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Autore: whitecoffee    07/09/2017    0 recensioni
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❝«Quindi mi state dicendo... che questa ragazza mi ha visto nudo... tutto il tempo?!» Esclamò JungKook, sollevando il tono di voce di qualche decibel, verso la fine della frase. Arrossii come non mai, mentre lui si copriva il volto con le mani.
«Non che ci sia stato poi molto, da vedere» commentò YoonGi, facendogli un cenno con il capo.
«Yah!» Ribatté il maknae, ferito nell'orgoglio.❞
- Dove Sim Olivia si finge un ragazzo per ottenere il posto di assistente manager dei Bangtan Sonyeondan... ma non tutto va come previsto.
manager!AU | cross!dressing | dorm!life | boyxgirl
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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“Every time you name yourself, you name someone else.” 
Bertolt Brecht


 

Gangnam-gu, ore 20.40

 

La scena del vero MinSoo continuava ad apparirmi davanti agli occhi, mentre seguivo due settimi dei Bangtan su per le scale. Non avrei potuto permettermi neanche un passo falso. Abbassare la guarda, avrebbe significato la pubblica umiliazione e persecuzione legale: conoscevo fin troppo bene il modo in cui le majors si tutelavano, contro chi abusasse della loro benevolenza. Avrei dovuto prestare il triplo dell’attenzione, con i ragazzi, con i superiori e anche con le truccatrici. Sebbene YooNa mi avesse detto che c’era da fidarsi, avrei comunque fatto meglio a guardarmi le spalle.
Presa com’ero dai miei pensieri, neanche mi accorsi del fatto che JiMin si fosse voltato a guardarmi, e avesse sollevato un sopracciglio, attendendo una mia risposta. Battei le palpebre, confusa.
«Come, scusami? Potresti ripetere?» Domandai, iniziando ad arrossire. Lui ridacchiò, superando l’ultimo gradino poco dopo TaeHyung.
«Ti avevo chiesto da quanto tempo fossi arrivato alla Big Hit» disse, affabile. Il cuore mancò un battito. Cosa avrei dovuto dirgli? Ero arrivata solo quel giorno, non avevo idea di quanto tempo il vero MinSoo fosse stato lì. Ma, d’altronde, quel ragazzo era stato appena sbattuto fuori. Dipendeva tutto da me, ormai. Misi su un’espressione riflessiva, portandomi l’indice al mento.
«Uhm, questa mattina ho fatto il colloquio» mentii, basandomi sull’informazione di mia cugina. «E beh, ora sono qui».
«Aspetta che YoonGi hyung sappia che avremo un nuovo manager» commentò TaeHyung, ridacchiando. L’immagine del corvino che mi fissava ostilmente, nell’atrio, ripassò dinanzi agli occhi della mia mente. Già, aspetta che YoonGi hyung lo sappia. Deglutii.
«Non è un tipo amichevole, eh?» Tentai, raggiungendoli sul pianerottolo. Un buon odore di kimchi si diffondeva nell’ambiente, scivolando al di sotto di una porta bianca, lasciata aperta per mezzo di uno spiraglio. Al di sopra di essa, una foderina di plastica trasparente era attaccata alla superficie con dello scotch. All’interno della bustina, v’era un foglio bianco con dei caratteri stampati alla maniera occidentale. “Bulletproof Boyscouts”. Originale. Così, quello era il loro dormitorio. Mi domandai perché avessero deciso di scrivere il nome in quel modo e poi mi confusi. JiMin non aveva detto che si trovavano quasi tutti in sala prove?
«In realtà, si comporta in maniera ostile solo con chi potrebbe ridurre le sue ore di sonno» mi disse il ballerino, spingendo la porta con la sua piccola manina perfetta. Rimasi a guardare quelle dita minute, adornate da anelli in metallo sull’indice, medio e pollice, le unghie curate e l’incarnato privo di calli. Mi chiesi quanto potessero essere morbide, distrattamente.
«Quindi, ti odierà a morte» concluse TaeHyung, fingendo di darmi un pugnetto sulla spalla, amichevolmente. Emisi una risata talmente finta, che nemmeno il più grande attore cane di teatro mi avrebbe lasciata vivere in pace. Mi allargai il colletto della camicia con un dito, a disagio. Il nostro primo incontro non era stato un’esplosione di affetto e stima reciproca, anzi. E non si trattava neanche di partire con il piede sbagliato. Era un “non partire” e basta. Che gioia. Sarebbe stato facilissimo, lavorare come loro nuovo manager! Già iniziavo a pentirmene.
«Non dovevamo andare in sala prove?» Domandai, seguendoli dentro. JiMin annuì, togliendosi le ciabatte all’ingresso e procedendo in calzini lungo il corridoio. L’imitai, depositando con imbarazzo le mie piccole scarpe accanto alle loro calzature da casa, tutte visibilmente più grandi delle mie. Mi augurai che nessuno di loro ci facesse mai caso. TaeHyung aveva ovviato il problema, camminando direttamente scalzo. Stranamente, mi aspettavo esattamente un comportamento del genere.
«Sì, ma dobbiamo recuperare Jin hyung e YoonGi hyung» mi rispose il biondo. «Yah, mammina!» Chiamò poi a gran voce, alla ricerca del suo compagno di gruppo più grande. Mi guardai attorno distrattamente, notando una moltitudine di mura color crema, un parquet lucidissimo e luci calde incassate nel soffitto. Di quando in quando, un disegno fatto a matita incrociava il mio sguardo, dalla parete. Riconobbi le firme dei due giovani che mi avevano portata fin lassù, ai piedi di un ritratto di BoA e sul tetto di una casetta di campagna realizzata nello stesso stile di Van Gogh. Che particolarità. Non mi sarei mai aspettata di trovare simili decorazioni, nel loro dormitorio. Ma poi, pensai che quei poveretti dovessero passare quasi la totalità della loro esistenza, lì dentro. E che quindi valesse la pena di sistemarlo nella maniera più piacevole possibile.
Intanto, l’odore di ottima cucina era ormai diventato un’entità a sé stante, che ammaliava gli avventori come una sirena, promettendo gioia per il palato e soddisfazione per lo stomaco. Raggiunsi i due ragazzi, affiancando TaeHyung sullo stipite della porta. Trovai Kim SeokJin di spalle, intento a dilettarsi nel suo passatempo preferito: la cucina. Un ovvio, ma piacevole cliché. Se avessi scritto una fanfiction del genere, piazzandolo subito ai fornelli, i miei lettori si sarebbero fatti una risatina, roteando gli occhi. Eppure, eccolo lì, che fischiettava allegramente un motivetto a me sconosciuto, mentre rimestava il kimchi nella pentola.
«È sempre uno spettacolo, guardarlo preparare qualcosa» disse il castano, incrociando le braccia. «Si immerge completamente, come se entrasse in un mondo tutto suo. Non fa nemmeno caso a noi» aggiunse. Mi presi qualche attimo per osservarlo. Le sue spalle erano ampie come l’antica muraglia cinese, dritte e vaste quanto l’oceano. Ed io che pensavo che JungKook le avesse ancora più grandi, mi sbagliavo. Aveva il capo lievemente chinato in avanti, i lisci capelli biondicci in perfetto ordine. Indossava un maglioncino leggero beige, sopra ad un paio di jeans scuri, che fasciavano la parte inferiore del suo corpo in maniera impeccabile. L’intera scena sembrava tirata fuori da un drama, dove il male lead s’impegnava a preparare una lauta cena per la ragazza che voleva corteggiare. E invece era solo Kim SeokJin in tenuta da casa, che cucinava kimchi.
Se mai avesse deciso di intraprendere una carriera culinaria e fare programmi per la televisione, io li avrei guardati di sicuro. Ogni episodio, diligentemente. Era ipnotico vederlo muoversi attorno alle pentole, assaggiare, condire, abbassare o alzare la fiammella del gas. Una poesia anatomica di armonie in movimenti. Mi sarei premurata di filmarlo mentre si metteva ai fornelli, se fossi davvero rimasta a lavorare con loro. Il mondo aveva bisogno di bearsi dello stesso spettacolo a cui stessi assistendo anche io.
«Jin hyung, c’è qualcuno che vorremmo presentarti» disse JiMin, interrompendo il rustico idillio. Il giovane smise di fischiettare, volgendo il capo verso il biondo, che aveva acchiappato una mela, mordicchiandola seduto su uno dei ripiani liberi della cucina. Stava facendo dondolare i suoi piedini da ballerino nel vuoto, come un bimbo. Mi sentii inspiegabilmente attaccata dalla sua purezza, sebbene non avesse fatto proprio nulla, intenzionalmente.
«La tua ragazza, JiMinie? Allora esiste, ne hai una per davvero?» Chiese il più grande, incredulo. L’altro trasalì, avvampando. Si coprì il volto con la mela, oltraggiato.
«Ma che stai dicendo? Non possiamo avere fidanzate, è scritto nel contratto!» Si difese, scuotendo la testa. Ma Jin gli rivolse un sorrisetto malizioso.
«Certo» ribatté, allungando le vocali, asciugandosi le mani in quello che, notai, fosse un grembiule. Era rosa, con tanti gattini stile manga disegnati sopra. Oh, ma che carino. Avrei voluto vederci JungKook, con solo quello indoss… basta, Liv. Non è lui il tuo ultimate. Stop.
«Sul serio, hyung, è lui che devi conoscere» riprese il ballerino, indicandomi con un braccio.
«Lui chi?» Chiese Jin, voltandosi di tre quarti. Sentii TaeHyung darmi una leggera gomitata.
«Lee MinSoo, il nostro nuovo apprendista manager» mi presentò, mettendo in mostra le sue doti da MC. Il più grande m’inchiodò con lo sguardo, non comprendendo. Sentendomi tre paia di occhi addosso, iniziai ad arrossire. Mi allargai il colletto della camicia con un dito e sventolai una mano, provando a sorridere nel modo più convincente che conoscessi. Sperai di non aver fatto una smorfia.
«Ciao» pronunciai, dandomi mentalmente dell’idiota. Ciao? Quanti anni avevo, quattro?
«Che storia è questa? Avete di nuovo portato a casa una persona conosciuta per strada? Quante volte vi ho detto che non potete raccattare i passanti…» riprese il più grande, non bevendosi neanche una parola del suo amico.
«No, no» si difese JiMin, interrompendolo e scendendo dal ripiano con un silenzioso ed agile balzo. L’atterraggio di una fata. «Lui è davvero lo stagista del signor Kang, l’abbiamo incontrato giù dalle truccatrici».
«E perché mai dovremmo avere bisogno di un apprendista manager? Oltretutto, mi sembra molto giovane, quanti anni hai?» Mi chiese.
«Ve-ventidue» balbettai, arrossendo sempre più. Non era in quel modo che mi ero prefigurata il nostro incontro. Decisamente no. Mi sarei aspettata un’accoglienza più… tranquilla. Come quella di JiMin e TaeHyung. Provai a salvare il salvabile. «Il signor Kang dice che la mia presenza dovrebbe aiutarvi ad avere un’esperienza più “umana” della popolarità. Essere giovane era uno dei requisiti principali, perché così potrò comprendere meglio i vostri bisogni ed organizzare gli appuntamenti di conseguenza» spiegai. Sembravo un robot. Premio automa duemiladiciassette.
«Ma guarda, allora sa parlare».
Ci voltammo verso la nuova voce, il cui timbro mi ricordò inevitabilmente la raucedine tipica del sonno. Rividi Min YoonGi osservarci dal corridoio. Quando era arrivato? Non l’avevo sentito camminare. Aveva tolto il cappellino, lasciando che i disordinati ciuffi corvini gli ricadessero sulla fronte, coprendo quasi gli occhi. Si avvicinò di poco, con il suo passo silenzioso, rimanendo comunque ad una certa distanza. Mi scrutò, alla ricerca di qualsiasi elemento che potesse risaltare ai suoi occhi, per chissà quale motivo. Sentii che lui sarebbe stato lo scoglio più difficile da superare, lì dentro. La sua naturale diffidenza non gli avrebbe permesso di fidarsi di me e la mia insicurezza cronica ci avrebbe subito fatto il paio. Ottimo.
«Comunque, non sta dicendo cazzate. L’ho incrociato prima, nell’atrio. Sembrava un coniglietto sperduto, ma aveva il badge ufficiale» aggiunse il corvino, sprofondando le mani nelle tasche. Inaudito, stava prendendo le mie parti. Mi voltai verso SeokJin, incerta. Lui sollevò un sopracciglio, incredulo.
«Quindi non è un’altra delle vostre trovate fuori di testa?» Chiese a JiMin, il quale scosse la testa con vigore, in un fruscio di grano ondeggiante. Avrebbe potuto rifarlo, diciamo… all’infinito? Come una gif di Tumblr?
«No, hyung. È da venti minuti che cerco di dirtelo».
«Aish!» Esclamò lui, sollevando una mano e muovendo un passo nella sua direzione, facendolo schizzare dietro la sedia. Quello scatto mi spaventò. Allora era vero, quando i membri parlavano dei suoi attacchi di isteria latente, nelle interviste. Non che non lo avessi visto sbraitare nei videolog, ma pensai che si trattasse di una scena a puro beneficio delle telecamere. Risposta sbagliata. «Mi avete fatto fare la figura del burbero inospitale!» Aggiunse, alzando di molto i decibel del suo tono di voce.
«Yah, non è colpa nostra se non ti fidi di quel che diciamo!» Ribatté JiMin, urlando a sua volta.
«E te ne sorprendi pure? Dopo tutto quel che mi avete fatto passare?» Aggiunse. Sembrava uno di quei pupazzi del Muppet Show, quando davano di matto. Mi feci piccola piccola, aspettando che lasciasse defluire la rabbia. Evidentemente, scene come quelle succedevano quotidianamente, poiché YoonGi aveva iniziato a smanettare col cellulare, TaeHyung giocava con le sue stesse dita e il ballerino, ancora nascosto dietro la sedia, gli mostrava la lingua. Che manica di matti. Iniziai a pensare che YooNa non avesse realmente idea di come fossero, i Bangtan Sonyeondan, dietro le telecamere. Improvvisamente, vidi SeokJin sospirare e chiudere gli occhi. Inspirò profondamente, giungendo le mani.
«Zen» decretò, espirando e ripetendo l’operazione un altro paio di volte. JiMin si arrischiò a fare capolino dal suo nascondiglio, tenendo d’occhio la situazione. Giudicando il pericolo ormai cessato, si rimise in piedi, cercando di fare meno rumore possibile. Mi raggiunse, rannicchiandosi di poco dietro la mia spalla, usandomi come scudo. Gli lanciai un’occhiata confusa.
«Non può farmi male, se mi nascondo dietro di te» bisbigliò, direttamente nel mio orecchio. Lo spostamento d’aria ed il calore del suo respiro mi fecero venire la pelle d’oca. Cercai di distrarmi, evitando di pensare a Park JiMin a meno di un centimetro da me, mentre il suo profumo di lavanda mi stordiva. Intanto, Jin aveva riaperto gli occhi ed esibiva lo stesso pacifico sorriso delle statue di Buddha. Sentii TaeHyung tirare un sospiro di sollievo, spostandosi dallo stipite ed andandosi a sedere dove il suo amico si fosse nascosto fino a qualche minuto fa.
«Mi scuso per il modo brusco con cui ti ho trattato, prima» disse il più grande, inchinandosi di fronte a me. «Sono stato estremamente maleducato» aggiunse. Quello fu troppo. Iniziai ad avvertire il panico sulla pelle. Kim SeokJin che si fletteva a novanta gradi per scusarsi con me? No. Impossibile.
«Uhm… è tutto okay, non c’è bisogno…» balbettai, sfiorandogli la spalla con la mano, cercando di comunicargli che avrebbe potuto raddrizzarsi in ogni momento. Lo vidi tirarsi su, sorridendomi con gentilezza.
«Facciamo finta che questo sia il nostro primo incontro, va bene?» Chiese, ed io annuii. «Mi chiamo Kim SeokJin e sono il più anziano del gruppo. Piacere di conoscerti» si presentò, con un inchino decisamente meno formale. Lo imitai, a disagio.
«Lee MinSoo, nuovo apprendista manager».
«Ma che carini, benvenuti al primo giorno di scuola materna. Possiamo andare avanti? Vorrei cenare e tornare in camera ad editare il mixtape di Hobi-ah, se non vi dispiace» s’intromise YoonGi, dal corridoio.
«One verse, one verse» canticchiò JiMin, mentre Jin gli lanciava un’ammonitrice occhiataccia materna.
«YoonGi, non essere sgarbato» lo redarguì, ottenendo solo di fargli roteare gli occhi e scuotere la testa. Il mixta… oh mio Dio. Allora esisteva. Era in cantiere. Ci stavano lavorando. Agust D ci stava lavorando. Avrei voluto urlare e correre e saltare, abbracciare tutti quanti, aprire Twitter e fare una live reaction di quella notizia bomba, perché cavolo, il mixtape di HoSeok era in fase di editaggio! Ma rimasi lì. A grattarmi la tempia con aria confusa, come se non sapessi esattamente di cosa stessero parlando. Già mi pareva di udire la mia candidatura all’Oscar. Mi spiace, Leo, anche quest’anno la statuetta non l’avrai.
Improvvisamente, sentimmo un frastuono provenire dall’ingresso. Vedemmo la porta spalancarsi e lanciarsi all’interno uno dopo l’altro i restanti componenti dei Bangtan Sonyeondan. Kim NamJoon, vestito completamente di nero, che entrò sbadigliando; seguito da Jung HoSeok che lo sorpassò sprintando, un’espressione eccitata dipinta sul bel volto dai tratti armonici. Infine, richiudendosi la porta alle spalle, arrivò Jeon JungKook. E mi si mozzò il respiro. Il principale protagonista delle mie più selvagge ed indicibili fantasie si trovava a meno di cinque metri da me, vivendo e respirando il mio stesso ossigeno. Avevo rivolto più insulti a lui, nel corso della mia vita, che ai mostri nei videogiochi, a causa della sua strafottenza e della perfezione con la quale avesse l’ardire di camminare sulla terra. Il mondo si eclissò, quando lui sollevò la testa, notandomi e mettendo su un’espressione confusa. No, dovevo andarmene. Non sarei mai riuscita a lavorare, in quelle condizioni.
 I ragazzi si stiparono lungo il corridoio, scambiandosi delle strette di mano fraterne con YoonGi ed esibendo le stesse facce perplesse.
«Che vuol dire “il nostro nuovo manager ha la stessa età di TaeHyung”?» Chiese NamJoon, ad alta voce, sventolando il suo cellulare.
«E perché, “nuovo manager”? Kang hyung non va più bene?» Gli fece eco JungKook.
«Dov’è? Voglio vederlo!» Esclamò HoSeok. In sincrono, sia SeokJin che JiMin mi additarono, in silenzio. Tre paia di occhi scuri m’inchiodarono. Il ballerino di Jeju si fece avanti, mettendosi le mani sui fianchi e chinandosi affinché i nostri volti fossero alla stessa altezza. Mi arrischiai a lanciargli un’occhiata, per poi incollare lo sguardo al pavimento, con vergogna crescente. Caspita, il parquet brillava. Potevo sentire il profumo di muschio del deodorante del ragazzo che mi stesse di fronte. Avevo smesso di respirare.
«Ma che carino, che è! Sembra una bambolina, ha i lineamenti più delicati perfino di TaeHyung!» Quasi urlò HoSeok, gettandomi le braccia al collo e stringendomi in un abbraccio da orso. Sbarrai gli occhi e, nello stesso momento, il signor Kang entrò nell’appartamento. Rimase fermo sull’uscio, squadrando sia Hobi che me, sollevando un sopracciglio. Per quel che mi riguardava, avrebbe potuto lasciarmi lì a vita. Era l’abbraccio più bello di sempre, come non ne avevo ricevuti mai. E la gente si permetteva di scrivere commenti offensivi su di lui, dicendo che non aveva talento e mancandogli continuamente di rispetto. Folli. Avrei fatto in modo che lui ottenesse l’attenzione che si meritava. A qualunque costo.
«Perché fate tutto questo chiasso?» Chiese, richiudendo nuovamente la porta e facendosi strada fra i corpi assiepati in corridoio. «Sedetevi in salotto, ci sono delle cose di cui parlare. E, HoSeok, l’apprendista mi serve vivo. Lascialo respirare» disse, sparendo in un’apertura a destra.
«Ops» commentò il ballerino, sciogliendo la stretta e restituendomi alla vita terrena. Mi sorrise, ammiccando e seguì i suoi compagni di gruppo, dandomi le spalle. Mi lasciai sorpassare dai ragazzi, ancora sconvolta. Udii solamente TaeHyung dire, a mezza bocca, “potevano darci una ragazza”. Ah, beata ignoranza. Pensavano davvero che io fossi uomo. Nessuno si era accorto di nulla.
«MinSoo, aspetti una convocazione ufficiale, o ci degni della tua presenza?» Tuonò il signor Kang dal salotto. Mi scossi immediatamente.
«Sì signore. Arrivo, signore» risposi, affrettandomi a raggiungerli. Perché sembravo una matricola dell’esercito americano, in ritardo per la sessione quotidiana di addominali e flessioni? Ma, soprattutto, come avevo fatto a vivere, tutti quegli anni, senza mai essere stata abbracciata da Jung HoSeok?


 

   
 
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