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Autore: Lory221B    06/08/2017    5 recensioni
Una misteriosa sparizione costringe Sherlock Holmes ad indagare sotto le mentite spoglie di baby-sitter a casa del ricco vedovo John Watson. Riuscirà a tenere a bada la piccola Rosie, carpire la fiducia di John e dei suoi amici e tutto soltanto per risolvere il caso, senza farsi coinvolgere?
[johnlock!AU]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Serial killer


Dopo andremo a Baker Stret, vero? Me lo hai promesso!”


John Watson, miliardario, editore, scrittore per passione e uomo assolutamente imbarazzato davanti la propria immagine riflessa nello specchio, si sentì un idiota per l’ennesima volta da quando aveva incontrato William. Avrebbero trovato Sherlock Holmes nel suo appartamento? Sarebbe stato felice di vederli? Con una leggera preoccupazione su quello che sarebbe stato il resto della serata non appena sarebbe finita la recita scolastica, continuò nella sua opera di rendersi più presentabile, iniziando dal radere il principio di barba incolta che aveva lasciato crescere negli ultimi giorni.

Ad ogni passaggio del rasoio si chiedeva esattamente cosa stesse facendo. Si rasava per Sherlock Holmes? Uomo di cui, a questo punto, doveva ammettere di non sapere niente o che comunque quello che sapeva era soltanto una piccolissima parte dell’uomo che era piombato in casa sua, sconvolgendogli la vita.

Finì di prepararsi indossando un abito fin troppo formale per una recita scolastica e prese per mano la figlia che scalpitava in attesa di rivedere William. Sarebbe stata una strana serata.

Sherlock Holmes, ignaro del subbuglio che aveva provocato nel cuore di John Watson, dall’altra parte della città riceveva l’inaspettata visita del fratello maggiore. Aveva calcolato che aveva poco tempo per prepararsi ad uscire e recarsi alla recita di Rosie e la distrazione dovuta dall’ingombrante presenza di Mycroft non era contemplata nel suo programma.

« Allora fratellino, com’è stata l’esperienza da baby - sitter? La pargola è ancora viva? » chiese il fratello, facendosi spazio tra le carte che ricoprivano l’intero pavimento del salotto « Sai, dovresti trovare una governante per mettere a posto » aggiunse, leggermente schifato dallo stato dell’appartamento e appuntandosi mentalmente di avvisare la sua segretaria di fare una raid di pulizie  non appena il fratello fosse uscito per un caso.

« Tutto bene, Mycroft. Ora se non ti dispiace, avrei da fare »

« Cos’era quell’espressione? » chiese il fratello, rivolgendo a Sherlock uno sguardo quasi di compatimento.

« Quale? »

« Quel leggero dispiacere che ha attraversato la tua faccia »

Sherlock accusò il colpo, odiando il fatto di avere un fratello così intuitivo  « Niente »

« M stai dicendo, fratellino, che l’esperienza in casa Watson ha avuto qualche strascico? »

Un leggero fastidio nell’essere scoperto da suo fratello, dall’ essere così esposto, percorse Sherlock. Si affrettò a raccogliere le carte sparse per terra, evitando l’espressione di biasimo di Mycroft, dell’uomo che gli aveva sempre detto che i sentimenti non erano importanti. Eppure, quello che sentiva per John e per Rosie era estremamente importante.

« Il serial killer sta per andare alla recita scolastica dove si trovano anche i Watson. Non era dispiacere, era preoccupazione » rispose Sherlock, cercando di spostare l’attenzione del fratello verso il caso, inutilmente.

« Quindi adesso ti preoccupi per qualcuno. Interessante » constatò, rilevando lui stesso una leggera preoccupazione per i ritrovati sentimenti del fratello « Credevo avessi sempre detto che preoccuparti per delle potenziali vittime non  arrecava alcun vantaggio. Con chi sto parlando? Con il consulente investigativo Sherlock o con il baby - sitter William? »

“Con nessuno dei due, a questo punto” pensò Sherlock, prima di congedare il fratello con poca grazia, sbattendolo fuori dalla porta.

**** * ****

La scuola era stata decorata come ci si aspetterebbe da ogni scuola privata per giovani rampolli della Londra bene: elegante e curata, quasi da esposizione su un giornale più che l’ambiente accogliente per famiglie, o almeno questo era il giudizio di Sherlock, dopo aver avuto modo di entrare nella scuola per controllare il posto. Non era stato difficile, dopotutto lo conoscevano come baby - sitter di una degli studenti e, infatti, era anche stato invitato.

Il salone centrale della scuola era stato convertito in teatro, con tanto di palco, dietro le quinte con costumi di scena e infine una serie di poltrone messe per il pubblico.

Non ricordava con grande affetto le recite scolastiche di quando era bambino, spesso si era trovato relegato in ruoli minori solo perché le maestre ritenevano che parlasse poco e fosse un azzardo affidargli una parte da protagonista.

Fece un breve giro di ricognizione per la sala per poi sparire dietro le quinte, in attesa dell’arrivo dei genitori. Aveva scelto un ottimo angolo di osservazione e man mano che le persone entravano dall’ingresso principale, poteva distintamente cogliere ogni dettaglio, ogni sfumatura dei partecipanti alla recita. Stava cercando un padre separato, probabilmente non vedeva mai i figli se non nelle occasioni importanti come queste. Lo avrebbe riconosciuto subito perché sarebbe stato come un pesce fuor d’acqua nel contesto della scuola privata; non doveva essere ricco, probabilmente lo era la ex moglie o il nuovo compagno della moglie. Non si sarebbero seduti vicino, per cui doveva cercare tra chi non era in coppia.

« Will… Sherlock? »

Una voce conosciuta, che stava attendendo e contemporaneamente evitando, richiamò la sua attenzione: dovevano essere passati dall’entrata sul reto. Si voltò ben consapevole che avrebbe trovato gli occhi blu di John a fissarlo, quello che non aveva previsto furono le piccole braccia di Rosie attorno alla sua vita. Sherlock la fissò stranito, non abituato a ricevere abbracci, soprattutto a “tradimento” e biascicò un poco convinto “ciao”, non sapendo esattamente cosa dire.

« Sei venuto alla mia recita, lo sapevo che saresti venuto » gridò la bambina.

John si avvicinò, perché sentiva che il detective non era lì soltanto per loro, aveva un atteggiamento strano che aveva già notato nella loro indagine alla Casa Editrice, quello di un segugio a caccia.

« Rosie, vai a prepararti, devi entrare in scena tra i primi »

La bambina sorrise a entrambi e poi sparì tra i costumi appesi, con i codini biondi che oscillavano ai suoi saltelli.

« Sai, non ha esattamente l’aspetto di un’orfana di Dickens » commentò Sherlock, cercando di alleggerire la tensione con una pessima battuta.

« Cosa ci fai qui? Non dirmi per la recita, si vede che non è per quello »

« Anche, è uno di quei momenti in cui prendi due piccioni con una fava, John »

Watson strinse le braccia al petto con l’espressione di qualcuno che stava trattenendo la rabbia, ma al contempo un barlume di curiosità si stava impossessando di lui, travolgendolo come ogni cosa che riguardava Sherlock Holmes.

« Spiegati »

« C’è un serial killer tra i genitori e posso trovarlo soltanto qui, sta sera »

« Aspetta, cosa? »

« Tranquillo, non c’è pericolo. Non è qui per compiere un omicidio ma come spettatore, oltretutto usa un metodo particolare, hai letto dei presunti suicidi sul giornale? Stiamo per arrestare il colpevole »

John lo sguardò esterrefatto, prima di affacciarsi verso la platea dove ignari genitori stavano prendendo posto accanto a un serial killer.

« Ma la polizia? » chiese John.

« Ho detto agli agenti di arrivare alla fine della recita, sono talmente imbranati che il killer li noterebbe subito e se ne andrebbe, non possiamo perdere questa occasione ed è decisamente più rischioso l’incursione di Scotland Yard a pistole spianate, non so quale potrebbe essere la reazione dell’uomo. Ho intenzione di seguirlo all’uscita e consegnarlo agli agenti »

John stava lottando tra la voglia di prenderlo a pugni per il rischio a cui stava sottoponendo la figlia e i bambini e l’istinto di telefonare alla signora Hudson affinché prendesse la vecchia pistola di famiglia dalla cassaforte e corresse a portargliela.

« Eccolo » mormorò soltanto il detective, fissando un anonimo signore che aveva preso posto verso le ultime file «Sai chi sia? »

« A dir la verità, no. Ma conosco pochi genitori »

Sherlock non si mosse, puntando lo sguardo dritto verso l’uomo « Non osservarlo »

« Tu lo stai facendo »

« Non possiamo fissarlo in due »

« Quindi lo terremo d’occhio da qui? » chiese John tossicchiando in leggero imbarazzo, l’angolo che avevano scelto per osservarlo da dietro il palco era piuttosto stretto ed intimo.

« No, tu resta qui, io mi sposto verso il fondo » rispose Sherlock, approfittando dell’abbassarsi delle luci. John rimase nella sua postazione, respirando in maniera un po’ più rumorosa del normale.
La recita iniziò e John sperò che fosse più breve delle due ore previste, non poteva pensare di stare tutto quel tempo in attesa di catturare un serial killer. Osservò Sherlock dirigersi verso il fondo della sala e appoggiarsi al muro e per un attimo i loro occhi si incontrarono, in un muto assenso su quanto stava accadendo.

Le prime note di una musica tipicamente natalizia annunciarono l’ingresso del coro e quindi l’entrata in scena di Rosie. John automaticamente sorrise, anche se in maniera leggermente preoccupata, voltandosi verso il palco per vedere la sua piccola vestita alla Oliver Twist. Aveva ragione Sherlock, non sembrava esattamente una povera orfana. Si voltò nuovamente verso di lui, con l’intenzione di sorridergli in maniera complice ma Sherlock non era più in fondo alla sala. Lo cercò dappertutto lungo le pareti e poi tra i posti a sedere ma non riusciva a vederlo e poi notò il posto vuoto: il serial killer era sparito.

Con il cuore in gola abbandonò la sua posizione e in maniera meno silenziosa di Sherlock raggiunse il fondo della sala. Si avvicinò al posto vuoto e iniziò a chiedere agli altri genitori dove fosse finito l’uomo che occupava quel sedile. L’unica risposta che ricevette era che era stato visto uscire dall’ingresso principale.

John si fiondò fuori dalla sala allestita a teatro e l’unica cosa che vide in quella serata semi deserta fu  la sciarpa del detective a terra e un taxi che sfrecciava per la via principale. Non sapeva chi fosse né dove sarebbe andato, non aveva indizi ed era certo che Sherlock fosse uscito per seguirlo e avesse avuto la peggio.

Telefonò subito alla polizia riuscendo a farsi passare l’ispettore Lestrade che a quanto gli era stato detto da una sergente piuttosto antipatica, era l’unico che ascoltava Sherlock nei suoi deliri.

L’ispettore gli comunicò che avrebbe subito mandato gli agenti a cercarlo, ma di non preoccuparsi perché Sherlock sapeva sempre cavarsela. In quella situazione John non ne era così sicuro.

Provò più volte a telefonargli ma il cellulare squillava a vuoto, finché non fece un ultimo tentativo disperato: provò ad usare l’applicazione “trova il mio iphone” per vedere se fosse possibile rintraccialo così.

« Quale password avrai usato? » fece John sbuffando « 221B? »

Password errata - due tentativi rimasti

« Il tuo anno di nascita? »

Password errata - un tentativo rimasto

« Potrebbe essere qualunque numero!  » gridò, spaventando un passante che aveva avuto l’ardire di camminare sul marciapiede vicino  a lui.

« 5466 » digitò quasi a caso la sua vecchia password, quella che usava prima che nascesse Rosie e che sulla tastiera alfanumerica corrispondeva semplicemente a John; sorprendentemente si aprì la piantina di Londra. Un punto lampeggiava  sulla piantina segnalando la presenza del proprietario del cellulare in Baker Street, erano andati nel suo appartamento.

Fermò il primo taxi e pagò un extra perché infrangesse ogni limite di velocità consentito per raggiungere Baker Street.

Quando arrivò sotto l’appartamento notò subito la luce accesa al primo piano e la porta d’ingresso lasciata aperta. Entrò, ricordando che aveva a che fare con un serial killer, per cui agguantò un bastone che trovò nel portaombrelli all’ingresso e cercò di salire le scale di legno evitando di farle scricchiolare, impresa che si rivelò impossibile.

Si fermò silenziosamente a metà rampa, sperando che il killer avrebbe scambiato lo scricchiolio per normali rumori presenti nelle vecchie case. Rimase immobile per pochi secondi ma gli sembrarono un’eternità, non avendo idea di cosa stesse succedendo al piano di sopra. Riprese a salire i scalini a due a due finché non si trovò nel pianerottolo appena fuori dall’appartamento dove la luce filtrava da sotto la porta. Decise per un’entrata ad effetto che non desse tempo all’uomo di reagire, per cui aprì la porta con un calcio tenendo saldo il bastone con due mani. Trovò davanti a sé Sherlock semi incosciente a terra e l’uomo con in mano due boccette. Non perse tempo a fare domande per cui calò il bastone sulla testa in modo da tramortirlo e corse a soccorrere il detective.

« John? » biascicò il detective.

« Cosa diamine è successo? » fece, aiutandolo ad alzarsi, preoccupato dello stato in cui era il consulente investigativo.

« Mi ha notato, è uscito, l’ho seguito,  mi ha drogato con una siringa e mi ha trascinato qui » rispose semplicemente mettendosi a sedere, mentre in lontananza risuonavano le sirene della polizia, avvertita da John appena rintracciato il cellulare.

« Meno male che non era venuto per commettere un omicidio » commentò sarcastico John, fissando il corpo svenuto del serial killer, così apparentemente innocuo.

« Evidentemente porta con sé sempre tutto l’occorrente, oppure si sarebbe dato al suo hobby dopo la recita » rispose il detective, sentendosi un po’ un idiota per essersi fatto spiazzare così.

« Anche Sherlock Holmes sbaglia, allora? » rispose John beffardo, stranamente a suo agio in una situazione che era tutta fuorché da padre di famiglia.

Sherlock rise, mentre la mano di John gli massaggiava la schiena, come per aiutarlo a riprendersi o forse per tranquillizzare se stesso. Una serata nella vita di Sherlock Holmes e John si sentiva più vivo che mai: non credeva sarebbe mai stato in grado di far parte di un’avventura, invece eccolo lì sulla scena di un crimine.

Lestrade entrò perplesso nell’appartamento, guardando prima l’uomo a terra e poi il detective e l’altro uomo, che immaginò fosse il John che lo aveva contattato.

Dopo una velocissima deposizione, Sherlock e John promisero a Lestrade che il giorno dopo sarebbero venuti alla centrale per completare la loro dichiarazione e corsero nuovamente a scuola sperando di riuscire almeno a vedere il finale della recita di Rosie.

Arrivarono al momento degli applausi e John fu ben felice di correre ad abbracciare sua figlia quando scese dal palco assieme agli altri compagni di scuola.

Sherlock osservò la scena da distante, mentre gruppi di genitori si spostavano verso i loro pargoli. Guardando quelle scene di vita familiare, quel modo di vivere così diverso dal suo, fu certo che non avrebbe mai fatto parte della loro vita, non ne era in grado. Rivolse un ultimo sguardo e uscì nuovamente nella notte londinese.

   
 
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