Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |      
Autore: KaiohMichiru    17/07/2017    3 recensioni
Questa storia sviluppa un'ipotesi su come possa essere avvenuto il risveglio di Michiru Kaioh come Sailor Neptune, i suoi incubi e la sua presa di coscienza sul suo passato e sul suo destino di guerriera.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michiru/Milena
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le lezioni erano appena finite e, come ogni giorno da quando si era trasferita da sola in questa nuova città, prima di rientrare a casa era passata in uno dei tanti chioschi a prendere qualcosa da mangiare per il pranzo. E come tutti gli altri giorni si era goduta quel momento di solitudine, seduta a mangiare alla scrivania della sua stanza del dormitorio, in assenza delle sue coinquiline. Non è che non fossero brave ragazze, ma lei preferiva quei momenti in cui la piccola camera che condividevano era vuota, così poteva ascoltare la sua musica, o in alternativa lasciarsi trasportare dal silenzio interrotto solamente dal fruscio degli alberi fuori dalla finestra e dai versi degli animali nel cortile. Da sola aveva modo di riflettere, di scrivere, di leggere in tranquillità, senza sentire i suoi momenti di esternazione invasi dalla presenza di qualcuno che non riusciva a non considerare estraneo. Forse per lei chiunque, escluse pochissime eccezioni, era considerabile un estraneo, non si lasciava avvicinare facilmente e tanto meno permetteva agli altri di avvicinarsi abbastanza da poter imparare a conoscerla e capirla. Era arrivata da poco, ma già da subito era stata etichettata come l'asociale della scuola e a lei, tutto sommato, andava bene così, ci si vedeva in quel ruolo che le avevano affibbiato. E in quella giornata aveva davvero bisogno di tempo, di tranquillità e di concentrazione per riuscire a riflettere su ciò che le era capitato durante la notte. La sua piccola routine fatta di lezioni, pomeriggi in piscina e passeggiate fino all'enorme libreria del night market principale della città era stata interrotta da una serie di situazioni peculiari alle quali non era stata in grado di dare una spiegazione.

 

Sin da quando era piccola, anche se aveva avuto un'infanzia che molti potevano considerare invidiabile, in un paesino tranquillo e lontano da qualsiasi tipo di pericolo, coccolata da una famiglia estremamente presente e premurosa, aveva dovuto convivere con constanti pensieri troppo cupi per essere sopportati dalla mente di una bambina e, per colpa della sua indole estremamente solitaria, si era trovata costretta a nascondere sotto la sua corazza tutte quelle immagini perché il mondo esterno non potesse percepirne neanche una minima sfumatura. Era spesso tormentata da brutti sogni, a volte ricorrenti, da immagini inquietanti e scene apocalittiche che fino all'adolescenza non aveva avuto neanche idea di come catalogare. In particolare aveva imparato a convivere con un sogno che la perseguitava sin dalla prima infanzia e che non l'aveva mai abbandonata: lei, cresciuta in un paesino in riva al mare, che avrebbe passato ore e ore a contemplare le onde infrangersi sugli scogli o ridisegnare il profilo della spiaggia lasciando che l'acqua le accarezzasse ritmicamente i piedi, si era trovata costretta a convivere con l'incubo ricorrente di vedersi abbandonata a morire in distese di acqua torbida. Ciò che più amava al mondo, quella stessa acqua che le donava la maggiore serenità e pace interiore era anche un presagio di morte, della sua stessa morte. Aveva imparato a capire che quei sogni avevano un significato che andava oltre l'interpretazione psicologica, quegli specchi di acqua torbida non erano solo un'immagine riflessa del suo animo da ragazzina tormentata, ma spesso si rivelavano essere premonizioni di avvenimenti negativi che si ripercuotevano sulla sua vita. Ma purtroppo non era stata in grado né di interpretarli, né di gestirli razionalmente. Sapeva solo che ogni mattina in cui si svegliava dopo aver sognato l'acqua, quell'acqua, doveva aspettarsi qualcosa di brutto.

 

Ma adesso era tutto diverso, con gli anni era riuscita a darsi pace, non aveva più paura di quei sogni, li aveva accettati come parte di sé, una parte speciale, e, dopo essersi trasferita lontano da casa completamente sola, aveva capito che era arrivato il momento di imparare a conoscere se stessa e a capire cosa aveva realmente dentro.

 

Qualche giorno prima, mentre tornava dal supermercato dove aveva deciso di concedersi qualche dolcetto alle patate dolci per tirarsi su il morale, si era incantata poggiata al parapetto di un ponte a fissare l'acqua del fiume che scorreva sotto di lei: era stata investita da un'idea, un déjà vu, o una fantasia, o un flashback, non era stata in grado di capire di cosa si trattasse, ma il suo pensiero vagava, e l'immagine del presagio di morte nell'acqua si sovrapponeva all'idea di un ricordo lontano, sepolto da qualche parte dentro di lei, un ricordo di una morte avvolta in quella stessa acqua, sopraffatta dalla potenza di quell'elemento.

 

Lei non aveva mai creduto in nulla, era stata una bambina e poi una ragazzina cinica ed estremamente razionale. Sempre affascinata e attratta dalla spiritualità, forse proprio perché la sentiva come qualcosa di molto lontano dalla sua persona. Amava visitare i templi, perdersi nel silenzio delle preghiere e nei colori degli origami appesi al soffitto, ma non aveva mai trovato né conforto né dialogo, con se stessa o con qualcosa di superiore, all'interno di uno di quei posti. Ma da pochi giorni l'idea assurda di aver già vissuto un'altra vita le sembrava un po' meno assurda.

 

E allora si era lasciata quel ponte alle spalle di corsa, aveva abbandonato la spesa in un angolo della sua stanza in dormitorio ed era andata di corsa al negozio d'arte sotto il porticato del grande incrocio di fronte alla scuola e aveva acquistato di tutto, fogli da disegno, pennelli e acquerelli ai quali, quella sera stessa, avrebbe aggiunto i pastelli a cera e i pastelli. In quel posto conosceva poche persone, nessuna abbastanza vicina da potercisi confidare, e l'unico modo per tirar fuori quei pensieri dalla sua testa era metterli su tela. Ma forse, anche fosse stata nella sua casa, nel paesino dove era cresciuta, avrebbe comunque optato per tenere tutto dentro come al solito, senza dire niente a voce alta.

Da quella giornata di riflessioni che non riusciva a non considerare assurde erano nati tre disegni. Tre disegni di cui si sentiva particolarmente soddisfatta, non perché fossero chissà quali capolavori, ma perché lei ci si vedeva dentro e se ne sentiva completamente coinvolta e travolta. Aveva deciso di intitolare il lavoro nel complesso 红线, “filo rosso”: sapeva bene che per tradizione il filo rosso legava due persone, due anime gemelle destinate a incontrarsi e a trascorrere il resto della vita insieme, ma lei questo legame indissolubile lo stava percependo con il passato, con il corso del tempo, con se stessa.

Il primo disegno lo aveva intitolato 引力, “attrazione”: una ragazza dai capelli acquamarina, lei, una versione di se stessa, seduta in riva al mare, attratta da quella distesa immensa e ipnotica che la chiama verso di sé. Un filo rosso intorno al polso, l'altro capo che si disperde nell'immensità delle acque.

Il secondo disegno, 重力, “gravità”, la stessa ragazza, o meglio un'altra lei, che si lascia comandare, sopraffare da quelle acque gelide e avvolgenti che la trascinano verso il fondo, dove l'attende una distesa di alghe, una distesa di mani che la tirano a sé, che la tirano per quello stesso filo rosso, un capo sul fondo, un capo sulla superficie, stretto al suo polso.

L'ultimo disegno, 轮回, “giri di vite”, un samsara infinito, ciclico ma in realtà ogni volta identico a se stesso. Non importa quante volte si risveglierà, tornerà per sempre a farsi catturare da quelle acque: e così, le sue gambe che attraversano l'acqua nel momento in cui delle mani, non ancora diventate alghe, non ancora diventate mare, ancora le sue mani, la ritrascinano verso il suo destino. Un destino contro il quale non può combattere, una sorte alla quale non potrà ribellarsi. Un'attrazione troppo forte per poter essere ignorata. Costretta in eterno a rincorrere un filo che la trascina verso la sua stessa fine... e verso uno stesso nuovo inizio.

 

E in qualche modo aver realizzato quei disegni, averli appesi sopra il suo letto, aver rifiutato di dare qualsiasi spiegazione a riguardo a chiunque capitasse per caso in quella stanza, comprese le sue coinquiline, le aveva fatto percepire di aver compiuto un piccolo passo avanti nel tentativo di conoscere meglio ciò che aveva dentro, ciò che dormiva dentro di lei, ciò che probabilmente tramite quei sogni cercava di comunicare con lei.

 

E poi è arrivata quella notte. Come ogni notte da quando si era trasferita si addormentava abbastanza tardi; nell'attesa che nella stanza venissero spente le luci ascoltava musica e leggeva qualche libro sdraiata sul suo futon che inizialmente trovava abbastanza scomodo ma che dopo già una decina di giorni sembrava essere diventato il suo letto ideale. I disegni di fianco a lei sul muro le ricordavano i piccoli passi che aveva fatto verso se stessa. Come le altre notti anche quella volta aveva preso sonno verso l'una, le finestre aperte lasciavano entrare un venticello gradevole e i rumori dei piccoli animali notturni che popolavano il cortile del dormitorio.

E così come le capitava ormai ogni notte da quando aveva realizzato quei disegni, anche quella notte alle tre e quaranta si svegliò di soprassalto, avvolta da una sensazione di malessere e di ansia, quel malessere che ti fa mancare l'aria nel petto e tremare i polsi. E ogni notte appena si svegliava si guardava intorno, si sentiva osservata, ma nella stanza non c'era nessuno e tutto sembrava tranquillo. Quella notte alle 3:40 si era svegliata, doveva andare al bagno, ma il bagno era fuori dalla stanza e lei. a quell'ora della notte era troppo pigra per alzarsi, e così optò per rigirarsi nel letto temporeggiando fino a che non vide scendere dalla scaletta del letto a castello sopra il suo nella penombra una sua compagna di stanza che andava al bagno. Era proprio ciò che serviva a spronarla e così pensò che se ce l'aveva fatta l'altra ragazza ad alzarsi poteva riuscirci anche lei. La seguì con lo sguardo e poi si alzò e la seguì al bagno. Ma la luce del bagno era spenta. La stanza vuota. Lì per lì rimase perplessa, si domandò dove potesse andare una ragazza a quell'ora della notte ma, non avendola neanche vista in faccia arrivò persino a interrogarsi se fosse effettivamente una delle sue compagne di stanza, così tornò subito in camera, ma le sue coinquiline dormivano beatamente nei loro letti, e al mattino dopo entrambe le confermarono di non essersi alzate in tutta la nottata. La porta della stanza quella notte era, come sempre, era chiusa a chiave dall'interno, e nessuno oltre a loro avrebbe potuto trovarsi dentro la stanza, perciò passò la giornata a interrogarsi sui fatti assurdi di quella notte. Cercò informazioni su internet, in biblioteca, ovunque, avrebbe voluto parlarne con qualcuno che potesse darle una spiegazione razionale, lei cercava sempre di convertire qualsiasi evento assurdo in una circostanza tranquillamente spiegabile usando la ragione. Ma quel giorno non ci riuscì. Paralisi del sonno aveva pensato. È abbastanza comune come fenomeno, aveva senso e d'altronde le era già capitato in precedenza, ma durante una paralisi del sonno non riesci a muoverti, figuriamoci ad alzarti e a seguire qualcuno fino fuori dalla stanza... Era certa che stavolta si era trattato di qualcosa di completamente diverso.

Passarono le notti e lei continuava ad avere i suoi risvegli delle 3:40. E ogni notte quando si svegliava di soprassalto si guardava intorno, sentiva degli occhi puntati su di lei, sentiva di non essere sola, sentiva che qualcuno voleva parlarle. Ma la stanza era vuota e lei controllava l'orario, era sempre lo stesso identico orario, e questa catena di eventi sempre identici iniziava a turbarla sempre più, ma era sola in quella città, non aveva nessuno con cui parlarne. E non voleva proprio parlarne, l'avrebbero presa per una pazza visionaria. D'altronde anche lei iniziava a pensare che forse stava proprio iniziando a dare i numeri.

E allora passava le giornate a scervellarsi, a domandarsi il perché di quella sensazione, cosa voleva dirle quella ragazza? Ma soprattutto, chi era quella ragazza? E cosa c'entrava con lei?

Era completamente impazzita per una canzone, l'unica cosa in cui riusciva a trovare un minimo di consolazione e conforto, perché le sembrava descrivesse a pieno il suo stato d'animo interiore.

Sweet-faced ones with nothing left inside
That we all can love, that we all can love, that we all
Sweet-faced ones with nothing left inside
That we all can love, that we all can love, that we all

Era proprio lei. Era lei quel viso dolce la cui anima era stata lentamente corrosa e svuotata negli anni dall'angoscia e dall'ansia per le visioni terrificanti e la sensazione di morte e sventura che le si proponevano davanti agli occhi chiusi nel sonno. Ma questo nessuno lo vedeva. Perché nessuno le vedeva dentro. Per gli altri era solo il bel visino di una ragazza si intelligente e talentuosa, ma forse troppo snob per degnare i coetanei della sua presenza.

When I see you messing me around
I don’t want to know, I don’t want to know, I don’t want to
Did I see you messing me around?
I don’t want to know, I don’t want to know, I don’t want to know

Le giornate passavano veloci e frenetiche, mentre cercava di rimanere concentrata sullo studio visto che la fine del semestre si stava avvicinando e non poteva permettersi troppe distrazioni. Ma la sua testa era evidentemente altrove. Una notte fece un sogno, uno di quei sogni dai quali si svegliava sapendo che si trattava di qualcosa di più. Era nella sua città natale, in una casa vicino a un incrocio che per qualche ragione aveva sempre percepito come minaccioso e inquietante. Era con la sua famiglia, ospiti di un'altra famiglia, di persone che non aveva mai visto prima. Davanti a lei un ragazzino, coi capelli biondi e corti, pallido in viso e gli occhi velati da una profondissima tristezza. Non appena i loro sguardi si incrociarono entrambi percepirono un brivido percorrere completamente i loro corpi, come se all'improvviso dalle finestre fosse entrato un vento gelido, entrambi avevano sentito il malessere che aleggiava nello spirito dell'altro, avevano capito che erano accomunati da una capacità superiore che non avevano chiesto, che mai avrebbero voluto avere. Non appena rimasero soli nella stanza, la ragazza dai capelli verde acqua trovò il coraggio di domandare esplicitamente se anche lui fosse in grado di sentire dentro di sé le cose prima che accadessero. La risposta di lui la atterrì: “Si, anche io li sento come te, ma tu per ora sei più fortunata perché li senti soltanto, io ormai sono quasi come loro”. E il sogno si interruppe per dare spazio ad altre immagini. Si trovò di colpo in casa sua, ma non aveva l'aspetto della casa in cui era cresciuta. Salì nella sua stanza, ma come entrò dentro vide una ragazza che l'aspettava nella penombra, non riuscì a vederla nel viso, ma i contorni erano quelli della ragazza che seguì quella notte, e voleva parlarle. Ma lei non era pronta, non ne aveva il coraggio. Si mise a correre piangendo, corse dalla sua famiglia e disse che c'era qualcuno lì per lei e che non voleva sapere cosa avesse da dirle, ma di non andare a cercarla perché loro non avrebbero comunque potuto vederla.

Si svegliò nuovamente allo stesso orario, 3:40, con l'animo appesantito da un'enorme angoscia, con degli occhi puntati addosso in una stanza dove non c'era nessuno oltre a lei e alle sue compagne addormentate.

Mano a mano che le notti passarono le sensazioni si fecero sempre più forti, si svegliò ancora alle 3:40 e la vide per un solo istante che stava lì davanti a lei, in piedi, e la guardava, il viso era sempre nella penombra, sarà stata alta più o meno quanto lei, capelli mossi, immobile davanti al suo letto. Sentiva che non era lì per farle del male, ma non era abbastanza forte da lasciare che le dicesse ciò per cui veniva a osservarla tutte le notti. E nelle notti successive la chiamò per nome, si sedette sul letto e l'accarezzò, con il passare dei giorni quella presenza eterea ed effimera si faceva sempre più ingombrante. E lei si sentiva sempre meno spaventata e sempre più attratta da quella figura solitaria che passava le notti nella sua stanza, dentro il suo corpo sentiva il freddo del vento che soffia sul mare in tempesta ogni volta che si svegliava e sentiva quel corpo inconsistente sul suo inerme e immobile, ma sentiva il profumo dell'oceano limpido e profondo, sentiva che non poteva più scappare e che doveva lasciarsi sommergere completamente se voleva sperare di ritornare in superficie.

E arrivò una notte, la notte. Di nuovo si svegliò alle 3:40, sentì quel vento gelido dentro le ossa e dentro le vene, sentì fin dentro i polmoni il profumo della brezza estiva, sentì sull'addome il peso di metri cubi di acqua che la trascinavano a fondo, vide con gli occhi la luce sulla superficie filtrata dall'acqua cristallina sempre più densa che gradualmente spariva fino a lasciarla al buio, sentì le sue membra fredde e stanche svanire nel nulla assoluto, la vide nel viso per la prima volta mentre seduta sopra di lei le stringeva le mani, la fissò negli occhi, i suoi stessi occhi azzurri contornati da capelli ondulati acqua marina, la strinse mentre nella sua mente riaffioravano tutti i ricordi confusi di un'intera vita, si strinse e capì che non c'era niente da dire, che tutto quello che doveva sapere lo aveva già dentro da tempo, lo aveva dentro da sempre. E capì che, anche stavolta, non poteva scappare da quel ciclo di vite, il suo destino era quello della guerriera, e sarebbe stato così per ogni risveglio, per ogni inizio e per ogni fine, per tutta l'eternità.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: KaiohMichiru