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Autore: Stregatta_Khan88    11/09/2017    0 recensioni
Dopo un mese, Diana e Chef Russel si incontrano nella splendida Roma: lei decisa a portare avanti il suo progetto letterario; lui convinto di volerla aiutare... Ma quando due poli opposti si attraggono e due arti diverse trovano tante similitudini tra loro, è difficile fermare un fuoco che divampa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Diana guardò il vetro della porta scorrevole del treno, che le rimandò la sua immagine. Indossava un abito a maniche lunghe azzurro, lungo fino alle ginocchia. Un paio di collant trasparenti e gli anfibi neri ai piedi, i suoi fedeli occhiali inforcati sugli occhi ed i capelli raccolti in una treccia.

Le ruote metalliche del treno stridettero, scuotendola leggermente in laterale, e la “Freccia Rossa” si fermò al suo binario.

Prima che le porte scattassero per aprirsi, trasse un sospiro d'incoraggiamento per poi scendere con il suo zainetto in spalla ed il trolley nero appresso.

Roma Termini, la stazione principale della Capitale, era affollata e caotica, piena di gente, suoni e rumori. Il parlottare della folla era intenso, i volti loschi numerosi, alcuni clochard agli angoli dormivano tra sudicie coperte e cartoni. Diana ebbe alcuni momenti di smarrimento e non negò neppure un velo di paura tra tutta quella gente. Sola, in Roma Termini, non era il caso di restare a lungo.

Ciao, sono arrivata” scrisse a Russel attendendo vicino ad uno dei bar interno, dove aveva individuato un paio di guardie dalle quali non voleva separarsi, almeno finchè non avrebbe visto Gabrio. La ridicola suoneria giapponese del telefonino di Diana iniziò a cantare.

Senza guardare il dispaly, avviò la chiamata.

«Aoh, Dia', ndo stai?».

Quel bizzarro modo di salutarla le fece tirare un sospiro di sollievo: la voce di Gabrio era normale, non irritata. Di sottofondo percepì rumore di auto.

«Sono dentro la stazione».

«Esci fori, so' davanti l'ingresso».

Velocemente si avviò verso l'uscita, stando attenta alle persone che le passavano vicino, accertandosi non vi fossero borseggiatori che tentavano un colpo.

Il sole della Capitale era alto e forte, di un calore intenso da farle quasi pesare il vestito di cotone. Fortunatamente la grande tettoia esterna non permise ai raggi del sole di accecarla troppo: vide, vicino alla fermata dei pullman, la grossa Dacia mimetica. Russel stava appoggiato a braccia conserte al fianco dell'auto.

Il cuore di Diana sobbalzò fin dentro la sua gola nel vederlo sorriderle e e salutarla con un gesto della mano. Le sue gambe rimasero bloccate, dandole il tempo di controllare che non passassero automobili poi si avvicinò allo Chef, con il viso fattosi dello stesso rosso della camicia di Russel. Morse il labbro, prima di guardarlo in volto, raccogliendosi una ciocca di capelli, incalzando timidamente:

«Ciao Gabrio».

«La mia scrittrice preferita» la abbracciò, e per via dell'impeto del gesto, a Diana scivolò di mano la barra del trolley, che cadde rovinosamente a terra. Lo ignorò, ricambiando soltanto quell'abbraccio forte ed avvolgente, godendo della sicurezza che le trasmise.

Oh, Gabrio... Avrebbe voluto sospirare Diana, trattenendosi a stento.

«Annamo va, che Termini non è il luogo più sicuro della città» prese lui il trolley, anticipandola sul tempo, e con un solo gesto lo caricò sul sedile posteriore dell'auto.

«Ho tempo fino alle tre per il check-in in hotel» dichiarò Diana salendo sulla macchina. Mettendosi al posto del guidatore, Russel chiese:

«Dove hai prenotato?».

«Al Black and White Palace».

«Non lontano dal Colosseo» Gabrio s'immettè nel traffico stradale. Nel frattempo Diana mandò alcuni messaggi per avvertire le amiche ed i genitori del suo arrivo, viaggio tranquillo e raggiungimento della destinazione puntualissimo.

«Posizione pressochè centrale, quattro stelle e se magna pure bene. Brava, Dia', ce sai fare con le prenotazioni online».

«Me la cavo, ho comunque studiato turismo, quindi qualcosa so farlo» Diana guardò fuori dal finestrino, sentendosi molto emozionata, un po' per la presenza di Russel che guidava accanto a lei, un po' per la vivacità di quella città, le sue strade trafficate, le sue vie affollate di gente e gli svariati rumori della metropoli, che un tempo era stata la capitale di uno dei più grandi imperi del Mondo.

Naturalmente anche il clima a Roma presentava una temperatura più alta, o forse era un altro il motivo per cui si sentiva decisamente accaldata...

Sbirciò Russel e le sue braccia muscolose e tatuate, per poi rivolgersi di nuovo alla strada.

No, non è per il caldo! Pensò facendosi aria con una mano. Fu allora che Russel premette un tasto situato sul quadro comandi del volante ed il tettuccio della macchina si aprì. Diana guardò il pertugio con occhi grandi, prima di mirare Gabrio che affermò con una tranquilla alzate di spalle:

«Mi sembrava che avessi caldo».

«Un po', effettivamente» rivolse ancora gli occhi al cielo azzurro che scorreva, ammirabile dall'apertura del tettuccio. Ridacchiando si slacciò la cintura e si alzò in piedi, uscendo dal pertugio. Russel, sgranando gli occhi, abbaiò:

«Diana che stai a fa? Ce fermano gli sbirri».

«Ho sempre sognato farlo!» Esultò lei all'esterno del tettuccio, iniziando anche a cantare in un inglese contorto per la gioia. Sapeva l'inglese, ma non le importava cantare bene in quel momento: era esaltata con quel qualcosa di più, una sorta di libertà che non ricordava di aver mai provato.

«Nun te fa bene troppa aria» commentò Russel a bassa voce, rallentando ad un semaforo rosso. Si accorse di una coppia di anziani che fissavano lui e Diana perplessi. Con un gesto di resa, poco prima di riavviare l'auto allo scatto del verde, Gabrio esclamò: «L'ho trovata sulla macchina, la sto riportando alla neuro».

Diana trattenne un'esclamazione di stupore, quando vide in lontananza gli archi del Colosseo che con il sole di quel giorno, la pietra che lo componeva, sembrava quasi d'oro.

Senza mai smettere di fissarlo tornò a sedersi composta a labbra dischiuse.

«Sei davvero fortunato a vivere qui, Gabrio».

«Te piace er Colosseo?».

«Uhm, secondo me hai combattuto dentro come gladiatore» riflettè Diana analizzando Russel con una mano sotto il mento. Lo Chef sospirò:

«Me lo sento che sarò un eroe fantasy, tipo gladiatore cibernetico o centauro mutaforme».

Diana esplose in una fragorosa risata. «No, dai, ho promesso di fare un contemporaneo, non ti farò crescere ali o zoccoli da cavallo».

Ridacchiando, Russel appoggiò una mano sul ginocchio di Diana, accarezzando il tessuto dei collant. Lanciò una sbirciata alle sue gambe che lei strinse d'istinto, facendo finta di nulla. Alzò un sopracciglio mormorando:

«Velate, a n'vedi».

Diana, con una risatina isterica, abbassò la testa. Quando si accorse del silenzio caduto ed occhieggiò Russel, lo notò serio e pensieroso. Lo strattonò leggermente per un lembo della manica della camicia, quasi a volersi accertare fosse sveglio.

«Non è proprio Roma la mia città e quasi nemmeno più Frascati lo è. Ho iniziato a viaggiare a diciotto anni ed ancora viaggio, è come se il mondo fosse diventato la mia casa. Raramente sono rimasto fermo a lungo, figurati ora che sono in televisione».

«Ti manca mai la tua casa?» Osò domandare lei.

«Ogni tanto, ma ci ho fatto l'abitudine».

Lei gli sorrise. La guardò, quando si fermarono incolonnati ad un semaforo, assumendo uno sguardo perplesso dal volto dolce della ragazza.

«Un mio amico, una volta, mi disse che più si evade e più si sente il bisogno di casa propria, non si può mai sfuggire dalle proprie radici».

Russel contemplò quei due occhi indaco con intensità, mentre codificava quel messaggio. In fondo, in fondo non le diede completamente torto, ma ancora di più si stupì di un altro pensiero, che gli sfiorò la mente: se in futuro si fosse mai fermato, avrebbe voluto farlo per stare con lei, starle vicino e non allontanarsi mai più, per non lasciarla più sola.

Piuttosto l'avrebbe portata con sé.

Seguì il flusso delle auto, ancora immerso nelle più profonde riflessioni: non si era mai concentrato così tanto su di una donna prima, ma quella volta era stato colpito dal fulmine a cui lui non aveva mai creduto.

Apprezzava le belle donne, ma non aveva mai sentito il bisogno di perdere la testa per una di loro, arrivando ad immaginare di donarle il cuore come avrebbe fatto con Diana, che sentiva così simile a sé, come le loro arti affini.

«Siamo quasi arrivati» annunciò sorridendole, svoltando ad una rotonda e percorrendo altri cinquecento metri, fino ad una grande cancellata in metallo che accerchiava un immenso cortile, con alberi e parcheggi riservati di fronte all'albergo.

Il grande hotel aveva un ampio ingresso con le porte a vetri e l'intera facciata era occupata dai numerosi balconi delle camera sulla struttura principale. Le due ali laterali, erano caratterizzate da muri bianchi e cornicioni neri.

Diana aveva visto le immagini da internet del luogo, ma dal vero era tutta un'altra storia e non trattenne un fischio di stupore.

Russel scese per primo e l'aiutò a scendere, prendendo il suo trolley. Mentre entravano, annuendo tra sé e sé, disse:

«Sai, Gabrio, avevi ragione: non me la cavo, ci so fare davvero con certe ricerche».

«Sei tu che non mi credi» puntualizzò lo Chef.

Operazioni di check-in in hotel, e mentre Diana si registrava, confermando la sua prenotazione, Russel rimase seduto ai divanetti della hall, giocherellando con le chiavi dell'auto, che seguitò a rigirare tra le mani salutando quelli del personale dell'albergo che passavano: li conosceva quasi tutti ed, ovviamente, loro conoscevano lui.

Finita la registrazione, Diana affidò ad uno dei facchini la sua valigia, tenendo soltanto il suo zainetto ed il block notes in mano con la sua penna.

Stringendosi nelle spalle, imbarazzata dallo sguardo tenebroso di Russel, gli si avvicinò e chiese:

«Immagino che tu abbia impegni oggi, no?».

Lo Chef la scrutò alzando un sopracciglio:

«Il mio contratto prevede anche periodi di sosta. Come si suol dire, ferie».

«Oh, allora non giri il mondo 365 giorni l'anno».

«A volte me fermo anch'io» ammise alzandosi in piedi. Diana indietreggiò un passo, notando ancora quanto fosse alto e statuario rispetto a lei, bassa ed un po' in carne. Russel era quello alto, muscoloso e figo, capace di abbattere un muro. Poi c'era lei, che si sentiva un minuscolo e lardoso bignè.

«Almeno sono dolce e morbida» mormorò con l'immagine del bignè inchiodata davanti agli occhi della mente, sbirciando Russel che la osservava in silenzio, le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Che hai detto?».

«Nulla, non farci caso» tirò un sospiro e si lisciò le pieghe del vestito azzurro, sistemando gli occhiali

Come due creature di razza diversa, lei e Russel si studiarono per alcuni istanti. Diana udì una vocina nella testa, che le ricordò quella di Romina, quando l'assottigliava per fare commenti sconci:

Hai fatto l'amore con quest'uomo!Attenta o farai tanti mini Russel!

Non trattenne uno sguardo esasperato, immaginando già l'interrogatorio delle amiche quando le avrebbe contattate, ma non era il momento di pensarci quello e tutto ciò che desiderava era godersi quel periodo di evasione dalla sua quotidiana vita.

Strinse al petto il block notes, rendendosi conto che quella era la prima volta che si allontanava tanto da casa sua per scrivere un libro.

«Te vedo già energetica, nonostante er viaggio. Immagino che se te dicessi de recuperare energie, per oggi, la tua risposta sarebbe “no”, vero?».

«Sono troppo euforica per fermarmi ora» dichiarò non rendendosi conto di avere gli occhi lucidi. Quel particolare non sfuggì a Russel, però.

«Perchè stai a piagne?».

«Piagne?».

«Stai piangendo, hai già nostalgia de casa?».

Diana si morse il labbro incerta se replicare onestamente o no, ma alla fine si decise a confidare:

«Pensavo soltanto che questa è la prima volta che viaggio sola per redigere un romanzo. Sola, in una città grande e lontana, dove non conosco nessuno».

«Me conosci?».

Lo sbirciò: «Sì, ti conosco».

«Nun te serve altro! Sei con me, che risponderò a tutte le tue domande per il libro e per interesse» la prese per le spalle trascinandola con sé verso l'uscita.

«Interesse?» Chiese Diana.

«Ad ogni angolo che vedrai di questa città, te volterai e le domande te sorgeranno spontanee. Se dice che nun basti 'na vita per scoprire Roma».

Sorridendo e senza mai smettere di osservarlo, Diana salì sulla sua macchina. Inclinò il capo, quando le si sedette vicino.

«E tu saprai rispondere a tutte le mie domande?».

Russel fissò il quadro comandi, bloccandosi nell'atto di infilare la chiave nell'accensione dell'auto, sbattendo a vuoto le palpebre. Mimò due colpi di tosse nervosa.

«Tutte...» mormorò. «Sicuramente pe'l libro risponderò a tutto, pe' gli interessi dovrai perdonarmi se non saprò darti 'na degna risposta. So' solo un frascatano».

«Be', sei nato a dieci minuti dalla Capitale».

«Tre quarti d'ora» la corresse, «Pe' questo ho sempre addosso i laziali su Twitter».

«Insopportabili» esclamò Diana rabbiosa. «Ti seguo su Twitter e leggo quelli che ti danno addosso, quando c'è il derby, per non parlare poi di quando esprimi le tue idee politiche, meno male che tanti sono dalla tua parte, ma quei cagacazzi...».

«Aoh, Dia'! Certe parole nun stanno bene in bocca ad una signorina» la rimproverò avviando la macchina e lasciando il parcheggio.

«Scusa, mi è sfuggita» sorrise in modo teso. Schiarì la voce aggiungendo: «Però, in merito ai tuoi Tweet, posso dire solo che sei un autentico provocatore e sovversivo».

La fulminò con uno sguardo:

«Ce l'hai con me?».

Diana rise: «No, mi piaci così, soprattutto perchè non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno».

«Ce provo a lasciar perdere, a volte, ma è più forte de me, nun riesco a sta' zitto» confidò adocchiandola con un sorriso audace.

Pur cercando di non darlo a vedere, Diana si sentì fremere il ventre basso, a causa di quell'espressione. Di nuovo la vocina starnazzante tra i suoi pensieri ribadì: piccoli Russel! Piccoli Russel!

Era stata la signora Russel per una sera che si sarebbe ripetuta? Magari quel titolo si sarebbe ufficializzato? Pensieri assurdi!

Russel non si fidanzava, il suo lavoro lo obbligava a viaggiare troppo per legarsi ufficialmente.

Diana non doveva rattristarsene: era consapevole di chi fosse, cosa facesse e come la pensasse sui fidanzamenti, anche se lui stesso si era domandato se, al Mondo, esistesse la famosa signora Russel che lo avrebbe seguito in capo al mondo.

«Da Roma a Bankok» dichiarò lei senza riuscire a fermare quel pensiero, che si articolò in parole.

«Che?».

«Non farci caso» si giustificò mettendosi composta sul sedile. «Allora, dove mi porti?» Sviò il discorso strizzando l'occhio a Gabrio.

 

Dall'alto la visuale dell'interno del Colosseo era molto più chiara: erano ben visibili i macchinari antichi che permettevano di alzare ed abbassare la pavimentazione per riempire d'acqua l'Anfiteatro e tramutarlo in una battaglia navale a grandezza naturale.

Diana osservava appoggiata al parapetto metallico, traccia di modernità all'interno del Colosseo, ed ascoltava la guida che si trovava un gradino più in basso. Russel se ne stava seduto alle sue spalle, sulle gradinate fatte di pietra. Conosceva a memoria storia e caratteristiche del monumento più noto di Roma.

La guida si allontanò con la comitiva e Diana tornò a sedersi con lo Chef, sciallato sulla pietra. Non appartenendo a nessuna comitiva guidata potevano permettersi di girare nell'Anfiteatro come pareva e piaceva loro.

Diana si strattonò il colletto del vestito: faceva caldo veramente sotto il sole. Il cielo azzurro terso era segnato da una ragnatela di scie bianche degli aeroplani.

«Scie chimiche» commentò Russel.

«Non farti sentire, i servizi segreti si aggirano ovunque, sai? E potrebbero essere chiunque, una moglie, un figlio, un genitore...».

«Se' de' servizi segreti tu?».

«No» sbottò Diana coprendosi la bocca con le mani e fissandolo ad occhi spalancati.

Lo Chef assunse la sua tipica espressione inquietante. Indicò con un cenno del mento il quaderno che Diana aveva sulle ginocchia.

«Te vuoi farme l'interrogatorio, si sa mai» rise. Diana, istintivamente, afferrò il quaderno stringendolo a sè.

«Credevo fossimo d'accordo, tu stesso hai parlato di collaborazione per questioni di marketing».

«Ehi, sto a scherza'» le pizzicò una guancia. «Lo so che non sei una spia».

«Solo una scrittrice squattrinata» bofonchiò abbassando il capo e chiudendosi in sé stessa. Russel l'avvicinò a sé, avvolgendole la vita con un braccio, posandole la testa sul capo.

«Dia', a volte gli ostacoli sono alti da superare, ma con l'impegno e la volontà si ottengono risultati. Probabilmente la tua carriera è anche iniziata per gioco, un po' come la mia, nun penso avresti mai messo 'n conto de incontrarmi, come io nun avevo mai messo 'n conto d'esse' conosciuto».

«In effetti è vero» lo adocchiò timidamente, «Sinceramente ero così convinta di volerti conoscere che, forse, prima o poi, ti avrei incontrato in altri contesti, in altri posti ma...» s'interruppe arrossendo.

«Nun pensavi de piacermi e risveglia' la parte der Chef sadico e zozzo» concluse lui.

Scoppiarono a ridere entrambi.

«Mi hai letta nel pensiero! D'accordo, è vero» ammise Diana osservando ancora la “platea” del Colosseo, prima di sorridergli esclamando: «Ebbene, caro il mio Chef, siamo qui. Che aspetti a farmi conoscere lo steet food romano?».

Russel la mirò in silenzio con espressione seria, massaggiando la barba.

«Li mortacci, non scherzi mica... Mi sto convincendo che sei dei servizi segreti».

Diana rise scuotendo il capo e si alzò, prendendolo per la mano. Si rese conto che la sua forza non sarebbe mai bastata a schiodarlo dal posto dove se ne stava comodamente seduto, affermando di sentirsi un Imperatore. 

   
 
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