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Autore: ErinLecter    13/06/2017    1 recensioni
“Ti fidi di me?”
“No.”
“Sembri più intelligente di quello che sembri, Kyoya...”
L’occhiolino che seguì fu ciò che fece disegnare un piccolo sorriso sul volto del moro. Un sorriso che apparve anche mentre Kusakabe finiva di elencargli il programma della giornata. Probabilmente la differenza tra Dino e Yamamoto, tra Dino e chiunque, era proprio quella.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari, Takeshi Yamamoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalve! 
Parto con una piccola nota, senza dilungarmi troppo. Questa FF è partita da un contest di una mia cara amica e come sempre io, a ridosso della scadenza, decido di finire la mia piccola idea. Il mio prompt, una citazione, era "Do you trust me?" "No" "You're smater than you look.". Volevo inserire la D18 per motivi affettivi e ho pensato: "perchè non farlo in un modo mai provato prima?"
Ho provato ad inserire una mezza 8018, un po' sfasciata. Nonostante sia una delle coppie che apprezzo ho dovuto sfasciarla per ragioni di trama Tra l'altro è dal 2013 che non posto niente, nonostante io abbia scritto un sacco in questi ultimi quattro anni. Non so, ho sempre pensato che le mie storie o FF non fossero abbastanza... e con questa pubblicazione dico: BASTA! 
Accetterò sempre critiche e consigli, migliorarmi è il mio obbiettivo. Quindi torno su EFP con questo modo di scrivere che mi è completamente nuovo, ci sono vari e piccoli flashback e spero di averli inseriti senza fare troppa confusione. Ho cercato di centrare il prompt in un modo un po' diverso, senza togliergli niente in quanto a significato. Non mi resta che augurare buona lettura!
Contest: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1246757412107305&set=a.126025360847188.23295.100003191741989&type=3&theater

"Hibari Kyoya non può fare miracoli" 

“Nessuno può fare miracoli”, era questo che Hibari ripeteva a sé stesso. Neanche lui poteva.
Si era convinto del contrario, per ventisei anni aveva vissuto con la convinzione che, se nessuno poteva fare miracoli, l’eccezione era lui, il Presidente del Comitato Disciplinare. Quanto si era sbagliato… e la cosa peggiore è che avrebbe dovuto ammettere il suo sbaglio non solo alla persona davanti a sé, che aveva convocato, ne solo a quella che lo attendeva in un altro luogo. In primis, doveva ammetterlo a sé stesso.
“Ho capito. Hai già parlato con Dino ieri sera... ed ora hai parlato con me.”
La voce di Yamamoto Takeshi lo riportò alla realtà, lo costrinse a tornare vigile ed attento. Quante altre debolezze poteva permettersi Hibari Kyoya? Non così tante. Era per questo che non ricambiava lo sguardo del moro, che teneva gli occhi su di lui. Li sentiva, erano gli unici che durante quei mesi di lontananza forzata, che si era auto inflitto, da Dino lo avevano confortato, premiato e rimproverato a seconda delle occasioni.
Kyoya si stava chiedendo se però, quella volta, in quello sguardo si nascondesse qualcosa di più. Un accenno di accusa, un qualche tipo di risentimento che lui non poteva riconoscere… poteva essere così puro da non provarne?
“Sì, ho parlato con lui ieri sera. Chiederò a Kusakabe di chiedere udienza al Decimo Cavallone per stasera, così-…”
“Come se tu avessi bisogno di chiedere un’udienza o di certe formalità… lo sai anche tu che dopo tutti questi mesi non è necessario. Alla fine Dino ti-…”
Hibari si voltò di scatto, appena in tempo, prima che il moro potesse pronunciare l’ultima fatidica parola. Non c’era niente di male, alla fine dopo tutti quei mesi era ovvio che Dino lo amasse e Hibari ne era certo, ma non voleva che lo pronunciasse, più per scaramanzia che per dispetto. E, tra le altre cose, non poteva accettare che fosse Takeshi a dirglielo, a confermarglielo; nonostante non vi fosse tono di accusa, non poteva accettare che se ne servisse, in qualche modo, per farlo sentire in colpa. Poteva sentire una nota di arrendevolezza ma mai di disprezzo nella sua voce, come se Yamamoto avesse fatto i conti tempo fa con chi Hibari avesse deciso di passare la sua vita, ancor prima del Guardiano della nuvola.
Eppure Kyoya aveva provato in tutti i modi a cambiare idea, a cambiare vita, a dimenticare l’uomo che per anni gli aveva causato solo danni, l’uomo che spesso e volentieri lo abbandonava per mesi, per lavoro. Aveva provato a dimenticare Dino come si prova a dimenticare una cosa brutta, una cosa che ha fatto male, ed era per questo secondo lui che al solo ricordo il cuore gli batteva ancora a mille. Aveva provato a sostituirlo nel suo letto, nei suoi pranzi, in ogni parte della sua vita quotidiana dove era presente, lo aveva sostituito con qualcuno che considerava migliore in tanti ambiti, una minaccia che per Dino era sempre stata vera ma mai concreta… una minaccia non concreta, eppure in quei mesi Yamamoto Takeshi era diventato davvero il suo amante.
Ma nessuno, nessuno può fare miracoli… così neanche Hibari Kyoya.
Il letto condiviso con il Guardiano della pioggia lo lasciava sempre più vuoto e privo di emozioni, i tocchi di Yamamoto erano freddi come il ghiaccio per lui, a pranzo non sentiva il bisogno di imboccarlo come sarebbe accaduto se al suo posto ci fosse stato Dino, la risata di Yamamoto sembrava così vuota rispetto a quella di Cavallone… aveva scoperto di aver tappato ogni buco della sua vita col moro, ne aveva preso consapevolezza. E pur sapendo questo, si era accorto di non aver sostituito Dino nel punto giusto, il punto che contava di più, nel suo cuore.
E sebbene le parole di Yamamoto non contenessero alcun tipo o tono di accusa, Hibari le sentiva come tali; era sempre esigente con sé stesso e sentiva di aver tradito non solo Takeshi per tutto quel tempo, Dino in modo implicito, ed anche sé stesso.
“Mi dispiace Takeshi. Avrei dovuto dirtelo prima.”
“Non preoccuparti… lo sapevo già.”
“Lo so.”
Il Guardiano della nuvola annuì, stanco. Come era arrivato a quel punto?
L’ultima volta che aveva visto Dino, la scorsa sera fino alla stessa mattina, si sentiva davvero così disperato? Aveva vacillato, aveva ceduto. Dino lo aveva fatto cedere come solo l’unico amore sa fare e ne era conscio.
Erano passati mesi da quando lo aveva convocato nel suo ufficio e gli aveva dato la brutta notizia, non voleva più vederlo. Non voleva averci più a che fare a meno che non fosse per lavoro. E così era stato. Ogni tanto una scintilla sembrava di nuovo scattare tra i due, quando per lavoro infatti, si incontravano ancora. Cavallone non si arrendeva mai e pian piano, in quei mesi, aveva saputo corteggiarlo solo come un italiano sa fare, con insistenza ma dovuta premura.
E Hibari? Hibari lo aveva lasciato fare.
Gli incontri con Yamamoto si facevano sempre più freddi, via via che Kyoya vedeva Dino in riunione, quando gli si sedeva accanto, quando gli parlava con un leggero sorriso.
Infondo Hibari non poteva certo fare miracoli, no?
Dino non avrebbe mai smesso di tormentarlo, non dopo dieci anni, quello sembrava esser diventato il suo lavoro. Anche quando aveva saputo di Yamamoto non si era dato per vinto ed anzi, negava con forza l’evidenza, non credeva che fosse possibile. Cavallone era con lui durante l’orario di lavoro e ben presto cominciò a sentire che era ovunque, a letto, a pranzo, nel suo ufficio nelle ore di relax… non c’era alcun conforto in Takeshi, era il pensiero che ci fosse Dino a portarglielo, a rendergli la giornata passabile. Ma questo non lo avrebbe detto ad alta voce, non a Yamamoto almeno.
“Avevi solo bisogno di capire… e ieri sera hai capito. Sono solo contento per te, Kyoya.”
La voce del Guardiano della pioggia gli arrivò lontana, ovattata a causa dei pensieri e dei ricordi in cui Hibari era immerso. Si ostinava ancora a immergersi in riflessioni che ormai erano senza senso, sapeva come doveva agire e cosa doveva fare, esattamente come era successo la sera prima. E oh, la sera prima non era altro che l’epilogo di quel che Hibari aveva capito.
Aveva sempre odiato le cene di rappresentanza come quella della sera prima, comunque aveva deciso di andarci. La presenza di Xanxus, la presenza di Byakuran da provocare e prendere in giro, erano ben poco attraenti rispetto a quella del Cavallone. I loro sguardi si erano incrociati subito, Dino aveva fatto un mezzo inchino e con la medesima scusa gli aveva afferrato la mano, baciandogliela. Non era bastato che questo per far cedere Kyoya. La serata era durata relativamente poco per loro, il tempo necessario che si erano concessi sul balcone, all’aria fresca, a parlare delle loro ultime settimane, dei loro ultimi mesi… e ben presto finirono a parlare di quanto si erano mancati, di quanto si erano cercati in qualcuno che non era loro, la gelosia prese il sopravvento in entrambi. Mai la mano di Dino aveva stretto così il polso di Hibari e mai lo sguardo di Kyoya aveva colpito così duramente Cavallone.
Entrambi avvertirono una certa urgenza nel tocco e nello sguardo, un qualcosa che era più che fugace e veloce. Non era un ritorno di fiamma, era una fiamma che non era mai stata dissipata.
Da un bacia mano, ad un balcone, ad un letto… il passo era stato così breve per loro, come sempre d’altronde. Sembrava tutto calcolato, eppure niente era stato deciso prima di quel momento.
Hibari ricordava tutto di quella sera e se chiudeva gli occhi poteva sentire ancora ogni gemito sfuggito, ogni bacio rubato, il corpo di Dino che si spingeva contro al suo. Tutto era al posto giusto nel momento giusto. Si era sentito pieno, completo, perfetto. Solo la mattina si era accorto di tutte le responsabilità che la loro decisione comportava ed era il motivo per il quale Yamamoto era lì, di fronte a sé.
Il Guardiano della pioggia e quello della nuvola si guardarono per qualche secondo negli occhi prima che il primo si alzasse con un piccolo sorriso sulle labbra. Si stiracchiò prima di recuperare la katana e la propria Box.
“Non devi preoccuparti Kyoya… rimarremo amici, spero.”
“Amici?”
Hibari rispose inarcando un sopracciglio, era una formula che usava poco. Takeshi in risposta scoppiò a ridere.
“Ti fidi di me?”
La domanda lo colse di sorpresa. Sentiva che la risposta giusta era una, seppur non vera nel modo in cui la intendeva Takeshi.
“Sì.”
Il peso della bugia non si fece sentire. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, un piccolo sollievo per un grande male, un piccolo riscatto per Yamamoto ma anche per Hibari, che si sarebbe sentito meno in difetto.
“Allora siamo amici.”
Fu la fine della discussione. Yamamoto uscì proprio mentre Kusakabe entrava, insieme all’informazione che gli serviva. Il vice presidente chiuse la porta scorrevole dietro di sé, sorridendo appena al suo presidente.
“L’ha presa bene, Kyo-san.”
“Sì. Sembra di sì…”
Kusakabe cominciò ad elencare il programma del pomeriggio. Hibari però si permise un’ultima distrazione, ricordandosi la conversazione tra lui e Dino poche ore prima, prima di lasciarsi andare, ancora, ma per poco questa volta.
Dino si stava alzando dal letto e Hibari lo stava fulminando, come suo solito.
“Dai, Kyoya… non guardarmi così. Stasera possiamo vederci.”
“Non ti farò il piacere di vedermi solo per estorcermi altro sesso.”
“Te lo chiederò per favore, mio piccolo Kyoya…”
Un sorriso. Era bastato un sorriso del biondo per far capire a Hibari che no, non era in grado di resistere. Cavallone era ancora mezzo svestito mentre si chinava su di lui, per baciargli la fronte.
“Stasera ti porterò a cena fuori… e dopo faremo quel che più ti aggrada, così non potrai lamentarti della mia voglia di sesso.”
“Mi stai chiedendo un appuntamento? Spero che tu non debba partire per l’Italia proprio stasera.”
“Dovresti darmi un po’ di fiducia…”
“Quindi è questo che mi chiedi. Fiducia, non un appuntamento.”
Hibari non doveva chiudere gli occhi per ricordare come Dino gli aveva alzato il mento e lo aveva baciato dolcemente, come lo aveva guardato mentre gli chiedeva la stessa cosa che Yamamoto gli aveva chiesto.
“Ti fidi di me?”
“No.”
“Sembri più intelligente di quello che sembri, Kyoya.”
L’occhiolino che seguì fu ciò che fece disegnare un piccolo sorriso sul volto del moro, una leggerezza che avrebbe rivelato la verità a Dino. Un sorriso che apparve anche mentre Kusakabe finiva di elencargli il programma della giornata. Probabilmente la differenza tra Dino e Yamamoto, tra Dino e chiunque, era proprio quella.
“… ed infine, stasera, cena con Dino-san. A Villa Cavallone, ovviamente.”
“Ovviamente.”
Hibari sorrise appena. Quel “No” ricollegabile sempre e solo a Cavallone gli avevano cambiato la vita. E sapeva che, nel bene o nel male, sarebbero sempre tornati insieme, litigando ancora, mentre Hibari teneva per sè quella che considerava la sua verità assoluta; si fidavano l’uno dell’altro e nessuno dei due, nonostante Hibari dicesse il contrario, ne faceva mistero.

  
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