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Autore: Bruli    12/06/2017    0 recensioni
Lui è innamorato di lei. Lei... è semplicemente un mistero. Esiste e non esiste. Eppure lui non vuole arrendersi: ciò che prova è troppo grande e il pericolo è il suo mestiere.
«Non osò muovere un muscolo, temendo che quella visione potesse svanire da un momento all'altro. I battiti del cuore aumentavano a vederla lì, reale, in carne ed ossa, come se fosse naturale svegliarsi con lei ogni mattina e osservarla in un tipico momento d’intimità femminile. Osservava la sua mano tenere la spazzola in modo esperto, passarla tra i capelli, e poteva quasi sentire tra le dita la loro morbidezza. Stette così, a guardarla, incantato da quei movimenti ipnotici, finché il loro sguardo non si incrociò nello specchio. Lei sussultò appena, interrompendo il suo lavoro meticoloso. Poi gli sorrise, come solo lei era in grado di fare. Senza nascondersi, senza remore, ma mettendo tutta se stessa nella piega delle labbra. Gli regalò quel sorriso che – lo sapeva – era solo per lui. Perché era esattamente il sorriso che una donna rivolge al suo uomo nell'intimità della camera da letto. E subito sentì il cuore riempirsi un po’ di più.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CENERE DI FENICE

 

Quotidianità

 
Giovanni aprì gli occhi lentamente, ancora intontito dal sonno che lo stava abbandonando. Li stropicciò piano, come quando era bambino, infastidito dalla luce che gli colpiva il viso senza pietà. Quando si fu abituato, notò che le serrande erano state alzate e le ante della finestra leggermente aperte. Un leggero venticello faceva ondeggiare le tende bianche e tintinnare l’acchiappasogni appeso sopra la testiera del letto.
Tirò le fresche lenzuola di cotone bianco fin sotto al mento, tentando di reprimere quel leggero brivido che aveva cominciato a percorrergli la spina dorsale. Chiuse nuovamente gli occhi. Non voleva svegliarsi, desiderava rimanere ancora in quel felice limbo bianco, coccolato da quella sensazione di leggerezza e pienezza che gli riempiva il cuore. Non voleva tornare alla realtà, alla vita frenetica, all’ansia, alle preoccupazioni. Cercava di trattenere la sensazione di felicità e di pace che lo aveva accompagnato in quel sonno privo di sogni, ma forse per questo ancor più ristoratore, quando un leggero suono, a stento udibile, lo riportò pian piano alla realtà.
Sapeva di seta, morbidezza e quotidianità.
Come il canto delle Sirene tentavano Ulisse, così quella leggiadra melodia lo indusse ad aprire gli occhi e a cercarne la fonte. E, come in un sogno, la vide. Lei era lì. Per davvero. Seduta alla toletta, una sottile vestaglia di seta turchese con decori orientali ad avvolgerne le morbide forme, la manica leggermente scesa che lasciava intravedere la spallina di un reggiseno in pizzo. Spazzolava i capelli con gesti lenti e misurati, canticchiando a voce bassa una melodia a lui sconosciuta.
Non osò muovere un muscolo, temendo che quella visione potesse svanire da un momento all’altro. I battiti del cuore aumentavano a vederla lì, reale, in carne ed ossa, come se fosse naturale svegliarsi con lei ogni mattina e osservarla in un tipico momento d’intimità femminile. Osservava la sua mano tenere la spazzola in modo esperto, passarla tra i capelli, e poteva quasi sentire tra le dita la loro morbidezza. Stette così, a guardarla, incantato da quei movimenti ipnotici, finché il loro sguardo non si incrociò nello specchio. Lei sussultò appena, interrompendo il suo lavoro meticoloso. Poi gli sorrise, come solo lei era in grado di fare. Senza nascondersi, senza remore, ma mettendo tutta se stessa nella piega delle labbra. Gli regalò quel sorriso che – lo sapeva – era solo per lui. Perché era esattamente il sorriso che una donna rivolge al suo uomo nell’intimità della camera da letto. E subito sentì il cuore riempirsi un po’ di più.
«Sei bellissima» sussurrò lui. Anzi, per meglio dire, le parole gli scivolarono leggiadre da bocca, con la stessa solennità e urgenza con cui si pronuncia una preghiera. E forse in quelle due parole erano racchiuse, davvero, le preghiere di un uomo innamorato consapevole dell’effimerità della sua felicità.
«Non dire sciocchezze» lo rimproverò bonariamente. «Non sono ancora preparata».
«Sei bella così, seduta su quella sedia nella tua semplicità. A spazzolarti i capelli con una naturalità disarmante. Vorrei svegliarmi ogni mattina in una stanza intrisa del tuo odore. Aprire gli occhi e trovarti vicino a me, intenta a prepararti».
Lei ebbe un leggero fremito, appena percepibile, e riprese a spazzolare i capelli, questa volta con meno entusiasmo. Un sorriso mesto le disegnava ora le labbra, lo sguardo perso chissà dove. Non rispose. Cosa pensava? Avrebbe tanto voluto saperlo.
Giovanni si alzò dal letto e le si avvicinò. Quando le fu accanto, fermò la mano con cui la ragazza teneva la spazzola e le fece volgere il capo nella sua direzione. Si chinò fino a trovarsi all’altezza del suo viso. Era tanto vicino che quasi i nasi si sfioravano. Poteva leggere negli occhi di lei sorpresa, desiderio, e forse anche un po’ di tormento. Avrebbe tanto voluto sapere quali demoni nascondevano quegli occhi scuri nei quali riusciva a leggere tanta bontà, la stessa bontà che lei stancamente tentava di nascondere. Avrebbe voluto combattere con lei le sue paure, camminare al suo fianco, condividere la felicità e la tristezza. Invece tutto ciò che gli era concesso era rincorrerla affannosamente, senza mai riuscire a raggiungerla nonostante i tanti sforzi.
Le lasciò un delicato bacio sul collo. «Baciami ogni giorno …» sussurrò. Un altro bacio sulla guancia, uno sul nasino, «… anche quando sarai piena di rughe, continua a baciarmi…». Ed infine un leggero bacio sulle labbra piene.
Lei ridacchiò piano. «Quello pieno di rughe sarai tu, caro».
«E perché ne sei tanto sicura?», ribatté lui continuando il gioco di baci.
«Perché dubito di arrivare alla vecchiaia».
Giovanni si ghiacciò sul posto. Si scostò da lei e la guardò negli occhi. Erano seri, per nulla scherzosi. «Non dire sciocchezze, Veronica».
«Non lo è».
Si fissarono in silenzio per un minuto interminabile.
«Non volevo dirlo», si scusò lei. «Ma non potevo farti sognare quello che non ci potrà mai essere».
«Ci sono modi più onesti di interrompere una relazione» la rimproverò Giovanni.
Era risentito e non le credeva. Era ovvio si sentisse così dato il trattamento che gli riservava. In quella loro stramba relazione Giovanni si accorgeva che non erano in due: c’era lui, che tentava in tutti i modi di tenerla stretto a sé, innamorato com’era. E c’era lei, che coi suoi occhi profondi e i dolci sorrisi gli faceva vedere la luna, per poi defilarsi alla prima occasione.
«Hai ragione. È meglio che la finiamo qui», lo freddò.
Veronica si alzò dalla sedia e prese a raccogliere le sue cose nella stanza. Era evidente dai suoi gesti l’urgenza di andar via. Giovanni stette a guardarla immobile, attonito. Non riusciva a capacitarsi come in pochi minuti il loro rapporto fosse mutato radicalmente. Ancora una volta. Ma in modo più precipitoso rispetto a come era già accaduto in altre occasioni. La voce di Veronica, gli occhi, il suo atteggiamento, avevano un ché di definitivo che lo fece tremare. Tentò di pensare analiticamente e raccogliere le idee. La vide rivestirsi, allacciare le scarpe, prendere la giacca. Solo quando lei lo superò per uscire dalla camera da letto lui si riscosse.
«Parlamene» disse solamente. Veronica parve soppesare per un attimo la sua richiesta, ma poi scosse la testa.
«Parlamene» ripeté. «Ti posso aiutare».
«Non puoi aiutarmi».
«Ma mi aiuterebbe a capire. Ho bisogno di capire».
«No». Lapidario. Freddo.
Lui scosse la testa, incapace di non sentirsi ferito. «Almeno dimmi il tuo nome… quello vero!».
Lei lo guardò per la prima volta sorpresa.
«So che Veronica non è il tuo vero nome, è chiaro. E se non posso sapere il perché di tanto mistero attorno alla tua persona, almeno dimmi come ti chiami».
Lei sorrise come se si fosse accorta di aver fatto un errore davvero stupido. «Allora il distintivo non l’hai trovato nell’uovo di Pasqua! Hai fatto ricerche su di me, quindi?».
«Certo, ma a quanto pare tu sei più brava di me».
Lei rise ancora, ma senza allegria. «E anche se potrei essere una criminale o un’assassina, ti fidi ancora di me?».
«Sempre».
Lei rimase qualche minuto, più probabilmente secondo, in silenzio ad osservare il volto stravolto di Giovanni. Era così bello ai suoi occhi. Il naso dritto, la mascella volitiva, gli occhi sinceri. E proprio quella sincerità la disarmava.
«Mi dispiace. Non c’è alcuna possibilità per noi di costruire qualcosa insieme».
La ragazza si voltò fiondandosi sulla porta per scappare a quello sguardo dall’effetto magnetico su di lei. Giovanni, però, fu più veloce e la trattenne per la vita.
«Smettila di fare così! Adesso ci sediamo e mi spieghi perché ti comporti in questo modo!» esclamò lui.
«Lasciami!» ringhiò lei tra i denti.
«No! Non ti lascio andare così! Parlamene!» la supplicò ancora una volta.
Con un gesto fulmineo, Veronica si liberò della sua presa colpendolo poi allo stomaco con una ginocchiata. Giovanni, pur allenato ed esperto di difesa personale, accusò il colpo non aspettandosi un attacco fisico da parte della ragazza. Stordito dal dolore, sentì appena il «mi dispiace» biascicato da Veronica prima di fuggire via. Non perse tempo e si catapultò fuori dall’appartamento e giù per le scale del palazzo, ma quando arrivò alla strada di lei già non c’era più traccia. Tornò di corsa all’appartamento e afferrò il cordless per chiamarla sul cellulare. Al rispondere della segreteria telefonica, si afflosciò senza forze sul divano. Si guardò attorno. Era solo in una casa che sapeva ancora di lei e con la terribile consapevolezza di averla probabilmente persa per sempre. 
  
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