Titolo: My Father's shadow
Beta: Slayer87
Rating: Verde
Note: L'investitura a cavaliere nel telefilm non viene mostrata così, ma chiunque abbia letto un romanzo
storico saprà che prima dell'investitura gli aspiranti cavalieri passano una
notte in meditazione in una cappella.
Disclamair:
Ovviamente i personaggi non sono miei, nè, tantomeno gli attori, anche se vorreiXD
Non ci guadagno nulla con questo se non la mia personale soddisfazione.
Dediche: Dedico questa storia a due persone, a
Slayer87 che mi ha sopportato mentre le facevo una
testa tanta con i miei dubbi, e a Sorella Erba, che ha fatto un commento molto
positivo sulla mia storia e che sa che tengo ai suoi giudizi più che a quelli
di altri giudiciXD
My father's
shadow
Il bambino fissava con i
grandi occhi azzurri suo padre, il Re, che, dall'alto del trono governava il
suo popolo.
Si portò un pollice alle
labbra, iniziando a succhiarlo, ma immediatamente la balia gli diede uno
schiaffetto sulla mano e lo fulminò con lo sguardo.
-Signorino, non dovete
succhiarvi il dito! I principi non lo fanno. Volete forse che il Re, vostro
padre, sia deluso dal vostro comportamento?-
Il bambino negò con la
testa, gli occhi umidi di lacrime, e rimise giù la mano, nascosta nelle pieghe
del mantello che indossava.
Suo padre era così forte e
sicuro di sé, di certo non piangeva mai, e non si succhiava il dito.
Lui sarebbe cresciuto
presto, e avrebbe fatto di tutto perché suo padre lo amasse, fosse orgoglioso
di lui.
E gli anni passarono
veloci, le foglie caddero più volte, e altrettante le fertili terre di Camelot tornarono a tingersi di verde e ad essere profumate
dai vivaci fiori.
Il bambino ora era
cresciuto, era bello, era muscoloso, era bravo con la spada, un cosciente
comandante.
Eppure non era abbastanza.
Non era abbastanza per gli
occhi di suo padre.
Si sentiva sempre un
bambino piagnucolante sotto lo sguardo implacabile di Uther.
Avrebbe voluto ricevere
più affetto nella sua vita, più abbracci, più parole che lo consolassero quando
cadeva, ma era troppo orgoglioso per chiedere tutto questo a suo padre.
Per cui inspirava e
inghiottiva il magone di dispiacere che gli si formava in gola, per tornare ai
suoi doveri.
E ora era lì, nella
cappella gelida della chiesa, vedeva il fiato raggrupparsi in una nuvoletta
davanti a lui mentre respirava, vegliando, come di rito, nella notte prima
della sua iniziazione a cavaliere.
Alzò lo sguardo verso la
statua delle vergine nell'angolo, che vegliava su suo
figlio.
Si chiese vagamente se sua
madre vegliasse su di lui.
Si chiese se le cose
sarebbero state diverse se lei ci fosse stata.
Ma erano pensieri inutili,
lei non c'era, era morta alla sua nascita, e non avrebbe mai potuto sapere come
sarebbe stato.
A poche ore dall'alba Artù
Pendragon era spaventato e eccitato.
Sapeva che diventando
cavaliere avrebbe ricevuto il rispetto di suo padre, la sua approvazione, e per
questo era eccitato.
Ma aveva paura perché
sapeva anche che ancora di più, dopo quel giorno, sarebbe stato paragonato a
suo padre, che era stato uno dei più grandi guerrieri di sempre.
Viveva da tutta la vita
nell'ombra di suo padre, il pensiero di doverlo fare ancora gli faceva venire
la nausea, ma d'altro canto lui era il suo Dio, era tutto.
Lo amava e lo rispettava,
era il suo esempio e il suo punto di arrivo.
Mai, per nessun motivo, lo
avrebbe volutamente deluso.
L'alba fece capolino in
quella parte del mondo, e un suo raggio illuminò i capelli d'oro di Artù, che
sussultò sorpreso quando una mano lo toccò gentilmente sulla spalla.
Si girò, un po’
stralunato, dallo stato quasi di trance in cui era entrato, e i suoi occhi si
spalancarono nel vedere che era proprio il padre quello che lo aveva richiamato
alla realtà.
-Vieni, sediamoci.-
Mormorò Uther, indicandogli una delle scomode panche in legno, ma Artù annuì, pensando che sicuramente sarebbero
sembrate dannatamente confortevoli rispetto al gradino sul quale era stato
inginocchiato tutta la notte.
Una volta seduti Uther si prese qualche attimo per osservare il viso del figlio.
Gli somigliava, certo, ma
in lui, nei suoi occhi, c'era qualcosa che gli ricordava la sua amata moglie.
Passò una mano callosa
sulla guancia del ragazzo ormai quasi uomo, in un gesto che probabilmente non
ripeteva da quando Artù non era che un bambino di pochi mesi.
I suoi occhi, per la prima
volta nella sua vita, erano liberi, in quella solitudine, di mostrare tutto
l'amore che provava per il figlio.
-Guardati…-
Mormorò il re, a bassa
voce, quasi avesse paura di disturbare la calma del luogo.
-Sei diventato grande
senza di me.-
Questa volta le parole
erano macchiate di amarezza.
-Ma sei cresciuto bene lo
stesso, sono così orgoglioso di te. Hai preso tutti i miei punti di forza e ben
pochi dei miei difetti.-
Artù aprì la bocca per
dire qualcosa, ma Uther scosse la testa.
-Non dire nulla, quello
che sto dicendo è vero. Di difetti ne ho molti, e sono contento che tu non li
abbia ripresi. Il mio cuore si è chiuso alla morte di tua madre e le
responsabilità del trono hanno tolto al mio cuore anche le ultime capacità di
mostrare amore, se non di provarlo. Per questo ti chiedo perdono, ma voglio che
tu sappia che io ti ho sempre amato, che sono sempre stato orgoglioso di te,
che tutti quei sorrisi che non ti ho dato, che tutte quelle parole brusche,
severe, non erano che il mio modo di cercare di crescerti al meglio.-
Disse guardando il figlio
negli occhi, dicendogli tutto quello che in quegli anni era rimasto sottinteso
tra loro.
-Padre…-
Artù sembrava senza
parole, mentre emozioni e pensieri si inseguivano nel suo corpo senza un ordine
preciso.
Prima che potesse
rimettere a posto le idee, le campane della chiesa iniziarono a suonare e i due
vennero riportati alla realtà.
-Andiamo, figlio mio.-
Disse Uther
alzandosi e porgendo una mano ad Artù.
Il ragazzo la prese,
alzandosi lentamente, per via dei muscoli irrigiditi dalla notte passata in
ginocchio.
La luce del sole li
accolse, più calda di quanto avrebbe dovuto essere, quando uscirono.
In quel momento, mentre
scendevano i gradini per dirigersi al seggio dove suo padre lo avrebbe
investito cavaliere, capì che l'ombra di suo padre non era più un ostacolo
insuperabile, ma un limite che gli avrebbe indicato la via.
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E qui di seguito il
commento*W*: .
Sviluppo della trama.
Assolutamente commossa.
Voglio dire, è una trama carica di sentimento – di amore, quell’amore
sottinteso, come dice la fanfiction, che Uther non è mai riuscito a trasmettere al figlio – ed ha
come fine quello di colpire il lettore proprio al cuore. Utilizzare un movente
originale (quello del rito d’investitura) ha ulteriormente contribuito a far
risaltare la bellezza della trama. Malinconica ed intrisa di emozioni.
Voto: 8,5.
2. Grammatica e lessico.
Lo stile migliora sempre
di più, noto. Diventa più scorrevole,
lineare – anche se alle volte alcuni pensieri vengono un po’… troncati, direi,
spezzati a metà, lasciando uno spazio vuoto. A livello grammaticale nulla da
evidenziare, eccezion fatta per alcune virgole di troppo ed errori di
distrazione.
Voto: 7,5.
3. Utilizzo degli obblighi assegnati ed IC del
personaggio.
Il rapporto fra Arthur e Uther è stato descritto
con cura e col rispetto dell’IC dei due personaggi. Mi preme parlare di Uther, riportato con particolare riguardo: fra le righe e
poi espressa da lui stesso, si legge della sua incapacità ad esternare il proprio
amore dalla morte di Ygraine. Questo impedimento è
l’ovvio colpevole del muro che intercorre fra padre e figlio e che li separa,
un muro fatto di doveri, freddezza e dolore.
Arthur è colto da un punto di vista diverso, uno più
malinconico ed introspettivo, che tralascia la fierezza del suo aspetto e, in
parte, l’orgoglio. Si domanda come sarebbe stata la
sua vita se la madre fosse ancora viva, ed è una cosa toccante. Riguardo la questione del vedere Uther come
un Dio un po’ dissento, in quanto in determinate occasioni Arthur
fa prova della propria capacità obiettiva, discordando quando ritiene giusto
dal giudizio di suo padre.
Voto: 10.
Voto finale: 26/30.