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Autore: stasiana    17/06/2017    0 recensioni
“dapprima, nella primissima ora del primissimo atomo, scaturì la gelida costernazione del Caos alle prese col minaccioso Cosmo”, mentre il poeta si consola in quest’ultimissima ora di ritardato riposo produttivo, compiacendosi di aver scelto quale filo seguire, e, al pari dell’originario generatore di orbite planetarie, e di cieli incastonati (“che si ingegnò, in seguito, a far rotolare in pista un habitat eccentrico dove le cose prendessero un mistico movimento vitale frenetico e sbellicante”), così il poeta si diverte a mostrare di quali meraviglie questa notte egli sarà capace. Dopo la morte del caos, dopo l’inevitabile vittoria del cosmo, e dopo la scelta definitiva del filo della narrazione, il dio, fattosi finalmente uomo, capisce che è giunto l’istante di far subentrare una nuova immagine : ma così non avviene, l’immagine diviene un ricordo, ed il ricordo si trasforma in pensiero, ed il pensiero s’articola in monologo, il monologo si frammenta, raddoppiando il proprio movimento interno, e diviene dialogo, il dialogo si moltiplica fino a raggiungere l’eco dei quattro venti, è dibattito: in altri termini, quando si mette nei panni del dio generatore, le sue emozioni, le stesse che il poeta vorrebbe suscitare, ristagnano in una palude da
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Il suo viaggio annoiato comincia con gli striduli e i fischi degli uccelli, uno strepitio in lontananza, un fruscio lento di foglie. Il suo passo pesante gli da il tempo di osservare per l'ennesima volta un paesaggio esplorato in ogni sua variante. Nemmeno Krono è mai riuscito a vedere un luogo che non esiste, ma questa volta, pensa, ci riuscirà, perché le voci delle muse gli sussurravano da anni, in sogno, che un giorno avrebbe cominciato un nuovo viaggio completamente diverso dai miliardi di viaggi compiuti in precedenza. Così, decide di non seguire alcuna direzione, di non cercare alcuna meta: ma acuisce i sensi per notare le vie d'uscita più nascoste, i buchi nel terreno più reconditi, i fiori sugli alberi più stravaganti. Eccone uno, dai colori insoliti, proprio accanto al suo piede sinistro: Krono si abbassa per scrutarlo meglio, lo accarezza, e si siede di fronte al fiore. "Questo è decisamente un fiore non comune, i petali così oblunghi, le striature giallo rosa, la mancanza di pistilli, l'interno insolitamente carnoso. Questo non è un fiore", conclude, toccandone il centro, che scopre essere un'apertura nel terreno, una serratura che improvvisamente, a contatto con il suo dito, si illumina di bluastro, innescando un circuito elettrico dentro al terreno intorno al fiore, che lentamente si sta aprendo in due sotto di lui. Krono è soddisfatto, ha trovato un'uscita, o forse un'entrata. Una scala va formandosi meccanicamente nel sottosuolo, e intanto il frastuono del vuoto sotterraneo si fa sempre più forte. Ma Krono non può provare paura, e impaziente intraprende la discesa. Incisioni decorative e frasi teoretiche sulle dimensioni parallele dell'universo, in alfabeti di ogni genere, corrono cinetiche lungo i fianchi della gradinata, finché la luce del giorno si affievolisce, e rimane solo ombra. Dopo molti scalini nell'oscurità, Krono si ritrova su un soffice materiale violaceo, ed intorno a lui ruotano a mezz'aria alghe vaporee, e anguille corazzate. "Perché seguono questo movimento rotatorio? Che cosa stanno facendo queste creature?", si avvicina, tenta di toccare un'anguilla, e si accorge che quello che sta toccando ha una consistenza sconosciuta al suo tatto. Rimane esterrefatto da quel contatto, ormai è certo di essere arrivato dove non era mai stato. La luce di quest'atmosfera è soffusa, e ha qualcosa di inspiegabile: provoca, attraverso la vista, una sensazione di torpore pieno di energia. Mentre quasi assapora questa nuova visuale, Krono sente una voce. Una voce dilatata che, frammentariamente, ordina a Krono di prestare maggior attenzione al cerchio luminescente che si sta aprendo nella violacea aria. È uno squarcio sul mondo delle anime mortali, uno squarcio che ne esplicita, come mai prima Krono aveva avuto modo di osservare, i sentimenti, e le emozioni. Krono scruta l’apertura circolare che dà sulla Terra, stupito, quand’ecco che si sente mancare il terreno soffice da sotto i piedi, e comincia a fluttuare in tondo, a spirale, in direzione della Terra dall’altra parte dello squarcio: ad ogni spirale che il suo corpo disegna a mezz’aria, la sua forma si restringe, e si allunga, a partire dal cranio, per protendersi verso gli uomini, poi si fa sempre più inconsistente, fino a che la frattura dimensionale non lo assorbe demolecolandolo. Krono si ricompone in una frazione di secondo, con la bocca ancora spalancata per l’inaspettata demolecolarizzazione. Si ritrova nel bel mezzo di un paese terrestre; la gente frenetica lo calpesta, chiedendo scusa frettolosamente, o imprecando con stizza. Egli non trova il modo di alzarsi da quel marciapiede gremito di gambe rapide. E’ sconvolto: ha un corpo di uomo, sente il bisogno di proteggersi le membra, sente dolore, ode un rumore fragoroso che lo irrita fisicamente, si bagna d’un liquido che inspiegabilmente lo disgusta. Ma non si alza da lì: Krono rimane in quella posizione, la testa china sulle proprie mani, a fissarsi il corpo, così debole e vulnerabile, e scrutare da vicino le persone che gli camminano distratte intorno (e sopra). E’ sconvolto, travolto. E’ felice: quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva avuto voglia di divenire uomo! “ va bene, vorrà dire che mi darò alla sfrenatezza dei sensi umani, come ai vecchi tempi, quando ero ancora curioso di vivere come un essere mortale, e potevo farlo senza rischiare di cadere nella monotonia della quotidianità, e nella conseguente scelta di perdere la mia qualità di dio onnipotente: eh già, avevo ancora tanto universo da esplorare, allora”, ma Krono pensava questo con una rinnovata consapevolezza della propria vuotezza: sapeva che non sarebbe bastato tornare a vestire i panni della sua specie preferita; per contro, aveva trovato molto eccitante l’entrata dalla frattura nell’aria violacea dell’antro sotterraneo che aveva scoperto quella mattina. Tanto che già pensava a come tornarvi: sospettava infatti di essere stato trasportato sulla terra dall’intervento di una qualche divinità proveniente da una dimensione che lui non ancora conosce, perché non gli fosse permesso visitare altri luoghi di quel mondo segreto; o forse era stato un sogno ad occhi aperti. Si alza dal marciapiede, si accorge di essere nudo. All’improvviso, una vampata di brace lo investe: prova vergogna, poi, mentre si guarda intorno, incontrando con aria mortificata e spaventata, gli occhi degli altri, in men che non si dica il suo corpo si digitalizza, divenendo un’immagine, e piano piano, scompare nei fumi dell’inquinamento globale. Sotto forma di particella, viene trasportato dalla corrente, e poi da un’altra corrente, e poi da un’altra ancora, e così via: la vita da atomo, no, Krono non l’aveva mai potuta vivere prima, poiché assumere una forma così piccola e costituente sarebbe stato impossibile per l’essere maggiormente costituito di parti che ci sia. Il vento lo fa approdare in un campo di grano, nei pressi di un villaggio religioso. E’ qui che incontra Ester, sotto forma di vecchio barbuto. “Ho cambiato nuovamente forma, e per giunta, sono stato anche atomo: allora è così… ci dev’essere una potenza in me che regola i miei processi senza che io me ne accorga. Come una sorta di incantesimo! Mi sento trascinato e modellato da qualcun altro; non ho il controllo degli eventi, sia interni sia esterni. Chi sei, tu che mi stai controllando? Perché mi allontani dall’esplorazione del tuo mondo?”; urla disperato all’udire il rumore di uno sparo che irrompe interrompendo i suoi interrogativi. E’ appurato che esista una divinità superiore a lui. Comunque, una calca di paesani si precipita sul luogo, urlante; la folla aumenta il suo volume, ad ogni minuto che passa. Krono, dietro alle spighe di grano, osserva la scena: a quanto pare, qualcuno ha sparato a qualcun altro, e là c’è un cadavere riversato sull’erba della sua terra natia, e i fiori accarezzano la sua pelle fredda, dipingendosi di rosso. Quello è il cadavere del vetusto reverendo, e forse, dell’uomo più conosciuto del villaggio. “Che razza di posto è questo? Una comunità Hamish, forse? E’ curioso come l’uomo si diverta ancora a ripetere le stesse usanze e convenzioni”. Si sentono le grida delle donne, e da là Krono guarda la scena con un ghigno ironico sul volto. Ester si volta verso il vecchio dio, lo vede, e gli corre incontro. “Papà, questa non era la maniera giusta per vendicarsi di un torto subìto”, in lacrime, Ester abbraccia Krono, credendolo suo padre; poi, gli sfodera dei pugni sul petto, indignata. Krono è atterrito e confuso, non sa se entrare nella parte o rivelarsi: ma d’altra canto, come fare a rivelare la propria identità? Il dio si trova costretto a risponderle:”Ogni uomo merita ciò che il destino gli ha assegnato. E ora, mia cara figlia, permettimi di sentirti dire che vuoi bene a tuo padre, che ti ha generata, e pronuncia chiaramente il tuo nome per il giuramento d’amore alla tua famiglia”, è con queste parole che Krono scopre il nome della ragazza. Forzatamente, inizia l’esperienza che non ha mai voluto provare prima: essere un padre umano. Col passare dei giorni, infatti, scoprirà di avere emozioni più profonde di quelle che credeva di poter avere in quanto dio.
   
 
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