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Autore: floflo    23/08/2017    2 recensioni
"Cosa sto facendo qui, in questo inverno senza fine?"
Post Omega
HyogaxShun
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa storia partecipa al contest "The het e slash dream contest" indetto da s.Elric e Setsy sul forum di efp.

Nome forumefp: coriolinafloflo
Lista: slash
Fandom: Saint Seya
Coppia: Hyoga x Shun
Pacchetto: Stanlio e Olio- I Miss you (Blink 182)
Contesto: Post serie Omega
N.d.A.: I nostri bronzini sono diventati grandi come ben sappiamo, Shun lavora come medico in un villaggio non ben specificato del Medio Oriente e Hyoga se ne sta come un orso solitario rintanato nel suo antro tra le montagne a fare non si sa bene cosa... L'autrice immagina che i suoi due bronzini preferiti non si siano mai persi di vista e che, in realtà, si amino più o meno di nascosto...
Le frasi in corsivo si riferiscono al testo della canzone I Miss You dei Blink 182.

 

Cadrà La Neve Nel Deserto

 
Che cosa sto facendo qui, in questo inverno senza fine?
F. Kafka


Eccomi qua, davanti a quest’edicola ormai da dieci minuti, mentre fingo interesse per i quotidiani scritti in tutte le lingue del mondo stesi in file ordinate; guardo le infinte sfumature della carta stampata, i titoli scritti a caratteri diversi, mentre la commessa non mi toglie gli occhi dosso: forse comincia a spazientirsi a causa della la mia indecisione.
Faccio sempre il check-in con larghissimo anticipo e poi mi aggiro per lungo i vari settori dell’aeroporto, contando i miei stessi passi, come un’anima in pena.
Afferro il Times e lo porgo veloce alla ragazza in cassa assieme al denaro, poi infilo il giornale nella tasca del giaccone di pelo stropicciando le pagine intonse.
Non leggerò mai quel quotidiano, lo so.
In realtà, cerco solo qualcosa che mi distragga da questa attesa che mi logora come un'agonia.
Mi manchi.
Ora guardo il monitor delle partenze: il mio volo per Dubai è già comparso, per ora sembra non ci siano ritardi, nonostante Mosca sia sotto una forte nevicata.
Forse dovrei avvicinarmi al gate, anche se mancano più di due ore alla partenza…
Assieme ai documenti personali custodisco la cosa, per me, più preziosa: un foglietto di carta ingiallita con l’intestazione di un hotel di Atene che sembra emanare calore e vivere una vita propria nella mia tasca, come fosse impregnato del tuo Cosmo.
Ricordo ancora il giorno in cui le tue mani affusolate e candide hanno vergato leggere con la tua grafia elegante quelle righe.
Eri seduto davanti alla finestra del nostro albergo nella luce accecante di un pomeriggio d’estate, sorridevi.
“Possiamo vivere come Jack e Sally se lo vogliamo, dove tu mi puoi sempre trovare”. Avevi detto.
Non l'ho mai preso come un invito esplicito, forse avrei dovuto.
Non mi hai mai chiesto di raggiungerti nel luogo dove adesso vivi e lavori, come io, del resto, non ti ho mai chiesto di venirmi a trovare dove abito.
Beh, io non avrei molto da offrirti a parte il buio e il freddo delle rocce del mio antro, sono come un orso solitario e orgoglioso che non ha bisogno di niente e di nessuno, mentre tu sei sempre così pieno di impegni, di preoccupazioni.
Parli sempre molto seriamente del tuo lavoro, della tua “missione”, dei bambini di quel villaggio sperduto di cui ti occupi, e tuttavia si vede chiaramente che la consideri una cosa estremamente importante e, soprattutto, che sei felice.
Su quel piccolo foglio un indirizzo scritto in inglese e in arabo.
Quei segni misteriosi che compongono una lingua che non conosco ora mi incutono uno strano timore; col senno di poi avrei fatto meglio a documentarmi maggiormente, studiare l’arabo prima di intraprendere questo viaggio, anche se ormai è tardi per le recriminazioni e quel che è fatto è fatto.
Dove sei? Mi manchi così tanto, che non posso dormire e sognare la notte. Io ho bisogno di te sempre.
Ancora non sai che sto partendo per raggiungerti, per ritrovarti e per non lasciarti andare mai più...
Vorrei fosse una sorpresa, un’inattesa e gradita sorpresa.
Come una nevicata nel desero.
Si tratta di un evento rarissimo e misterioso, ma alle volte capita, me lo hai raccontato tu stesso.
Ti troverò Shun, a costo di attraversare il deserto a piedi!
Da quando abbiamo smesso i panni dei Guerrieri di Athena e abbiamo deciso di vivere come dei comuni mortali, se così si può dire, i nostri incontri periodici sono diventati l’unica cosa che mi permette di frequentare ancora, saltuariamente, il genere umano.
Li ho sempre attesi con impazienza, contando i giorni, le ore, i minuti che mi separano da te.
Per me non è mai stato un grosso sacrificio, ma per te immagino che lo sia…
E mi sembra ogni di volta di rubare qualcosa a qualcuno.
Io lascio la solitudine delle mie montagne e tu il caldo e la polvere del deserto per saltare su un aereo e mettere lasciare tutto in stand-by per poche ore di felicità.
Non voglio disturbarti, distrarti da un’attività che ti impegna tanto, non voglio rubare il prezioso tempo che dedichi ogni giorno ai tuoi pazienti, per questo, dopo ogni nostro incontro, ti lascio andare ogni volta senza lamentarmi, del resto hai studiato tanti anni per diventare medico ed è giusto che ora tu svolga il tuo lavoro con la massima tranquillità.
Non ho mai pensato di essere un amante possessivo e non sono mai stato geloso delle persone che ti prodighi per aiutare, ma ogni volta che ti vedo ripartire un pezzetto del mio cuore parte assieme a te.
Ci incontriamo più o meno a metà strada, in quella Grecia che ci è sempre stata tanto cara, sempre nello stesso hotel, che abbiamo soprannominato affettuosamente “nostro”, a pochi passi dall’aeroporto di Atene.
Io arrivo sempre con grandissimo anticipo, a volte di giorni, dopotutto io di tempo ne ho da vendere, e poi non voglio rischiare di perdere un appuntamento a causa di assurde complicazioni, dell’ineluttabile banalità dei contrattempi quotidiani: una coincidenza mancata, una tempesta di sabbia, una tormenta di neve…
Tu, invece, arrivi sempre all’ultimo, quasi trafelato, trascinandoti dietro il tuo trolley e le mille preoccupazioni che ti hanno seguito fin lì: “Come starà il ragazzino che ho operato ieri?” “E i farmaci che ho ordinato sarebbero stati consegnati per tempo?”.
Mi piace osservarti di nascosto nella hall dell’hotel, mentre ti registri alla reception, mentre ti consegnano le chiavi della stanza e ti appresti a salire in camera per rinfrescarti e prepararti per la serata.
Il nostro è un copione ormai rodato e studiato con cura nei minimi dettagli.
Mi avresti atteso nella sala dalla grande vetrata da domina la vista sulle luci della città, saresti stato seduto su una poltroncina di pelle chiara, con un calice di ottimo vino tra le mani, avresti indossato un completo impeccabile mostrandoti in tutto il tuo splendore. Io sarei arrivato alle tue spalle come un’ombra silenziosa, un fiocco di neve leggero e quasi impalpabile ti avrebbe sfiorato la guancia come un bacio, ma tu non ti saresti girato fino a che io non ti avessi appoggiato una mano sulla spalla: solo allora i tuoi occhi avrebbero incontrato i miei, avresti sorriso e poi avresti esclamato "Hey, ciao!”.
Eccolo lì l’angelo dal mio uno incubo.
Avresti versato un calice di vino anche per me e insieme avremo brindato. Poi avremo cenato e chiacchierato amabilmente tutta la sera, prima di ritirarci.
Chissà che cosa pensano di noi gli addetti dell’albergo…
Che siamo due vecchi amici che si incontravano… Il tuo passaporto non mente: di te sanno che tu sei un medico e che lavori per una ONG in Medio Oriente, tanto che talvolta al bar dell’albergo i camerieri ti chiamano “Dottore” con riverenza, ma tu ti schermisci con imbarazzo ogni volta e li preghi di chiamarti solamente per nome.
Di me chissà che idea si sono fatti: sicuramente che non sono un medico, forse pensano che io sia una spia del governo russo, o un ranger dei ghiacci, un allevatore di renne, o tutt’al più un istruttore di snowboard.
Cosa veniamo a fare ad Atene ogni due mesi per un fine settimana per loro rimane comunque un mistero.
O forse no, a volte sono i nostri oggetti a parlare per noi.
Chissà cosa pensano le cameriere quando vengono a rassettare le nostre stanze.
Già, perché ci ostiniamo a prendere camere separate.
Non ricordo di chi fu l’idea iniziale, so solamente che poi è diventata una consuetudine, anche se ogni notte la trascorriamo insieme amandoci in tutti i modi e in tutti i luoghi.
Quei letti sfatti e quelle lenzuola tormentate raccontano di noi, di momenti di pienezza assoluti, di passione, di complicità, di tenerezza e, soprattutto, di felicità.
Quei guanciali che sanno di baci, di sudore, di fremiti e sussurri parlavano di Amore.
Quelle pareti di promesse, sospiri, agonìe e resurrezioni, di te, di noi che chiudiamo gli occhi e rovesciamo la testa all’indietro per prenderci la giusta dose di Vita, augurandoci nella notte che tutto questo non finisca mai.
Come fare a meno delle tue labbra sulle mie, dei tuoi baci, della mia lingua sulla tua belle, delle nostre dita che insinuano sotto i vestiti alla ricerca del piacere, che stringono la carne che pulsa di vita e smania di godimento?
Come fare finta che tutto questo non sia mai esistito per altri interminabili sessanta giorni?
Ogni volta che torno a rifugiarmi nel profondo nord tra la neve e i ghiacci che mi appartengono mi ritrovo a domandarmi " Cosa ci faccio qui, in questo inverno senza fine?"
Qualche volta te lo domandi anche tu, osservando la luna e le stelle dal tuo villaggio nel deserto e allora un fiocco di neve cade dal cielo, come una lacrima.
Quando ti avrò raggiunto e ti avrò trovato, nel deserto cadrà la neve e ricoprirà tuttto.
Ma non sarà freddo, perchè l'amore e la felciità non sono freddo, sono calore.
La neve feconderà la terra, il deserto non sarà più solo polvere e desolazione, nel deserto cresceranno i fiori.



 
   
 
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