DEL COME JULIUS DIMOSTRA DI ESSERE TUTT’ALTRO CHE UN TIPO MUMMIFICATO E DI VOLER BENE A DANA IN UN MODO DEL TUTTO SUO
Era la mattina del 23 Dicembre.
E nevicava forte in quel di Oxford.
Dana era pronta per partire per gli Stati Uniti ed aspettava da un momento all’altro che Tomo, che non vedeva da più di un mese e che aveva messo a punto il loro piano d’azione, suonasse il campanello della dimora dei Carnarvon.
La ragazza si trovava nella stanza adibita a studio, quella con il finto sarcofago di Tutankhamon, e guardava il paesaggio innevato dalla stessa finestra che dava sul giardino dalla quale, un mese e mezzo prima, aveva risposto alla telefonata che le aveva cambiato la vita: quella di Sarah che la invitava al concerto dei 30 Seconds To Mars.
Dana, che ormai aveva compreso che Tomo era l’uomo della sua vita, era grata alla cugina di Julius come nemmeno Sarah avrebbe mai potuto immaginare. Attraverso di lei, il destino le aveva dato una seconda opportunità con Tomo che, grazie al cielo e grazie anche alle manovre di Shannon e Tim, lei non aveva buttato via.
Ma ora lei e Tomo dovevano consolidare il loro rapporto.
Dovevano uscire allo scoperto e diventare una coppia.
Nel mondo del gossip e tra le echelon, per colpa e/o grazie alle foto scattate la sera del Ball Blood davanti all’hotel, le voci di un probabile fidanzamento di Tomo stavano già girando, i Leto cominciavano a fare domande di vario tipo (quella preferita di Shannon era ‘Ma non è che Dana assomiglia a qualcuno che conosco?’) e lei… ora doveva parlare a Julius.
Assolutamente.
Doveva dirgli che non si sarebbe MAI fidanzata con lui e che, anzi, a Maggio dell’anno a venire sarebbe tornata negli Stati Uniti, che il professore l’avesse aiutata a finire il dottorato o meno.
Mentre pensava a come iniziare il discorso e il cuore le batteva forte per l’agitazione, Julius, tranquillo come sempre, arrivò nello studio con la sua elegante giacca in tweed, il papillon e il foulard del taschino intonati e la solita andatura da scienziato con la testa tra le nuvole alle prese con la sua teoria del Caos.
“Dimmi, mia cara, mi cercavi?”, le disse subito, sorridendo.
Dana gli si avvicinò, un po’ tremante. “Ehm… sì. Devo parlarti.”
“Benissimo. Sediamoci.”
Dana si sedette, sulle spine, su una poltrona dirimpetto a quella in cui si era seduto Julius e si schiarì la voce: “Julius, io… ehm… dunque… ehm… un mese fa, a Londra… ehm… io ho incontrato un ragazzo.” Era meglio non fare tanti preamboli, non cercare scuse o mezze verità, visto anche che non ce n’erano.
Le sopracciglia di Julius si incurvarono: “Che ragazzo?”
“Ehm… Un ragazzo che frequentavo a Los Angeles prima di venire qui con te e…”, Dana si interruppe sperando ardentemente che Julius capisse tutto, completasse la frase, traesse le conclusioni e si convincesse immediatamente.
“E…”
“Ehm… io… lo amo e col tempo voglio sposarlo.”
Dana, che chissà perché si era aspettata lo scoppio della Terza Guerra Mondiale con contorno di fuochi di artificio e una resurrezione di Tutankhamon in persona, rimase stupita di fronte ad un Julius rimasto quasi impassibile che le disse soltanto “OK.”
La ragazza pensò che quella era la prima volta che sentiva Julius dire quella parola prettamente americana e che non si addiceva al dizionario di solito piuttosto forbito del professore. Per un momento pensò di non avere capito: “OK?”
L’uomo annuì con il capo: “Sì. OK.”
“Ma Julius…”
“Se è la persona che penso io, allora è OK.”
Dana strabuzzò gli occhi: “A… a chi pensi?”
“A quello strano tipo che ha osato insultarmi quel giorno a Los Angeles dopo la conferenza sul Caos. E’ lui, vero?”
Dana arrossì, senza volerlo e senza sapere bene perché: “Sì.”
Julius annuì: “Va bene.”
Dana era assolutamente esterrefatta. A Julius non importava proprio un cacchio di lei? “Ma tu…”
Julius si passò una mano a lisciarsi la giacca e poi sospirò, enunciando: “Sì, tu mi interessi, Dana. Ma con me non saresti mai felice. Lo so.”
“Ma Julius…”
“Io… io non ti ho mai toccata, non mi sono mai spinto oltre, perché so che tu in fondo non mi vuoi. E non mi hai mai voluto. Nemmeno per un secondo.”
La ragazza rimase di stucco. Era vero: Dana non aveva mai pensato a Julius come ad un fidanzato, un amante, un marito. Non gli si era mai avvicinata con l’intenzione di coccolarlo, baciarlo, abbracciarlo, non aveva mai sentito un impulso sensuale nei suoi confronti. Non aveva mai pensato a come poteva essere fare sesso con Julius.
Mai.
Lei non lo voleva.
Perché non lo amava.
E Julius, sorprendentemente per lei, lo aveva sempre saputo e si era comportato come un galantuomo d’altri tempi. Da non credere.
L’uomo continuò, di fronte ad una Dana perplessa come non mai: “Io ho aspettato tutto questo tempo che ti schiarissi le idee, perché non ti volevo senza che tu fossi convinta. Non mi pareva giusto. Volevo che fossi TU a scegliere me. E non l’hai fatto. In sei mesi non l’hai fatto. Non lo faresti in dieci lustri.”
A Dana vennero le lacrime agli occhi: l’analisi di Julius era perfetta. Non c’era nient’altro da dire. “Scusa, Julius.” Si limitò a dire, abbassando la testa. “Mi odierai, ora.”
Ma Julius era davvero un tipo speciale, unico, fatto con uno stampo che poi era stato buttato via. “No.”
Si alzò dalla poltrona e le si avvicinò. Anche Dana si alzò.
Lord Carnarvon le prese la mano e gliela baciò, in perfetto stile anglosassone, con tanto di inchino: “Mia signora, mia Lady della teoria del Caos, vi conviene portare fuori le valigie perché il vostro cavaliere arriverà a momenti.”
Fossero state parole pronunciate da un altro, avrebbero potuto sembrare una presa in giro bella e buona, ma dette da Julius no. Dana lo guardò in viso per un attimo, poi gli si buttò tra le braccia e lo strinse a sé, commossa: “Grazie Julius. In questi sei mesi hai capito di me più di quello che avessi capito io.”
Julius si schernì: “L’avevi capito anche tu, ma non volevi ammetterlo. Eri troppo orgogliosa per farlo. Troppo accecata delle tue scelte.”
“Forse sì.”
L’uomo le sorrise, accarezzandole leggermente una guancia: “Basta dai. Va bene così. Vai da lui.”
“Grazie, Julius.”
“Fammi sapere se vuoi continuare il dottorato qui o tornare a Los Angeles.”
Gli occhi di Dana brillavano alla luce del caminetto. “Va bene.”
“E intanto ti mando gli appunti per scrivere l’articolo per il ‘Physics Review’ che pubblichiamo dopo le feste, d’accordo?”
“OK.”
“E Buon Natale, anche alla tua famiglia.”
Dana gli fece gli auguri dandogli due baci, uno per guancia, poi, sentendo suonare il campanello, uscì dalla porta dello studio quasi di corsa, quasi volando, con il cuore leggero leggero, ancora incredula che fosse stato tutto così semplice.
Invece Julius, non più tanto sorridente e sicuro di sé, fatti pochi passi si risedette lentamente e pesantemente sul divano a fissare le fiamme del caminetto, mordendosi un labbro e lisciandosi con una mano i baffetti chiari.
L’uomo sospirò affranto.
Era stato difficile lasciarla andare via, ma…
Non era anche quello amore? Volere il
bene di chi si ama,
anche se la sua felicità non dipende da noi? Sì,
anche se faceva un gran male
dentro, nell’animo, nella profondità delle viscere.
Dopo un po’, la madre di
Julius entrò e gli appoggiò una
mano su una spalla, senza dire niente. L’uomo, riscuotendosi,
prese la mano di
Lady Carnarvon e gliela strinse leggermente, continuando a fissare il
fuoco che
consumava il ciocco di Natale.
“Dana è andata
via.”, la voce della donna era un sussurro.
Julius annuì leggermente:
“Sì.”
“Per sempre?”
“Non ho idea. Forse
sì.”
“Potevi ricattarla quanto
volevi per tenerla qui.”, gli
disse sua madre, quasi con un moto di rabbia, a denti stretti.
L’uomo scosse la testa
debolmente, guardando un attimo sua
madre: “No. Non avrei mai potuto.”
“Lo so. Immagino. Ma potevi
usare quello che sai per
svergognarla davanti a tutti e se teneva tanto alla sua carriera di
scienziata
magari avrebbe rinunciato a quell’uomo, magari sarebbe
rimasta qui...”
Julius scosse la testa. “Non
credo. La musica fa parte di
lei, la musica avrebbe vinto comunque e credo che ora la musica
prenderà il
sopravvento nella sua anima e la scienza la perderà per
sempre.” Julius
estrasse il telefonino dalla tasca e vi cercò una foto. Poi
passò il cellulare
a sua madre: “Perché questa è la vera
Dana. Lo so per certo.”
Eve, nel piccolo schermo del
cellulare, vide un’immagine di
Dana con una chitarra elettrica bianca al collo, in minigonna scozzese
e con i
capelli mossi dal vento artificiale di un teatro. Lo sguardo perso nel
vuoto,
il viso sudato, l’espressione quasi allucinata. Era la sera
della
gara-concerto. Lei sapeva che suo figlio aveva quella foto, lui gliene
aveva
parlato, ma Eve non l’aveva mai vista.
“Com’era a suonare
la chitarra?”, chiese, dopo un po’.
“Eccezionale.”
Julius si alzò, riprese il telefonino, lo spense
e si girò per andarsene. “Ma non
gliel’ho mai detto…”, concluse, con
amarezza.
“Come non le ho mai detto che l’amo da
morire.”
P.S.
Julius
Carnvarvon non esiste perché uomini del genere nella
realtà non credo esistano,
ma mi è piaciuto pensarlo, almeno per un capitolo. Baci e
grazie per le recensioni su questa e sulle mie altre ff! :-*** Shanna.