che lo aveva lasciato ancora più solo ed indifeso contro le angherie della crudele matrigna e di Gilbert, il suo presuntuoso fratellastro. Man mano s'era avvezzato ai trattamenti che i due parenti -se così poteva definirli- erano soliti dedicargli nei momenti di noia o frustrazione, ma quelli -che solo in occasioni simili si dimostravano accorti- si sbizzarrivano nella ricerca di nuove beffe e giochetti per avvilirlo; svegliarlo con l'ausilio di un catino pieno d'acqua gelida, era solo uno dei tanti.
C'erano, tuttavia, delle apparentemente insignificanti ma comunque piacevoli occasioni che permettessero al giovane di distendersi o rallegrarsi; l'ultima di queste era piuttosto recente: era riuscito a procurarsi un nastro azzurro di raso, ricavato dalla manica di un vestito di cui la sua matrigna si era disfatta, e con esso aveva raccolto i lunghi capelli biondi in una coda, acconciandoli alla meno peggio. Stranamente, nonostante avesse fatto qualcosa per occuparsi del proprio aspetto, non aveva ricevuto nessun rimprovero da parte della donna, probabilmente perché tale gesto contribuiva solamente ad accrescere la femminilità di Feliks, che secondo ella sarebbe dovuta essere motivo di vergogna. L'opinione del ragazzo a proposito della suddetta caratteristica era opposta a quella della matrigna, ma egli stava bene attento a non far trapelare questa sua passione per ciò che è leggiadro e femminile.

Feliks si accorse di essersi addentrato eccessivamente nella boscaglia solo quando si fermò a causa di un dolore pungente alla pianta dei piedi, coperti da un paio scarpe di stoffa praticamente inconsistenti. Decise di appoggiarsi al tronco di un albero per riposarsi qualche minuto, prima di riprendere la ricerca. Incrociò le braccia al petto, sbuffando frustrato. Aveva setacciato ogni metro percorso, ma non c'era traccia della legna di cui aveva bisogno.
Il sole era prossimo al tramonto, ed il ragazzo temeva le conseguenze di quell'insuccesso a cui ormai si era tristemente rassegnato.
Si disse che il momento di rincasare era ormai giunto, ma prima che potesse rimettersi in cammino e percorrere la strada a ritroso per ritornare a casa, la sua attenzione venne catturata dal rumore inconfondibile di numerosi cavalli che galoppavano nella sua direzione, sbattendo i loro zoccoli sul terreno bagnato, roccioso in alcuni tratti, erboso in altri.
Fu colto tanto alla sprovvista da saltare letteralmente dalla paura, finendo per scivolare ed atterrare su uno spinoso cespuglio di bacche selvatiche.
Feliks emise un grido impermalito, oltre che dolorante, a causa dei piccoli ed appuntiti aculei della pianta che gli perforarono la pelle e vi si conficcarono senza pietà. Dimenandosi per cercare di liberarsi, e allo stesso tempo facendo saettare lo sguardo in ogni dove vi riuscisse, nella disperata ricerca di un appiglio per sollevarsi, Feliks era troppo distratto per avvedersi della presenza di un estraneo, che si era avvicinato a lui, scrutandolo in silenzio e, per chissà quale motivo, decisamente irrequieto.
«Volete che vi aiuti?»
Il biondo era troppo disattento per premurarsi di utilizzare un registro adeguato, rispondendo con un tono forse eccessivamente seccato. «Certo, non vedete che non aspetto altro?» Lo sconosciuto sembrò tutto fuorché che tranquillizzato dalla reazione di Feliks, che evidentemente aumentò l'ansia già presente in lui. Palesemente indeciso sui movimenti, il giovane tese una mano tremante a Cenerentola, aiutandolo a rimettersi in piedi. «Finalmente, la ringrazio.» Esclamò ansante quest'ultimo, ricevendo un debole "si figuri" di rimando.
Una volta allisciatosi le pieghe della gonna con movimenti furiosi delle mani, e rimosse le foglie impigliate fra i suoi capelli, Feliks degnò il gentile aiutante della sua prima occhiata attenta da quando egli era apparso. Comprendere di aver trattato assai bruscamente un giovane non solo gentile a quella maniera, ma dalle sembianze tanto gradevoli, lo fece sprofondare, mentre il suo volto si tingeva istantaneamente di porpora. L'estraneo scrutò per qualche istante il biondo con i suoi grandi occhi acquamarina, prima di volgerli altrove -come se un'enorme pietra ricoperta di muschio fosse incredibilmente più interessante di lui-.
Feliks non fu in grado di capire se il silenzio reciproco fosse un buono o un cattivo segno. L'altro si passò una mano fra i capelli castani, che -il biondo lo aveva notato con piacere- erano pressoché lunghi come i suoi.

Prima che Feliks riuscisse a trovare qualcosa da dire per attenuare l'evidente tensione, una voce, proveniente da non troppo lontano, fece voltare entrambi.
«Maestà, non attardatevi per fare il gentiluomo!» Urlò uno degli uomini a cavallo che avevano preceduto il moro, senza dotare l'affermazione di alcun tipo di intonazione irrisoria. Quella sorta di provocazione non fece altro che aumentare il disagio evidente di quello che -decisamente troppo giovane per essere un re- aveva realizzato si trattasse di un principe. Il ragazzo boccheggiò, attonito di fronte a quell'informazione, e si affrettò ad inchinarsi, arrivando quasi a toccare le ginocchia con la fronte.
Gli sembrò di udire l'altro prendere fiato, come se una simile reazione lo avesse stupito. «N-non serve che siate così formale.- Sentenziò egli, indeciso e titubante nell'esprimersi; Feliks dovette prestare particolare attenzione alle sue parole, per udirle distintamente, tanto era basso il suo tono. -Vi prego, alzatevi.» Il biondo eseguì appena il principe terminò la frase, e con cautela tornò ad osservare il suo volto rosato e dai tratti delicato, morbidi -certamente non senza un indubbio timore reverenziale-. Non si sarebbe sbilanciato, se avesse detto che lo trovava incantevole.
«Perdonatemi, non mi ero accorto che voi... che eravate tipo... u-un-» Feliks lasciò la frase in sospeso, ma il castano sembrò intenderne l'intero significato, annuendo con un gesto accennato del capo.
Per evitare di ritornare alla situazione ansiosa di qualche minuto prima, il ragazzo domandò a Feliks: «Vi siete persa?» Egli impiegò pochi secondi per realizzare che il principe lo aveva evidentemente scambiato per una ragazza. Decise che omettere una parte della sua identità non sarebbe stato grave.
«A dire il vero abito qui vicino, appena superato il limitare del bosco.» Indicò con un
Il castano annuì nuovamente, prima perdersi -o questo fu quello che Feliks credette- in qualcosa che si trovava alle spalle del biondo, che lo guardò interrogativo.
Il principe lo superò con un passo e si piegò verso il cespuglio nel quale Cenerentola era caduto. Prese ad ormeggiare con i rami e le foglie di questo, lasciandosi scappare più volte dei tenui versi di dolore, e quando si rialzò stringeva in una mano, ora ricoperta di tagli e macchiata di sangue, il nastro turchese con cui il ragazzo aveva legato i capelli. Feliks lo fissava con gli occhi sgranati, luccicanti di meraviglia. Il fatto che lui stesso si fosse dimenticato dell'esistenza di quella umile fettuccia era comprensibile, ma perché una persona come il giovane principe si era disturbato in quel modo per recuperarlo?
La tonalità di rosso delle guance di Feliks divenne ancora più accesa. Quando il giovane gli porse il nastro, il biondo lo ringraziò flebilmente.
«Figuratevi.» fu la risposta del principe, che sembrava aver acquisito una minima quantità di sicurezza in più.
Cenerentola perse qualche attimo per legarsi nuovamente i capelli, e quando il lavoro fu completato, lasciò che le sue labbra si curvassero in un sorriso. Gli parve di notare quelle del ragazzo di fronte a lui comportarsi allo stesso modo.

Con un sospiro, il principe introdusse la sua notizia: «Purtroppo devo tornare a palazzo, mi dispiace di dovervi lasciare.» Indietreggiò di un paio di passi, con lentezza, dando l'impressione di starsi allontanando da lui a malincuore.
Feliks scosse il capo. «Non preoccupatevi, non dovete far tardi per me.» La curva poco sotto al suo naso divenne più evidente.
Nel frattempo, il principe aveva raggiunto il suo cavallo, e si era voltato. «È stato un piacere conoscervi.- Salì in sella al suo destriero color nocciola, torcendo il busto per guardare nuovamente Feliks, che lo osservava imbambolato. -Addio.» Prima di far schioccare le briglie del suo destriero, il castano agito una mano per salutare il biondo, che rispose con il medesimo gesto. «Addio.»
Il giovane partì al galoppo verso la sua destinazione, facendo presto perdere le tracce della sua figura fra il fogliame del fitto bosco.
Appena non fu più in grado di vederlo, Feliks prese un respiro profondo, come se trascorso passato i minuti precedenti in apnea.
Chiuse gli occhi e si toccò le guance, che ardevano in contrasto con le dita gelide.

Quell'incontro, così maledettamente breve, lo aveva lasciato pervaso da un calore che -ne era certo- mai aveva provato in precedenza.
Poggiò una mano all'altezza del proprio cuore, per tenerne sotto controllo le eccessive palpitazioni, tali da far sobbalzare persino il palmo appoggiatovi.
Compì un paio di passi e si alzò sulle punte, estendendo il raggio della sua veduta oltre la boscaglia, sperando di scorgere nuovamente il potente destriero del giovane principe. Quando questo non avvenne, Feliks si arrese, emettendo un sospiro rassegnato. Quel sogno era finito troppo presto per farsene una ragione. Era una delle poche cose belle mai capitategli dopo la scomparsa di sua madre, e quel principe l'unica persona che, dopo il padre, lo aveva trattato umanamente, se non addirittura di più.
Abbassò lo sguardo, rivolgendolo alle proprie mani, e strinse entrambi i pugni, con decisione.
Annuendo come assenso dei suoi stessi pensieri, promise a se stesso che lo avrebbe rivisto.

   
 
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