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Autore: Itsamess    30/08/2017    2 recensioni
Freaky Friday AU

Bellamy non l'avrebbe mai ammesso - perchè si trovavano su un fottuto pianeta che cercava di ucciderli un giorno sí e l'altro pure e pensare a queste cose era una perdita di tempo - ma il corpo di Clarke gli piaceva.
Solo che gli piaceva da guardare, non da abitare.

Prima classificata al contest "Mettersi nei panni altrui" indetto da miss redlights sul forum
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bellamy's body


Era una notte limpida e silenziosa e il cielo era trapunto di stelle.

Se Clarke avesse passato meno tempo a scarabocchiare sui quaderni e un po' di più a seguire la lezione di Scienze Terrestri, si sarebbe ricordata che gli umani avevano dedicato quella notte a San Lorenzo e che erano soliti trascorrerla cercando stelle cadenti ed esprimendo desideri. Forse allora avrebbe ingenuamente chiesto che suo padre o Wells fossero ancora vivi; forse avrebbe desiderato che il vuoto che aveva scavato nel petto a forma di Finn Collins si rimarginasse; forse avrebbe sperato che i Terrestri accettassero la pace – perché c'erano più preghiere nel suo cuore che stelle sopra di lei – ma era troppo occupata a controllare che fosse tutto a posto nell'accampamento per alzare lo sguardo al cielo. 

Era stata una settimana impegnativa.
Finalmente avevano finito di costruire la barricata a difesa del campo, assemblando paletti di legno e rottami della navicella, fortunamente non c'era stato nessun attacco e la battuta di caccia guidata da Roma e Bellamy era andata bene (sempre che uno non fosse schizzinoso davanti all'idea di mangiare cerbiatti geneticamente modificati).

L'idea di riuscire veramente a sopravvivere sulla Terra non sembrava più così irrealizzabile ora che avevano fatto fronte comune, stabilendo turni di guardia e squadre assegnate ai vari compiti, dalla preparazione del cibo alla fabbricazione di munizioni. Inoltre, da quando aveva trovato nel rifugio una vecchia agenda 2056-2057, Clarke aveva preso l'abitudine di segnare la presenza di ciascuno, per verificare che dopo il tramonto si trovassero tutti e ottantasette nell'accampamento. 
(Bellamy aveva commentato la sua idea dell'appello serale con l'espressione "maniaca del controllo", ma a lei continuava a sembrare una buona idea.)

Monroe.

Miller.

La ragazza dai capelli biondi che ci provava senza successo con Miller.

Monty.


Li contò sulla punta delle dita, per poi riaprire la pagina e segnarci altre quattro lineette.
Ottantacinque. Ormai non mancava quasi più nessuno all'appello. Restava da controllare solo l'area del deposito munizioni, che era sorvegliata giorno e notte per proteggere la scorta di armi da incursioni terrestri o esplosioni accidentali.

Quella sera il turno di guardia toccava ad un annoiato Jasper (ottantasei), che stava cercando senza particolare successo di far roteare la pistola intorno al suo pollice. Era un sollievo vedere che era tornato quello di sempre, dopo l'incidente con i Terrestri. 

«Hey, hai visto Bellamy?» gli domandò Clarke.

Lui aggrottò la fronte. «In realtà no… È da un po' che non lo vedo in giro...» aggiunse, facendo fare un'altra capriola alla pistola «L' hai capita? In giro!» 


Clarke alzò gli occhi al cielo. 
«Ok, non importa… sarà qui intorno, credo.» 

Non c'era bisogno di preoccuparsi. Probabilmente Bellamy era semplicemente nella sua tenda in compagnia di una ragazza, o di un paio di ragazze – non che a lei importasse. Dopo quello che era successo con Finn, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di prendersi un'altra cotta, per di più per un ragazzo arrogante come Bellamy Blake. 

Augurò la buonanotte a Jasper e affrettò appena il passo. Non voleva che gli altri notassero il suo nervosismo, anche perché poteva non essere nulla e non c'era motivo di farli preoccupare. Dopotutto il campo era abbastanza grande, non era la prima volta che a Clarke sfuggiva qualcuno.

Intanto era arrivata alla tenda di Bellamy.  Si schiarì la voce in un tentativo di annunciare la propria presenza nel modo più cortese possibile, dato che bussare contro la tenda avrebbe avuto come possibile effetto collaterale quello di buttarla giù, ma entrare senza avvisare avrebbe potuto metterla in una situazione imbarazzante, dato che Bellamy si portava a letto una ragazza diversa ogni sera.
(era già successo che Clarke entrasse senza avvisare e se lei stava cercando di dimenticare quello che aveva visto, Bellamy le faceva battutine continue). 
Tossì di nuovo. Nessuna risposta.
Non poteva restare davanti a quella tenda per sempre, per cui prese un profondo respiro ed entrò, ma dentro non c'era nessuno. Bellamy non era neanche lì.

Un brutto presentimento le attanagliò lo stomaco. Ma dove si era cacciato? Aveva già fatto il giro dell'accampamento due volte, possibile che non lo avesse notato?

Se gli fosse successo qualcosa-
No, non valeva neanche la pena di finire quel pensiero. Bellamy stava bene, certo che stava bene.

Ma la tenda restava vuota e nel campo nessuno lo aveva visto. Il panico iniziò a serpeggiare dentro di lei. 
Non Bellamy
Senza Bellamy non ce l'avrebbero mai fatta. 

In quell'istante, da qualche parte nel bosco, risuonò un suono greve e lamentoso simile a quello di un animale morente.

Clarke ricordava fin troppo bene che cosa significava.
Il flash di un ragazzo dal viso corroso e contratto dal dolore le balenò davanti agli occhi, ma lei lo scacciò in fretta. 
No. Quello non era Bellamy. Bellamy era al sicuro.

Ma non poteva saperlo con certezza, dato che lui l'unico a non aver risposto al suo appello. Tutto quello che Clarke poteva fare era andare a cercarlo: organizzare una squadra di volontari che fossero disposti a correre il rischio di avventurarsi nel bosco in piena notte, assegnare a ciascuno una torcia e una pistola e una tenda di emergenza e-

E fu allora che lo vide. 
Aveva fra le braccia quella che sembrava una catasta di legna e si muoveva con l'andatura spavalda di sempre. Dapprima era solo una sagoma scura, ma via via si era fatta più grande e riconoscibile: Bellamy Blake (ottantasette, finalmente) che varcava i cancelli d'ingresso al campo con la solennità di un eroe che ritorna in patria con le spoglie del nemico vinto.
(In questo caso il nemico erano solo un mucchio di legnetti, ma Bellamy faceva apparire tutto più epico)

Clarke avanzò in fretta verso di lui, con le braccia che si muovevano rigide al ritmo dei suoi passi e le mani strette a pugno per la rabbia. Lo vide appoggiare per terra la legna e mormorare qualcosa ai due ragazzi di guardia alle porte, forse perché la portassero via - non riuscì a capire ogni parola, perché il cuore le martellava nelle orecchie tanto forte da coprire qualsiasi suono. 
Quando finalmente si ritrovò di fronte a Bellamy, senza riflettere si alzò in punta di piedi e gli tirò uno schiaffo.
«Cosa diavolo ti è venuto in mente?!» 

«Mmm, Brutte parole per una Principessa come te!» commentò lui con una smorfia ad incurvargli le labbra, sfiorando sorpreso la propria guancia dolorante. 

«Avevamo stabilito di non allontanarci dal campo da soli!»

«Rilassati, sono solo andato a raccogliere della legna per il fuoco. Stava per spegnersi.» replicò Bellamy in tono stanco, mentre si strofinava gli occhi con il dorso della mano. Non doveva aver dormito molto neanche quella notte, anche se ovviamente ogni accenno ai suoi incubi ricorrenti sarebbe stato ignorato.
Il ragazzo indicò con un cenno della testa il falò che avevano acceso in mezzo al campo e Clarke si voltò a dargli un'occhiata. 

In effetti il fuoco era basso - non sarebbe durato fino al mattino seguente senza dell'altra legna - ma la ragazza non aveva alcuna intenzione di ammetterlo. 
«È stata comunque un'idea incosciente! C'è un motivo per cui abbiamo costruito le barricate!» 
Distolse per un attimo lo sguardo da lui, perché l'immagine di Atom agonizzante che li implorava di ucciderlo era ancora troppo vivida nella sua memoria e le faceva tremare la voce. 
Prese un profondo respiro e guardando Bellamy negli occhi spiegò: «Ho sentito il corno dei Terrestri.»

«Sì, l'ho sentito anche io.» replicò lui.

Non c'era alcuna inflessione nella voce. 
Non sembrava spaventato, o sorpreso, o preoccupato, come se non gliene importasse niente.
(Come poteva non importargli?)
«E allora come hai potuto-»

«Non c'era un reale pericolo, Clarke!» la interruppe lui, esasperato «Sarà stato ad almeno quattro miglia da qui! E comunque in caso di nebbia acida sarei tornato indietro, o mi sarei riparato nel rifugio che avete trovato tu e il camminatore spaziale...» 
Fissò i suoi occhi scuri in quelli di Clarke e aggiunse in tono fermo: «So badare a me stesso. Non c'è bisogno che ti preoccupi per me, riesco a cavarmela benissimo anche senza il tuo aiuto.»

Il modo in cui lo aveva detto, perfettamente calmo e padrone di sé, non fece altro che innervosirla di più.
«Dimenticavo che sto parlando con il grande Bellamy Blake, il leader. Il Re.» 

«E questo cosa significa?» 

«Dimmelo tu!» esclamò Clarke, senza curarsi di aver alzato il tono di voce rischiando di svegliare mezzo accampamento «Te ne vai in giro come se niente fosse, con la tua pistola carica e la tua… aria da duro-» 

«Aria da duro?» le fece eco lui, inarcando un sopracciglio con aria divertita.

Clarke arrossì appena, ma continuò: «Dico solo che per un secondo potresti smetterla di pensare a te stesso e riflettere sulle conseguenze che le tue azioni hanno sugli altri. Chiederti che cosa potrebbero pensare a saperti fuori dal campo, di notte, da solo... » si strinse nelle spalle e aggiunse: «Provare a metterti nei loro panni.»

Sopra di loro, una stella cadente fece il suo breve tragitto nel cielo, ma nessuno dei due la notò.

«Hai finito?»

Clarke alzò le mani in segno di resa. Non aveva la forza di continuare.
«Fottiti, Bellamy. Non so perché perdo tempo a preoccuparmi per te.»
Si voltò prima che lui potesse vedere le lacrime che iniziavano a pungerle gli occhi e se ne andò.

 
---

Bellamy la guardò allontanarsi a piccoli passi arrabbiati mentre borbottava fra sé e sé qualche insulto probabilmente rivolto a lui, e non poté fare a meno di chiedersi quando sarebbe sorto sulla Terra un giorno in cui non avrebbe discusso con Clarke Griffin.

Probabilmente mai.

Quella ragazza sapeva essere una spina nel fianco quando ci si metteva. 
Sempre ad inventarsi nuove regole per controllare tutto e tutti, senza capire che non si trovavano più sull'Arca e che la loro vita poteva finalmente ripartire da zero, senza più crimini, senza più sbagli. 
(Chissà se lei ne aveva mai commessi, chissà se le sue mani piccole e bianche si erano mai macchiate di sangue come le sue)

Non si trattava di merito - nessuno di loro meritava un nuovo inizio, dopotutto li avevano mandati sulla Terra per liberarsi di loro e guadagnare una manciata di giorni di ossigeno – ma se questa era la loro seconda occasione Bellamy si sarebbe assicurato di non commettere nessun errore, stavolta.

Clarke, ad esempio, era una distrazione. Non soltanto perché i loro continui litigi facevano perdere tempo al gruppo, ma anche perché Bellamy si era ritrovato a pensare a lei anche quando non ce n'era alcun motivo. 
E dire che non era nemmeno il suo tipo. 

(Davvero. Sull'Arca aveva visto di meglio, sulla Terra aveva visto di meglio ed era piuttosto sicuro che anche se fossero atterrati su Plutone avrebbe visto di meglio)

Neanche sapeva perché gli piaceva.
Forse era per via della testarda veemenza che Clarke metteva in tutto quello che faceva, si trattasse guidare una squadra per salvare Jasper o avventurarsi nei territori dei Terrestri per chiedere loro la pace. Era come se, con ogni sua azione, Clarke volesse dimostrare al mondo che non meritava l'appellativo di Principessa, che c'era della terra sotto alle sue unghie e sangue sulle sue mani.
Che una come lei non portava la corona, ma soltanto il peso delle scelte che aveva fatto per sopravvivere.

La verità era che Bellamy non l'avrebbe mai ammesso – perché si trovavano su un fottuto pianeta che cercava di ucciderli un giorno sì e l'altro pure e pensare a queste cose era una perdita di tempo – ma Clarke gli piaceva.

(Forse gli piaceva proprio perché sapeva che non l'avrebbe avuta mai, perché Clarke non si sarebbe mai abbassata al suo livello, la Principessa meritava di meglio)

«Bada al fuoco.» raccomandò ad uno dei ragazzi di guardia, tanto gracile da non dimostrare più di dodici anni «Fra un paio d'ore metti altra legna se ti sembra necessario, ma non lasciare che si spenga, hai capito?» 

Quello annuì e gli rivolse un sorriso stranamente orgoglioso e felice che Bellamy non riuscì a spiegarsi dato che gli aveva appena dato un ordine, ma decise che era troppo stanco per chiedere spiegazioni. 
Lo salutò con un cenno della testa e finalmente si diresse nella propria tenda. 

Roma lo raggiunse qualche minuto dopo.
Come sempre, non disse nulla – Bellamy non era certo di averle mai parlato nel senso stretto del termine –ma semplicemente si assicurò che la tenda fosse chiusa dietro di lei e tornò a guardarlo fisso negli occhi.

Con calma, senza distogliere lo sguardo da Bellamy, si sbottonò i jeans. 
Inutile negarlo, Roma era  attraente, non lo odiava, ed era lì davanti a lui.
Non era Clarke, ma per quella notte poteva andare bene.

Un attimo dopo, le loro labbra si stavano scontrando in un bacio urgente e fin troppo familiare. Bellamy chiuse gli occhi. Roma intrecciò le gambe dietro al suo busto, come faceva sempre per chiedergli di spostarsi in una posizione più comoda, e lui la trasportò sul letto.

Se Bellamy fosse stato una persona migliore - e il se qui è d'obbligo - forse si sarebbe sentito in colpa ad usarla per sfogare le proprie frustrazioni quando non provava il minimo sentimento per lei, ma aveva bisogno di rilassarsi e chiudere il resto dei suoi pensieri fuori.
Le sfilò in fretta la camicia immaginando che ci fosse Clarke, al suo posto.

Clarke che non si sarebbe lasciata spogliare da lui, ma avrebbe preso l'iniziativa perché era così che affrontava la vita.
Clarke che, una volta tanto, sarebbe rimasta in silenzio e al massimo avrebbe sospirato un gemito quando l'avrebbe baciata sul collo.
Clarke che sarebbe venuta prima di lui, gettando la testa all'indietro in una cascata di capelli biondi con la tragica bellezza per la quale sarebbe valsa la pena di scatenare una guerra e comporre centinaia di versi, come per Elena di Troia.

Senza riaprire gli occhi, Bellamy si spinse di nuovo nel corpo della ragazza che non era Clarke e desiderò essere altrove, migliore, diverso. 
Inutile dire che non accadeva mai.

«Tieni sempre gli occhi chiusi...»  mormorò più tardi Roma, distesa sul suo giaciglio accanto a lui, con il respiro ancora corto e le guance rosse «È molto sexy, lo sai? Hai un'aria felice.»

Bellamy non rispose nulla.

 
---

Al risveglio, Clarke si rese conto quasi subito che qualcosa non andava, ma non riuscì subito a capire cosa.

Aprì gli occhi a fatica, infastidita dalla luce che filtrava attraverso la stoffa della tenda. Strano, gli altri giorni non ci aveva fatto tanto caso... probabilmente si trattava solo di stanchezza. Aveva passato una notte agitata, piena di sogni confusi e slegati fra loro, e non aveva alcuna voglia di alzarsi: davanti a lei si prospettava un'altra giornata di discussioni e preoccupazioni – come prepararsi all'inverno, come fare scorta di acqua potabile senza attingere al fiume, come tenere lontani i Terrestri – e Clarke non si sentiva psicologicamente pronta ad affrontarle. 

Richiuse gli occhi con un gemito e fece per girarsi su un fianco nella speranza di riaddormentarsi, quando si rese conto che non riusciva a muovere la spalla e il braccio sinistro. 
Era come se ci fosse qualcosa a tenerglieli fermi, quasi in una morsa.

Clarke riaprì immediatamente gli occhi ed alzò la testa quel tanto che bastava per vedere cosa le stava impedendo di muoversi. 
Quello che vide la lasciò letteralmente senza parole: c'era una ragazza abbracciata a lei

Ma quello forse era il minimo.
Il corpo a cui la ragazza era abbarbicata, con la testa poggiata sulla sua spalla e la mano abbandonata sul suo petto, era un corpo maschile. 

Un corpo tornito, simile a quello delle statue dei kouroi greci che Clarke aveva ricopiato tante volte dai libri d'arte. 

Un corpo dalle spalle larghe e la pelle di un colore simile al bronzo, ma ancora più scuro e intenso. 

Un corpo che Clarke, non importa quanto mentisse a se stessa, avrebbe potuto riconoscere ovunque. 

Il corpo di Bellamy.

Si trovava dentro al corpo di Bellamy Blake.
Fin da bambina Clarke aveva sempre avuto una fervida immaginazione, tuttavia disegnare animali con caratteristiche fantasiose era un po' diverso che arrivare a sognare una cosa del genere. 

Bellamy. 
Di tutti i corpi in cui poteva finire, di certo non le era andata male. Sfiorò con la punta delle dita il profilo dei suoi addominali e provò una strana sensazione di familiarità unita ad una violenta botta di adrenalina.

 (Aveva pensato che la storia con Finn le sarebbe servita di lezione e invece eccola palpare il corpo di Bellamy nel sogno più assurdo di sempre. Clarke sorrise nel pensare che, forse, se avesse smesso di fantasticare sul corpo di Bellamy durante il giorno, il suo cervello non le avrebbe giocato uno scherzo del genere la notte.)

Facendo attenzione a non svegliare la ragazza accanto a lei, Clarke sollevò con stupore la mano destra e vide che delle dita ben più lunghe e massicce di quelle a cui era abituata si muovevano sotto il suo controllo. 
Sembrava davvero reale, per essere un sogno. 

Avrebbe potuto semplicemente aspettare di svegliarsi e tornare alla normalità, ma l'idea di restare lì ferma la metteva a disagio. Tanto valeva alzarsi, anche solo per andare a vedere se in quello strano sogno lei era l'unica ad aver cambiato corpo o no: si ricordava che una volta, molti anni prima, lei e Wells avevano guardato un vecchio film terrestre intitolato Freaky Friday in cui madre e figlia si ritrovavano l'una nei panni dell'altra.
Era stato davvero divertente; Wells aveva riso fino alle lacrime. 
Clarke ignorò il groppo che aveva in gola e si domandò se magari anche nel suo sogno era accaduta la stessa cosa, se Bellamy era finito dentro al suo corpo. 
C'era solo un modo di scoprilo.

Con cautela si svincolò dall'abbraccio della ragazza, mormorandole uno scusa che probabilmente Bellamy non avrebbe pronunciato, si infilò una maglietta e uscì.

 
---

«Ehm, Bellamy, posso entrare?» 
Era strano chiedere il permesso di entrare nella propria tenda, ma Clarke si trovava anche in un corpo non suo (con tanto di voce bassa e cavernosa), quindi non era il caso di dare niente per scontato.
«Bellamy! Bellamy, sei tu?» 

In quel momento, una testa bionda fece capolino dalla tenda:
«Una domanda del cazzo, date le circostanze.» 

Nonostante l'aspetto fuorviante da diciassettenne bionda e minuta, si trattava certamente di Bellamy: nessuno poteva rispondere in modo tanto scortese. 
«Posso entrare?» ripeté Clarke «Dobbiamo parlare.» 

Lui annuì e le fece platealmente un inchino prima di lasciarla passare, borbottando qualcosa che assomigliava a "Ordini della Principessa" che Clarke scelse di ignorare.

Ora che si trovavano l'uno di fronte all'altra notava che Bellamy doveva aver avuto qualche problema nel nuovo corpo, almeno a giudicare dalla maglietta indossata al contrario e i capelli tutti arruffati, e una parte di lei lo avrebbe trovato adorabile, se non fosse stata un'ulteriore prova che si erano davvero scambiati di corpo.

«Ok, cerchiamo di pensare razionalmente!»  disse con il tono di voce più fermo che riuscì a trovare «Questo non può essere reale. Assolutamente. Stiamo sognando, per forza.» 

Bellamy lo rivolse uno sguardo scettico, inarcando un sopracciglio biondo.
«Stiamo sognando lo stesso sogno?» 

«No, hai ragione…» sospirò lei «Allora una specie di allucinazione! Potrebbe essere causata da un avvelenamento alimentare, ti ricordi quelle bacche velenose che abbiamo mangiato qualche settimana fa? …anche se ieri sera non ricordo di aver mangiato niente del genere. Forse si tratta di qualcosa nell'acqua del fiume?» 

«D'accordo, e come ce ne liberiamo?»  tagliò corto lui, scostandosi i capelli dalla faccia con evidente fastidio.

«Dovremmo aspettare di smaltire l'effetto. Se si tratta di qualcosa che abbiamo ingerito il tempo necessario non dovrebbe superare il paio d'ore.» 

«E se invece è permanente?» 

«Permanente?» ripeté un po' stupidamente Clarke, sbattendo le palpebre. 

«Beh, ci troviamo su un pianeta radioattivo con cervi a due teste e nebbie acide. Ormai non mi stupisco più di nulla.» 

«Bellamy, per favore. Non dirlo neanche per scherzo.» 

«Credimi, anche per me non è una passeggiata! Hai delle mani minuscole, non so come riesci a fare le cose!»  sbottó lui, sventolandole davanti le mani per dimostrarle che aveva ragione «E i tuoi capelli! Dio, continuano a finirmi davanti alla faccia, ma come fai?» 

«Li lego, o meglio, faccio due specie di trecce su entrambi i lati e poi le unisco dietro...» cercò di spiegargli lei, prima di realizzare che forse era più semplice farglielo vedere: «Vuoi… vuoi una mano?» 

Il viso di Bellamy si addolcì in un sorriso. 
«Certo! Quello di cui abbiamo bisogno ora è proprio che qualcuno ci veda così, Bellamy Blake che fa una bella treccina alla Principessa Clarke! E poi cosa, coroncine di fiori? Fino a quando non sappiamo di cosa si tratta dobbiamo fare finta di niente.» 

«Cioè devo fare finta di essere te?» 

«Se non te ne fossi accorta, lo sei già.» le ricordò lui, squadrandola da capo ai piedi. Quello che vide dovette essere di suo gusto, perché aggiunse sorridendo:  «E devo dire che il mio corpo ti dona parecchio.» 

Clarke arrossì per il tono con cui lo aveva detto, che chissà come era riuscito ad essere un tono da Bellamy anche se la voce era quella di una ragazza, ma avevano ben altri problemi al momento e non era il caso di lasciarsi distrarre.
«Quindi… cosa proponi di fare?» 

«Aspettare.» sentenziò lui, sedendosi sul letto a gambe larghe, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia «E comportarci come faremmo normalmente. O meglio, come l'altro farebbe normalmente, quindi credo che andrò in giro a dare ordini a caso, comandando tutti a bacchetta senza chiudere la bocca nemmeno per un minuto.»

«E io mi comporterò da stronzo incosciente. Affare fatto.»

«Interrompo qualcosa?» domandò in quel momento Octavia, entrando nella tenda come se niente fosse.

«No!» le risposero loro in coro.
Con la coda dell'occhio, Clarke notò che il viso di Bellamy si era completamente illuminato alla vista della sorella, come del resto faceva sempre.
Stavolta però, c'era qualcosa di diverso in lui: aveva le mani strette a pugno e il corpo rigido, e Clarke si chiese se fosse perché doveva fisicamente trattenersi dal correre incontro ad Octavia e abbracciarla.

«Ti stavo cercando, Bell. Passavo qui davanti, ho sentito parlare di un certo stronzo incosciente e mi sono detta “È lui!”» rise la ragazza, dando un'affettuosa pacca sulla spalla di Clarke «Non vieni a salutare la tua sorellina?» 

«Ehm, cert-» 
Non aveva neanche finito di parlare quando Octavia le gettò le braccia al collo. La tenne stretta per un tempo indefinito prima di sciogliere l'abbraccio, come se si fosse improvvisamente ricordata che non erano soli. La lasciò andare e biascicó un distratto: «Ah ciao, Clarke»

«Ciao, O… Hai dormito bene?» le rispose lui.

«Ehm, sì, Clarke..?» le rispose Octavia un po' perplessa, prima di aggiungere: «Comunque ve la ricordate la lezione, vero? Quella di tiro con l'arco!» 
A giiudicare dal tono di voce due ottave più alto del normale con cui lo aveva annunciato doveva esserne entusiasta.
«E non provare a tirarti indietro, Bell, lo hai promesso!»

 
---

La lezione di tiro con l'arco si prospettava come il più grande disastro mai avvenuto sulla Terra dopo la guerra nucleare che l'aveva resa inabitabile.

L'avevano programmata qualche giorno prima, perché Raven aveva fatto presente che non potevano continuare a sprecare proiettili nelle battute di caccia se non volevano ritrovarsi ad affrontare i Terrestri con decine di fucili e zero munizioni, per cui Bellamy era stato incaricato di dare una dimostrazione, dato che ovviamente sapeva anche tirare con l'arco.
A differenza di Clarke.

La soluzione più semplice sarebbe stata quella di rinviare tutto, ma a quando?
Avevano bisogno di altre scorte di cibo per essere in forze in caso di un altro attacco terrestre. Inoltre, se anche avessero spostato la lezione alla settimana successiva, non c'era alcuna certezza che per quel giorno Clarke e Bellamy sarebbero tornati nei propri corpi, quindi tanto valeva iniziare ad abituarcisi.

Il gruppo non poteva essere più grande di una trentina di ragazzi, già seduti per terra a gambe incrociate in attesa che cominciasse la dimostrazione.
Clarke fu sollevata di non vedere tra loro Finn, che evidentemente era pronto a convertirsi dal vegetarianesimo pur di non toccare un'arma nemmeno per sbaglio- come se invece tutti loro fossero smaniosi di uccidere, come se non fossero costretti  ad adattarsi alle circostanze pur di sopravvivere. 

A giudicare da come era improvvisamente calato il silenzio quando si era alzata in piedi, era chiaro che tutti i ragazzini pendessero dalle sue labbra (o meglio, dalle labbra di Bellamy) quindi non poteva fare errori.
«Grazie di essere venuti qui oggi» iniziò a dire Clarke, rivolgendo a tutti un sorriso incoraggiante.
Bellamy dal pubblico le lanciò un'occhiataccia e scosse debolmente la testa, trasmettendo il messaggio "niente convenevoli".

«Come sapete, oggi vi darò una dimostrazione di tiro con l'arco» annunciò allora Clarke, piantando le mani sui fianchi come immaginava avrebbe fatto un ragazzo. Stava cercando di usare un tono di voce autorevole un po' per imitare Bellamy, un po' per non far capire agli altri che non aveva la minima idea di come si facesse. «Ok, cominciamo» 

Come del resto era normale, essendo cresciuta su un astronave priva di animali, Clarke non aveva mai tenuto in mano un arco, ma una volta Bellamy le aveva spiegato come sparare e in fondo si trattava più o meno della stessa cosa, no? 
In entrambi i casi bastava prendere la mira e far partire il colpo.
E così fece.

Peccato che la freccia andò a conficcarsi in un albero completamente diverso da quello che avevano scelto come bersaglio.
«Ok ragazzi, questo è quello che non dovete fare!» mormorò ridacchiando nervosamente, mentre desiderava che la Terra si aprisse in due sotto di lei e la inghiottisse «Regola n.1: sapere sempre qual è il bersaglio.» 

«Posso provare io?»

A parlare era stato Bellamy, che aveva alzato educatamente la mano come se fosse stato in una classe delle elementari. Tutti si erano voltati a guardarlo e qualcuno aveva borbottato che si trattava sempre di quell'egocentrica di Clarke che cercava di farsi vedere, ma la ragazza ne fu incredibilmente sollevata. 
Almeno avrebbe spostato l'attenzione da lei e la sua mira mediocre.
«Ma certo, Clarke, vieni pure!»
E dato che doveva pur sempre far finta di essere Bellamy aggiunse in tono strafottente: «Vediamo se la Principessa sa fare di meglio!» 

In mezzo al vocio generale, Bellamy si alzò in piedi e le strappò ben poco gentilmente l'arco dalle mani.
«Non posso restare a guardare mentre tu mi rovini la reputazione» le sussurrò all'orecchio, mentre si sporgeva verso di lei per prendere una freccia.

(Inutile dire che ovviamente centrò il bersaglio senza il minimo sforzo, con tanto di piccolo inchino finale fingendo di indossare una gonna invisibile.)

Quella piccola parentesi riuscì a distrarre il gruppo dall'incidente di poco prima e tutti i ragazzi vollero mettersi in fila per provare a tirare.
Venne stabilita una linea di tiro e un diverso punteggio a seconda del punto dell'albero che si riusciva a colpire- il tutto sotto la supervisione di quello che credevano essere Bellamy, che ogni tanto urlava parole di incoraggiamento ai tiratori meno promettenti.
 «Umh non male Jasper… magari prova ad aggiustare la mira, ma è già un inizio!» 

«Harper» bisbigliò Monty, mentre attendevano il proprio turno per tirare «Non ti sembra che Bellamy sia insolitamente gentile, oggi?»

«Oh andiamo! »  sbottò esasperato Bellamy, in coda dietro di loro «Non sono sempre così-». 

«Così come?» 

«Volevo dire… Bellamy non è sempre così stronzo! Cerca solo di tirare fuori il massimo da ognuno di noi!» 

«Se lo dici tu, Clarke…» ridacchiò Harper, lanciandogli un'occhiata complice che servì solo a farlo innervosire ancora di più.

«E questo cosa vorrebbe dire?»

«Tutti qui sanno che hai una cotta per Bellamy»  esclamò a ragazza con un mezzo sorriso, prima di aggiungere a bassa voce: «Ma non preoccuparti, il tuo segreto è al sicuro con noi!» 

 
---

Le sere terrestri non somigliavano affatto a quelle vissute sull’Arca, perché invece di un'oscurità artificiale data dal contemporaneo spegnimento di tutte le luci c'era un graduale passaggio dal tramonto al crepuscolo, al buio.

Sdraiata in mezzo ad una radura appena fuori dal accampamento, là dove gli alberi lasciavano il posto ai cespugli, Clarke poteva osservare il cielo tingersi di viola intorno alla macchia di colore amaranto che era il sole, colori che fino a quel momento aveva solo usato nei propri disegni e mai visto davvero. 
La brezza serale le accarezzava le guance, nel campo si accendevano i primi fuochi-

«Ma chi si vede?! Bellamy Blake che osserva il tramonto con aria pensierosa, magari anche strappando i petali da una margheritina per giocare a m'ama non m'ama!» scandì Bellamy con fare teatrale, mentre incedeva verso di lei con passi lenti e cadenzati «Menomale che qui non può vederci nessuno, altrimenti la gente penserà che io mi sia rammollito del tutto» 

Con la coda dell'occhio, Clarke lo vide sdraiarsi accanto a lei e sistemarsi in modo tale che le loro teste fossero alla stessa altezza. Nonostante il tono stizzito non sembrava arrabbiato, non davvero.

«Bellamy, ci ho pensato… mi sono resa conto che ti devo delle scuse.»

«Per cosa? Per avermi fatto fare la figura del perfetto idiota davanti a tutti o per avermi fatto passare le 24 ore più difficili della mia vita?» 

Lei sbuffò.

«Dico sul serio, Clarke. Il tuo corpo è incredibilmente distraente.» aggiunse Bellamy, abbassando gli occhi sul proprio petto.

«Smettila! Sto parlando sul serio...» 

Bellamy girò la testa verso di lei, fissando gli occhi nei suoi.
«Allora parlami sul serio.» 

«Credo di aver capito perché sei così… perché non chiedi mai aiuto a nessuno e detesti mostrarti debole agli occhi degli altri.» 

«Perché sono un uomo?» scherzò lui, perché se c'era una cosa che sapeva fare era di usare il sarcasmo come arma di difesa. Lo aveva imparato da bambino, quando ancora non sapeva usare né archi né pistole e una lingua tagliente era tutto ciò che aveva.

Clarke scosse la testa. 
«Per noi. Lo fai per noi.» 
Lui non rispose niente e lei lo lesse come un segno che poteva proseguire anche se in punta di piedi, scegliendo accuratamente ogni parola: «Io ti ho visto per come sei realmente. Sei il ragazzo che si è fatto arrestare per un crimine che non avrebbe voluto commettere pur di proteggere sua sorella. Sei il ragazzo che nel bosco è rimasto paralizzato di fronte ad Atom perché non ce la faceva ad ucciderlo mentre lo guardava negli occhi. Sei il ragazzo che da quel giorno ha incubi ricorrenti che lo tengono sveglio di notte. Io lo so. Non lasci mai vedere questo lato di te. Devi sempre mostrarti invincibile, anche quando non lo sei.» 

Ripensò a quando Bellamy era intervenuto durante la lezione di tiro con l'arco perché non poteva lasciare che qualcuno lo vedesse fallire e a quando, la notte prima, lei stessa si era sentita morire all'idea che lui fosse in pericolo, perché senza di lui non ce l'avrebbero mai fatta. 

Non era sicura che si trattasse di amore – non soltanto di amore, almeno – quanto più di speranza. Speranza che fino a quando ci sarebbe stato lui avrebbero avuto una chance di sopravvivere, nonostante tutto.

«Abbiamo tutti bisogno di te, Bellamy. Sei il nostro leader...» 

«Non l'ho chiesto io!» la interruppe lui in tono esasperato, issandosi sui gomiti.
Perché nessuno riusciva a capirlo?
Non era il loro salvatore, non era riuscito a salvare sua madre e per poco non faceva uccidere O. con quella stupida idea del ballo in maschera. La verità era che l'unico motivo per cui era sceso sulla Terra era proteggere sua sorella, e anche lí non aveva fatto esattamente un gran lavoro dato che Octavia era stata rapita da un Terrestre dopo poco più di una settimana.
Un leader. Lui non aveva mai chiesto di guidare nessuno, e invece tutti si erano lasciati ingannare dalle sue spalle larghe e dalla sua voce da adulto. 
Senza volerlo, Bellamy ripensò al ragazzino di guardia al campo che annuiva sorridendo, fiero di ricevere un ordine da lui come se lo ricevesse da un padre, o dal fratello maggiore che non aveva mai avuto.
«Non l'ho chiesto io…» ripeté debolmente.

Lo sguardo di Clarke si addolcì e Bellamy non riuscì a capire se era perché non si era aspettata di vederlo crollare con tanta facilità o perché ne era stata delusa e cercava di non darlo a vedere.
«Lo so. Ma loro ti vedono così. Sono solo dei ragazzini, Bell… Hanno bisogno di vederti forte e sicuro di te. Hanno bisogno della tua aria da duro…» 

Risero insieme, perché Clarke aveva cercato di usare un timbro di voce ancora più basso e aveva aggrottato le sopracciglia e Bellamy aveva pensato che fosse bello riuscire ad intravederla anche dentro ad un corpo che non era il suo, come se la vera Clarke brillasse di luce propria e il suo chiarore fosse visibile anche sotto alla pelle, sporca e graffiata, di Bellamy.

«Il fatto è » disse infine Clarke, con un tono serio che faceva intendere che non stesse più scherzando «che con me non devi fingere che sia tutto a posto. A volte va bene non stare bene.» 

(La verità era che era bastata una sola giornata nei panni di Bellamy per rendersi conto di quanto fosse dura dover essere all'altezza delle aspettative di tutti.
Quella corona era troppo pesante per essere portata da solo.)

«Grazie» disse semplicemente Bellamy, questa volta senza una traccia di sarcasmo nella voce.
Si era di nuovo sdraiato al suo fianco.
Senza aggiungere altro, e continuando a guardare il cielo striato di rosso e viola sopra di loro, Bellamy cercò la mano di Clarke e gliela strinse.

Forse la mano era quella morbida e minuta di una ragazza, ma la stretta era decisa, sicura.
La stretta era di Bellamy. 
All'improvviso le venne un'idea.
«E se…» 

«Che cosa?» 

«E se per scambiarci dovessimo fare qualcosa di fisico?» biascicò Clarke in fretta, senza osare guardarlo negli occhi perché era un'idea stupida e lui comunque avrebbe detto di no.

«Che cosa intendi?» 

Clarke sospirò all'idea di dovergli davvero spiegare cosa le era venuto in mente, soprattutto dal momento che la sua teoria non aveva esattamente una base scientifica, ma era solamente nata dalla  sensazione elettrica che aveva percepito toccandogli la mano.
Intanto Bellamy si era messo a sedere e continuava a guardarla con aria interrogativa, per cui Clarke prese un profondo respiro e disse: «Non lo so, forse c'è bisogno di un contatto fra di noi perché ritorniamo nei nostri corpi. Tipo con un abbraccio.»  

«Stamattina hai abbracciato O. e non è successo nulla.» replicò lui con aria scettica.

«Allora forse un bacio.»  mormorò lei con la voce più ferma che riuscì a trovare, e prima che Bellamy potesse dire qualcosa aggiunse: «Giusto per sicurezza, così sappiamo di non aver tralasciato nessuna opzione….» 

«Se lo dici tu» replicò Bellamy stringendosi nelle spalle e abbozzando un sorriso venato di scetticismo, prima di prenderle il viso fra le mani e decidere che valeva la pena tentare.

Ovviamente, baciare Clarke in quelle particolari circostanze non era affatto come se l'era immaginato in tutte le sue fantasie: alla morbidezza delle sue forme si era sostituita la spigolosità di un corpo maschile, e c'era un pomo d'Adamo nel punto del collo sul quale indugiarono a lungo le sue labbra, e Bellamy ci mise un po' ad abituarsi alla sensazione. 

Era strano baciare un ragazzo, per di più con che aveva il suo aspetto, eppure chiudendo gli occhi riusciva a concentrarsi solo sul ritmo dei loro respiri, sul modo in cui Clarke gli passava la mano tra i capelli e si stringeva a lui come se non desiderasse altro che respirare dalla sua bocca. 

Quando si staccarono, con il fiato ancora corto e i cuori che battevano all'impazzata, Clarke non osò aprire gli occhi per paura che non avesse funzionato.
«Allora? Non è cambiato niente?»

«Non direi» rispose Bellamy, ancora prima di aprire gli occhi e di vedere che in effetti erano tornati loro stessi, perché se c'era una cosa di cui era sicuro era che da quel momento in poi le cose non sarebbero state più le stesse.




 
Angolo dell'autrice

Ok, premetto che ho scoperto questo fandom solo qualche mese fa e che questa è a prima storia che ci scrivo (o meglio - è la prima che ho finito di tutte quelle che mi frullano in testa), per cui spero di non aver sbagliato troppo con le caratterizzazioni, altrimenti chiedo venia!

Grazie di aver sorvolato sul titito idiota. Vi giuro che sul mio documento word è rimasto fino alla fine seguito dalle parole "titolo molto provvisorio" ma mi ci ero troppo affezionata per cambiarlo.

Prometto che le mie storie future saranno un po' più serie (per non dire vagamente angst).

Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere sentire il vostro parere (:
In ogni caso, grazie di aver letto fin qui e un abbraccio a tutti voi

Itsamess
  
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