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Autore: serClizia    07/09/2017    2 recensioni
Rexburg, Idaho, la città dove Castiel ha trovato lavoro con lo pseudonimo di Steve, mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
Si distribuirà tra passato e presente, cercando di capire cosa è andato storto nel primo incontro tra Castiel e Dean, e come andranno a finire 8 anni dopo.
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Rexburg, Idaho, 2015
 
“Prenderanno il nostro posto, io ho segnato tutto. Anche l’astronomo me l’ha detto.”
“L’astronomo.”
“Sì, lui! Il signor Roman, lo conosci?”
“Non posso dire di sì.”
“Dovresti. Comunque lo sanno tutti, presto i robot verranno inventati, e cosa ci vorrà prima che ci mangino tutti per cena? Diventeremo cibo. Fabbriche di umani. Così finirà l’umanità. Cominciando da quei telefonini che avete tutti voi oggi.”
Castiel sorride. L’accento scozzese della signora McLahan è forte, ma pensa di avere in qualche modo capito quello che sta dicendo, nonostante il ghirigoro di follia con cui ha intessuto il messaggio.
“Assolutamente. Sono 23 dollari e 75.”
Le scocca il suo sorriso aziendale con tanto di pollice all’insù.
Questa loro routine è confortante. Spesa-apocalisse-robot-23,75-sorriso-soldi-arrivederci.
La signora grugnisce una rimprovero, gli porge le banconote con manina tremante e si ficca in borsa gli acquisti prima di dirigersi verso l’uscita.
“Arrivederci!”
Castiel si prepara al prossimo cliente raddrizzando le spalle – gli viene automatico incurvarsi per parlare con le persone più basse, colpa della statura di Gabriel, probabilmente – e sposta lo sguardo dalla signora borbottante con un piede già fuori dalla porta alla breve fila che ha fatto formare con le sue chiacchiere.
Il prossimo cliente si fa avanti con un ciuffo di capelli troppo familiare, un sorriso accecante che fa sembrare il suo una pallida smorfia di accondiscendenza, e il passo di chi è sempre stato troppo sicuro di sé.
Dean Winchester.
Castiel si ritrae leggermente; nient’altro. Ritorna impassibile, il commesso più perfetto di sempre – non per niente, a casa, ha incorniciato il quadretto “Miglior impiegato del Mese” che Norma gli ha regalato per scherzo a Natale.
“Carne di manzo essiccata e un pacchetto di caramelle al mentolo.”
Chiaro, il suo alito sapeva sempre di mentolo. Una volta.
Castiel si allunga alla sinistra del bancone per recuperare gli articoli. “4 dollari e 89.”
Lo scambio di merce e soldi avviene in completo silenzio. Castiel non alza mai lo sguardo ma può sentire che Dean sta ancora sorridendo.
“Andiamo, non hai altro da dire a un vecchio amico?”
Spera di riuscire nell’intento di congelarlo con lo sguardo. “Ci siamo conosciuti solo ieri. Il prossimo.”
Il sorriso di Dean si spenge un poco, e sembra cercare qualcosa nei suoi occhi. Non deve trovare quello che vuole, perché annuisce e si fa da parte, allontanandosi dalla fila.
Castiel saluta il cliente successivo con un sorriso più innaturale del solito.


Avrebbe dovuto saperlo, veramente.
Dean lo sta aspettando fuori dal negozio con la schiena appoggiata all’Impala.
Avrebbe dovuto capire che non era sconfitta quella che l’aveva fatto allontanare, ma solo un posticipare la battaglia. Castiel spera in una qualche infantile fantasia per cui se continua a ignorarlo, se ne andrà così come è arrivato. Esattamente come la prima volta.
Svolta a sinistra, deciso, e s‘incammina spedito verso casa.
Avrebbe dovuto prevedere anche che Dean lo avrebbe seguito.
Vede spuntare la punta dei suoi stivali nel suo campo visivo, mentre cammina con lo sguardo a terra – è ironico, perché aveva deciso di guardare in basso per non vederlo e non essere tentato di lanciare occhiate.
Dean gli cammina di fianco, in silenzio.
Castiel dibatte internamente se aumentare il passo o fermarsi a urlargli in faccia qualcosa come ‘Cosa diavolo vuoi!’, ma entrambe le opzioni lo fanno sentire un bambino.
Continua a camminare.
Dicono che l’indifferenza sia l’arma più efficace, no?
Svoltano l’angolo, e il palazzone di Cas appare in tutta la sua maestosità. Casa. Se si mettesse a correre, ci arriverebbe in qualche secondo, potrebbe infilarsi sotto le coperte, le mani sulle orecchie per non sentire niente, non pensare a niente, dormire e ricominciare il giorno dopo e Dean non sarà mai successo e non succederà mai più. Non gli piace per nulla sentirsi così impotente, di nuovo.
Continua a camminare.
Quando arriva al cancello, gli stivali non ci sono più, e non vorrebbe sentire quello spazio vuoto a forma di Dean al suo fianco. Non si volta a vedere dove si sia fermato. Sale i gradini, tira fuori le chiavi, apre il portone, e nessuna voce gli chiede di fermarsi e parlare. Sale le scale come tutti i giorni, la sua padrona di casa che abita al secondo piano lo saluta e lo ferma per due chiacchiere sul pianerottolo.
Cinque minuti dopo è in casa, senza sapere una parola di quello che ha detto alla signora Maige.
Lancia le chiavi sul tavolino.
Si avvicina alla finestra e guarda fuori, per quanto non vorrebbe, tenendo le tendine aperte con due dita.
La strada è deserta, ma sente chiaramente il rombo dell’Impala che si accende in lontananza.
Chiude gli occhi, molla le tendine.
Dormire sarà una pacchia, stanotte.

Tra le cose che Castiel non ha previsto, c’è anche quella in cui Dean si ripresenta il giorno dopo.
O meglio, l’ha pensato, solo che l’ha sotterrato sotto strati e strati di rifiuto nella speranza che non succedesse. Beh, è successo. Non si è presentato a comprare il manzo essiccato, stavolta. Lo ha aspettato direttamente fuori, sempre appuntato a braccia conserte contro la macchina.
Castiel si avvia di nuovo, ignorando la sua presenza, tranne per quella stramaledetta punta degli stivali. Lo sta di nuovo seguendo. Non pensava fosse possibile odiare così tanto il cuoio sdrucito di un paio di stivali neri, eppure eccolo lì, l’odio pulsante, totalizzante, accecante.
La strada verso casa non gli è mai sembrata così lunga, la certezza delle sue quattro mura così lontana.
E non ha paura di confrontare Dean, oh no. È proprio quello il punto. Ha una rabbia talmente devastante in corpo che ne è quasi impaurito, ma non vuole dargli la soddisfazione. Non vuole concedergli un’unghia d’importanza.
Dean Winchester se n’è andato, e se vuole dirgli qualcosa, beh… non sarà certo Castiel a rivolgergli la parola per primo. Anche se sarebbe meglio se ne andasse, senza dirgli nulla come il giorno precedente.
Finalmente arriva al cancelletto nero sotto casa. Lo apre con un senso di gratitudine e di sollievo; ce l’ha fatta, anche oggi. Può farcela anche domani, se Dean si sente così idiota da ripresentarsi una terza volta.
Gli stivali spariscono dalla sua vista, ed ha finito il quinto scalino quando sente che qualcosa non va – la sua presenza è ancora lì, vibrante, anche se non al suo fianco.
Dean l’ha seguito.
“Ehi…”
Tira fuori le chiavi, apre il portone.
“Cas.”
È quell’esitazione di un secondo che lo fotte.
Dean deve averlo preso come un invito a farsi avanti, perché adesso sta parlando, ma Castiel non lo sente.
Cas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così?
Si risintonizza con lui quando vede la mano di Dean in procinto di poggiarglisi sulla spalla. Alza lo sguardo per fulminarlo, e Dean apre il palmo prima di farla ricadere sul fianco.
Sembra stia aspettando una risposta a qualcosa. Castiel non sa cosa sia, e comunque non avrebbe risposto.
Si sofferma più di quanto vorrebbe sul suo viso quando gli lancia un altro sguardo fugace, continuando a cincischiare con le chiavi.
“Senti, Cas…”
Ma dov’è quella dannata chiave?
“Voglio solo… ah… posso salire?”
Castiel si volta a guardarlo, un’espressione allibita dipinta in volto. Salire? A casa sua? Dopo chissà cosa ha fatto dentro questo edificio con Benny, vuole entrare nel suo spazio, nel suo tempio sacro? Nella sua casa?
“No.”
Trovata la dannatissima chiave, apre il portone.
Con crescente disagio, si accorge che non si chiude alle sue spalle come previsto.
“Senti, non sto cercando di tampinarti o che, voglio solo parlare, ok?”
Castiel si ferma sulle scale e si volta a centottanta gradi come una macchina, un movimento netto e perfetto. “Non ti conosco. Lasciami in pace.”
“Non mi conosci?” La voce di Dean è piena di derisione. Come se non fosse stato lui ad averlo trattato come uno sconosciuto solo il giorno prima.
“Ti sei presentato a me solo ieri, no? ‘Piacere di conoscerti’.”
Si avvia di nuovo su per le scala, ma Dean non demorde, lo tallona, e Castiel spera che finisca tutto prima che raggiungano il suo piano.
“Cosa volevi che facessi, che spiegassi tutto a Benny?!”
Ma certo, Dean si vergogna ancora di lui. Non è davvero cambiato niente.
“Sai, Benny,” la sua voce è più velenosa di quel che vorrebbe. “Lo conosco. Abitavamo vicini da ragazzi. Che coincidenza, eh?”
Dean boccheggia per qualche secondo. “Beh, non ci ho pensato. Possiamo non parlarne nelle scale…”
“Non ti invito a casa mia.”
“Non mi stai neanche dicendo di andarmene.”
Castiel si ferma con la mano sulla balaustra.
“Andiamo, Cas, hai lasciato che ti seguissi per due volte. Avrai qualcosa da dirmi anche tu.”
No. Dean ha travisato le sue azioni. E non ha intenzione di farlo salire per nessun motivo al mondo.
“Ti ho conosciuto ieri. Non ho niente da dirti.”
“Oh… Castiel!”, una voce femminile li raggiunge dall’alto. La signora Maige, la padrona di casa del secondo piano, sta scendendo le scale. “Mi sembrava di aver sentito delle voci,” lo apostrofa mentre li raggiunge.
Castiel si sente intontito dalla situazione, incapace di assimilare quello che sta succedendo. È tutto… troppo, e troppo in fretta.
“Oh, tesoro, hai finalmente deciso di riparare quella cosa che chiami macchina?”
Castiel batte le palpebre. “Uh?”
“Dean è il meccanico, no? Me lo ha detto Benny. Gli sta aggiustando il furgone. Ho sperato…”, le sopracciglia dell’anziana si piegano in uno sguardo implorante. Le iridi marroni sono accese, segno della forza d’animo contenuta da quel corpo fragile. Un tempo deve essere stata una donna bellissima.
“Ho sperato che finalmente portassi quel coso a dare una sistemata.”
Portare la macchina dal meccanico. In realtà non ci aveva pensato. A lavoro ci arriva comodamente a piedi, e non è che abbia tanti altri posti dove andare. Gabe e Anna lo vanno a trovare lì, e i suoi… beh. Con i suoi non parla da ormai sei o sette anni.
“No, uh…”
“Certo. Se il signore vuole portarmi la macchina, non ci sono problemi. Ho il garage non troppo lontano da qui.”
Dean sfoggia il suo sorriso e la signora si aggiusta i capelli senza neanche accorgersene.
“Ecco. Bravo, tesoro. Prendi il numero di Dean, vuoi?”
Castiel prende meccanicamente l’agendina dalla tasca, incapace di articolare un rifiuto sensato. Sfila la penna e si prepara a scrivere.
“Amico, non hai un cellulare?”
Dean ha uno strano luccichio negli occhi, il ghigno più aperto che mai, al contrario di Castiel, che stringe la bic tra le dita, il ricordo che gli riverbera addosso come una frustata.
Pensava di essere riuscito a cancellare più roba possibile, invece è solo rimasta sotto la superficie, come un vecchio mobile abbandonato, e Dean sta soffiando via la polvere. (“Sei strano forte.”)
“Il numero,” grugnisce.
Dean comincia a dettare.
Sotto lo sguardo compiaciuto della signora Maige, si segna un numero che, anche a giudicare dal sorriso soddisfatto di Dean, sanno entrambi perfettamente che Castiel lo ha già.
  
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