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Autore: eleuthera    11/06/2009    6 recensioni
"Il nuovo Faraone era un uomo alto, imponente, dall’espressione grave e posata, l’esatto contrario del suo predecessore."
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Seth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di tutti i personaggi di cui pensavo che avrei potuto scrivere, Seto Kaiba era proprio l’ultimo della lista. Apparentemente, il mio cervello aveva altri progetti.

Yu gi oh! appartiene a Kazuki Takahashi.

Posteri


Il nuovo Faraone era un uomo alto, imponente, dall’espressione grave e posata, l’esatto contrario del suo predecessore. Austero e rigoroso, egli fu inflessibile custode delle regole e della tradizione, laddove il suo giovane predecessore era stato impetuoso, testardamente idealista, incurante degli obblighi e delle consuetudini. Due personalità agli antipodi, come le divinità alle quali erano stati consacrati; Set, signore della guerra e delle tempeste, succedette ad Atem, creatore del mondo.

Ironicamente, fu Set, il distruttore, a farsi carico del difficile compito di ricostruire un paese in rovina. Fu un’impresa ardua, sfibrante, che richiese tutta l’autorità e il carisma di cui il nuovo re fosse capace, e consumò tutta la sua magia, e la magia della Corte Sacra, definitivamente, fino all’ultima briciola. Più di una volta, Set si ritrovò a pensare che Atem, nel designarlo come suo successore, avesse operato una scelta dettata, più che da un’attenta valutazione di merito, dall’irresistibile tentazione di giocargli un ultimo, micidiale, diabolico tiro.
Ma non si soffermava mai a lungo su quei pensieri.
C’era molto da fare, da progettare e pianificare. Sotto la guida del nuovo sovrano fu organizzata l’assistenza ai feriti e ai senzatetto, le strade e i palazzi vennero sgomberati dalle macerie, squadre di operai si misero all’opera per ricostruire i templi e le abitazioni danneggiate, i campi arsi e devastati vennero arati e seminati a nuovo.
Nell’attività fervente senza sosta, trascorsero i settanta giorni di rito.

I funerali del giovane monarca furono celebrati con la solennità e gli onori riservati ai più grandi sovrani. Il nuovo Faraone posò personalmente lo scrigno dorato sul piedistallo di roccia, poi, rimasto solo nell’immensa camera scavata nel ventre della montagna, s’inginocchiò ai piedi del basamento e, per la prima ed unica volta nella sua vita, pregò di essere degno.
Quando, ultimo fra tutti, uscì alla luce del sole morente, pesanti blocchi di pietra furono fatti scivolare ad ostruire il lungo corridoio tagliato nel calcare, mentre, dietro di essi, i meccanismi perfetti delle trappole mortali si animavano uno dopo l’altro, negando per sempre l’accesso alla dimora eterna che avrebbe custodito nei millenni le spoglie del defunto sovrano.
Allora, Set dovette riconoscere che non era più possibile rimandare, e che era giunto il momento di adempiere all’ultima volontà del suo predecessore.
Le steli e gli obelischi furono scalpellati, i rilievi cancellati dalle pareti dei templi, le pitture scrostate; in tutto il regno i cartigli recanti il nome del faraone deceduto furono rimossi, mutilati o sfigurati, affinché non rimanesse traccia né memoria del potere segreto e terribile di cui quel nome era posto a sigillo.
Fu il primo atto ufficiale del suo governo, e il solo che avrebbe rimpianto.

Set era un uomo pragmatico. A dispetto della profonda religiosità nella quale era stato educato, e che pure s’era fortemente radicata nel suo animo, aveva sempre creduto più in se stesso che nella benevolenza delle divinità o del fato.
Ma fu con il cuore colmo di devozione e speranza che incise nel granito di un bianco abbagliante la preghiera di eternità per l’anima dilaniata di un amico fraterno.

Negli anni a venire, le due terre avrebbero conosciuto la felice prosperità di una pace stabile e duratura, e a poco a poco, inevitabilmente, nella confortante sicurezza di un benessere divenuto consuetudine, sarebbe svanito anche il ricordo del Faraone senza nome.

Trascorsero le stagioni, il suolo rifiorì e gli alberi si ricoprirono di frutti. Abbandonato il lutto, I figli d’Egitto riassaporarono la vita.
Il nuovo Faraone regnava con giustizia e severità, godendo della stima di tutti i suoi sudditi. La sua figura eretta, altera, il suo sguardo che possedeva la limpidezza e la profondità del cielo mattutino, incutevano naturalmente timore e rispetto.
Su indicazione del Consiglio, scelse una fanciulla di nobile famiglia per farne la sua sposa reale. Era dritta, sottile, ligia ai suoi doveri di regina, discreta nel suo ruolo di moglie, sobria, dallo sguardo sereno e il sorriso pacato; irreprensibile al punto da guadagnarsi l’apprezzamento del severo consorte, troppo simile a lui stesso per poter suscitare nell’uomo un sentimento più profondo della gratitudine e del rispetto.

Prese con sé la principessa di Hatti, vedova e madre di sangue reale, ponendola, insieme con la figlia, sotto la propria tutela. Era bella, sinuosa, di morbide forme. I suoi capelli chiari, come le spighe d’orzo ondeggianti alla brezza del Delta, gli erano familiari. Talvolta, durante qualcuna delle sue lunghe passeggiate solitarie nei giardini del palazzo, gli capitava di sorprenderla seduta sull’orlo di una vasca, la testa reclinata e un’espressione indulgente sul viso mentre lasciava che la figlia si divertisse ad intrecciarle la chioma con fiori di loto. La bambina rideva felice, deliziata di poter spettinare quella cascata di fili lucenti, e i suoi occhi brillavano come il sole rosso sull’orizzonte d’Occidente. Il Faraone si fermava ad osservare da lontano, ma era la nostalgia, non già l’amore, a nutrire i suoi sguardi.
Set aveva amato una sola donna nella sua vita.

Ovunque egli andasse, il drago bianco non mancava mai di rispondere al suo richiamo.
La sua impalpabile, eterea presenza lo accompagnava nei suoi viaggi attraverso il paese, e quando la flotta solcava veloce le acque del grande Nilo, sotto la spinta generosa del vento, la visione della luminosa entità torreggiante al fianco del Re, ritto in piedi sulla prua del vascello Reale, riempiva di meraviglia e reverenza coloro che avevano la fortuna di scorgerla da riva.
Il popolo mormorava che il Faraone era davvero il prediletto degli dei, e il suo guardiano divino avrebbe protetto il regno da ogni sciagura.

Splendente e letale, la candida creatura fu l’ultima cosa che vide il viceré traditore prima di essere incenerito in un lampo di luce abbagliante. La fedeltà delle province non fu mai più in discussione.

L’autorità del Re si rafforzava e consolidava nel tempo, il suo potere era saldo e la sua guida illuminata. I vili e gli abietti temevano la sua collera, gli onesti lodavano la saggezza del suo operato. Egli incarnava la Regola, incorruttibile ed eterna; il suo agire era equo, rispettoso della legge e della consuetudine. In tutta la terra d’Egitto, il suo nome era venerato e temuto. Nobili e contadini, notabili e soldati, tutti si prostravano dinnanzi al potere del Sovrano, tutti invocavano la sua benevolenza.
Set non se ne curava, né si compiaceva eccessivamente degli elogi e degli apprezzamenti che sinceramente o per calcolo gli venivano rivolti.
Un tempo, l’orgoglio e la vanità erano stati in lui tanto grandi da renderlo vulnerabile al fascino sottile della lusinga, capace di avvelenare la mente, nutrire di menzogne le più nobili aspirazioni e tramutarle in cupa, disperata ambizione. All’inizio, il peso della doppia corona gli era sembrato talmente schiacciante da risultare quasi insopportabile, costante, imperituro memento del prezzo pagato da un altro per il suo tradimento. Eppure lo aveva accettato, come ultimo atto d’obbedienza e devozione verso colui che avrebbe per sempre considerato il suo Re.

Amava il deserto, la violenza impietosa del sole e del vento, la brutale, selvaggia bellezza della natura indifferente e implacabile, che non concede e non tollera esitazione o debolezza; la sola sfida che gli rimaneva, la sola che ritenesse all’altezza di se stesso.
Amava la solitudine, e in solitudine, nonostante il sostegno e il rispetto di coloro che lo circondavano, visse fino alla fine dei suoi giorni.

Prima ancora che sacerdote, mistico, incantatore, Set era stato un guerriero. Per tutta la vita aveva lottato: dapprima, contro la sorte sventurata della sua nascita, in seguito, contro le limitazioni impostegli dal suo rango, da ultimo, contro un destino glorioso che non credeva davvero di meritare.
Infine depose le armi, e quando giunse il momento, non oppose resistenza.
La morte lo prese dolcemente, nella luce accecante del mezzogiorno, all’ombra fresca e profumata di un sicomoro.

  
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