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Autore: _C_A_S_W_I_N_G_S    07/08/2017    1 recensioni
In un 1996 non poi così lontano, Byun Baekhyun è un ragazzo di 21 anni. Senza regole, viziato e attaccato ai beni materiali.
Figlio di uno degli uomini più potenti della Corea del sud, abituato a credere che ogni cosa gli sia dovuta, si troverà ben presto a contatto con una realtà ben diversa da quella a cui credeva di appartenere.
Capirà ben presto cosa significa godersi la vita fino all'ultimo secondo, ritrovandosi per i 14 giorni più belli della sua vita in una realtà non poi così tanto piacevole, godendosi non più solo le sue di giornate, ma anche quelle di Park Chanyeol, cuore a cuore.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Probabilmente è nell’autunno del 1996 che tutto cambiò. In fondo nessuno si sarebbe aspettato che il ragazzo più ricco della città sarebbe finito a fare opere di carità in un ospedale. E sinceramente neanche io me lo sarei aspettato. Maledetto me e la mia linguaccia.

Quando vieni da una famiglia di tutto rispetto -o meglio, che ha in pugno l’intera città- la gente si aspetta che tu sia la persona migliore del mondo. Si aspettano che tu sia educato, sensibile, magari anche da uno come Byun Baekhyun. Ma diciamocela tutta. Non sono mai stato quel genere di persona.

 

Ma fu quando durante l’ora di chimica feci saltare in aria il laboratorio, che tutto ebbe inizio. Quando quell’idiota che era seduto accanto a me si è messo in mezzo. Non è stata colpa mia se poi nel tentativo di prenderlo a pugni ho rovesciato tutte le provette. E non è stata solo colpa mia se poi il laboratorio è saltato in aria. Forse.

Ma tralasciando questo, fui convocato nell’ufficio del direttore,che colse l’occasione per convocare mio padre, continuando a ripetere insistentemente quanto fossi indisciplinato e quanto il mio comportamento fosse indecoroso per il nome che portavo. E tra un’alzata di occhi al cielo e l’altra mio padre continuava a tirarmi calci da sotto la scrivania quasi a dire che a casa me la sarei vista brutta. Ma credo che la goccia che fece traboccare il vaso fu quando quell’idiota del tizio che avevo accanto nel laboratorio entrò nell’ufficio. Mi alzai in piedi urlandogli contro che l’avrei ammazzato, e fu così che mi beccai la sospensione. Ma non bastò quella, ovviamente. Il direttore sosteneva che mi ci voleva un po’ di educazione, e soprattutto un po’ di tatto. Così non perse l’occasione di infilarmi in un gruppo di sostegno, per il contenimento della rabbia. Così dopo un paio di incontri fui cacciato anche da lì per aver minacciato di bruciare l’auto di un tizio perché mi guardava troppo. Mi dovetti sorbire ore di ramanzine da parte di mio padre.

E se avessi in quel momento saputo ciò che mi aspettava probabilmente mi sarei buttato giù da un ponte.

Quel giorno si rifiutò anche di dirmi dove mi stava trascinando, e anche alle domande più stupide restava in silenzio e continuava a guardare la strada.

-È un bel posto?- nessuna risposta.

-Ci sono belle ragazze?- nessuna risposta.

-Hanno erba?- a quel punto frenò improvvisamente, ed arrivai di faccia contro il cruscotto.

Si prospettava una lunga invernata.

 

 

Diciamo che come inizio non era il massimo. Appena arrivati davanti all’ingresso dell’ospedale guardai prima mio padre e poi l’ingesso più volte, in modo sempre più sconcertato.

-Che cazzo ci facciamo qui?-

Mi afferrò per la manica del cappotto e mi trascinò lungo le scale dell’ospedale digrignando i denti.-Devi imparare prima un po’ di educazione figlio mio. E questo.- si bloccò e mi afferrò per il colletto, strattonandomi.-Questo è il posto giusto. Così imparerai cosa significa, il rispetto-

E per la prima volta dopo venti anni, ebbi paura di mio padre. Finii per essere trascinato alla reception, mentre tutti mi fissavano incuriositi. Ricevendo di tanto in tanto qualche medio o segno di minaccia.-Ho un appuntamento con il dottor Joon.-

Lanciai qualche frecciatina all’infermiera dietro la reception che mi liquidò assottigliando lo sguardo in modo minaccioso, facendo voltare mio padre verso di me per tirarmi una pacca dietro il collo.-Secondo piano, corridoio a destra, in fondo.-

 

E fu così che mi ritrovai in questo postaccio, per non calcolare l’espressione malvagia stampata sul volto di Joon nel momento in cui misi piede nel suo studio. Ci fece accomodare ed unì le mani sorridendo, guardando prima mio padre e poi me. Strinse la mano a mio padre e poi si gettò di peso sulla sedia girevole dietro la scrivania.-Signor Byun, che piacere rivederla. E questo deve essere Baekhyun. Suo padre mi ha parlato molto di lei e del suo caratterino. Credo che questa sarà una bella esperienza, oltre che una bella sfida per noi. Il programma di volontariato avrà inizio da oggi, e durerà due settimane. Non si preoccupi signor Byun. Lo rimetteremo in riga, come si deve.-

E fu così che ebbe inizio il mio incubo.

Si respirava un’aria pesante, malinconica, il colore cupo delle pareti era abbastanza opprimente, quasi inquietante. Era un continuo via vai di gente, chi più correva, chi chiedeva informazioni, chi veniva a far visita, e poi c’erano gli infermieri.

Sempre lo stesso giorno una giovane infermiera mi fece da guida per tutto l’ospedale, illustrandomi i vari reparti e spiegandomi nella maniera più gentile il lavoro di merda che mi toccava, giusto per non farmelo pesare.

-Cosa hai combinato per esser finito qui?- strinse a sé la cartelletta e si voltò verso di me, mentre ci dirigevamo verso la mensa.

-Non ho voglia di parlarne. Che passino in fretta questi giorni.-

Strinse le labbra.-Lo sai con cosa dovrai iniziare?- feci segno di no con il capo ed infilai le mani nelle tasche del cappotto.

-Oggi ti occuperai di dispensare, quindi ti conviene stamparti un sorriso in faccia bello mio.-

Aprì uno scatolone che stava per terra e tirò fuori dalla confezione in celofan una divisa.-No io quella roba non la metto. Scordatelo.- mi guardò minacciosa e mi sbattè al petto la divisa.-Cambiati. ORA.-

Neanche due secondi dopo ero già pronto. Non potevo permettermi di sgarrare già il primo giorno.

-Bravo ragazzo. Ora.- spinse più vicino a me un carrello gigantesco, su cui erano accatastati vari vassoi.-Ti occuperai dell’ala destra. Sii gentile.- roteai gli occhi al cielo ed afferrai il carrello.-E SORRIDI-

Cercai di stamparmi un sorriso in volto almeno nel reparto infantile. Quella tizia mi spaventava a morte, e ci avevo parlato per neanche 30 minuti. Di certo non mi aspettavo che il reparto fosse così pieno. Mi si sciolse il cuore a pensare che ragazzini dell’età di mio fratello o più piccoli passassero le loro giornate in quel postaccio. Passai una buona mezzoretta a sentir ripetere in ogni stanza che bravo ragazzo che fossi, quanto fossero fortunati i miei genitori ad avermi, a quanto fossi diverso dagli altri ragazzi, che neanche pagati avrebbero fatto una cosa simile. Ma tralasciamo questo punto. Fu quando entrai nella stanza 221, che probabilmente tutto cambiò.

Sempre quel maledetto 1996. Non avevo certamente idea di cosa mi aspettava, ma per come sono io, sono sicuro che se anche l’avessi saputo non sarebbe cambiato nulla. Anzi, probabilmente mi sarei levato la divisa di dosso. Ma quella era l’ultima stanza rimasta, lì davanti si respirava un’aria diversa.

Non il tipico odore di disinfettante che ti punge i sensi, non il tipico odore di ospedale. Era un profumo fresco, sembrava quasi di non trovarsi in un reparto d’ospedale. La 221 si trovava in fondo ad un corridoio quasi introvabile, era vicina ad un’uscita di emergenza, proprio di fronte alla scrivania di una giovane infermiera, che in quel momento era china su un cruciverba. Mentre stavo per bussare alla porta della 221, l’infermiera alzò il capo e parlò.-Sei in ritardo- Mi voltai appena e lei inarcò le sopracciglia.

-Sei nuovo uh? Io sono Jessica- alzò la mano fece un piccolo sorrisetto. Feci una strana espressione e mi rivoltai, pronto a bussare.-Non sei molto socievole eh?-

Feci finta di non ascoltare e bussai. Una voce dall’altra parte della porta mi invitò ad entrare, ma mentre abbassavo la maniglia l’infermiera mi interruppe ancora.-Cerca di essere gentile con lui. È un ragazzo un po’.. particolare-

Per un attimo pensai che peggio della vecchietta che mi aveva dato una palpatina, avendomi scambiato per suo marito da giovane, non ci potesse essere niente. Ma in effetti non ho mai ben capito a cosa si riferisse.

Se c’è una cosa che mi colpì, e che prima non avevo notato, era che a differenza delle altre camere, quella aveva una bacheca  affissa alla porta.-Chanyeol- lessi ad alta voce e presi un respiro profondo prima di aprire la porta. Quella stanza aveva qualcosa di diverso. Anzi, a vederla non sembrava per niente una stanza d’ospedale. C’era una lenta melodia in sottofondo, che con il profumo di fiori creava una strana ma piacevole armonia. Un brivido mi percorse la schiena e mi guardai attorno per cercare una superficie su cui lasciare il vassoio.-Lascialo pure qui-

Da un angolo della stanza venne una voce acuta, mi voltai per cercare quel ragazzo e vidi una persona china sul tavolo, intenta a disegnare. Ogni tanto si portava la matita tra i denti e ne mordicchiava la parte superiore, poi quando vide che non mi avvicinavo alzò lo sguardo ed inarcò le sopracciglia.

-Beh?- mi risvegliai da uno stato di trance e trascinai pesantemente i piedi verso di lui. Poggiai il vassoio sul tavolo a cui lui era poggiato e mi sporsi in avanti per guardare cosa disegnava, e istintivamente coprì il disegno incrociando le braccia sul foglio. Ridusse gli occhi a delle fessure e mi scrutò in modo minaccioso, quasi geloso di un pezzo di carta. Istintivamente alzai le braccia al cielo in segno di innocenza.

-Scusami.- feci un passo in dietro gli diedi le spalle, riafferrando il carrello in ferro ed assumendo un’espressione schifata.-Ma tu guarda..-

Mi incamminai verso la porta della camera, trascinando pesantemente i piedi, ormai stanco della giornata passata a girovagare per l’intero ospedale, trascinandomi dietro quel carrello così pesante. Non ero mai stato un tipo a cui piaceva lavorare. Per niente. Ero senza dubbio viziato, e tutte le stronzate che continuavano a ripetermi, ma non avevo di certo bisogno di lavorare per condurre una vita agiata.

A quelle parole, il rumore della matita contro il tavolo tintinnò per la stanza, seguito da uno sbuffo.

-Guarda che ti sento. Stronzo.-

 

 

Byun Baekhyun si era dovuto trattenere dal picchiare quel tizio. Byun Baekhyun non se ne teneva nemmeno una. Byun Baekhyun a quei tempi era davvero una testa di cazzo. Eppure tante cose cambiarono dopo quell’autunno. E Byun Baekhyun era proprio una di quelle.

Ricordo che quando mi tolsi la divisa di dosso fu come se avessi abbandonato un fardello. Il petto mi si fece improvvisamente più leggero e sembrava che quell’incubo fosse finalmente finito. Quando in realtà era appena cominciato. Perché davvero, non avevo idea di cosa mi sarebbe toccato fare il giorno seguente. L’unica cosa certa era che non mi sarebbe piaciuto, ancora una volta.

Dopo il termine dell’orario di visite l’ospedale si era fatto incredibilmente quieto, c’erano in giro solo le infermiere che ridacchiavano con il capo reparto, ancora qualche paziente che girovagava tranquillamente per i corridoi, le ultime persone che prendevano l’ascensore per andar via.

Non c’era più quel via vai mattutino, quella continua corsa di chiunque, che inspiegabilmente trascinava tutti con sé, come se anche tu sentissi il bisogno di correre, senza sapere neanche dove stessi andando, per chissà quale motivo.

Non era neanche minimamente vicino all’idea di ospedale che avevo sempre avuto, e neanche se avessero provato a raccontarmelo ci avrei mai creduto.

Mentre sistemavo la divisa sull’appendiabiti dello stanzino ricevetti una chiamata da mio padre.

-Sono fuori ad aspettarti, sbrigati-

Avevo già paura di quello che mi aspettava. Fu come se mi si fosse stampata l’immagine di mio padre nella sua Mustang, rivolto verso l’ingresso dell’ospedale, e che mi guardava come se volesse uccidermi.

Non che probabilmente non lo volesse, gli avevo sempre causato problemi, e probabilmente avrei continuato per un bel po’. Forse era questo che non gli andava a genio. La cosa che più gli pesava, e mi pesava in particolar modo, era l’abissale differenza che c’era tra me e mio fratello.

Tutto il mio contrario.

O probabilmente ero io la pecora nera della famiglia, ma non so neanche perché ora io sia qui a dare spiegazioni.

Perché diciamocela tutta.

Ero partito col raccontare il perché io sia cambiato così tanto in così poco tempo.

E non la storia della vita di mio fratello.

La storia della mia vita, e del perché questa sia finita
   
 
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