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Autore: Milla Chan    26/06/2017    0 recensioni
Malva. Che stupido il suo nome, sapeva un po’ di vecchio- mai una volta che le piacesse davvero, tranne quando si trovava davanti a delle vere piante di malva. In quel caso, quasi era fiera di condividere con loro il proprio nome.
Inspirò a fondo, Malva il fantasma, che sembrava tanto il titolo di un libro per bambini, e un po’ iniziava a crederci tanto glielo avevano ripetuto. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì vide un altro fantasma. Era seduto sulla poltrona rossa accanto a lei e all’umana. Era sua la voce che l’aveva chiamata.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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“Angeli custodi: lo so che esistono, non può essere altrimenti. Uno di loro veglia su di me, lo sento, mi sento protetta, mi sento al sicuro.”
La ragazza era seduta sul divano del suo salotto con un quaderno e una matita in mano. Aveva appena finito di aggiustarsi velocemente i capelli mossi dietro l’orecchio; aveva abbassato per un attimo solo lo sguardo, ma subito era tornata a rileggere le parole che stava scrivendo sul foglio, emozionata, per qualche motivo. Nonostante a lei stessa sembrasse un desiderio preadolescenziale, le sarebbe piaciuto tenere un diario. Era, tuttavia, anche conscia del fatto di non essere una persona abbastanza costante da scrivere un diario e aggiornarlo quotidianamente. Tra una cosa e l’altra ogni tentativo si era rivelato un misero fallimento. Negli ultimi tempi perciò aveva optato per un compromesso, qualcosa di più casuale e meno impegnativo: scribacchiava senza particolare attenzione i pensieri e le impressioni che ogni tanto le affollavano la mente, e ciò aveva un particolare effetto benefico, come se un gesto così semplice fosse in grado di mettere chiarezza nella sua testa e di alleviare lo stress.

Oltre lo spazio visibile, in un mondo distaccato ma sovrapposto a quello fisico e percepibile, come un sottile foglio di carta da lucido steso su di esso, c’era qualcuno. Quel qualcuno guardava la ragazzina dagli occhi pieni di riconoscenza, ma tutto era meno che un angelo.
Era con lei in quella stanza, stesa in modo molto poco composto sul divano, con un gomito sul cuscino e un pugno a sostenere il viso imbronciato e annoiato. Tendeva il collo per leggere quello che scriveva, ma più leggeva più veniva investita dall’irrefrenabile istinto di alzare gli occhi al cielo, o addirittura di ribaltarli fin dietro la testa.
Quante parole idiote. Era un fantasma, lei, non un angelo custode. Secondo quale logica poteva credere all’esistenza degli angeli? Ne aveva forse mai visto uno? Erano pure congetture? Quanta infantilità in quell’atteggiamento, in quella speranza cieca che forse era solo un ammasso di conclusioni tratte frettolosamente per scrivere qualcosa d’effetto su un quadernetto estetico da tre euro scarsi.

È davvero sorprendente ed incredibile la spropositata quantità di pericoli mortali che gli umani si ritrovano ad affrontare -e, nel migliore dei casi, evitare- quotidianamente.
Della maggior parte di questi, essi ne sono totalmente inconsapevoli. Vederli tutti, per quel fantasma, e fare l’impossibile per permettere a quella ragazza ignara di sopravvivere era come correre una maratona infinita. Non poteva parlarle, non poteva comunicare con lei direttamente, non poteva essere vista, ma poteva intervenire in modo blando sul suo mondo e questo era abbastanza per renderla un invisibile salvavita.
Il fatto di essere morta non significava affatto che non si stancasse. Certo, non sudava, e questo era un gran punto a favore, ma farsi in quattro e stare costantemente all’erta per evitare una ventina di incidenti fatali al giorno era comunque decisamente sfiancante. Per quanto ridicolo possa sembrare, spostare un barattolo di zucchero di un centimetro verso destra poteva significare salvare non solo la giornata, ma la sua intera vita.
Era abbastanza sicura che l’essere diventata un fantasma avesse in qualche modo intaccato la sua capacità di prevedere cosa sarebbe successo. Non che fosse letteralmente in grado di predire il futuro: era più come un fortissimo intuito che le permetteva di veder come proiettato, davanti ai suoi occhi e con una precisione a dir poco inquietante, i possibili eventi imminenti.

Se solo avesse saputo prima quanto quell’autoassegnatosi incarico sarebbe stato invadente forse, ma solo forse, avrebbe potuto pensare di rispondere “sì” quando le domandavano se si fosse pentita. Poi però ripensava al perché della sua scelta. Guardava quell’umana in faccia e sentiva lo stomaco stringersi. Serrava i denti e i pugni, un’emozione impetuosa le ribolliva tra stomaco e polmoni come lava borbottante.

“Malva.”

Malva. Che stupido il suo nome, sapeva un po’ di vecchio- mai una volta che le piacesse davvero, tranne quando si trovava davanti a delle vere piante di malva. In quel caso, quasi era fiera di condividere con loro il proprio nome.
Inspirò a fondo, Malva il fantasma, che sembrava tanto il titolo di un libro per bambini, e un po’ iniziava a crederci tanto glielo avevano ripetuto. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì vide un altro fantasma. Era seduto sulla poltrona rossa accanto a lei e all’umana. Era sua la voce che l’aveva chiamata.
Quel fantasma una volta era stato un ragazzo, un ragazzo vivo e umano tanto quanto lei e forse anche di più, qualcuno che conosceva fin troppo bene. La guardava coi suoi grandi occhi grigi, leggermente chino in avanti, con le mani congiunte e i gomiti sulle ginocchia. Non che gli occhi grigi fossero una caratteristica peculiare: erano fantasmi, i loro colori non erano altro che una scala di grigi. Dalla testa ai piedi, traslucidi e cinerei. Ma Malva se li ricordava ancora bene, quegli occhi: si ricordava il verde prato circondato dalle ciglia nere, la carnagione olivastra al posto di quella cerulea. Quante volte lo aveva guardato, e quante volte aveva stretto i denti nel vederlo accanto all’umana- talmente tante che era letteralmente stata l’ultima cosa che aveva fatto prima di morire.

“Come va, Malva?”
Lei scrollò le spalle, stizzita. “Mal va.”
Il ragazzo rimase immobile per mezzo secondo, giusto il tempo di capire. Poi stirò le labbra e assottigliò lo sguardo, dicendole implicitamente che era stato un pessimo, pessimo gioco di parole.
Ridacchiarono insieme, finché lui non distolse lo sguardo.
“Che sta facendo?” chiese con apprensione, guardando l’umana seduta sul divano.
Il sorriso di Malva si spense piano ma con delusione.
“Un quaderno, una matita…” iniziò sarcastica, tornando, almeno apparentemente, al suo umore iniziale. “Scrive forse?” -sa fare anche quello, aggiunse una voce nella sua testa.
“Ma va?”
“Malva? Sono io.”
Il ragazzo si alzò in piedi, sbuffando e trattenendo un sorriso, e le passò una mano in faccia mentre la sorpassava. Malva si lasciò stropicciare il volto e scompigliare i capelli senza batter ciglio.

“Mi manca, sai?” disse il ragazzo, ora proprio davanti all’umana, e con gli occhi completamente rapiti alzò invano le mani per toccarla.
Certo che lo sapeva. Come se non glielo avesse ripetuto abbastanza volte in quell’ultimo anno.
Malva rimase con la bocca socchiusa e immobile mentre l’umana rabbrividiva, sorpresa per quell’improvviso freddo del quale non poteva sapere la vera origine. Non sapeva niente, l’umana. Non poteva neanche immaginare.
“Non sai cosa darei per parlarle o toccarla.” continuò lui a spalle basse, con aria malinconica. “Forse non è bello da dire, ma un po’ mi dispiace che non sia morta anche lei nell’incidente.”
Malva ascoltava cercando di non prestare troppa attenzione. Era già abbastanza irritante osservare la scena, non aveva bisogno anche di parole e commenti.
“Ed è per questo che cerchi di ucciderla?”
Non riuscì a trattenersi. Quelle parole le sgusciarono fuori dalle labbra quasi contro la sua volontà, tanto le rimbombavano forte nella testa e nel petto.
Il ragazzo spostò lo sguardo su Malva -finalmente, pensò lei- e sbatté gli occhi con leggera sorpresa.
“Malva, ne abbiamo già parlato.” iniziò a bassa voce, guardandosi velocemente attorno per assicurarsi che nessuno fosse lì ad ascoltarli. “La morte non è niente di terribile, anzi, al contrario. L’hai capito anche tu ormai. Ci aspettiamo chissà cosa per tutta la vita, ci aspettiamo il nulla, ci aspettiamo il vuoto eterno, il silenzio, ma… guardaci. Alla fine è meglio qui che lì. Certo, sempre che ci sia la compagnia giusta e che tu muoia giovane. Pensa alla vita, Malva. A cosa serve diventare vecchi e avere un corpo che soffre nel tentativo di raggiungere traguardi imposti da noi stessi? Ti rendi conto di quanto sia complicata la vita?”
“E tu conosci il terrore del momento prima di morire.”
“Sì ma è, appunto, un momento. Ne varrebbe la pena, Malva. Ne varrebbe la pena per lei, voglio farle un favore, per il suo bene.”
Con un gesto secco, Malva si alzò in piedi. Lo schiaffo fece un rumore sordo e gli arrivò proprio sulla guancia, ma Malva ardeva ancora di più di perché sapeva di non avergli fatto alcun male, perché erano fantasmi, e il dolore corporeo non esisteva, non esisteva nemmeno il più lieve formicolio, e allo stesso modo non esisteva il piacere fisico. Esistevano solo le emozioni, i sentimenti, amplificati come un’eco in un’enorme grotta.
“Non te la lascerò uccidere.” mormorò Malva quasi senza muovere le labbra pallide. “Non lascerò che tu uccida anche lei.”
“Così suona come se io ti avessi uccisa.”
Malva inspirò a fondo. “Lo hai fatto. Molto prima che morissimo davvero.” sussurrò con un sorriso tremante sotto gli occhi attoniti e confusi di lui.
“Vai via, Ti.” gli chiese subito dopo, con la voce che vibrava impercettibilmente nel pronunciare quel nomignolo che tante volte gli aveva rivolto.
Non disse null’altro, perché quelle erano le parole magiche, le parole per cui nessun fantasma può restare, alle quali deve ubbidire e alle quali ubbidisce obbligatoriamente per qualche legge a loro ancora sconosciuta.
Ti iniziò a scomparire, come sempre, mantenendo quell’espressione dura e aspra, vagamente nostalgica.

Si era chiesto perché ogni volta Malva fosse con lei, “l’umana”, come veniva semplicemente chiamata in quel loro ristretto circolo, ma che lui conservava nel cuore con un nome molto più tenero. Ogni volta che lui le si avvicinava, Malva non lo lasciava stare lì per più di qualche minuto. La risposta a quel comportamento forse non era così difficile da trovare, in realtà, ma dopo settimane di urla e testardaggine fingere di essere sordi e ciechi era più facile.

Malva trattenne un verso di frustrazione nel vedere sulla ragazza ancora lì seduta un’immutata espressione sognante e buona, e col respiro affannato allungò le mani verso di lei, l’istinto di afferrarle la testa, le spalle, strattonarla, ma le sue mani non potevano ghermirla, e il suo sorriso rimaneva gentile.
Per il suo bene, aveva detto Ti, pensando di essere altruista.
“Non morirai. Non morirai.”
Strizzò gli occhi e vi premette sopra i pugni chiusi e tremanti. Non poteva fare nulla per contrastare il metallo fuso che colava fino ad incendiare il suo stomaco.
Amore, amore, amore: cosa non avrebbe fatto per amore. Era disposta a perdersi tutto pur di ritardare il più possibile la sua venuta.
Voleva vederla invecchiare, continuare la sua vita senza di loro, sposarsi e morire, e solo allora Malva si sarebbe sentita realizzata, e avrebbe sorriso e guardato con fierezza ogni ruga che le avrebbe solcato il volto quando quella che una volta era stata una graziosa ragazzina sarebbe giunta da loro come un fantasma raggrinzito con tante cose da raccontare.
A quel punto lui non l’avrebbe più amata, no. No, se ne sarebbe già stufato da tempo. Lei lo avrebbe dimenticato da decenni, ricordandolo con malinconia come il dolce fidanzatino delle superiori tragicamente morto nell’incidente di bus che si era portato via metà della classe.
Non poteva averla lì in quel momento, radiosa e bellissima e troppo candida e cordiale e amabile per non sembrare già naturalmente evanescente e diafana. Non era disposta ad averla lì con loro in quelle condizioni, non poteva.
La perfezione non appartiene a nessun essere umano e a nessun fantasma, tanto meno a Malva, ma con ogni probabilità quella ragazza era ciò che più si avvicinava a quel concetto. Non poteva biasimare il fatto che lui la amasse, non c’era un solo, singolo motivo.
Quante volte aveva dovuto ascoltare i suoi discorsi su quanto avrebbe voluto di nuovo quella ragazza con sé, di quanto fosse insopportabile non poterla abbracciare e baciare.
Malva doveva chiudere gli occhi ogni volta e un calore sconosciuto le carbonizzava la pelle che non aveva più.
Era così ovvio che lui tentasse di ucciderla in ogni modo pur di averla con sé di nuovo. Malva moriva per una seconda volta al pensiero che un giorno, presto, ci sarebbe riuscito.
Quindi sarebbe stata l’angelo custode di quella ragazza fin quando sarebbe stato necessario, tanto di tempo ne aveva in abbondanza.

“Malva…” la chiamò Ti, perplesso.
Erano davanti al mare, i piedi sulla sabbia finissima e umida erano accarezzati pigramente dal pigro moto ondoso dell’acqua, ma non si bagnavano. Non potevano sentire quanto fosse tiepida l’acqua dopo quella lunga giornata assolata.
Erano stati giorni intensi, quelli. Nessuno aveva parlato con Malva, costantemente appressa all’umana.
“Che c’è?”
“Sei pallida.”
Malva si voltò e lo guardò convinta che stesse scherzando, ma trovare il suo viso più serio che mai la turbò. Tentò di sorridere, far capire che non era affatto caduta nel tranello. “Certo, sono un fantasma.”
Quasi non riuscì a terminare la frase: “Lo sei più del solito.”, la incalzò lui, greve. “Sei più trasparente.”
Il sole tramontava sul mare. Il sorriso incerto di Malva scomparve lentamente quando abbassò lo sguardo su se stessa.
“Non è vero.” mentì, alzando una mano e fissando la lancinante ed inclemente luce dorata del tramonto attraverso il suo palmo, che schermava forse solo qualche raggio.
“Malva.”
Era la seconda volta che la chiamava.
“Stai esagerando.” continuò lui, posandole una mano sulla schiena e chinandosi verso di lei. “Ho parlato con gli altri e la cosa è preoccupante. Stai…”
“Perché sto scomparendo?”
La voce di Malva non era mai stata tanto flebile, sovrastata dal debole scroscio della schiuma del mare. Eppure la sua espressione era rilassata, le spalle per nulla contratte come Ti se le sarebbe aspettate.
“Sei troppo presa da questa storia.”
“I fantasmi non sono tali proprio perché hanno delle questioni in sospeso?”
“Sì, ma la tua cosiddetta questione in sospeso ti tormenta molto, molto di più ora di quanto facesse in vita, e questa cosa non ha alcun senso.”
“Perciò mi consumo?”
“Perciò ti consumi.”
Come i cocci di vetro levigati dal mare e portati sulla spiaggia assieme alle conchiglie rotte che non poteva raccogliere.
Il silenzio successivo fu interrotto solo dal fruscio dei lunghi capelli di Malva che Ti si premurò di aggiustarle dietro l’orecchio.
“Non posso sparire…”
“No, certo che non puoi.” annuì Ti, lieto che stesse capendo la gravità della situazione, pronto ad aiutarla.
Malva chinò la testa: “… Se io sparissi tu la uccideresti.”
Ora Ti non riusciva più a vederla in faccia, ma un'improvvisa e sconcertante disperazione trapelava dal suo tono e lasciava ben immaginare i solchi sulla sua fronte e la smorfia che piegava le sue labbra.
“Sparirò per sempre e non posso fare più niente per evitarlo.”
“Certo che puoi. Smetti di farti divorare, puoi farlo. Smetti di starle appresso, di dedicarle ogni secondo. Devi farlo.”
“Se lo facessi la uccideresti.”
Ti non rispose.
“La uccideresti!” ripeté lei, con voce più alta e raschiante. “La uccideresti in qualsiasi caso, che io rimanga o no.”
“Sì.”
Non riusciva a mentire. Non ce n’era motivo.
Malva fu sicura di sentire una fitta al cuore e si portò una mano al petto, ingoiando le lacrime.
“Perdo in ogni caso.”
“Non c’è nessuna gara.” sospirò Ti, assottigliando gli occhi con irritazione. “E tu devi smetterla subito. Non voglio che tu te ne vada.”
Malva alzò una mano e la appoggiò lentamente sulla sua faccia.
“Allora non ucciderla.”
Ti fu sconvolto nel vedere così bene attraverso essa, nello scorgere quell’ombra tenue e impercettibile tinta dalla luce caldissima e aranciata.
“Non posso, deve venire qui. Deve. Per favore, arrenditi, possiamo stare qui tutti insieme e…”
Ti si umettò le labbra. Rimase per la prima volta senza parole nell’osservare quel sorriso sornione e quell’occhio grigio che lo fissava trafiggendo il palmo, come se stesse guardando attraverso un vetro e gli stesse urlando beffardamente che nulla, nulla al mondo l’avrebbe convinta a rimanere in quell’universo di cartapesta.
Fu un’illuminazione.

“Malva, tu non ami me.” sussurrò alle onde brillanti.

Increduli anche i granelli di sabbia, le alghe riverse tra i legni marci.

“Tu hai sempre amato lei, vero?”

Per Malva mal va, e se ne va con un sorriso triste al di là della tomba, tenendo nel fondo della gola segreti che solo un morto sa.
   
 
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