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Autore: ClaryWonderstruck    02/09/2017    3 recensioni
[ Il cielo sembrava un’estesa massa di luci vorticanti, di scie circolari che si inondavano le une sulle altre in un concatenarsi quasi eterno. Vigilavano sulla cittadina mercantile che dormiva quieta, nel silenzio della notte, accompagnando i loro sogni con il brillare delle stelle che vi si specchiavano ... ]
[ ... Marinette avrebbe potuto osservare quel dipinto per ore, per giorni, rimanendone rapita come la prima volta]
E se i dipinti di Van Gogh non fossero stati l'unica fonte di luce, quella notte ? Si sa, la luna è compagna dei felini che si aggirano in cerca di compagnia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Giuro che non mi sono dimenticata di voi mie little bugs,
ma ho superato una sessione estiva che mi ha completamente presa...
Anyways, malgrado questo capitolo sia una mera parentesi,
lo reputo estremamente importante in vista dei futuri!
( ch arriveranno entro l'anno :P)

Buona lettura little bugs
 
 

Finn's memoirs





Sin da quando ne possedeva memoria, Finn aveva sperimentato e vissuto a pieno la sensazione di completo vuoto.
Non era una semplice mancanza emozionale che si affiancava a lui passo dopo passo: era un vasto e interminabile buco nero.
Finn si svegliava solitamente molto presto; infilava i piedi nelle ciabatte di star wars che la madre gli aveva regalato per il quinto compleanno e poi finalmente cercava di sollevarsi dal materasso pur frenato dalla costante paura di poter crollare a terra.

Un bambino nato con la vista, ma progressivamente condannato a perderla poteva solamente imparare a conviverci giorno dopo giorno.
Spesso si chiedeva se non sarebbe stato meglio nascere con quella privazione così crudele piuttosto che assaggiarne un po' l'esperienza per poi vedersela scivolare fra le mani senza poter letteralmente fare nulla per cambiare la situazione.

L'ignoranza forse gli avrebbe concesso una parvenza di pace.
E invece era stato condannato: inesorabilmente aveva cominciato a perdere i colori della vita, dovendo affidarsi a tutt'altri sensi per poter sopravvivere.
Era una maledizione doversi appigliare continuamente all'immaginazione per sentire almeno parzialmente la presenza di oggetti fisici attorno a lui.

Durante le prime fasi di destabilizzazione frequentava un gruppo di sostegno nell'ospedale dove poi avrebbe lavorato una volta cresciuto.
Lì i pazienti sembravano così solari, così contenti di poter quantomeno fingere una vita normale, mentre lui si paralizzava al solo sentirli parlare.
Raccontavano con voce divertita le volte in cui le persone tentavano di spiegare loro cosa fossero i colori.
Come si fa a spiegare ad un cieco l'intensità del rosso? O l'enigmatica profondità del blu?
Semplicemente favolette.
E i dottori - a detta sua - si compiacevano di quegli spettacolini vittimistici.
Poi toccava a lui ed ovviamente le carte in tavola cambiavano segno.

Finn era sempre stato quel bambino brillante, pungente e acuto che non si inibiva nell'esprimere esplicitamente i suoi pensieri negativi. Ogni singola volta che gli domandavano cosa fossero i colori, rispondeva sempre che per lui non erano altro che una perfida punizione divina.

L'unica luce che reputava meritasse un minimo di preservazione abitava a pochi metri dalla sua villetta, proprio oltre la staccionata che delimitava il giardinetto inglese tanto voluto dalla madre una volta rimasta incinta di Finn.
Era una bambina dai lunghi capelli corvini e le pupille grigiastre come blocchi di ghiaccio artici che frequentava la sua stessa scuola.
La conosceva da sempre: uno dei pochi visi di cui ricordava veramente le fattezze senza doversi servire dell'immaginazione.

Aveva imparato a usare la memoria come filtro al posto degli occhi.

Céleste non si comportava come una bambina qualunque, né sembrava condividerne l'età: era saggia e responsabile, ma estremamente diretta e cinica. L'unica che non cercava di addolcire la pillola con lui pur rimanendo comunque gentile.
Lo trattava per quello che era senza sconti e senza particolari attenzioni, facendolo sentire anche per pochi istanti ancora ... normale.
Per questo credeva di aver iniziato ad amarla fin da subito.
Anche lei viveva una situazione problematica con la propria famiglia e non se ne vergognava affatto a dispetto delle altre persone.
Gli piaceva perché non si sforzava di essere perfetta, ma si accettava per tutte quelle sue debolezze e lati scheggiati dal tempo.

All'ospedale erano soliti ricordargli che "casa" significasse un posto sicuro dove nessuno avrebbe mai potuto fargli del male, ma Céleste la pensava in modo completamente opposto. Un modo che a Finn piaceva da impazzire.

"Casa qualche volta è dove si ha la cicatrice più profonda"

Non si vedevano proprio tutti i giorni, soprattutto dopo essere stato trasferito in un liceo destinato a persone come lui, ma le volte che potevano sgattaiolare nel giardino altrui si ritrovavano a passare intere nottate a discutere e sentire la musica attraverso quei vecchi stereo anni novanta.

Le giornate finivano così, senza grandi pretese e aspettative.
Finn non era il tipo smielato che si riduceva a venerare la ragazza come un povero cagnolino - non faceva per lui - però sentiva comunque un legame intensamente profondo che si spiegava solo nei termini del suo strano carattere oscuro e penetrante.
Era la sua natura disfattista e catastrofica a parlare la maggior parte delle volte, mentre in Céleste viveva ancora un briciolo di speranza verso il genere umano.
L'idea di confessarle i propri sentimenti - o quantomeno quella massa informe di confusione che gli imperava in testa - emerse nel momento stesso in cui Céleste iniziò ad uscire con una lunga serie di ragazzi della sua scuola.
Se inizialmente aveva creduto che la questione non lo toccasse minimamente - dopotutto "occhio non vede, cuore non duole" - una volta precipita con le proprie orecchie la possibilità di perderla per qualche idiota gli sembrava una tragedia greca.

Fu così che Finn si decise di presentarsi di punto in bianco nel giardino della ragazza, dove solitamente si incontravano, aspettando che rincasasse dal l'ennesimo appuntamento andato male.

<< Mi ha portato a vedere la sua collezione di palloni da calcio firmati nel garage, così pensavo che fosse una scusa per fare altro... e invece ha parlato ore e ore di quelle stupide sfere rotolanti! Perché non ha fatto nulla? >> gli aveva raccontato lei prima di dargli la possibilità di parlare.

La scena andò più o meno così: Finn, stanco di sentirla lamentarsi di quanto i suoi coetanei fossero poco interessanti e superficiali, aspettò di percepirla abbastanza vicina per coglierla di sorpresa definitivamente.
Era un ragazzo molto bello, o almeno era quello che dicevano tutte le ragazze quando aggiungevano anche che non avrebbero mai perso la testa per un menomato.
Certo non tutte, non lei.
Céleste perse completamente il senno per lui.

<< L'avrei fatto io se non l'avessi fatto tu >> gli confessò tra un bacio e l'altro.

<< E io che pensavo volessi vedere la mia collezione di bastoni per ciechi! >> Céleste rideva sempre alle sue battute auto ironiche: erano quel tipo di comicità nera e arida che faceva parte delle sue ossa, del suo intero essere.

Poi un giorno Finn incappò nel vecchio dogio del maestro Fu, presso il quale aveva tenuto varie lezioni per imparare a controllare meglio il proprio corpo in assenza della vista.


Fu lì che si verificò la catastrofe.

 




"Non ti fidare dell'uomo nascosto dietro le tende.
È un oscuro e familiare estraneo,
pronto a offrire una bellissima scatola di menzogne e sogni infranti"
  
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