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Autore: Sai Sama    13/06/2009    4 recensioni
Ff partecipante al concorso sul personaggio di Artù Pendragon del sito Collection of Starlight, in cui è arrivata prima.----
Artù sta vegliando nella cappella la notte prima della sua investitura a cavaliere e riflette sul rapporto che lo lega al padre, modello da superare e compiacere per lui.--- Me lo lasciate un commentino ino ino?*W*
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Principe Artù, Uther
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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My father's shadow

Titolo: My Father's shadow

Beta: Slayer87

Rating: Verde

Note: L'investitura a cavaliere nel telefilm non viene mostrata così, ma chiunque abbia letto un romanzo storico saprà che prima dell'investitura gli aspiranti cavalieri passano una notte in meditazione in una cappella.

Disclamair: Ovviamente i personaggi non sono miei, , tantomeno gli attori, anche se vorreiXD Non ci guadagno nulla con questo se non la mia personale soddisfazione.

Dediche: Dedico questa storia a due persone, a Slayer87 che mi ha sopportato mentre le facevo una testa tanta con i miei dubbi, e a Sorella Erba, che ha fatto un commento molto positivo sulla mia storia e che sa che tengo ai suoi giudizi più che a quelli di altri giudiciXD

 

 

My father's shadow

 

Il bambino fissava con i grandi occhi azzurri suo padre, il Re, che, dall'alto del trono governava il suo popolo.

Si portò un pollice alle labbra, iniziando a succhiarlo, ma immediatamente la balia gli diede uno schiaffetto sulla mano e lo fulminò con lo sguardo.

-Signorino, non dovete succhiarvi il dito! I principi non lo fanno. Volete forse che il Re, vostro padre, sia deluso dal vostro comportamento?-

Il bambino negò con la testa, gli occhi umidi di lacrime, e rimise giù la mano, nascosta nelle pieghe del mantello che indossava.

Suo padre era così forte e sicuro di sé, di certo non piangeva mai, e non si succhiava il dito.

Lui sarebbe cresciuto presto, e avrebbe fatto di tutto perché suo padre lo amasse, fosse orgoglioso di lui.

 

E gli anni passarono veloci, le foglie caddero più volte, e altrettante le fertili terre di Camelot tornarono a tingersi di verde e ad essere profumate dai vivaci fiori.

Il bambino ora era cresciuto, era bello, era muscoloso, era bravo con la spada, un cosciente comandante.

Eppure non era abbastanza.

Non era abbastanza per gli occhi di suo padre.

Si sentiva sempre un bambino piagnucolante sotto lo sguardo implacabile di Uther.

Avrebbe voluto ricevere più affetto nella sua vita, più abbracci, più parole che lo consolassero quando cadeva, ma era troppo orgoglioso per chiedere tutto questo a suo padre.

Per cui inspirava e inghiottiva il magone di dispiacere che gli si formava in gola, per tornare ai suoi doveri.

 

E ora era lì, nella cappella gelida della chiesa, vedeva il fiato raggrupparsi in una nuvoletta davanti a lui mentre respirava, vegliando, come di rito, nella notte prima della sua iniziazione a cavaliere.

Alzò lo sguardo verso la statua delle vergine nell'angolo, che vegliava su suo figlio.

Si chiese vagamente se sua madre vegliasse su di lui.

Si chiese se le cose sarebbero state diverse se lei ci fosse stata.

Ma erano pensieri inutili, lei non c'era, era morta alla sua nascita, e non avrebbe mai potuto sapere come sarebbe stato.

A poche ore dall'alba Artù Pendragon era spaventato e eccitato.

Sapeva che diventando cavaliere avrebbe ricevuto il rispetto di suo padre, la sua approvazione, e per questo era eccitato.

Ma aveva paura perché sapeva anche che ancora di più, dopo quel giorno, sarebbe stato paragonato a suo padre, che era stato uno dei più grandi guerrieri di sempre.

Viveva da tutta la vita nell'ombra di suo padre, il pensiero di doverlo fare ancora gli faceva venire la nausea, ma d'altro canto lui era il suo Dio, era tutto.

Lo amava e lo rispettava, era il suo esempio e il suo punto di arrivo.

Mai, per nessun motivo, lo avrebbe volutamente deluso.

L'alba fece capolino in quella parte del mondo, e un suo raggio illuminò i capelli d'oro di Artù, che sussultò sorpreso quando una mano lo toccò gentilmente sulla spalla.

Si girò, un po’ stralunato, dallo stato quasi di trance in cui era entrato, e i suoi occhi si spalancarono nel vedere che era proprio il padre quello che lo aveva richiamato alla realtà.

-Vieni, sediamoci.-

Mormorò Uther, indicandogli una delle scomode panche in legno, ma Artù annuì, pensando che sicuramente sarebbero sembrate dannatamente confortevoli rispetto al gradino sul quale era stato inginocchiato tutta la notte.

Una volta seduti Uther si prese qualche attimo per osservare il viso del figlio.

Gli somigliava, certo, ma in lui, nei suoi occhi, c'era qualcosa che gli ricordava la sua amata moglie.

Passò una mano callosa sulla guancia del ragazzo ormai quasi uomo, in un gesto che probabilmente non ripeteva da quando Artù non era che un bambino di pochi mesi.

I suoi occhi, per la prima volta nella sua vita, erano liberi, in quella solitudine, di mostrare tutto l'amore che provava per il figlio.

-Guardati…-

Mormorò il re, a bassa voce, quasi avesse paura di disturbare la calma del luogo.

-Sei diventato grande senza di me.-

Questa volta le parole erano macchiate di amarezza.

-Ma sei cresciuto bene lo stesso, sono così orgoglioso di te. Hai preso tutti i miei punti di forza e ben pochi dei miei difetti.-

Artù aprì la bocca per dire qualcosa, ma Uther scosse la testa.

-Non dire nulla, quello che sto dicendo è vero. Di difetti ne ho molti, e sono contento che tu non li abbia ripresi. Il mio cuore si è chiuso alla morte di tua madre e le responsabilità del trono hanno tolto al mio cuore anche le ultime capacità di mostrare amore, se non di provarlo. Per questo ti chiedo perdono, ma voglio che tu sappia che io ti ho sempre amato, che sono sempre stato orgoglioso di te, che tutti quei sorrisi che non ti ho dato, che tutte quelle parole brusche, severe, non erano che il mio modo di cercare di crescerti al meglio.-

Disse guardando il figlio negli occhi, dicendogli tutto quello che in quegli anni era rimasto sottinteso tra loro.

-Padre…-

Artù sembrava senza parole, mentre emozioni e pensieri si inseguivano nel suo corpo senza un ordine preciso.

Prima che potesse rimettere a posto le idee, le campane della chiesa iniziarono a suonare e i due vennero riportati alla realtà.

-Andiamo, figlio mio.-

Disse Uther alzandosi e porgendo una mano ad Artù.

Il ragazzo la prese, alzandosi lentamente, per via dei muscoli irrigiditi dalla notte passata in ginocchio.

La luce del sole li accolse, più calda di quanto avrebbe dovuto essere, quando uscirono.

In quel momento, mentre scendevano i gradini per dirigersi al seggio dove suo padre lo avrebbe investito cavaliere, capì che l'ombra di suo padre non era più un ostacolo insuperabile, ma un limite che gli avrebbe indicato la via.

 

 

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E qui di seguito il commento*W*: .

 

Sviluppo della trama.

Assolutamente commossa. Voglio dire, è una trama carica di sentimento – di amore, quell’amore sottinteso, come dice la fanfiction, che Uther non è mai riuscito a trasmettere al figlio – ed ha come fine quello di colpire il lettore proprio al cuore. Utilizzare un movente originale (quello del rito d’investitura) ha ulteriormente contribuito a far risaltare la bellezza della trama. Malinconica ed intrisa di emozioni.

Voto: 8,5.

 

2. Grammatica e lessico.

 

Lo stile migliora sempre di più, noto.  Diventa più scorrevole, lineare – anche se alle volte alcuni pensieri vengono un po’… troncati, direi, spezzati a metà, lasciando uno spazio vuoto. A livello grammaticale nulla da evidenziare, eccezion fatta per alcune virgole di troppo ed errori di distrazione.

 

Voto: 7,5.

 

 

 

 

3. Utilizzo degli obblighi assegnati ed IC del personaggio.

 

Il rapporto fra Arthur e Uther è stato descritto con cura e col rispetto dell’IC dei due personaggi. Mi preme parlare di Uther, riportato con particolare riguardo: fra le righe e poi espressa da lui stesso, si legge della sua incapacità ad esternare il proprio amore dalla morte di Ygraine. Questo impedimento è l’ovvio colpevole del muro che intercorre fra padre e figlio e che li separa, un muro fatto di doveri, freddezza e dolore.

Arthur è colto da un punto di vista diverso, uno più malinconico ed introspettivo, che tralascia la fierezza del suo aspetto e, in parte, l’orgoglio. Si domanda come sarebbe stata la sua vita se la madre fosse ancora viva, ed è una cosa toccante. Riguardo la questione del vedere Uther come un Dio un po’ dissento, in quanto in determinate occasioni Arthur fa prova della propria capacità obiettiva, discordando quando ritiene giusto dal giudizio di suo padre.

 

Voto: 10.

 

Voto finale: 26/30.

   
 
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