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Autore: Mir7    05/09/2017    0 recensioni
Questa storia parla di un gruppo di semidei che affrontano la loro prima estate al Campo Mezzosangue tra amicizie e amori, imparando a utilizzare i loro poteri divini. Probabilmente... questa sarà la loro ultima estate tranquilla.
Ps: informo che in questa storia verranno presi in considerazione solo gli avvenimenti della prima serie di Percy Jackson e non degli Eroi dell'Olimpo.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Deitas'
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Capitolo 1 - Una strana lezione di ginnastica

 

Mi chiamo Michela, e ho quindici anni. Tutto incominciò quel 29 Maggio.

Mi era sembrata una mattina normale, una di quelle giornate noiose e grigie di sempre, ma da lì a poco avrei scoperto che non era così. Era giovedì per la precisione e questo significava due ore di ginnastica; non avevo voglia di alzarmi dal letto come avrei fatto a sopportare due ore di corsa e sudore? Sentii dei passi e poi uno scossone.

-Michela...su alzati che è tardi! Devi andare a scuola!- Era il mio papà che con la sua delicatezza per poco non mi fece cadere dal letto.
Avrei voluto rispondere: arrivo subito. Ma me ne uscii un -Arscft-.
Infine mi alzai; avevo una camminata da zombie ma ero sveglia. Mi cambiai con il solito abbigliamento da ginnastica: leggins neri,una maglia a maniche corte della Maui rosa e arancione, scarpe da ginnastica nere e rosa. Mi legai i capelli in una treccia, mi sistemai la frangia e mi guardai allo specchio. Ero la tipica ragazza italiana: capelli castano chiaro e occhi marroni. L'unica cosa che poteva far pensare che fossi diversa era la mia altezza; alta solo un metro e cinquantasette a quindici anni è deprimente da parte mia. Dopo colazione finii di prepararmi, mi misi un giacchetto di jeans ed uscii per andare a prendere il pullman delle sette e diciannove. Mentre mi dirigevo alla fermata mi sentivo osservata, ma cercai di non pensarci e continuai a camminare. Salita sul pullman rimasi in piedi come al solito. Mi misi gli auricolari alle orecchie per spaccare il tempo prima di arrivare a scuola, ma sentivo ancora quella sensazione di essere osservata. Mi girai e vidi un ragazzo, infondo al bus. Aveva i capelli fino a metà collo, spettinati, neri e gli occhi profondi dello stesso colore, la carnagione olivastra, e indossava una maglia nera con un teschio, pantaloni neri e un giacchetto d'aviatore. Mi stava guardando. Appena vide che lo notai distolse lo sguardo ed io tornai alla musica. Io vado al Carlo Piaggia, nella classe di indirizzo turistico. Una scuola normale, con tanti ragazzi e professori più o meno accettabili. Il mio prof di ginnastica sembra una specie di Brock nel nostro mondo. Prima di andare in palestra voleva parlarci un po' di turismo sportivo ma io, essendo la prima ora, sentivo solo -bla bla bla bla-. La palestra, anche se eravamo in pieno maggio, era fredda come un congelatore, ma io ormai ci avevo fatto l'abitudine. Stavo facendo dei tiri a pallacanestro con la mia amica Federica ( ovviamente se io faccio canestro c'è da festeggiare).

-Miky, te hai mai notato quei due ragazzi laggiù?- Mi chiese lei.

Io non capendo quali stesse dicendo, usai la tattica sorridi e annuisci che funziona sempre. -No, mai visti. Saranno nuovi-

Poi guardai con più attenzione. Tra gli spalti, in mezzo ai ragazzi dell'altra classe, c'era il ragazzo del pullman. Stava parlando con un ragazzo all'apparenza normale: aveva i capelli castani ricci sopra cui portava un cappello (strano pensando al fatto che non si possono portare i cappelli durante le lezioni), indossava un paio di jeans e una maglietta normali con qualche disegnino di Packman. Sono sicura di non aver mai visto quei ragazzi per tutto l'anno scolastico. Possibile che abbiano cambiato scuola la penultima settimana?Ebbi la sensazione di averli fissati troppo a lungo, perché anche loro avevano iniziato a guardarmi. Piena di imbarazzo tornai a giocare con la mia amica. Dopo poco mi avvicinai agli spalti per rinfrescarmi un po'.

-Sento puzza...di mostri- Disse il ragazzo riccioluto.

Il ragazzino strano annuì preoccupato girandosi a guardarmi. Al che capii che questi due erano dei pazzi. Non feci in tempo a posare la bottiglietta d'acqua che il muro dall'altro lato della palestra esplose. Tutti iniziarono a gridare e a scappare a destra e a manca, tranne i due ragazzi. Loro aspettarono qualcosa, ma non so cosa. Poi dal muro uscirono delle sottospecie di bestie. Erano 4: avevano i denti aguzzi, braccia gonfie anche più di quelle dei palestrati piene di tatuaggi assai singolari, alti due metri e con degli occhi folli come se avessero appena trovato un banchetto a loro disposizione. Prima guardarono i due ragazzi con noncuranza poi si girarono verso di me.

-Hey ragazzi, il pranzo è servito!- Ruggirono i mostri.

Io non ero dello stesso parere. Ma rimasi pietrificata lì davanti. Ero terrorizzata e non capivo quello che stesse succedendo. Fu una melodia ad interrompere il mio stordimento: il ragazzo riccioluto aveva tirato fuori un flauto e si era messo a suonare. Perché mettersi a suonare in un momento del genere?! Ma credo che funzionò perché uno di quei mostri scoppiò in granelli di polvere. Il ragazzo del pullman mi raggiunse e mi lanciò una spada. -Prendi!- La presi al volo.

Era di un bronzo lucente con sopra delle incisioni in greco antico: Ἀθηνᾶ. Atena. Mi chiedo come abbia fatto a leggerlo, ma la cosa più importante in questo momento è cosa ci faccio con una spada?! Vidi il ragazzo del pullman tirare fuori (non chiedetemi da dove, non era il momento giusto per osservare i particolari) una spada nera, risplendeva di tenebre e incuteva una certa paura, e conficcarla nel petto di un mostro.

-Combatti!- Mi disse.

Per me era una cosa assai assurda ma ci provai. Vidi arrivarmi incontro uno di quei bestioni. Allora, forse in una scarica di andrenalina, menai un fendente dritto in testa a quella bestia che scomparì in brandelli di sabbia. Non feci in tempo ad esultare che mi sentii gridare.

-Attenta!- Mi girai di scatto e il ragazzo del pullman mi si mise davanti con la spada che spingeva con il mostro.

-Io mi chiamo Michela Gonnella, piacere. Cosa sono questi?-

-Canadesi...cioè i miei amici li chiamano così. Si chiamerebbero Cannibali-

-Ah bene- Il ragazzo riccioluto corse verso di noi interrompendoci.

-Emh...si okay, ora saremmo un po' occupati, vi conoscerete dopo-

Aveva ragione, non era il momento giusto di fare salotto. La nostra minichiaccherata aveva dato il tempo al mostro di riprendersi e di rialzarsi in piedi.

-Okay scusa, hai ragione Aaron. Allora se non ti dispiace vado a finire l'opera- Gli rispose di conseguenza Nico che partì alla carica verso la bestia la quale non fece in tempo a dire “A” che scomparve.

-Ok, stavamo dicendo?-Disse Nico tornando da noi.

Io mi guardai attorno e non vidi più nessuno. Dovevano essersi rifugiati in classe, chissà se si erano accorti della mia assenza, più che altro cosa devono aver pensato vedendo quelle cose? Poi guardai la mia spada...com'era possibile?

-Dobbiamo andare via di qui- Disse Aaron.

-Ma io non posso lasciare i miei amici e le mie cose qui!- Intervenni .

-Lascia stare i mortali, dobbiamo andarcene!- Disse Nico.

I mortali? Ma cosa stava farneticando? Mi prese la mano e corremmo fuori dalla scuola. Al tocco delle nostre mani io arrossii.

-E dove dovremmo andare?- Chiesi io un po' sfacciata.

-Dobbiamo andare al Campo Mezzosangue, a Long Island- Disse Aaron senza fermarsi. -Ma Long Island è negli Stati Uniti! Noi siamo in Italia! Non ci sto capendo niente!- Dissi io confusa, parecchio confusa.

-Te corri, ti spiegheremo tutto sul treno- Mi rispose Nico.

Mentre correvo molte cose mi passarono per la mente: i miei compagni, la mia famiglia; gli stavo abbandonando così, senza dire nulla. Avevo un sacco di domande senza una risposta. Ma avrei dovuto aspettare di prendere il treno per avere quelle risposte, sperando fossero concrete. Studiai la mia spada e vidi che c'era anche il disegno di un gufo e nell'impugnatura c'era una M. Che stesse per Michela? Non credo. Dai sarebbe stato impossibile! Ma in quel momento le cose impossibili stavano diventando possibili e reali davanti ai miei occhi.

  
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