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Autore: marea_lunare    10/07/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(11) You need me

I ricordi sono dei coltelli.

Armi bianche, taglienti, che ti colgono alla sprovvista e da cui non puoi fuggire.

Ottenebrano la mente e afferrano ogni neurone ancora funzionante del cervello, spingendoti a pensare ad un particolare evento o momento della tua vita.

Più tu ti opponi, più vieni spinto.

John Watson sentì per mesi quel peso.

Giorno dopo giorno delle lame affilate gli penetrarono la carne e lo ferirono nel profondo.

Secondo dopo secondo, John Watson morì lentamente.

Cercò di farsi forza osservando gli occhi azzurri della sua piccola Rosie, incrociando quelli verde smeraldo di Rachel.

Ricordava Mary, sognando sempre la sua morte, il sangue di lei nelle sue mani impotenti.

Poi vedeva il sangue di Sherlock coprire il duro asfalto del Bart’s mentre lui osservava allibito.

Una notte si svegliò urlando.

Non appena aprì gli occhi, quel grido di dolore si trasformò in pura rabbia, dove il soldato chiese a sé stesso perché gli fosse dovuto capitare un destino del genere.

Da quando aveva quegli incubi persistenti, Rachel aveva portato Rosie a dormire nella sua camera, per evitare che venisse disturbata dalle grida del padre.
 


Il mattino dopo, Rachel trovò John in cucina con i capelli spettinati, il pigiama sgualcito e sudato.

“Di nuovo?” chiese lei mettendo a bollire l’acqua per il tè.

“Sì” ammise lui con un sospiro, rigirandosi tra le mani la tazza ancora vuota.

Lei gli si sedette di fronte, accarezzandogli piano un braccio.

“John, non puoi continuare così. Hai delle occhiaie molto profonde, non riesci quasi più a dormire. Se almeno provassi ad accettare di nuovo Sherlock nella tua vita, le cose potrebbero cambiare” gli suggerì Rachel con dolcezza.

“No, non cambierebbe niente. Ed io non riuscirei mai ad averlo di nuovo con me, non dopo ciò che è successo a Mary” rispose sottovoce il dottore.

“John, non è così. La colpa non è stata di Sherlock, ma dato che non sai con chi prendertela perché è stata una cosa totalmente imprevedibile, addossi tutto a lui solo perché aveva promesso di proteggerci”

“Non lo aveva promesso, Rachel, lo aveva giurato. Aveva fatto un voto”

“Voto che lui ha rispettato nei suoi limiti. John, se avesse dovuto difenderci veramente come aveva giurato, ci sarebbe dovuto stare addosso ventiquattro ore al giorno e sarebbe stata una cosa impossibile. Lui ha sempre tenuto d’occhio te, Mary e Rosie da lontano, vi ha sempre osservati e anche grazie a Mycroft si è assicurato che non vi accadesse nulla di male. Io ero lì con lui, John, sentivo le sue conversazioni al telefono” continuò lei con convinzione, stringendogli il braccio come segno di incoraggiamento.

“No” disse l’ex soldato ritraendosi dalla presa della ragazza.

“No?”

“No, Rachel. Io non ho la minima intenzione di accettarlo di nuovo. Gli ho perdonato due anni di assenza, ma non gli perdonerò mai la morte di mia moglie”

“Ancora? John, per l’amor del cielo, non è stata colpa sua! Come te lo devo far capire?”

“Chi ha provocato quella donna, Rachel? E’ stata forse Mary, per caso? È stata lei a spingerla a sparare?” disse lui alzandosi in piedi, appoggiando le mani sullo schienale della sedia.

“Non è stato nemmeno Sherlock. L’unico sbaglio che ha commesso è stato quello di lasciarsi trasportare dall’esibizionismo, ma non è certo il colpevole per la morte di tua moglie” rispose lei cercando di sembrare ferma.

“E grazie al suo stupido esibizionismo quella donna ha sparato, così Mary è morta”

“Non è stato di certo lui a chiedere a Mary di gettarglisi davanti. La donna che amavi si è sacrificata per salvare il tuo migliore amico. Ha visto quanto hai sofferto e ha scelto di morire, di rinunciare alla sua felicità per preservare la tua. Sai che Mary non vorrebbe questo” gli rispose infine, passandosi una mano sul viso per scacciare la tristezza e la stanchezza che affrontare quell’argomento le provocava.

“No, non lo so. Perché nemmeno io so più cosa pensare. La vedo ovunque. Vado a fare la spesa, lei è lì. Vado a letto, la vedo sdraiata al mio fianco ed ho l’istinto di abbracciarla. Poi come se non bastasse, ogni volta che mi avvicino a Baker Street immagino Sherlock uscire da un vicolo e so che lo ammazzerei di botte, oppure gli urlerei in faccia, oppure… Non lo so”

“Non lo faresti, John. E proprio per questo voglio che tu torni da lui. È una presenza necessaria per te, lo è sempre stato, anche quando avevi Mary. Tu hai bisogno qualcuno che ti faccia sentire vivo, che ti dia modo di avere la testa occupata, che ti ami a modo proprio, ed è proprio quello che Sherlock sta tentando di fare”

“Smettila, Rachel. Tu non sai cosa significa vedere sempre le mie mani sporche del sangue di Mary, del sangue di Sherlock. Non dormo più, qualsiasi azione quotidiana è diventata per me un peso enorme che mi lascia con un vuoto incolmabile perché io non so cosa farne della mia inutile vita” disse John alzando la voce, iniziando a dimostrare un nervosismo che mai Rachel aveva visto in lui.

“John, la tua vita non è inutile. Sei semplicemente combattuto su cosa pensi sia giusto e cosa no. Torna da Sherlock, te ne prego. Lui potrà aiutarti. Anche se non ha fatto nulla di male, continuerà a farsi perdonare giorno dopo giorno. Ne hai bisogno, papà”

“Adesso basta! Stai zitta!” urlò lui chinando il capo e stringendo con forza la sedia “Non tentare invano di capirmi, perché non puoi! Nessuno può! Nessuno saprà mai cosa significa veder morire chi si ama e sentirsi in dovere di allontanarsi da una delle persone più importanti della propria vita!”

“Ma ti ascolti, John? Tu stesso hai detto che ti ‘senti in dovere’ di stare lontano da Sherlock, il che significa che in realtà tu non vuoi la sua lontananza, ma hai bisogno della sua presenza specialmente in un momento come questo!” insistette la ragazza alzando a sua volta la voce per riuscire a sovrastare la rabbia del dottore.

“Taci una buona volta! Tu non sai come ci si sente!”

“PERCHE’ TU LO SAI?!” gridò all’improvviso Rachel, sbattendo i palmi delle mani sul tavolo.

L’ex soldato la guardò stralunato, sorpreso da una reazione così violenta e repentina.

“Tu sai cosa si prova, John? Eh? Tu sai cosa si prova nel vedere la propria figura di riferimento che si punta una pistola alla testa?” disse lei fissandolo con furore “Sai cosa si prova nell’avere timore a lasciare quella persona da sola, vivendo ogni giorno con il terrore di poter trovare i muri macchiati di sangue e cervella, un bossolo accanto ad un cadavere steso a terra? Sai cosa significa sostenere un uomo adulto che si sta lasciando andare pur avendo una bellissima figlia di pochi mesi di cui prendersi cura? Tu, John, ti stai lasciando morire. Te ne rendi conto, vero?

Pensavo che io e Rosie fossimo due buoni motivi per continuare a vivere e combattere, ma a quanto pare non è così” concluse con amarezza, uscendo dalla cucina.

L’ex soldato non disse nulla, seguendola con lo sguardo mentre se ne andava.

In quel momento la realtà arrivò agli occhi del dottore come un pugno nello stomaco.

Per anni lei era rimasta al suo fianco.

Non lo aveva mai lasciato, lo aveva amato come un padre dal primo giorno.

Si aiutavano a vicenda nelle difficoltà, in una complicità a volte incredibile.

Si rese conto di aver passato tutta la sua vita ad autocommiserarsi, dopo la guerra, dopo la finta morte di Sherlock, ora dopo Mary.

In tutta la sua esistenza non aveva mai avuto nulla di costruttivo che non fosse la guerra.

Ora che aveva due figlie a cui badare, una famiglia da amare e di cui prendersi cura, accecato dal dolore, non lo capiva.

Era facile piangersi addosso, cadere, soffrire e rialzarsi con lentezza quasi esasperante, in attesa che qualcuno accorresse in suo aiuto.

Ripensò alla notte del suo tentato suicidio.

Se non ci fosse stata Rachel, cosa sarebbe accaduto?

Probabilmente non sarebbe più nemmeno vivo. Se ne sarebbe andato da questo mondo come se nulla fosse, fuggendo dal dolore e tutto ciò che esso comporta.

Si sentiva un vigliacco, in quel momento, capendo che lui aveva sempre combattuto due tipi diversi di guerra, ma sempre per gli altri, mai per sé stesso.

Non aveva mai combattuto per la sua felicità. Ora che aveva l’occasione di essere felice, buttava tutto a monte, temendo che quella fosse un’altra apparenza di gioia, che sarebbe stata spazzata via dal vento come un castello di carte.

“Rachel…” chiamò sottovoce.

La ragazza si fermò sull’arco della porta, guardandolo.

“Se per me non ne vale la pena, almeno cerca di tirarti su per Rosie. Lei ha bisogno di suo padre” concluse uscendo di casa, sbattendo con forza la porta e incamminandosi verso Baker Street.

“Cazzo…” disse John in un lungo e stanco sospiro.

Andò in camera di Rachel e vide che Rosie si stava svegliando, aprendo la piccola bocca in uno sbadiglio assonnato. La prese in braccio e la cullò con dolcezza, tornando in cucina per darle il latte.

Mentre il biberon si scaldava, l’ex soldato si sedette a tavola accanto al seggiolone di Rosie, lasciandola giocare con un pupazzetto che Sherlock le aveva regalato per il suo primo Natale.

La guardò bearsi di quel piccolo pezzo di stoffa imbottito, sorridendo contenta, alzando poi quegli enormi occhi azzurri sul dottore che rimase incantato dalla bellezza di sua figlia.

Appena arrivato a Londra non si sarebbe mai immaginato di poter diventare padre.

Non pensava nemmeno alla possibilità di avere qualcuno da amare in maniera così profonda e sincera come quel piccolo batuffolo che ora era accanto a lui.

La bimba lasciò andare il pupazzetto sul tavolo, alzando le mani paffute verso il viso di John, il quale le si avvicinò.

Lei appoggiò le piccole dita sulle guance del dottore, ridendo gaiamente con la sua boccuccia ancora priva di denti.

Un’incredibile calore improvviso avvolse il petto dell’ex soldato in un caldo abbraccio e gli riempì gli occhi di lacrime, dandogli finalmente modo di godere appieno e gioire di quel momento così intimo e semplice che non era mai riuscito ad assaporare del tutto.

Era stato cieco, ora lo sapeva.

Aveva amato Mary, gli aveva regalato quell’incredibile dono che era loro figlia.

L’aveva amata ma qualcosa sembrava non andare più nel loro matrimonio, in lui, come se non gli bastasse più.

Ripensò a Sherlock.

Ripensò agli anni che avevano trascorso insieme, i casi che avevano affrontato e risolto per mezza Londra.

Ripensò a quel carattere così irritante eppure alle volte così dolce nella sua semplicità, nei gesti.

Ripensò a tutte le volte in cui aveva chiuso la bocca ad Anderson e Donovan, mentre lui rideva beatamente della scaltrezza del suo migliore amico.

Ripensò al guscio vuoto che era prima di incontrare il detective, Rachel, Mary, prima di avere Rosie.

Era triste, solo, senza nessuno al suo fianco e senza la minima idea di ciò che sarebbe stato di lui.

Ripensò a quanto quelle poche persone che aveva incontrato avessero cambiato in modo indelebile il corso della sua vita.

Ripensò a quanto tutto fosse iniziato con Sherlock.

Quel cappotto lungo, quei ricci neri come l’ebano, quella pelle marmorea, quel fisico asciutto e perfetto, quegli occhi di ghiaccio che ogni volta lo inchiodavano sul posto, quella voce baritonale e rassicurante.

Quelle mani lunghe e affusolate, curatissime e che con in mano archetto e violino erano in grado di creare la perfetta sinfonia della sua felicità.

Ripensò alle notti insonni di Sherlock che lo controllava, che vegliava su di lui e che non appena lo sentiva avere un incubo correva in suo soccorso. Apriva di slancio la porta della sua stanza e andava a consolarlo, calmarlo con la sua presenza, le sue parole, il suo calore.

John ripensò a quanto fosse stato stupido nel non capire cosa veramente Sherlock significasse per lui, lasciandosi annebbiare la mente dalle convenzioni sociali, da quel “non sono gay” che non gli aveva mai permesso di vedere da un altro punto di vista il legame che aveva con il detective.

John Watson guardò sua figlia, immergendosi completamente nella calma che quelle iridi blu mare come le sue emanavano, amandola con tutto se stesso come mai aveva fatto fino a quel momento.

Vide quel piccolo tesoro prezioso che gli accarezzava il volto e che raccolse con una manina l’unica lacrima che l’ex soldato si permise di lasciar scendere, trovando finalmente significato alle parole di Rachel.

“Se per me non ne vale la pena, almeno cerca di tirarti su per Rosie. Lei ha bisogno di suo padre”

“Tu hai bisogno di me” disse sottovoce, avvicinandosi ancora di più per sfiorare il suo naso con quello della figlia.

Come se avesse capito, la piccola batté le manine sulle guance del dottore, come se cercasse di fargli un applauso, di assentire a ciò che aveva appena detto.

“Oh, tesoro mio” sorrise il dottore prendendola in braccio e stringendola a sé, baciandole con amore la fronte.

Guardò fuori dalla finestra osservando il cielo plumbeo e la strada pullulante di persone, anime che non potevano opporsi all’inesorabile scorrere del tempo, così come lui.

Corse in camera sua e si cambiò al volo mettendo una camicia a quadri azzurra e nera con un paio di pantaloni scuri. Si pettinò i capelli all’indietro, si sciacquò la faccia e tornò di sotto, prendendo in braccio la piccola ed uscendo in strada pronto a raggiungere il suo vecchio appartamento.

Decise che era giunto il momento di smettere di fuggire, di autocommiserarsi.

Avrebbe risolto più avanti insieme a Sherlock la questione sulla morte di Mary, ne era certo.

L’unica cosa che sapeva di volere in quel momento, era rimettere insieme non solo la sua famiglia, ma anche il suo cuore a pezzi. 
   
 
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