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Autore: Raymox    13/07/2017    1 recensioni
* Prologo della storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3647461&i=1 *
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Dal primo capitolo...
" A terra la ghiaia del viale era dipinta di rosso, svariati i corpi esanimi sul terreno. L’aria era intrisa di un odore sgradevole che ricordava il pungente sapore metallico del sangue. Come in un campo minato, pezzi di carne erano sparsi sul terreno, alcuni ancora attaccati all’osso. La macchia rossa si espandeva sempre di più. "
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Ciao a tutti!
Mi è venuta in mente questa storia di getto e allora ho cominciato a ragionarci per creare qualcosa di carino. Spero di non aver sprecato ore della mia vita...
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Dawn, Duncan, Scott
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Lo portò fuori, all’esterno, davanti alla casa del dittatore tenendolo per le braccia. La luce del sole gli dava fastidio per la lunga assenza, tanto che non riusciva a tenere gli occhi aperti. Sentiva solo che tutte le voci, che prima facevano un gran fracasso, acquietarsi lasciando spazio a un ansioso silenzio. Una mano lo spingeva in avanti facendogli perdere l’equilibrio e qualche volta cadere, ma era subito rimesso in piedi per sfilare davanti alle persone presenti. Erano tutti riuniti nel grande giardino che stava davanti all’edificio, che, in confronto ai fatiscenti palazzi che stavano attorno alla villa, sembrava il paradiso. Il viale era composto da una strada in ghiaia molto larga ai lati della quale si alzavano due file di alberi e, alla fine, un grande cancello nero inserito tra le mura alte due metri segnava la fine della residenza.
Lui non opponeva alcuna resistenza, non si dimenava, non lottava contro quei tiranni come aveva fatto per molto tempo, ma si lasciava trasportare verso il suo destino. Arrivò davanti al patibolo e salì le scale che lo dividevano dalle tre guardie che portavano sulla spalla i fucili carichi. Erano tutte vestite con un’uniforme completamente nera e in testa dei caschetti con un’apertura all’altezza degli occhi coperta da vetro oscurato. Ora riusciva a vedere qualche centinaio di persone davanti a lui, che lo squadravano da capo a piedi, chi con interesse, chi con odio, anche se lui non voleva altro che non fosse il loro bene. Il dittatore però aveva fatto un ottimo lavoro nel manipolare le loro menti fino a fargli credere che l’uomo che vedevano in manette sul patibolo fosse la causa del loro malessere. La persona che lo accompagnava gli diede un ultimo spintone per farlo andare di fronte a quel pubblico di persone ansiose di vederlo con qualche buco in corpo. Il condannato si voltò indietro e solo allora riconobbe quella persona come il generale delle forze di Alejandro, il suo braccio destro Lightning; un uomo senza morale o pudore che faceva qualsiasi cosa esclusivamente per i suoi interessi. Per quell’esecuzione, ovviamente, non poteva mancare. Il suo sguardo era fisso davanti a sé, teneva le braccia incrociate e la testa alta, per marcare la sua superiorità.
La folla cominciò a gridare; prima pochi, poi tutti i presenti cominciarono a urlare di sparargli, di uccidere quel cane che li faceva soffrire, senza capire che chi li faceva star male erano quelli con i fucili. Sono sempre quelli con le armi a comandare, ma il popolo a volte, pur di farsi ascoltare, è disposto a impugnare sassi e bastoni. Lui osservava tutte quelle persone e leggeva il loro odio negli occhi e ciò gli faceva provare una gran pena.
Poi si udirono dei passi pesanti che salivano le corte scale. Tutti tornarono in silenzio quando videro l’uomo più importante tra tutti comparire da dietro il piccolo palcoscenico di legno. I lunghi capelli marroni ondeggiavano ad ogni passo, i suoi occhi smeraldo erano saette glaciali e il suo sorriso arrogante stampato in faccia era la cosa più irritante. Nel suo elegante vestito sembrava appartenere a un altro mondo rispetto a quella povera gente. Si avvicinò alla folla trepidante e cominciò il suo discorso: «Signori e signore! Oggi è un gran giorno. Oggi è il giorno in cui ci libereremo dalla fame e dalla povertà!» ne parlava come se anche lui l’avesse sperimentate, ma il prigioniero avrebbe scommesso che sulla sua tavola c’era appena stato un tacchino intero. «Quest’uomo» continuò indicandolo « è la causa dei vostri mali e delle vostre sofferenze, è stato lui a portare la guerra su di noi, ma ora pagherà per i suoi crimini!» la folla esplose in un grido di gioia come se anche una sola parola di ciò che aveva detto fosse vera.
Alejandro si avvicinò a lui e sussurrò in un orecchio: «Le tue ultime parole?». L’altro alzò lo sguardo e cominciò a dire a gran voce: «Concittadini! Voi siete venuti qui per vedere l’esecuzione di un criminale, ma io vi dico che l’unico criminale è chi mi sta al fianco» disse alludendo al dittatore «Voi credete che io abbia portato la fame tra di voi, ma pensate: da chi vi arrivano queste informazioni? Da quelli a cui fa comodo che la pensiate così!» Prima che potesse dire altro, gli fu sferrato un colpo alla schiena con il calcio di un fucile.
Con il suo classico sorrisino saccente, il despota si allontanò mettendosi in un lato e ordinò di cominciare i preparativi per l’esecuzione: il condannato fu portato verso una parete di legno in fondo al patibolo, che era già piena di buchi di colpi che non avevano centrato i corpi, le tre guardie si disposero attorno a lui e i tamburi cominciarono a suonare.
Lightning alzò il braccio in alto e quando lo avrebbe abbassato i proiettili sarebbero cominciati a saettare. Fecero passare qualche secondo per aumentare la tensione. Il condannato continuava a guardare davanti a sé, senza avere la minima paura di ciò che sarebbe successo. Il suo sguardo non aveva la minima insicurezza ed era puntato sulle persone, che sembravano dire con gli occhi: “Te lo meriti”. Le fissava una a una, quella gente che aveva cercato di salvare dalla tirannia, e che invece avrebbe gioito vedendo il suo corpo esanime.
Tre colpi volarono nell’aria e tutti colpirono il bersaglio. Questo, però, non era l’uomo davanti al muro di legno, ma quelli che gli stavano davanti. Una dopo l’altra, le guardie del plotone di esecuzione caddero a terra dopo che un getto rosso uscì dalle loro uniformi. Qualcuno gridò e i presenti cominciarono a fuggire ovunque. Altri soldati circondarono Alejandro per proteggerlo e lo scortarono rapidamente all’interno della casa. Lightning aveva subito impartito l’ordine di abbattere i cecchini, ma questi erano troppo lontani e ben nascosti per essere individuati. Altri colpi esplosero a terra e sui frettolosi ripari che i militari avevano trovato rovesciando dei tavolini posti accanto al patibolo o nascondendosi dietro degli alberi o delle casse. Ora scrutavano ogni possibile luogo dal quale potessero venire gli spari, ogni finestra e tetto degli edifici di fronte. Sporgevano solo la testa per esaminare gli edifici, ma alcuni furono colpiti ugualmente, cadendo a terra con un buco in fronte. Il generale abbandonò il viale lasciando ai suoi uomini il compito di uccidere il tiratore.
 
Ma riprendiamo da dove avevamo lasciato. Prima di questi avvenimenti era successo un fatto che si deve conoscere per seguire il filo della storia.
Da molti anni il governo di Alejandro era sorto e la sua fine era tutt’altro che vicina. Il suo potere cresceva ogni giorno e molte persone morivano di fame, freddo, venivano fucilate o portate in luoghi dai quali non facevano più ritorno. Ma contro ogni male ci sarà sempre qualcuno che sarà pronto a fronteggiarlo, a battersi per sconfiggerlo. Circa due anni dopo l’ascesa al potere del nuovo dittatore, si cominciarono a creare piccoli gruppi che si ribellavano al folle controllo tirannico, organizzando piccoli movimenti di protesta e degli attacchi ad avamposti militari isolati o aggressioni a dei gruppi di pattuglia. Spesso i morti erano più tra i ribelli che tra i militari; molte volte queste sommosse non avevano un vero effetto e terminavano nel giro di pochi minuti, ma accesero una speranza nel cuore delle persone, che speravano nella fine di quell’epoca, facendo sollevare gran parte della popolazione periferica occidentale contro la capitale.
Tutti i ribelli si riunirono sotto una persona. Il suo nome era Scott, ed era diventato il capo di quel movimento rivoluzionario. I suoi ideali erano democratici e il suo desiderio era di vedere quel mondo in ginocchio risollevarsi. Aveva accolto tutti coloro che volevano combattere e, per quanto possibile con i mezzi che aveva, cercava di aiutare i più devastati. Ma, nonostante il suo animo buono, era un feroce avversario, temuto dalle autorità e abile guerriero. Il suo tratto più conosciuto erano i suoi capelli rossi, che gli avevano fatto guadagnare tra le file dell’esercito del dittatore il soprannome “Pelo Rosso”, usato in modo dispregiativo. Con l’aumentare della sua fama e del suo potere, però, quel nome era diventato temuto, e i soldati lo associavano a un demone più che a un uomo. Vedendo la larga popolarità di Scott, Alejandro aveva cominciato un’imponente campagna di diffamazione contro il capo della ribellione, etichettandolo come “il portatore della guerra”. Furono appesi manifesti, striscioni in tutto lo stato e furono diffusi messaggi su molte radio rimproverando i suoi scopi, insinuando che volesse assumere il controllo per comandare in autonomia e che celebravano l’abilità e la bontà del tiranno, in questi casi chiamato solo governatore.
Per rispondere a queste accuse, il movimento ribelle aveva intenzione di impadronirsi della maggiore stazione radio, in una regione non molto distante dalla capitale, che gli avrebbe consentito di inviare le loro informazioni diffamanti sul conto del dittatore. Quest’ultimo, però, era stato abile a nascondere ogni dato che avrebbe potuto screditarlo e nella sua stessa abitazione giravano poche notizie sul suo conto. Perciò i ribelli si servirono di un infiltrato all’interno dell’abitazione che aveva raccolto ogni possibile informazione accusatoria nei confronti di Alejandro e l’aveva riportata su una chiavetta. Mancava però il modo di far uscire quella chiavetta dall’edificio senza destare sospetti; infatti, ogni membro della casa era costantemente controllato da telecamere o agenti di sicurezza. Alejandro non si fidava di nessuno. Il solo modo sembrava far entrare qualcuno all’interno dell’edificio e in seguito farlo uscire con le informazioni.
 
 
«Dobbiamo mandare qualcuno dentro la reggia» affermò Courtney, braccio destro di Scott nella lotta al potere.
«Troppo rischioso. Quella casa è la tana del lupo ed io ho già un uomo lì, la sua copertura potrebbe essere compromessa» tagliò corto Scott che camminava intorno a un tavolo con le braccia incrociate, evidentemente inquieto. Guardava le mappe e piantine che erano riusciti a procurare sull’edificio senza trovare una soluzione. I suoi occhi guizzavano irritati su ogni tubatura, condotto dell’aria, finestra o semplici porte nascoste, ma non ne veniva a capo.
«Scott, sai anche tu che questa è l’unica possibilità» dichiarò nuovamente la ragazza con una voce stranamente tranquilla. Il suo atteggiamento non era stressato, non dimostrava alcun segno di nervosismo, pur trattandosi di una missione vitale per la riuscita della rivolta. Normalmente non era una persona suscettibile ed era raro vederla tesa o spaventata o semplicemente felice; era una persona molto fredda e distaccata e nutriva affetto solo per Scott, che in quel momento sembrava tutt’altro che calmo.
Il comandante si appoggiò con le mani sul banco e dopo qualche secondo di riflessione ringhiò: « Dannazione! Va bene, mandiamo qualcuno all’interno» disse rassegnato all’idea di dover prendere quell’ardua decisione. A chi avrebbe potuto chiedere di andare dentro la casa del diavolo? Significava domandare a qualcuno di suicidarsi o andarci vicino e lui non aveva la forza di imporlo.
Decisero che la migliore scelta era di far catturare una persona, comunicargli le informazioni nella permanenza nella cella della reggia e liberarlo durante le esecuzioni ma Alejandro non giustiziava tutti pubblicamente; alcuni si limitava a ucciderli.
«Posso andare io.» propose la vice, come se avesse letto nella sua mente «Sono abbastanza importante come persona. Alejandro avrebbe degli ottimi motivi per uccidermi subito, ma vorrà farlo su un patibolo e con molti spettatori» aggiunse.
«No, Courtney. Tu servi qui e viva, non posso rischiare di perderti» rispose con decisione Scott. Senza di lei non avrebbe avuto la forza di cui necessitava per comandare; i suoi giudizi razionali erano ciò che serviva per mantenere in vita questa ribellione e non poteva privarsene.
«Una persona qualunque verrebbe uccisa senza una pubblica esecuzione, dobbiamo mandare uno importante» affermò già sapendo cosa avrebbe risposto l’altro. Le bastò uno sguardo per capire.
«Allora andrò io!» esclamò Scott senza indugio e con sicurezza.
 
Il cecchino cessò di sparare. A terra la ghiaia del viale era dipinta di rosso, svariati i corpi esanimi sul terreno. L’aria era intrisa di un odore sgradevole che ricordava il pungente sapore metallico del sangue. Come in un campo minato, pezzi di carne erano sparsi sul terreno, alcuni ancora attaccati all’osso. La macchia rossa si espandeva sempre di più. C’era un soldato nascosto dietro un albero, che si stringeva il polso dal quale prima cominciava la mano e ora solo qualche getto di sangue, che rantolava aiuto, ma nessuno dei suoi compagni osava spostarsi per soccorrerlo, al contrario tutti cercavano di rannicchiarsi il più possibile dietro i ripari e di non sporgere nemmeno una parte del corpo.
Scott saltò giù dal patibolo e senza esitazione s’incamminò verso il cancello davanti a sé ad una ventina di metri. I suoi passi crepitavano sui sassolini e ogni tanto producevano un ciaf-ciaf. Un militare, accortosi dei suoi movimenti e colto da un’ingenua prepotenza, si alzò e corse verso il rosso allungando una mano per afferrarlo. Le sue ultime parole furono: “Dove credi di andare?”. Probabilmente si accorse di aver fatto una stupidaggine, ma era troppo tardi per tornare indietro. Il suo corpo cadde a terra dopo che un proiettile si conficcò nella sua nuca. Il ribelle non si era minimamente scomposto, la sua andatura non era cambiata e il suo sguardo non si era nemmeno scomodato a guardare l’uomo. Camminò accanto ad alcuni soldati: molti lo lasciavano passare facendo finta di niente, troppo spaventati per guardarlo, mentre i più temerari incrociavano il suo sguardo, ma, pur avendo il casco che li nascondeva, sentivano che il loro nemico disarmato, con le mani legate e indebolito dalla permanenza in carcere percepiva la loro paura.
Il cancello in fondo alla via fu sfondato da una grossa auto blindata che subito fece una manovra per prepararsi alla fuga. Scott, superata la nube di polvere che si era creata, aprì lo sportello posteriore e salì sul veicolo. «Tu sei davvero un pazzo!» esclamò un uomo accanto a lui che ricevette come risposta una risata. Poi diede una pacca al conducente dicendo: «Portaci via da qui!». L’auto sfrecciò tra le aride strade allontanandosi dalla casa del governatore finché scomparve all’orizzonte.
 
 
Angolo Autore
Salve utenti di EFP!
Ogni volta che termino un progetto qui, mi dico che è l’ultimo e che continuerò solo a recensire, ma ogni volta, per il vostro dispiacere, mi ritrovo a pubblicare un’altra storia. Ormai sono troppo attaccato a questo sito!
Comunque, il prologo di questa storia è una One-shot che ho pubblicato qualche mese fa, quindi, se v’interessa questa seguire questa, date un’occhiata anche all’altra per conoscere tutti gli avvenimenti.
Come al solito, v’invito a lasciarmi un vostro parere che mi è molto utile ed è sempre benaccetto.
Ci si vede!
  
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