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Autore: nattini1    16/06/2017    3 recensioni
Spoiler stagione 12. Aveva cercato di fermarsi, aveva creduto che sarebbero potuti scappare insieme, che nulla avrebbe potuto mettere fine alla loro amicizia; purtroppo aveva dolorosamente scoperto a proprie spese che forse l'infinito poteva essere dato solo da un'illusione ottica. Fanfiction 1* classificata al contest ByeBoys&Girls Hellatus, promt 2 We live.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Ciao a tutti! Ogni sguardo che si posa sui Winchester è destinato a cambiare prospettiva e incontrando i due fratelli Mick ha imparato a ragionare con la propria testa e con il proprio cuore. Mi ricorda un po' Gabriel e, come lui, se ne è andato troppo in fretta, quindi ho pensato di dedicargli questo missing moment. Ho provato a immaginare qualcosa della sua vita a Kendricks, i suoi pensieri tormentati e cosa potrebbe essere successo la sera al bunker in cui ha bevuto con Dean (la mie esperienza in fatto di discorsi fatti da ubriachi è quasi pari a zero, ma mi sono consultata con esperti!). Le parti in corsivo sono la descrizione dei ricordi che gli affiorano alla mente in sogno e sono narrati dal punto di vista di Timothy, l'amico che ha ucciso.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

 

[Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.]

 

 

Prompt 2: Prendete un vostro personaggio preferito tra i "minor" morti in questa stagione, quindi: Mick, Eileen, Rowena e Ketch e dedicategli uno spazio. Se volete possono incontrarsi tra di loro, con i principali o altri.

 

• Personaggi: Mick, Dean

• Coppia: destiel accennata

•Genere: malinconico, introspettivo

•Rating: verde


 

Il bunker non aveva finestre da cui guardare il cielo, ma Mick, sdraiato su un letto in una stanza presa a caso, immaginò che le tinte rosate del tramonto stessero lasciando il posto a un mantello sempre più oscuro trapunto di pallide stelle. Non si fermava mai a guardare in su, perché avrebbe sentito più profondamente il peso di essere solo. Da quando aveva poco più di dodici anni a Kendricks, aveva sempre adottato un atteggiamento sostenuto, non aveva legato con gli altri Uomini di lettere, non per la consapevolezza della sua diversità sociale rispetto agli altri, a cui nessuno faceva caso in virtù del suo duro lavoro, ma per non avere un altro amico che gli imponessero di uccidere.

Ma ancora dopo tanti anni gli mancava ricevere una spallata lottando per chi entra prima in stanza, una domanda sussurrata troppo ad alta voce in un corridoio, una risata soffocata sotto le coperte dopo il coprifuoco, biglietti passati di nascosto in classe, un libro sfogliato insieme in biblioteca, perché queste piccole cose dicevano che nella sua vita c'era gioia, dicevano che lui e Timothy facevano gli stessi sogni, condividevano lo stesso riposo, non avevano paura, né freddo. Chiuse gli occhi, non sapendo se Morfeo gli avrebbe donato un sogno o un incubo. Probabilmente, una volta sveglio, il rimorso non gli avrebbe permesso di cogliere la differenza.

 

Alle prime luci che filtravano dalla finestra della loro stanza nel dormitorio di Kendricks, Timothy si stiracchiò nel letto pronto ad alzarsi, ripensando a quello che gli aveva insegnato suo padre tanti anni prima: l'amore aveva dato origine alla prima alba e sempre avrebbe dovuto andare alla ricerca di esso in ogni sua azione. Più che religioso, amava definire suo padre «spirituale». Certo, frequentava una chiesa quasi ogni settimana, ma, se la domenica arrivava il bel tempo dopo giorni di pioggia, preferiva rendere grazie al Signore andando a fare un'escursione, piuttosto che chiudendosi in un edificio spesso colmo non solo di luce e altruismo, ma anche di incenso e ipocrisia. E la sua mentalità aperta abbracciava ogni aspetto delle relazioni umane: aveva insegnato al figlio sopra ogni altro valore il rispetto per gli altri, a non giudicare, a pensare con la propria testa. Ma poi sua madre, ottenuto il suo affidamento dopo il divorzio da marito, lo aveva trascinato via da quelle che definiva «favolette hippie» e lo aveva costretto a studiare a Kendricks. Era in quella scuola, che sua madre aveva frequentato prima di lui, che aveva scoperto che i mostri esistono davvero ed era una sua ferma convinzione che la preside, con il suo gelido sorriso, fosse una di loro; convinzione che si era rafforzata da quando aveva scoperto che aveva un accordo segreto con un demone.

Timothy sgusciò fuori dalle lenzuola e saltò sul letto accanto al suo svegliando Mick con un «Buon compleanno!». Mick sollevò pigramente le palpebre, sforzandosi di camuffare con uno sbadiglio un sorriso e poi granò gli occhi davanti al pacco che l'amico gli tendeva entusiasta. Lo aprì con cura e trovò il disegno a matita incorniciato di un'immagine straordinaria: una specie di castello alla sommità del quale stava un camminamento fatto di una scala che mutava la propria direzione di 90 gradi per quattro volte, mentre delle figure la salivano o la scendevano per ritornare al punto di partenza in un giro infinito.

«L'ho fatto per te, Mick. Siamo abituati a vedere solo figure di mostri e io volevo che tu avessi qualcosa di magico, di bello. È una copia di un disegno di Escher, Salita e discesa, è una rappresentazione della complessità della vita e anche dell'infinito». Poi aggiunse, quasi timidamente, mordendosi un labbro: «Ti piace?».

Mick osservò i tratti a volte leggeri, a volte più marcati, della matita. La prospettiva per realizzare ogni gradino era perfetta e costruita nei minimi particolari, e mutava continuamente così come il punto di vista necessario per coglierla. Sembrava un disegno realistico, ma a guardarlo con attenzione non era affatto coerente: sovvertiva tutte le regole conosciute.

Mick non fece in tempo a rispondere perché un loro compagno bussò alla porta avvisandoli che la preside voleva vederli subito.

 

Mick si destò di colpo faticando a respirare, sentendo una sensazione di oppressione al petto. Si alzò e barcollò fino al lavabo; si spruzzò dell'acqua in viso e poi trovò il coraggio di guardarsi allo specchio. L'immagine riflessa era quella di un viso pallido incorniciato da una barba scura, ma era una maschera dietro cui si celava un'anima in pezzi, un segreto per lui stesso e per gli altri, un uomo che stava perdendo la propria identità ed era incapace di giungere al senso profondo della vita. Non avrebbe trovato il coraggio per addormentarsi di nuovo, non senza un'altra abbondante dose di alcool. Dean si era appropriato di una delle bottiglie di whisky che aveva portato, magari l'aveva lasciata sul tavolo della biblioteca, valeva la pena controllare.

Si trascinò fino alla biblioteca. La bottiglia c'era ancora, anche se era considerevolmente vuota, e c'era anche Dean che ne stava aprendo un'altra. Il cacciatore lo guardò contrariato, poi scosse la testa e gli fece un cenno. A Mick fu più che sufficiente e, dopo aver preso un altro bicchiere, si lasciò cadere su una sedia del tutto consapevole di aver perso il suo contegno inglese: ormai girava sempre col primo bottone della camicia aperto, le mani in tasca e non sedeva più in modo composto. Meglio non rimuginarsi sopra. Alzò il bicchiere verso Dean in una silenziosa richiesta e lui versò il whisky dicendo: «Cosa vuoi che ti dica? Che mi fa piacere lavorare con te? No. Che mi fido di te? Col cazzo. Lavoro con persone di cui non mi fido in continuazione, quindi abbiamo deciso di darti una seconda possibilità». Pur avendo gli occhi lucidi, la voce del cacciatore non tradiva la minima increspatura, anche se aveva un tono marcatamente allegro; evidentemente Mick non aveva a che fare con un dilettante, meglio così, voleva solo anestetizzare la mente affollata dai pensieri che premevano da ogni parte per uscire e sapeva che anche a lui sarebbe servito più di quello che era rimasto nella bottiglia.

Mick non perse tempo a sorseggiare il liquido ambrato e lo buttò giù tutto in una volta, appropriandosi poi della bottiglia per riempire nuovamente il bicchiere.

«Sai cosa manca in questo bunker? Un dannato impianto per ascoltare la musica, mi sono ridotto a dover portare un vecchio stereo!» si lamentò Dean.

«Questo bunker risale agli anni sessanta, all'epoca si usavano i giradischi e c'è una nutrita collezione di vinili» osservò Mick; stavolta si prese il suo tempo per assaporare il whisky.

Dean sembrò riflettere un momento e poi disse: «Non c'è della vera musica. Ascolta bene questa regola sulla musica: chi guida sceglie la musica, quindi, se osi ancora ascoltare quello stupido podcast, uso qualcuna di quelle tue cazzate di lusso su di te».

Mick cominciò a sospettare che forse il cacciatore avesse bevuto già abbastanza e rispose piccato: «Quelle che hai chiamato “cazzate di lusso” sono in realtà sofisticati prodotti di alta ingegneria, sapientemente combinati con secolari ricerche di natura magica».

Stavolta Dean rise: «Stai diventando l'anima gemella nerd di Sam!».

Un altro paio di bicchieri furono riempiti e svuotati in silenzio da entrambi e Mick si preoccupò di aprire un'altra bottiglia.

Dean alzò il bicchiere di nuovo pieno guardando con attenzione il liquido: «Sai che c'è? Questo è il miglior rimedio dopo una giornata passare a fare il culo ai mostri, ti fa smettere di pensare».

La bocca di Mick si staccò dall'ennesimo bicchiere e si torse in una piega amara: «In questo caso mi chiedo come mai la direzione centrale degli Uomini di lettere non lo fornisca come dotazione standard ai suoi agenti».

Dean infilò una mano in tasca prendendo il telefono, ma gli scivolò in modo maldestro a terra. Mick glielo raccolse: «Per fortuna non si è rotto. Aspetti qualche telefonata?».

Dean si rabbuiò: «No, certo che no. Cas continua a ignorare i miei messaggi».

Mick riempì i bicchieri e punzecchiò Dean: «Gli innamorati si fanno sempre desiderare».

Dean, tra un sorso e l'altro, riuscì a borbottare un: «Fottiti».

Mick rincarò la dose: «Sul serio, voi due sembrate molto...».

Dean si girò di scatto rovesciando il proprio bicchiere, il che fu un bene visto quanti se ne era già scolati: «Se osi finire questa frase, giuro che ti prendo a calci in culo!».

Mick rise per nulla preoccupato: «Hai lo stesso sguardo omicida che mi hai lanciato quando ho allungato il biglietto col mio numero di telefono a Castiel!».

Dean sembrò cogliere solo l'ultima parola: «Quell'angelo mi sta facendo diventare matto e io non ci capisco un cazzo di cosa vuole fare. E prima uccide la mietitrice… beh, io ho ucciso Morte e anche Hitler… poi ci aiuta con Lucifero, quel grandissimo bastardo… poi si perde Kelly e le va dietro… ma me lo spieghi perché non trova un momento per richiamarmi? Cosa diavolo devo fare?».

«Dimmelo tu» risponde educato e divertito a un tempo Mick.

Dean recuperò tutta la lucidità possibile e si alzò a fatica: «Prima che la cosa diventi imbarazzante, me ne vado a letto».

Mick rise di nuovo: «Con voi di cose imbarazzanti ne succedono parecchie: credo che mi serviranno molti più bicchieri per scordare di averti visto nuotare nella piscina… Non hai il benché minimo stile e, se ho visto bene, non avevi nemmeno le mutande!».

Dean gli urlò di rimando: «La prossima volta ti faccio pagare il biglietto per lo spettacolo».

Mick restò solo con la bottiglia incominciata. Riusciva ancora a pensare, quindi tracannò in fretta altro whisky. Gli capitava di rado di essere curioso riguardo a cose non attinenti al suo lavoro, ma il rapporto tra Dean e l'angelo lo intrigava. Da tutti i suoi studi aveva appreso che gli angeli, in genere, si sentono superiori agli esseri umani e che li usano come contenitori quando questo serve ai loro scopi, ma Castiel sfuggiva questa logica e si dimostrava molto legato ai cacciatori, a Dean in modo speciale. Non era il loro mastino, come aveva pensato in un primo tempo, era loro amico. E forse era qualcosa di più, ma a Mick sfuggiva del tutto il concetto di «famiglia» o «innamorato» e non era in grado di spingere più oltre il suo ragionamento. Decise di brindare a quei due, augurando a Dean di capire cosa fare. Un po' lo invidiava perché lui aveva qualcuno di cui preoccuparsi e che si preoccupava per lui, qualcuno la cui mancanza provocava dolore e la cui presenza regalava gioia nel momento del ritrovarsi insieme.

Quello che i due fratelli portavano avanti da anni, cacciatori contro mostri, guardie e ladri, non era un gioco facile, ma i Winchester ci sapevano fare. «Ottimo lavoro» erano state le prime parole che aveva rivolto loro, non che lo pensasse davvero all'epoca, ma adesso si era reso conto che il loro scioccante modo di lavorare e il loro senso di giustizia salvavano molte vite.

Si scolò un altro bicchiere e finalmente sentì la mente offuscarsi e vacillare. Aveva creduto davvero di poter contribuire a creare un mondo migliore, un mondo senza mostri perché milioni di persone potessero dormire tranquillamente nei loro letti. Si era ripetuto le frasi che gli avevano inculcato nella mente: «i mostri non smettono di essere mostri», ma ora c'era una vocina che gli ricordava che l'amico dei Winchester, quel Garth, l'aveva fatto: riusciva a controllarsi! Si chiese cosa avrebbe fatto la ragazza morsa da un lupo mannaro se non l'avesse uccisa poco tempo prima. Si stava facendo troppe domande. Ridacchiò tra sé e sé, pensando che un Uomo di lettere non avrebbe dovuto far altro che conformarsi all'opaca folla di marionette in giacca e cravatta a cui venivano insegnate le risposte e non le domande. Si passò una mano sul viso e si alzò per ritornare nella sua stanza nella speranza di dormire qualche ora senza sognare.

 

Si vestirono e si affrettarono verso l'ufficio della preside.

«Torni a casa per Natale?» chiese Timothy.

Uno rapido sguardo un po' triste fu la risposta di Mick.

«Scusa, mi ero dimenticato» disse in fretta Timothy.

«Rimarrò qui come sempre» puntualizzò Mick.

Timothy lo sapeva benissimo, stava solo cercando un modo per chiedergli di passare le vacanze a casa sua e presentargliela come un'idea casuale gli sembrava una buona idea. Stava per formulare la richiesta, quando videro la preside venire loro incontro.

Lei si fermò e ordinò: «Gentlemen. Venite con me».

Li condusse in una stanza sul cui pavimento era stato steso un telo di plastica.

Timothy non capì subito dove volesse andare a parare quel discorso sul fatto che volessero cadetti disposti a eseguire gli ordini senza fare domande, visto che ancora lei non ne aveva impartiti, ma gli si gelò il sangue alla vista del coltello che la direttrice svelò su un tavolo e all'udire la frase: «Uno solo di voi lascerà questa stanza».

Appena la preside fu uscita lasciando aperta la porta, Timothy sbriciò il corridoio e sollecitò l'amico: «Non c'è nessuno là fuori. Se scappiamo, forse non ci beccheranno. Possiamo andare da mio padre. Lui…».

Era sicuro che Mick lo avrebbe seguito ovunque, che ormai avessero imparato abbastanza magie e trucchi per scassinare la porta sul retro delle cucine e superare il muro che circondava la proprietà. Sarebbero stati al sicuro tra le montagne dove viveva suo padre, che certamente li avrebbe accolti. Non vide la decisione che oscurò lo sguardo dell'amico che gli dava le spalle e scelse di non cogliere la nota dura e fredda delle sue parole: «Chiudi la porta».

Eseguì. «Dobbiamo andare!» disse ancora.

Ma poi Mick prese il coltello e si voltò: «Mi dispiace».

Timothy sgranò i suoi occhi azzurri con sgomento. Fece per parlare ancora, ma poi serrò le labbra. Che significato poteva avere un padre per Mick? Cos'era una famiglia per chi aveva vissuto per strada finché aveva borseggiato uno dei membri degli Uomini di Lettere, trovandosi con una moneta maledetta dell'antica Babilonia, ed era stato reclutato? Non aveva paura di morire, ma vivere dopo aver perso l'unica cosa bella che per lui aveva avuto un significato sembrava troppo doloroso. Un lacrima solitaria spuntò all'orlo di uno dei suoi occhi e lui serrò le palpebre per impedirle di uscire e non li riaprì nemmeno quando sentì la carne lacerarsi e il sangue lasciare il suo corpo.

 

Mick si svegliò di nuovo in un bagno di sudore, scosso dai brividi. Quella era stata la prima volta che si era piegato alle regole e, da quel momento in poi, aveva sempre e solo eseguito degli ordini imposti dal Codice e da una gerarchia asservita a esso.

Solo ora capiva cosa avesse voluto dirgli Timothy con quel disegno, nascondendo qualcosa in modo che poi venisse scoperto, cioè che il lento andare e venire delle figure era l'immagine di quello che l'amico provava studiando a Kendrikcs: i valori e le regole con cui li plasmavano erano coerenti solo in apparenza. Il Codice con le sue regole ferree, bianche o nere, lo costringeva a salire e a scendere senza meta, su e giù dalla sua vita, proprio come le figure prive di identità disegnate da Escher. Timothy aveva cercato di fermarsi, aveva creduto che sarebbero potuti scappare insieme, che nulla avrebbe potuto mettere fine alla loro amicizia; purtroppo aveva dolorosamente scoperto a proprie spese che forse l'infinito poteva essere dato solo da un'illusione ottica.

 

 

Nemmeno 24 ore dopo, Mick aveva preso la sua prima vera decisione di adulto con il proprio cuore e la propria testa e stava affrontando la dottoressa Hess: «No. In tutta la mia vita passata con gli Uomini di lettere non ho mai infranto una regola. Il Codice è quello che ha costretto un ragazzino a uccidere il suo migliore amico! Da bambino non avevo niente, vi dovevo tutto e vi obbedivo. Ora sono un uomo, sono in grado di decidere e scelgo di fare la cosa giusta!».

Il proiettile di Ketch lo colpì in quell'istante e la sua voce si spense in quel grido di rivincita, il cuore smise di battere, il corpo cadde pesantemente.

Si dice che nell'istante prima di morire, una persona riveda scorrere la propria vita, ma gli occhi sbarrati di Mick smisero di focalizzare la stanza e furono abbagliati da una grande luce. Mick sbatté le palpebre. Si trovava in un corridoio bianchissimo, apparentemente senza fine, pieno di porte con sopra delle targhe con dei nomi e delle date; non fece in tempo a leggere i due nomi posti su quella di fronte a lui che Timothy la aprì e lo guardò con un sorriso.

 

 

 

 

 

NdA

Ho pensato molto a questa conclusione, ma alla fine ho pensato che ribellandosi alle regole degli Uomini di lettere Mick ricostruisca l'amicizia con Timothy e quindi lo incontri in Paradiso. 

   
 
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