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Autore: Roscoe24    17/09/2017    5 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notizia che Jace Lightwood uscisse con una ragazza che sembrava aver catturato tutte le sue attenzioni, gettò nel lutto la popolazione femminile della scuola. Alcune andavano persino a chiedere conferma ad Alec.
“Dicono che tuo fratello esca con una certa Clary Fairchild. È vero?”
Aveva perso il conto delle volte in cui aveva risposto affermativamente e aveva visto le ragazze andare via indignate, come se fosse colpa sua se Jace aveva perso la testa per la rossa. Uscivano insieme da due settimane, ormai. E Alec, da quattordici giorni a questa parte, si sentiva ripetere da suo fratello ogni particolare delle uscite con Clary.
Una sera, dopo averlo minacciato di morte se avesse parlato con qualcuno di quello che stavano per fare, si erano persino seduti sul pavimento, uno di fronte all’altro con le schiene appoggiate ai rispettivi letti per stare a parlare di lei.
“Mi fa stare bene, capisci? Ha quel modo di fare tutto dolce e carino, ma mi tiene testa come non ha mai fatto nessuna. E mi capisce, Dio, se mi capisce. Le basta uno sguardo e sa cosa mi passa per la testa.”
Jace si era lasciato andare persino ad un sospiro trasognato e Alec, anche se la voglia di prenderlo in giro era tanta – d’altronde, lui l’aveva sempre fatto con Meliorn – si mostrò interessato alla cosa. Forse perché lo era davvero. Forse perché era curioso di sapere come si comportavano i ragazzi della sua età agli appuntamenti. Magari avrebbe potuto persino imparare qualcosa.
“Gliel’hai detto?”
“Cosa, che la ritengo la creatura più meravigliosa che abbia mai abitato il pianeta?”
aveva riso Jace, “No. Non ancora almeno. Usciamo insieme da troppo poco, non vorrei pensasse che sono uno appiccicoso.”
“Giusto.”
“Non ci siamo nemmeno ancora baciati…”
gli aveva confessato con una punta di imbarazzo. Probabilmente perché prima di Clarissa, gli appuntamenti di Jace contemplavano un utilizzo della lingua che comprendeva tutto meno che il parlare.
“Non avrai mica l’ansia da prestazione?”
Jace gli aveva lanciato un’occhiata omicida, “Per chi mi hai preso, Alec? Voglio solo fare le cose con calma, come si deve. Da gentiluomo.” Aveva gonfiato il petto, orgoglioso di sé.
Alec aveva sorriso, trovandosi a realizzare che, per la prima volta da quando vivevano insieme, si era trovato ad essere geloso di Jace in un modo che esulasse dalla possessività. Se, quando credeva di amarlo, la sua gelosia lo corrodeva perché invidiava chi poteva stare con lui, adesso lo invidiava perché anche a lui sarebbe piaciuto parlare di qualcuno che lo prendeva in quel modo. Anche a lui sarebbe piaciuto rivolgersi a Jace per dei consigli o semplicemente per metterlo al corrente della situazione che aveva con il tipo che gli piaceva.
E che non vedeva da moltissimo tempo, realizzò mentre camminava verso l’aula di storia e riviveva il ricordo di qualche sera prima.
Chissà che fine aveva fatto il bel tipo. L’aveva cercato tra la folla, discretamente, ma non l’aveva mai trovato.
Alec iniziava a pensare di esserselo immaginato. Magari il suo cervello burlone gli aveva fatto immaginare tutto in modo da torturarlo, facendolo fantasticare sul ragazzo orientale per fare in modo che diventasse una specie di ossessione.
Oddio, era come Meliorn. Solo che almeno Meliorn con Isabelle ci era uscito, per qualche tempo – prima che lei lo scaricasse perché restia a creare un legame solido con un maschio che non fosse uno dei suoi fratelli.
Lui era addirittura peggio di Meliorn perché non sapeva nemmeno il nome del ragazzo da cui era ossessionato.
Si poteva essere più patetici? No, non credeva.
Strisciando i piedi si diresse verso l’aula di storia. La mattinata si prospettava una lunga agonia.

L’ora di pranzo cominciava ad essere una specie di tortura per Alec perché finiva sempre con il sentirsi il quinto in comodo: Clary e Jace ormai sedevano sempre vicini e parlottavano di qualsiasi cosa, interrompendosi solo per ridacchiare. Ci mancava solo un cartello con la scritta al neon siamo innamorati per renderli più espliciti. Anche un cieco si sarebbe reso conto di quanto cominciassero a diventare profondi i sentimenti che li legavano. Isabelle e Simon, invece, cercavano di coinvolgerlo ogni tanto, ma finivano sempre col parlare di cose che Alec non capiva, tipo la differenza tra Star Wars e Star Trek, cosa che Iz a quanto pare trovava parecchio interessante. Anche se Alec sospettava che l’interesse per tutta quella roba nerd derivasse più dal fatto che fosse Simon a raccontargliela, se fosse stato qualcun altro, l’avrebbe liquidato con un gesto stizzito della mano.
Così, anche quel giorno di fine settembre, si avviò in mensa con l’umore nero e l’entusiasmo sotto la suola delle scarpe, facendo particolare attenzione a calpestarlo ad ogni passo che faceva, e prima di cercare il tavolo che avevano occupato i suoi amici, si diresse a prendere da mangiare – un pezzo di pizza, uno yogurt, una bottiglietta d’acqua e una piccola vaschetta d’uva bianca.
Con il suo vassoio pieno di viveri in mano, si decise a cercare il gruppetto con gli occhi. Lo individuò quasi subito, notando l’assenza di Clary. Si sentì un po’ in colpa, quando realizzò che quella sensazione alla bocca dello stomaco era gioia: se lei non c’era, Jace avrebbe potuto parlare un po’ con lui, evitando, così, di sentirsi l’unico sfigato che non sta con nessuno e si trova sempre a reggere il lume.
“Ciao,” salutò quindi, recuperato un po’ di entusiasmo, non appena si avvicinò al tavolo.
“Ciao!” ricambiarono in coro Jace, Iz e Simon.
Alec trovò la cosa un tantino inquietante, ma si sedette vicino al fratello. Iz e Simon erano seduti davanti a loro. Da quella posizione Alec riusciva a vedere tutta la sala, i tavoli gremiti di studenti, le porte della mensa che venivano lasciate aperte per far entrare e uscire i ragazzi più facilmente. I suoi occhi, come d’abitudine, abbracciarono l’intero perimetro senza però incontrare niente – nessuno – che gli interessasse.
“Come mai Clary non c’è?” domandò, poi, per cortesia, facendo attenzione a non mostrarsi troppo felice.
“Ritarda un po’. Il corso d’arte finisce più tardi degli altri.”
“Oh,” Alec sperò che la delusione non trapelasse dalla sua voce: avrebbe fatto il quinto in comodo anche oggi, a quanto pareva, “D’accordo.”
Alec si tuffò sulla sua pizza, cercando un conforto almeno nel cibo e non appena addentò il trancio, sentì la voce di Jace squillare come una tromba quando disse: “Eccola!” come se stesse aspettando la materializzazione della Madonna.
Alec, il cui umore era davvero pessimo quel giorno, non alzò nemmeno gli occhi, limitandosi a sussurrare un ciao malinconico, non appena sentì la ragazza salutare gli amici.
“Ragazzi, vorrei presentarvi qualcuno!” disse la rossa e Alec, allora, spinto da quella cosa chiamata buona educazione si trovò ad alzare gli occhi dal suo piatto e, per un pelo, non si strozzò con il boccone che stava masticando.
Vicino ad una Clary con il viso sporco di pittura e i jeans strisciati di vernice, stava, in tutto il suo splendore, il ragazzo dell’armadietto. Se possibile, era ancora più bello di quanto Alec ricordasse, con i capelli pettinati in aria e gli occhi truccati di viola – eyeliner e mascara erano coordinati. Si concesse un’occhiata a tutto l’insieme, dal momento che Clary gli stava presentando gli altri e la sua ispezione sarebbe passata inosservata. Era alto, con le spalle larghe e i muscoli della braccia ben definiti – portava una maglietta a maniche corte nera, ricoperta di paillettes viola, in pendant con il trucco, evidentemente; le gambe, fasciate dentro ad un paio di pantaloni di pelle nera, erano toniche e… storte. Il ragazzo dell’armadietto aveva i polpacci che formavano un arco e Alec stava letteralmente impazzendo. Era un dettaglio, quello, per cui aveva sempre perso la testa e che andò ad aggiungersi alla lista delle cose che, ai suoi occhi, lo rendevano perfetto.
Quel ragazzo sembrava fosse stato creato appositamente da Dio per torturarlo: guardare, ma non toccare. Decisamente irraggiungibile. Un miraggio d’acqua in un deserto.
“E lui è Alec.” Sentì la voce di Clary giungere da lontano e quindi rinsavì, volendo evitare di fare la figura dell’idiota – un’altra volta. Non che l’altro se ne ricordasse, probabilmente.
“Mi ricordo di te. Come va la fronte?”
“Voi due vi conoscete?” chiese Clary, ma il ragazzo orientale non l’ascoltò, intento com’era a ricambiare lo sguardo di Alec.
“B-bene, grazie.”
E invece si ricordava. Il suo cuore, a quanto pare deciso a remare contro Alec, cominciò a impazzire, rimbombando non solo nella cassa toracica, ma anche nelle orecchie.
“Mi fa molto piacere. Sono Magnus,” disse, allungando una mano verso Alec, il quale si trovò a notare che con gli altri non l’aveva fatto. Gliela strinse e fece per scuoterla, ma Magnus si allungò sul tavolo per sfiorargli il dorso con le labbra.
Il baciamano.
IL BACIAMANO!
Da quando era diventato il Clary della situazione???
Lo reputava comunque un passo avanti: da essere come Meliorn lo sfigato, era diventato come Clary eccoti-un-baciamano.
Alec riusciva a sentire il suo viso andare a fuoco in maniera vergognosa e ogni neurone del suo cervello rimbalzare per le pareti della scatola cranica in preda al panico. Come si reagiva a certi gesti? Come si reagiva davanti ad una creatura con gli occhi più belli – e magnetici – che Alec avesse mai visto e le labbra più morbide del mondo? E da quanto tempo, esattamente, era in apnea?
Ritirò la mano, sopraffatto da troppe emozioni. E forse lo fece in maniera troppo brusca, ma Magnus – così si chiamava la nuova ossessione di Alec, il quale, come se trovarlo attraente sotto ogni punto di vista non bastasse a torturarlo, si trovò a pensare a quanto fosse particolare quel nome, trovandolo di una bellezza… esotica – si allargò in un sorriso che riservò tutto al maggiore dei Lightwood.
Che qualcuno spenga il sole, avevano appena trovato una nuova fonte di luce, e questa probabilmente sarebbe stata inesauribile. Ad Alec stava cominciando seriamente a seccarsi la gola, la lingua sembrava una spugnetta di acciaio.
“Andiamo a prendere da mangiare?” propose Clary a Magnus, il quale annuì con gli occhi ancora fissi su quelli di Alec. Almeno, trovò a congratularsi con se stesso quest’ultimo, non stava abbassando lo sguardo. Come avrebbe potuto, dopotutto? Quando vieni sfiorato da occhi del genere, cerchi di goderti l’attimo finché puoi.
Un affamato non rifiuta un’abbondante dose di cibo prelibato.
“È un po’ strambo, ma sembra simpatico…” parlò Simon per primo, che in genere aveva sempre una parola buona per chiunque. Anche per chi non conosceva.
“A me non piace.” Aveva sentenziato Jace, non perdendo di vista la coppia adesso lontana formata da Clary e Magnus che si erano messi in fila e avevano cominciato a parlare. “Cosa vuole da lei?”
“Rubartela.” Aveva risposto sarcastica Iz, staccando un pezzo di pane dalla pagnotta che aveva davanti, “Perché ogni ragazzo esistente al mondo vuole la tua ragazza.” Concluse, prima di mettersi in bocca il boccone.
Jace alzò il dito medio, ma Isabelle liquidò quella provocazione sventolando una mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa, e poi continuò: “Secondo me è sexy.”
Alec, che aveva approfittato della lontananza di Magnus per attaccarsi alla bottiglietta d’acqua con l’intento di idratare di nuovo la sua gola, per poco non si strozzò.
Era la seconda volta nel giro di dieci minuti che rischiava di morire soffocato. 
Si voltò verso sua sorella con gli occhi sgranati, trovandola già a guardare nella sua direzione. Quella piccola spina nel fianco aveva già capito tutto e lo stava solo provocando. Il suo sorriso ferino ne era la conferma.
“È bello, alto. Avete notato le sue braccia?” usava il plurale, ma quel diavoletto vestito da angelo ce l’aveva solo ed esclusivamente con lui, “Ti fanno venire voglia di stringertici dentro.” E più Isabelle parlava, più Alec aveva voglia di sotterrarsi. Certo che aveva notato le sue braccia, solo un cieco non l’avrebbe fatto.
“Non è niente di speciale,” sentenziò Jace, che evidentemente sentiva il primo posto di belloccio indiscusso vacillargli sotto ai piedi. Ma Alec avrebbe voluto dirgli che si sbagliava di grosso. Cosa che, ovviamente, non fece. Rimase in silenzio fino al ritorno dei due, che si fecero strada tra i tavoli occupati dagli altri studenti con i vassoi in mano. Quando raggiunsero di nuovo il tavolo occupato dal gruppetto, che si trovava in fondo alla sala, vicino alla parete a finestra che dava sul cortile, Clary si sedette vicino a Jace, mentre Magnus, con grande sorpresa di Alec, si sedette vicino a lui. Cosa che gli permise di costare che portava un buonissimo profumo al sandalo.
Avrebbe potuto sedersi vicino a Clary, trovandosi in questo modo tra le due ragazze del gruppo, invece no, si era seduto proprio vicino ad Alec. Sicuramente era un caso, magari Clary aveva trovato il modo di metterlo al corrente della situazione sentimentale che aleggiava nell’aria e non voleva mettersi in mezzo alle coppiette.
“Allora, Magnus,” cominciò Isabelle, umettandosi le labbra truccate perfettamente di un rosso scuro come il sangue, “Come mai frequenti il corso d’arte di Clary?”
“Faccio fotografia,” piluccò un po’ del cibo che aveva nel proprio piatto, “L’hanno integrata al corso d’arte e lì ho conosciuto questa deliziosa fanciulla.”
Alec venne percorso da una scossa di dolorosa consapevolezza, quando realizzò che l’unico motivo per cui Magnus era seduto a quel tavolo era Clary: magari lei non gli aveva detto un bel niente di come stavano le cose con Jace e Magnus voleva provarci con lei. Dopotutto, era davvero molto carina, perché non avrebbe dovuto provare interesse per lei?
Clary arrossì lievemente: “In realtà gli ho solo indicato dove fosse l’aula di fotografia. L’anno scorso avevano un’unica aula sia per pittura che per fotografia, ma quest’anno sono riusciti a riservare due aule separate, quindi si svolgono entrambe alla stessa ora, ma in aule diverse.”
“E come avete fatto a diventare amiconi?” Jace appoggiò gli avambracci al tavolo, incrociandoli per far gonfiare i muscoli. Sembrava tanto un capo branco che segna il territorio, un’alfa che vuole dimostrare la sua supremazia.
“Mi piace l’arte, lei è un’artista e non ho resistito a farle qualche domanda.”
“Anche tu lo sei,” si inserì Clary, determinata a troncare quello che sembrava il principio di una scenata di gelosia, “Le tue foto sono meravigliose!”
Magnus la ringraziò con un sorriso e dopo aver bevuto un sorso d’acqua, parlò di nuovo.
“E a proposito di fotografie… hai mai posato, bel ragazzo?”
“No,” rispose Jace, “Non mi è ma-”
“Non stavo parlando con te,” lo interruppe Magnus, sul viso un’espressione quasi indignata, come se il fatto che Jace avesse potuto pensare che lo trovasse bello lo offendesse profondamente, “Stavo parlando con te.
Alec, che nonostante la delusione provata poco prima, non aveva potuto fare a meno di continuare a guardarlo, quando lo vide voltarsi verso di lui e indicarlo con l’indice, sentì il cuore che saltò un battito, prima di riprendere la corsa, veloce come un cavallo imbizzarrito. Un sorriso sollevò solo un angolo della sua bocca, incapace di trattenersi, ma poi cercò di camuffare l’euforia con un colpo di tosse e una scrollata di spalle. I suoi occhi tornarono al vassoio, incapace di reggere quelli di chiunque a quel tavolo. Era un comportamento a dir poco inequivocabile, il suo. Se Magnus gli fosse stato indifferente si sarebbe comportato come Jace, avrebbe negato con naturalezza e fine della storia. Invece si stava comportando in modo impacciato, insicuro e ci mancava solo un cartello sulla sua testa che dicesse lo trovo bellissimo ad indicare quanto quel ragazzo gli facesse effetto.
“No,” si limitò a dire, scuotendo la testa.
“Alec pensa di non essere abbastanza bello, per certe cose.” Intervenne Izzy, probabilmente notando la sua difficoltà. E anche se detestava quando spiattellava a degli estranei ciò che le confessava, come le insicurezze circa il suo aspetto esteriore – sapeva che lo faceva per cercare di scuoterlo, per renderlo più estroverso, e non per metterlo in imbarazzo, ma ahimè, Alec e l’imbarazzo andavano a braccetto da troppo tempo perché riuscisse a separarsene – apprezzò quel gesto. Lo apprezzò veramente, veramente tanto. In questo modo avrebbe potuto concentrarsi a regolare la respirazione per farla tornare normale, o avrebbe rischiato l’iperventilazione.
E si aspettava che riprendessero la conversazione, magari parlando d’altro e tornando ad ignorarlo come succedeva sempre, ma ciò non avvenne.
Quello che sentì, invece, fu l’indice di Magnus che con delicatezza si posava sotto al suo mento per spronarlo ad alzare il viso dal vassoio e incrociare così – di nuovo – i loro sguardi.
“Alec non sa quanto si sbaglia.”
Tre tentativi di morte nel giro di quindici minuti. Solo che l’ultimo non era così brutto come i primi due, era più che altro un’eutanasia, non intesa con il significato moderno, piuttosto come quello antico di bella morte. I soldati nell’epoca antica erano stati educati con la convinzione che morire in battaglia fosse la morte più onorevole a cui potessero andare in contro, un evento che li avrebbe resi degli eroi agli occhi dei loro concittadini. Alec si trovò a pensare che morire soffocati a causa di una frase del genere potesse essere paragonata ad una bella morte. Nessuno l’aveva mai notato, prima di adesso. Nessuno aveva manifestato interesse per la sua persona – non quando a tavola c’erano sia Isabelle che Jace. E improvvisamente non si sentì più nemmeno infastidito dall’ipotesi che Magnus trovasse Clary interessante perché non gli importava: anche se l’avesse fatto, era a lui che stava riservando quello sguardo così intenso, adesso. Era lui che quegli occhi bellissimi avevano scelto di studiare. Era lui quello a cui era stato rivolto un complimento che lo faceva sciogliere come burro al sole.
Avrebbe voluto quanto meno ringraziarlo, ma siccome, nonostante i pensieri che gli stavano passando per la testa, rimaneva sempre il solito, impacciato Alec, si limitò a sorridergli.
Magnus parve comunque soddisfatto di quella reazione perché ricambiò e, dopo qualche istante, intavolò una nuova conversazione.
“Mi servirebbe frequentare dei corsi extrascolastici, per accumulare un po’ di crediti… avete qualche idea?”
“C’è la squadra di basket,” propose Jace.
“Di cui scommetto fai parte..”
Il biondo annuì: “Quest’anno miro alla fascetta di capitano.”
“Ma non prendono in considerazione nessuno se non dal terzo anno in su!” si intromise Simon e Jace gli serbò un sorriso appuntito, che ne aveva del famelico.
“Appunto. Voglio rendere possibile l’impossibile.”
Magnus alzò gli occhi al cielo, trovando quel suggerimento un nemmeno troppo velato motivo per parlare di sé. E siccome quel biondino ossigenato non gli interessava minimamente, decise di rivolgersi alla parte decisamente interessante del tavolo.
“E tu, Alec? Cosa fai?”
“Oh, io… io non gioco a basket,” esordì, tirandosi le maniche lunghe della maglietta fino a coprirsi le mani. Gesto che non sfuggì certo all’attenta analisi che Magnus stava rivolgendo a quel ragazzo che sembrava essere sceso dal cielo, un angelo sotto forma umana. Come poteva anche solo minimamente essere convinto di non essere bello, quando tutta la sua fisicità urlava: sono un bocconcino prelibato.
Ah, la modestia. In quantità esagerate rende le persone insicure.
Anche se tutto quell’essere impacciato lo rendeva adorabile.
“E cosa fai, allora?”
A parte balbettare e sentire la lingua secca ogni volta che mi guardi?  Pensò Alec.
“Boxe e tiro con l’arco, preferisco gli sport individuali.” Si affrettò ad aggiungere, come se dovesse una spiegazione del perché delle sue scelte. “Ci sono tante opzioni, in realtà.” Iniziò, rispondendo alla domanda iniziale di Magnus, “C’è il corso di teatro, o quello di musica, c’è il comitato per l’organizzazione degli eventi…”
“Tutte cose molto collettive,” disse e Alec rise.
“Tutte cose da cui mi sono badato bene di stare alla larga,” gli uscì, senza che avesse davvero intenzione di dirlo. Ma Magnus sembrò comunque apprezzare e non lo guardò come se fosse uno strambo asociale come si aspettava che invece lo guardasse.
Gli sorrise – di nuovo – e staccò un acino d’uva dal piccolo grappolo che Alec aveva nel suo vassoio per portarselo alla bocca. L’istinto di condivisione che l’aveva accompagnato per tutta la sua vita e il fatto che avesse un innato istinto per occuparsi degli altri – d’altronde era il maggiore di quattro fratelli e aveva sempre avuto la tendenza a prendersi cura di loro – portò Alec a sistemare la vaschetta tra di loro, in modo che Magnus non dovesse allungarsi troppo per prendere la frutta.
Il ragazzo orientale sembrò soddisfatto di quel gesto, una specie di punto a suo favore, una piccola testimonianza che le sue attenzioni erano almeno un poco gradite e che Alec stava trovando il modo di essere gentile.
“Non sai di che cosa li hai privati.”
“Gli ho risparmiato un sacco di disastri, in realtà,” rispose, sebbene avesse le guance rosse per ciò che aveva appena detto Magnus, “Non ci so fare con tutta quella roba là.”
Magnus rise, scuotendo la testa, divertito.
“Sei un tipo particolare, Alec.”
Il ragazzo avrebbe voluto rispondergli che era tutto fuorché particolare, ma la campanella suonò, segnando la fine della pausa pranzo.

***

Era stata una giornata insolita, secondo Jace.
Primo, aveva provato un sentimento che non aveva mai provato in vita sua: la gelosia. Non gli era mai capitato di temere che qualcuno potesse portargli via qualcosa a cui teneva, semplicemente per il fatto che nessuno aveva mai sfiorato qualcosa a cui davvero teneva. Prima di Clary le uniche persone a cui era saldamente ancorato erano i suoi fratelli e non aveva mai temuto nessun tipo di confronto: quali che fossero gli svariati fidanzati di Isabelle, anche se un giorno si fosse decisa a trovarne uno a cui affezionarsi seriamente, sapeva benissimo che ciò che lo legava a sua sorella era qualcosa di radicato nei loro cuori. La stessa cosa valeva per Alec, anche se fino ad ora non aveva manifestato grande interesse per le relazioni umane.
Jace sapeva che in ogni caso ciò che legava lui e i suoi fratelli era qualcosa di così solido da risultare indissolubile. Sapeva che non avrebbero mai permesso a niente e a nessuno di distruggere ciò che avevano.
Ma con Clary era diverso… lei poteva trovare qualcuno che le piacesse di più, poteva andarsene, avrebbe potuto lasciarlo, convinta che si sarebbe trovata meglio con qualcun altro. Magari con quel Magnus tutto paillettes e ombretti.
E questo lo portava al secondo punto: appurato che Clary non provasse interesse per Magnus – e di conseguenza la sua gelosia si era affievolita – e che quest’ultimo provasse un più che evidente interesse per suo fratello, perché Alec non l’aveva respinto?
Forse perché ricambiava un tale interesse? E, se sì, perché Alec non gli aveva mai parlato di come stavano le cose?
Si mise a sedere, non riuscendo in alcun modo a prendere sonno e, nel buio della stanza, si voltò verso il letto di suo fratello. Non vedeva un accidenti perché la camera era immersa nelle tenebre e la tenda alla finestra era tirata, quindi decise di accendere l’abat-jour che stava sul comodino, tra i due letti, all’altezza delle loro teste.
“Alec!” lo chiamò sussurrando. Ma suo fratello dormiva beato a pancia in su, i capelli arruffati sul cuscino e un braccio che ciondolava giù dal materasso. Scalciando via le coperte decise di alzarsi per accucciarsi all’altezza della sua faccia.
“Alec!” chiamò con più impeto, cominciando a scuotergli il braccio.
“Che vuoi?” grugnì l’altro con la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora chiusi. Tirò via il braccio per evitare di avere un altro contatto con Jace, che evidentemente era in vena di essere petulante e l’aveva svegliato. D’istinto si girò dall’altra parte, il viso rivolto verso il muro, dandogli la schiena e si accomodò per riaddormentarsi.
“No, no, no.” ma Jace non parve assolutamente d’accordo con quel comportamento. Era deciso ad affrontare un discorso e siccome lui era tutto meno che discreto, o delicato, o prudente, lo afferrò per le spalle e lo fece girare di nuovo. “Non riaddormentati!”
Gli occhi di Alec, adesso, erano aperti, la sua schiena era appoggiata al materasso e il viso era voltato verso Jace. Uno sguardo omicida faceva luccicare le iridi verdi del maggiore.
“Spero sia importante,” sibilò come un drago che si prepara a sputare fuoco.
“Lo è,” confessò e Alec, che non sapeva mai dire di no a nessuno dei suoi fratelli, si mise a sedere facendogli spazio sul materasso. Jace si alzò da terra per andare a sistemarsi con le gambe incrociate ai piedi del letto.
“Se ti chiedo una cosa, prometti che non scapperai o ti chiuderai in te stesso?”
“Mi fai paura, Jace.” Si strofinò gli occhi, ancora gonfi di sonno.
Ma il biondo non aveva nessuna voglia di scherzare: “Prometti,” disse risoluto e Alec, suo malgrado, si trovò a promettere.
“Ti piace Magnus?”
Alec, che si sentiva ancora mezzo addormentato, si svegliò di colpo. Il suo cervello cominciò a cercare un modo per spiegare la situazione a cui aveva assistito il fratello, ma il cuore balzato alla gola e la morsa di panico che gli attanagliava le viscere rendeva il tutto estremamente difficile.
“N-no, perché dovrebbe piacermi?”
“Forse perché ti piacciono i ragazzi…” avanzò cauto – probabilmente per la prima volta nella sua vita – il biondo.
Alec sentiva le lacrime pungergli dietro agli occhi. Cosa doveva fare, a questo punto? Trovare una scusa per il suo comportamento e continuare a nascondersi? Avrebbe passato tutta la sua vita a farlo? Forse non era ancora ora di parlarne con i suoi genitori, ma Jace era suo fratello, il suo migliore amico. Se era giunto il momento di coinvolgere anche qualcun altro in quella verità oltre ad Izzy, era giusto che quel qualcuno fosse lui. D’altronde, non l’avrebbe giudicato, no? Si erano sempre protetti, coprendosi le spalle in ogni occasione, perché adesso dovrebbe essere diverso?
“A-avresti…” cominciò timoroso, abbassando lo sguardo. Nonostante i suoi buoni propositi, una parte di lui era ancora terrorizzata all’idea che avrebbe reagito male, magari urlandogli contro. Non l’avrebbe sopportato, se Jace avesse cambiato opinione su di lui, o avesse cambiato il modo di guardarlo.
“Dei problemi?” avanzò il biondo, sporgendosi in avanti per entrare nel campo visivo del fratello. Alec a quel punto alzò gli occhi su di lui, in attesa del verdetto non appena annuì con il capo a quella domanda.
“Assolutamente no, Alec!” Jace accartocciò la faccia come se i timori di Alec fossero assurdi, “Perché dovrei averne?”
“Non lo so, magari pensi sia…” deglutì, sentendo un masso che gli ostruiva la gola e le lacrime pungergli dietro agli occhi. Era fisicamente doloroso trattenerle, “…contro natura.”
I tratti di Jace si addolcirono e avanzò verso il fratello. Allungò persino una mano per provare a prendere quella di Alec, ma si fermò a mezz’aria. Non erano mai stati espansivi fino a quel punto. C’erano stati degli abbracci, certo, ma nient’altro. Così la fece cadere sul materasso.
“Ascoltami bene, adesso.” Il minore si sistemò sui talloni, come se fosse stato infervorato da ciò che stava per dire e stare fermo gli risultasse impossibile, “Solo perché papà lo pensa non vuol dire che abbia ragione. Sai che lui è un po’ antiquato, per non dire bigotto e retrogrado, ma non importa quello che pensa lui, importa quello pensi tu di te stesso. E per come la vedo io non c’è niente di sbagliato ad amare qualcuno, maschio o femmina che sia.”
Alec abbozzò un sorriso, lasciando che venisse corrotto da quel velo di tristezza che gli pesava sul cuore ogni volta che immaginava come avrebbe reagito suo padre una volta scoperta la verità. Robert Lightwood aveva sempre espresso il suo disappunto verso ‘l’esistenza di individui depravati che provano attrazione verso qualcuno del proprio sesso’, giustificando l’utilizzo di tali mortificanti parole con il fatto che fosse ‘contro natura’.
Alec era cresciuto con questo mantra e si era quasi fatto convincere di essere sbagliato, quasi malato, fino a quando non aveva sentito cosa pensasse Izzy. Ad Isabelle non importava chi piacesse ad Alec, la cosa importante per lei era che un giorno trovasse qualcuno che lo rendesse felice come meritava. Isabelle Lightwood era davvero la creatura più meravigliosa che aveva camminato sul pianeta per una valanga di motivi. E il suo straordinario aspetto fisico era l’ultimo di essi.
“A me non cambia niente, Alec.” continuò Jace, non sapendo come interpretare il silenzio prolungato del fratello.
“Davvero?”
“Davvero, davvero. Sei mio fratello, ti voglio bene esattamente per quello che sei.”
“Anche se una volta ho buttato la tua giacca di pelle in lavatrice?”
Jace colse il tono più rilassato di Alec e decise di seguirlo in quel gioco di sguardi complici  che avevano da quando si erano incontrati. Non erano fratelli di sangue, ma lo erano per scelta. E Jace, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce perché non era tipo da smancerie, sapeva che Alec era la scelta migliore che gli potesse mai capitare.
“No, per quello potrei cominciare ad odiarti.”
Alec si lasciò andare ad una risata, che però tenne sotto controllo per non rischiare di svegliare nessuno.
“Mi sento un po’ meglio, ora che lo sai.” Confessò, sentendo un po’ di leggerezza sul cuore. Sapere di avere dalla propria parte due dei suoi tre fratelli – Max era ancora troppo piccolo per essere coinvolto in cose come gli interessi amorosi dei suoi fratelli maggiori – lo faceva stare bene. Gli rendeva quasi, quasi, più facile anche immaginare di aprirsi con i suoi genitori. Anche se era uno scenario che proiettava sempre molti anni più avanti, tipo la fine del college.
“Quindi comincerai a parlare anche con me, adesso?”
“Io e te parliamo sempre!”
“Non per essere pignoli, ma… se io parlo e tu ascolti è più un monologo.”
Alec rise di nuovo: “Hai ragione. Sì, comincerò a parlare anche con te.” Disse, convinto che con quel anche Jace si riferisse alle volte in cui lui e Izzy erano rimasti a parlare in camera della ragazza. Alec non si sentì di dirgli che molti di quei discorsi avevano lui come protagonista, quando aveva avuto una cotta nei suoi confronti. Avevano fatto un passo già abbastanza grande, quella notte. Non era necessario che Jace conoscesse tutta la verità in una volta. Forse gliel’avrebbe detto più avanti, o forse mai.
“E dunque… Magnus ti piace?”
“Intendevi cominciare a parlare adesso?”
“Beh, perché no?”
“Perché sono le tre del mattino!”
Jace sbuffò, facendo volare un ciuffo di capelli che gli era caduto sul viso, “Ho capito. Una cosa alla volta.” Si alzò dal letto di Alec per tornare al suo, dove si sdraiò dopo aver recuperato le coperte scalciate qualche attimo prima. “Buonanotte, Alec.”
“Buonanotte, Jace.”
Il biondo spense la luce pensando che, anche se era stata una giornata strana, era stata decisamente intensa.

La sveglia doveva sicuramente essere stata inventata dal diavolo in persona. Quel suo suonare fastidioso, continuo e assillante penetrava nelle orecchie di Alec e gli faceva venire voglia di strapparsi i timpani, gettarli ai piedi del letto e continuare a dormire. Ma ovviamente, ciò non era possibile.
“Spegnila!” lo implorò Jace, la voce ovattata dal cuscino su cui aveva premuto la faccia per coprirsi le orecchie.
“Ci sto provando!” mugugnò Alec che, sdraiato a pancia in giù e il viso affondato nel cuscino, gettava il braccio alla cieca sul comodino per trovare quell’aggeggio demoniaco che segnava l’inizio di una nuova giornata. Quando, al quarto tentativo, il suo avambraccio colpì lo spigolo del comodino, con un’imprecazione a denti stretti decise che era arrivato il momento di alzare la testa per vedere cosa stava facendo. Ed eccola lì, la mostruosa bestiola elettronica che li stava torturando. Alec si limitò a spegnerla, combattendo con l’impulso di defenestrarla.
“Odio quel suono,” si lamentò Jace, un avambraccio sopra agli occhi.
“Anche io.” Sbuffò Alec, voltandosi in costa verso di lui e permettendo al suo cervello di svegliarsi del tutto. Senza l’assillante suono della sveglia era facile cogliere altri rumori: quelli inesistenti nella loro camera e quelli che giungevano dalle altre stanze, ovattate dalle pareti. Sentiva chiaramente i rumori dei fornelli, immaginando Maryse preparare il caffè e la colazione; l’acqua della doccia scorrere, segno che Izzy era già sveglia e si era impossessata del bagno. E dei passi. Passi affrettati, veloci, che si avvicinavano sempre di più, fino a raggiungere la loro porta.
“Sveglia, dormiglioni! Mamma sta facendo i waffles!!” gridò euforico Max, entrando come un uragano nella camera dei fratelli.
“Sei sicuro che non sia Izzy?” domandò terrorizzato Jace, appoggiandosi sui gomiti per guardare il fratellino.
Il piccolo Lightwood scosse la testa: “So distinguere Izzy dalla mamma, non sono mica scemo!”
“L’ultima volta ti sei fatto fregare dal fatto che fosse girata di spalle, Max.” precisò Alec, strofinandosi gli occhi.
“Dopo che ho quasi rischiato l’avvelenamento ho imparato ad accertarmi quale delle due fosse.” Rispose piccato Max, come se avesse messo nel sacco quei sapientoni antipatici dei suoi fratelli.
I maggiori si lanciarono un’occhiata divertita e scoppiarono a ridere.
“Impari in fretta!” disse alzandosi Jace. Alec lo seguì immediatamente, accarezzando i capelli del minore dei suoi fratelli. A Max piaceva quando entrambi gli prestavano attenzione. Con il fatto che fossero grandi e condividessero la stanza, lui si sentiva un po’ escluso. Ma ogni volta che li andava a trovare, facendo comparsate come quelle, loro lo facevano sempre sentire parte integrante di quel rapporto speciale che avevano.
Adorava i suoi fratelli. E sua sorella, ma questo sembrava che lei lo sapesse già.
Il piccolo Lightwood rimase a guardarli mentre cominciavano a mettere in ordine la camera. Era quella la regola, dopotutto: ordinare le stanze prima di scendere a fare colazione. Così, Max si mise ad osservare Alec che apriva la finestra in fondo alla stanza per far entrare l’aria e Jace tirare le coperte ai piedi del letto per farlo arieggiare. Vide Alec fare lo stesso.
“Sei già pronto?” gli domandò poi il più grande dei suoi fratelli.
“Sono già pronto,” rispose, gonfiando il petto orgoglioso, “Mi sono già lavato, ho sistemato la mia camera e controllato di avere tutto l’occorrente nello zaino per la scuola!”
Alec gli scompigliò di nuovo i capelli: “Bravo, soldato!”
Jace e Alec uscirono da quella stanza e Max li seguì. Voleva stare con loro il più possibile, prima di cominciare la scuola.



“Izzy giuro che se non ti dai una mossa sfondo la porta con un calcio!” esclamò Alec, dopo aver bussato alla porta del bagno per la decima volta. In casa Lightwood c’era una regola per ogni cosa, compreso il tempo da passare sotto la doccia. Quindici minuti, venti al massimo e poi bisognava liberare la stanza. Maryse aveva giustificato quella decisione con il fatto che in casa fossero in sei e se ognuno avesse cominciato a stare sotto l’acqua un’ora, oltre che ad una bolletta spropositata, avrebbero dovuto cominciare a svegliarsi a notte fonda per riuscire a cominciare in tempo le rispettive giornate.
Isabelle, che aveva sempre avuto una particolare passione per infrangere le regole che sua madre si premurava diligentemente di imporre, spendeva i suoi quindici minuti solo per insaponarsi il corpo, passando poi con controllata lentezza a lavare i capelli e solo dopo essersi sciacquata per bene si accingeva ad asciugarli. Tempo trascorso: minimo quaranta minuti. C’erano giorni in cui impiegava un’ora buona.
“I miei capelli non si piastrano da soli, Alec!” berciò dall’altra parte della porta chiusa.
“Hai una presa e uno specchio anche in camera tua, perché non puoi piastrarteli lì i capelli?”
“E perché devi essere sempre, costantemente, così palloso?”
Alec serrò la mascella, infastidito da quel comportamento infantile, ma non reagì a quella provocazione.
“Isabelle Lightwood,” cominciò invece, il tono secco e deciso che precede le minacce serie, “Se non esci immediatamente lancio tutti i tuoi trucchi fuori dalla finestra!”
“Non oseresti!” gridò quella risentita.
“Oh, oserei. Oserei eccome!”
Jace vicino ad Alec stava ridendo come un matto, tanto che gli veniva impossibile partecipare a quel battibecco. Max, al fianco dei fratelli, si godeva la scena, pregustando già l’espressione furibonda che avrebbe avuto Isabelle una volta uscita dal bagno.
E infatti… Izzy aprì la porta con così tanto impeto che rischiò di scardinarla. I suoi capelli erano piastrati per metà: la parte superiore era sollevata da una grossa pinza gialla, mentre ai lati del collo scendevano i capelli che avevano già subito il trattamento. Il viso era struccato, ma nei suoi occhi si leggeva benissimo un acido risentimento.
“Tu avvicinati ai miei tesori e io do fuoco al tuo stupido arco!” lo minacciò Iz sventolandogli la piastra ancora calda sotto il naso.
Alec gonfiò le guance e le puntò un indice contro: “Provaci e userò i tuoi preziosissimi rossetti come penne per prendere appunti!”
Isabelle boccheggiò. “Eretico!” esclamò poi sventolando la mano libera in aria e allontanandosi da quella massa di rincitrulliti che aveva per fratelli – perché sì, aveva sentito le risate sguaiate di Jace e quelle sommesse di Max – “Miscredente!” continuava, mentre raggiungeva la sua camera, “Blasfemo!!” concluse, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Jace, Alec e Max rimasero a lanciarsi occhiate per qualche secondo prima di cominciare a ridere.
“Ti ucciderà, fratello!” commentò Jace, mentre si asciugava una lacrima sfuggita da un occhio.
“È molto probabile,” confermò Alec.

La mattinata, tutto sommato, era iniziata come sempre: Iz che se la prendeva comoda, Jace e Alec che dopo essersi fatti la doccia, erano tornati in camera per finire di sistemarla e Max che li seguiva.
Si erano vestiti, avevano sistemato le ultime cose per la scuola ed erano scesi al piano di sotto per fare colazione, dove Maryse li attendeva.
Alec aveva sempre ritenuto sua madre una bella donna, un po’ rigida e troppo composta, forse austera, ma bella. I suoi lineamenti erano molto marcati, la bocca ben delineata e gli occhi antracite erano tremendamente espressivi. Quando erano bambini, infatti, e si comportavano male, bastava che Maryse lanciasse loro un’occhiata di pietra per convincerli a comportarsi meglio.
“Buongiorno, mamma..” la salutò lui, imitato dai fratelli. Presero posto intorno al tavolo, dove notarono l’assenza del padre: Robert si alzava molto presto per aprire il suo ufficio legale. Papà Lightwood era un notaio molto richiesto.
“Siete in ritardo,” rispose la donna, sistemando un piatto colmo di waffles al centro del tavolo. “E anche io,” continuò, slacciandosi il grembiule da cucina che teneva legato alla vita sopra ad un semplicissimo tubino nero che le arrivava fino a sotto il ginocchio, ai piedi gli stessi tacchi alti che piaceva tanto portare ad Isabelle. “Vostro padre mi sta aspettando da quasi venti minuti, sapete quanto odia aspettare!” Maryse si occupava della contabilità dell’ufficio e organizzava tutti gli appuntamenti del marito.
“Scusa mamma,” si affrettò a dire Alec, reggendo solo per un istante lo sguardo della madre.
Maryse si lasciò andare ad un sospiro controllato: “Vedete di rispettare i tempi, la prossima volta.”
Alec annuì, “Certo.”
Isabelle al suo fianco, gli strinse una mano sotto al tavolo e lui ricambiò. Certe volte era difficile saper gestire tutte le regole della famiglia, soprattutto quando entrambi i loro genitori erano così avvezzi al rigido rispetto di esse, anche quelle più insignificanti.
“Mangiate, adesso.” Esalò Maryse, affrettandosi per versarsi una tazza di caffè. La terza nel giro di almeno un’ora.

***

Alec stava chiudendo il libro di letteratura, mentre nella sua testa la voce di Isabelle rimbombava schietta. Quando la ragazza si arrabbiava la sua voce raggiungeva toni così elevati che solo i cani potevano sentirla e lui, ogni volta, si premurava di farglielo notare. Un po’ perché ultrasuoni o meno, di solito erano le sue orecchie le vittime di quel tono perforante, un po’ perché voleva cercare di calmarla.
Quella mattina, l’oggetto dell’ira di Isabelle era proprio la loro madre.
‘Non la sopporto più! Perché deve sgridarci anche per la minima cosa, mh? Non può essere una madre normale, una volta tanto?? E perché deve sempre prendersela con te, come se fossi il rappresentate ufficiale dei suoi figli??’
Il suo viso si era colorato di un rosso così intenso che nemmeno il contouring  che applicava con cura maniacale ogni mattina era bastato a nasconderlo. Era furibonda e non sopportava l’idea che Maryse se la prendesse con Alec solo perché, in quanto maggiore, lo riteneva responsabile dei suoi fratelli.
‘Pensa che siccome sei il più grande tu debba occuparti di noi!!’
‘A me piace occuparmi di voi, Iz.’

Le aveva detto per cercare di calmarla. Magari se lei avesse saputo che a lui non creava problemi farlo, forse si sarebbe tranquillizzata.
‘Il punto non è questo, Alec. Il punto è che ti scarica addosso troppe responsabilità…’
‘Izzy, ascoltami, va bene?’
le aveva appoggiato le mani sulle spalle e lei si era rilassata un pochino, ‘Mamma è… fatta a modo suo. Con ciò non voglio dire che impazzisco per i suoi modi di fare, ma che puoi farci? Arrabbiarti con lei per ogni cosa?’
‘Potrei farlo!’
‘E ci guadagneresti solo un fegato consumato e il sangue marcio. Non devi preoccuparti per me, io sto bene.’
‘Ma non voglio che esageri, tutto qui.’
‘Non esagera. Alla fine, l’unica cosa che mi chiede è di occuparmi dei miei fratelli e voi siete le persone a cui tengo più al mondo, quindi non vedo che male ci sia…’

Isabelle aveva sospirato, lasciando fuoriuscire tutta la rabbia accumulata e lo aveva abbracciato forte forte, come solo lei sapeva fare, affondando il viso nel suo petto. Alec l’aveva stretta a se e le aveva appoggiato il mento sopra alla testa.
‘La verità, Alec, è che tu sei troppo buono e lei non ti merita!’
Alec aveva ridacchiato, ‘E tu mi meriti?’
‘Ovviamente, che domande sciocche!’

Il ragazzo infilò il libro dentro allo zaino e si alzò, ripensando a quella conversazione avuta solo qualche ora prima con la sorella, prima che lei entrasse in classe. Iz si era premurata che rimanessero soli e non perché con Jace dovessero avere dei segreti, solo che era abituata più a confidarsi con lui in solitudine… per quanto il corridoio di una scuola fosse compatibile con tale definizione.
Sospirò, uscendo dalla sua classe, gli occhi bassi sulle sue solite converse e i pensieri che gli arrovellavano il cervello. Chissà se forse abbassava sempre la testa con sua madre solo perché sapeva che un giorno avrebbe dovuto darle una notizia che l’avrebbe colpita in pieno petto come una frusta. Se non avesse avuto niente da nasconderle, forse, si sarebbe comportato come Isabelle, i cui scontri con la madre erano frequentissimi.
O forse avrebbe reagito nello stesso modo anche se non avesse avuto niente da nascondere: gettare benzina sul fuoco non era un comportamento compatibile con il suo carattere, lui tendeva più che altro a calmare gli animi. Almeno credeva.
Un altro sospiro e questa volta, però, i suoi pensieri vennero interrotti…
“Perché sospiri così tanto, raggio di sole?”
…dalla voce di Magnus. Alec alzò gli occhi trovandolo davanti alla sua classe, appoggiato al muro come in ogni commedia cinematografica adolescenziale che si rispetti. Il cuore di Alec fece un balzo, non appena i loro sguardi si incrociarono e le sue labbra si incurvarono involontariamente in un sorriso. Magnus era impeccabile anche quel giorno: i capelli erano colorati di azzurro sulle punte, gli occhi truccati con l’eyeliner dorato. Indossava una camicia color avorio, i primi bottoni della quale erano lasciati aperti, mostrando così almeno tre collane di diversa lunghezza; i pantaloni erano dello stesso azzurro intenso delle punte dei capelli e lo fasciavano in una maniera che Alec reputava, senza tanti giri di parole, illegale.
“C-ciao,” disse dopo aver finito la sua – tutto tranne che discreta – ispezione. Magnus sorrideva, probabilmente orgoglioso di aver suscitato un tale interesse.
“Ciao a te, stellina. Allora, perché sospiri tanto?”
“Nulla di che… e non chiamarmi stellina.
“Preferivi raggio di sole?”
“No,”
“Fiorellino?”
“Scordatelo,”
“Bocconcino?”
Assolutamente no!”
“Ma bocconcino è bello, mi fa venire voglia di mangiarti!”
Alec strabuzzò gli occhi, sorpreso da tale schiettezza, e arrossì violentemente.
“…Non che mi serva un soprannome simile, per provare tale desiderio.” Specificò Magnus in un tono che risultò, alle orecchie di Alec, il più sensuale udito in tutta la sua vita. Non che qualcuno gli avesse mai parlato in quel modo, ma… si trovò a boccheggiare, rimanendo a fissare Magnus senza sapere esattamente come rispondere a tale provocazione. Istintivamente, i suoi occhi si precipitarono sulla bocca del ragazzo, come se per un attimo il suo cervello si fosse chiesto come sarebbe stato permettergli di farlo, ma poi, la sua parte razionale aveva preso prepotentemente il sopravvento e l’aveva fatto rinsavire.
“Chiamami solo Alec, d’accordo??”  
Magnus gli sorrise serafico e lo affiancò, non appena intuì che Alec stava per cominciare a camminare. Direzione: ignota. Non che gli importasse più di tanto dove stessero andando fin tanto che era con quel ragazzo stupendo. Era diventato il suo chiodo fisso da quando la sua bellissima faccia era finita contro il proprio armadietto, ma non aveva più avuto modo di incontrarlo fino a quando – sia lode al destino – non l’aveva rivisto in mensa. Il fatto era che aveva avuto un sacco di impegni, tra la fine del trasloco, l’organizzazione dei corsi e tutta quella cosa chiamata integrazione scolastica a cui era stato obbligato a partecipare. Non aveva bisogno di una specie di squallido gruppo di sostegno per trovare delle persone con cui passare il tempo. Magnus Bane non aveva bisogno di nessuno… tranne forse che dell’adone che rispecchiava alla perfezione la definizione di alto, ombroso e affascinante che adesso si trovava al suo fianco.
“Solo Alec… è un soprannome?”
Il moro annuì, “Sarebbe Alexander, ma tutti mi chiamano Alec.”
“Che abominio ridurre la magnificenza di tale nome, non trovi?”
“No… non credo, almeno.” Alec alzò le spalle, “Mia sorella è stata la prima a chiamarmi così: appena ha imparato a parlare, Alexander era troppo difficile da dire, quindi le è uscito Alec. Da quel giorno è diventato il mio nome.”
“Che cosa adorabile.”
Alec arrossì, guardandolo per una frazione di secondo prima di gettare gli occhi di nuovo a terra. Magnus aveva un ascendente particolare su di lui: riusciva ad attrarlo in maniera spropositata, come un satellite che gravita inevitabilmente intorno ad un pianeta, ma dall’altra parte si sentiva quasi intimorito dalla sua presenza, come se non si ritenesse alla sua altezza. Lo confondeva. Gli smuoveva dentro emozioni che fino a quel momento era riuscito a tenere al guinzaglio, ma che adesso, ogni volta che quel ragazzo posava i suoi occhi su di lui, cominciavano a scalciare, ribellandosi a qualsiasi tipo di costrizione che impedisse loro di manifestarsi.
“Pensavo,” esordì Magnus, studiando il silenzio pensieroso di Alec. Quest’ultimo tornò a guardarlo e Magnus si beò per un istante della bellezza dei suoi occhi, prima di riprendere a parlare, “Cosa fai domani sera?”
“Non ho piani specifici per il sabato sera, in genere…”
Magnus si allargò in un sorriso compiaciuto: “Perfetto! Allora gradirei fare qualcosa insieme, Alexander. Ti va?”
Alec dovette mantenere il controllo delle sue facoltà fisiche e mentali non appena il suono della voce di Magnus che pronunciava il suo nome per intero raggiunse le sue orecchie. Lo diceva in un modo vellutato, armonioso, sensuale. Gli dava una sfumatura nuova, accattivante. In poche parole, mai come prima di quel momento gli era piaciuto così tanto sentir pronunciare il suo nome.
“N-non lo so…” il momento di idillio venne spezzato subito dopo dal panico: voleva uscire con Magnus? Certo che voleva. Era terrorizzato dall’idea che potesse deluderlo? Certo che lo era. Come avrebbe potuto non deluderlo, dopotutto? Non c’era niente di speciale, in lui. Come poteva un tipo così particolare come Magnus essere attratto da un tipo ordinario e – citando Izzy quella mattina – palloso? “…Non sono sicuro di-”
Ma Magnus lo zittì portandogli un indice davanti alle labbra, senza toccarlo davvero.
“Facciamo così, inizieremo con qualcosa di semplice e collettivo… non farti strane idee, passerotto, non intendo un’orgia o cose simili…” si affrettò ad aggiungere notando l’espressione titubante e terrorizzata di Alec, “Serata cinema con i tuoi amici. Chiedi alla tua combriccola se ha voglia di venire a casa mia e ci guardiamo un film.”
Alec ponderò la proposta: alla fine non era un vero appuntamento, giusto? Se fossero stati tutti insieme non sarebbe poi stato tanto diverso dal giorno prima, in mensa. Non rischiava poi chissà quali figuracce.
“D’accordo. Sento cosa dicono e poi-”
“Perfetto, fiorellino!” Magnus non lo lasciò finire e allungò una mano verso di lui, “Cellulare.” Aggiunse e Alec, che una cosa di quel ragazzo l’aveva capita e quella cosa era proprio il fatto che non accettasse un no come risposta, estrasse il suo telefono dalla tasca anteriore dei jeans. Quando alzò lo sguardo di nuovo su Magnus, lo beccò mentre fissava – senza premurarsi di essere discreto – la patta dei suoi pantaloni. Imbarazzato, si schiarì la gola.
“Oh, certo. Pardonnez-moi  ero distratto!” commentò senza che nemmeno l’ombra di un minimo disagio attraversasse i tratti del suo viso. Alec lo invidiava tantissimo e in quel momento, capì quale fosse una delle tante cose che lo attirava di Magnus: la sua totale libertà. Non aveva remore a dimostrarsi per quello che era. Era eccentrico, si vestiva in modo anticonvenzionale, era completamente a suo agio con la propria sessualità e non era in alcun modo spaventato a dimostrare interesse per qualcuno, anche se quel qualcuno apparteneva al suo stesso sesso.
Era lontano dal controllo degli schemi che la società imponeva. E gli piaceva da morire per questo.
“Vorrei chiederti da cosa, ma penso di saperlo.”
Gli era uscito senza che realmente volesse dirlo. Era più un pensiero ad alta voce, un qualcosa nato, forse, dal filo dei precedenti pensieri. La libertà che invidiava in Magnus poteva pretenderla anche per sé, forse, e se non con tutti, almeno con lui. L’espressione che si formò sul viso del ragazzo orientale, poi, gli permise di sentire crescere dentro di sé un’emozione particolare: soddisfazione, la stessa che provava quando, al primo colpo, centrava il bersaglio con una freccia.
“Qualcuno qui sta diventando sfacciato,” commentò, il sorriso felino e un sopracciglio alzato. “Mi piace.”
Magnus digitò il suo numero sul cellulare di Alec, salvandosi come Magnus Meraviglia.
“Mi piace tantissimo,” scandì tenendo gli occhi incollati a quelli di Alec, mentre con grazia riposava il cellulare nella tasca dei pantaloni del moro. Erano pericolosamente vicini. Alec aveva ufficialmente smesso di respirare non appena il profumo di Magnus gli era entrato nelle narici e poi, quando quest’ultimo aveva infilato un dito in uno dei passati dei suoi pantaloni per tirarlo a sé e lasciargli un bacio su una guancia, si era sentito letteralmente morire.
“Non farmi aspettare troppo, bel viso.” Gli sussurrò all’orecchio prima di allontanarsi. Alec rimase in piedi, pietrificato in mezzo al corridoio, con il cuore che batteva a mille, le orecchie che fischiavano e la voglia di avere Magnus accanto che gli scorreva nelle vene come fuoco liquido.



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Ciao a tutti! 
Come prima cosa, vorrei ringraziare chiunque abbia messo la storia tra le seguite/preferite e abbia recensito il primo capitolo, mi fa piacere sapere che c'è qualcuno che ha apprezzato la storia! <3 
Venendo al secondo... ho introdotto la conversazione di Jace e Alec riguardo l'omosessualità di quest'ultimo ambientandola di notte perché pensavo sarebbe stato più bello se ne avessero parlato nell'intimità della loro stanza, condividendo un momento tutto loro lontano dal resto dei ragazzi. E, inoltre, vediamo per la prima volta Maryse... ora, so che lei è un personaggio un po' particolare: nella serie all'inizio possiamo trovarla antipatica, ma alla fine, secondo me, si fa apprezzare, quindi vorrei cercare di far notare questo cambiamento anche lungo il corso di questa storia (ci proverò almeno xD). 
Venendo al Malec moment: ho voluto usare "bel ragazzo" perché ho amato il momento nella serie in cui, nella 1x04, Jace da per scontato che fosse rivolto a lui quando invece Magnus ce l'aveva con Alec (<3). In più, nel dialogo finale mi sono completamente inventata l'origine del soprannome, pensando che sarebbe stato carino se fosse stata Isabelle la prima a chiamarlo in quel modo. 
Ok, credo di aver detto tutto... se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! 
Vi ringrazio ancora tantissimo per aver letto la storia, a presto! :) <3
   
 
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