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Autore: OkinoLinYu    21/09/2017    0 recensioni
In un mondo dove le persone con i superpoteri sono uscite allo scoperto, Dana desidera solo essere normale. L'incontro con Roger farà nascere in lei una nuova forza interiore e un sentimento che va oltre l'amore.
(Liberamente ispirato all'universo Marvel)
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Gli avvenimenti che accaddero in quel periodo furono i più straordinari e controversi della sua intera vita; non che la sua fosse una piana e noiosa esistenza, ma quello che le accadde difficilmente potrebbe ripetersi.

 

Lei non era, come dire, la più normale delle ragazze, desiderava ad esserlo, ci provava con tutta se stessa, ma nulla avrebbe cambiato la sua più notevole e importante diversità: lei era, lei è una mutata.

 

In quel periodo i mutati erano usciti globalmente allo scoperto, uomini e donne con capacità e caratteristiche fuori dall'ordinario, desiderosi solo di far parte integrante della comunità. Seppur con qualche diffidenza, il cammino di integrazione aveva trovato terreno fertile, tanto da far nascere anche dei super eroi acclamati e benvoluti dalla società.

 

Ma lei non desiderava la notorietà, né l'ovazione delle folle, desiderava solo essere normale. Sin da piccola non aveva mai voluto accettare la sua diversità, dalla più evidente delle sue mutazioni, i capelli verdi, fino alla scoperta dei suoi poteri, tenuti debitamente nascosti.

 

«E' da quando avevo 13 anni che mi tingo i capelli di questo colore e ora è fuori produzione?» disse arrabbiata.

 

«Suvvia! Di marroni ce ne sono a migliaia!» le rispose l'amica alzando gli occhi al cielo.

 

«Ma questa era l'unica marca che li copriva, letteralmente!» continuò lei sulla stessa onda.

 

«Ora che abiti a New York potresti anche lasciarli naturali, sai quante stranezze si vedono in giro!»

 

«Annie! Vuoi che ti fulmini?»

 

«Ehi, io dico sul serio! Nessuno si farebbe degli scrupoli! C' è anche di peggio!» disse ridacchiando.

 

«Seriamente, vuoi che ti fulmini?» esclamò alzando un sopracciglio.

Dana, giovane laureata trasferitasi a New York, lavorava alla NYU, segni particolari: capelli e occhi di un verde brillante.

 

«Vuoi una parrucca?» domandò Annie facendo scoppiare una bolla della gomma da masticare.

 

Annie, la sua migliore amica, l'unica che conosceva ogni suo più profondo segreto, sin dall'infanzia. Avevano deciso entrambe di tentare la scalata al successo nella grande mela, una nel campo dello showbusiness, l'altra in quello letterario.

 

«No, mi irritano la cute» replicò Dana intenta a leggere le indicazioni di una scatola di tintura per capelli.

 

«Prova questo nero, magari copre di più» Annie le passò un'altra scatola, speranzosa.

 

Lesse gli ingredienti. «No, qui l'ammoniaca è in una percentuale troppo bassa, non durerebbe neanche due lavaggi» esclamò rassegnata.

 

«Che palle! Non ti va mai bene nulla!»

 

«Senti, non mi va di essere presa per una nostalgica del Punk anni '70!» 

 

«E non ti lamentare se la tinta che prendevi è stata messa fuori commercio perché hanno scoperto che provoca il cancro!» rispose con una linguaccia. «Forse è stata proprio la tintura a renderti diversa!»

 

Dana la fissò con sufficienza. «I capelli verdi li ho dalla nascita, e tu lo sai bene!»

 

«È vero» sogghignò l'altra.

 

«Comunque qui non c'è nulla...e credo che non troverò null'altro di meglio» disse rassegnata.

 

«Terrai i capelli al naturale?» domandò euforica Annie.

 

L'amica mugugnò qualcosa di simile ad un si e l'altra esplose in un grido di felicità. 

 

«Si!!! Perfetto, così io me li tingerò di fucsia!»

 

«E ti serviva questo per farlo?» chiese sconcertata.

 

«Beh così mi sentirò meno sola» si giustificò, come se fosse la cosa più naturale al mondo.

 

L'altra rise; con Annie non c'era nulla da fare, era e sarebbe stata così per sempre, svampita e superficiale, ma la migliore amica che si potesse mai desiderare.

 

«Andiamo, altrimenti faccio tardi a lavoro.» disse seria Dana.

 

«Come sei noiosa! Su, pranziamo insieme prima!» insistette con vigore. Dana cedette subito alla promessa di un eclair al cioccolato.

 

Comprò una tinta verde per uniformare il colore dei suoi amati e odiati capelli ed uscirono dal negozio a braccetto, ridacchiando come due scolarette.

 

Si diressero a grandi passi verso un locale lì vicino, e si accomodarono ad un tavolino esterno. Dana continuava a lamentarsi della ricrescita sempre più evidente, mentre Annie era alla costante ricerca di qualche bel ragazzo.

 

«Ma la smetti di guardarti sempre attorno?» esclamò spazientita.

 

«Se non lo facessi, tu resteresti segregata in casa e io sarei costretta a farti compagnia e ad ascoltare le tue paranoie sui capelli!»

 

Dana si offese e mise il broncio.

 

«Avanti! Non fare così!» la blandì Annie, con uno sguardo da cucciola. L'amica si sciolse e rise di gusto.

 

«Non mi ringraziare!» disse all'improvviso, prendendo il volto di Dana tra le mani e costringendola a voltarsi con non poca delicatezza.

 

A pochi tavoli di distanza, Annie aveva individuato un bel ragazzo biondo, seduto da solo, intento a finire le sue patatine fritte; potevano vederne il profilo da quell'angolazione, e non sembrava niente male. Dana lo fissò attentamente, interessata, Annie era ormai persa.

 

«Io vado!» esclamò d'un tratto.

 

«No! Ma che fai?! Non mi sembra il tipo...» rispose preoccupata l'altra.

 

«Che mi frega! Ci provo lo stesso. Magari lo invito al cinema questa sera, forse è uno di quelli  intellettuali...» mentre Annie pensava a quale possibile tattica di rimorchio usare, il giovane finì il suo cibo e fece per andare via, dopo aver posato i soldi sul tavolino. La giovane non aspettava occasione migliore, si alzò con in mano la sua bibita e iniziò ad avvicinarsi di soppiatto. Molto teatralmente fece finta di scivolare e allo stesso tempo inclinò il bicchiere per far cadere tutto il liquido addosso al malcapitato; ma questa volta il piano riuscì a metà. Il ragazzo, dai riflessi pronti, si scansò in tempo per evitare il bagno, l'azione fu tanto repentina che Annie non ebbe il tempo di fermarsi e cadde a terra, tra le risa e gli sghignazzi dei presenti. Il giovane si affrettò ad aiutarla a rialzarsi. Lei si appoggiò con tutto il peso al braccio, per fare leva, e quando si mise in piedi cercò di assumere un'espressione naturale e disinvolta. Dana era piegata in due dal ridere.

 

«Signorina, tutto bene?» chiese cortesemente il giovane.

 

«Oh, si, credo di si...» un' idea le balenò in mente. «Oh...no forse no, mi fa male la caviglia!» fece finta di avere una distorsione.

 

L'espressione del giovane divenne preoccupata. «Riesce a camminare? Le fa molto male?» domandò apprensivo.

 

«Non so...forse riesco a camminare» provò a fare due passi. Il giovane sembrò sollevato. Sembrava  in ansia, come se non vedesse l'ora di scappare.

 

«Mi pare che sia tutto ok...» disse facendo un passo indietro.

 

Annie si voltò compiaciuta verso l'amica e noto che quella le faceva il segno del due di picche con la mano. Adirata, rincarò la dose.

 

«Ahi!» esclamò facendo finta di cadere, per essere presa tra le braccia del ragazzo. «No...non riesco proprio a camminare, forse dovrei andare da un medico»

 

Lui preoccupato annuì, tenendola stretta. Lei guardò trionfante l'amica, che scosse la testa, rassegnata. Pagò il conto e si avvicinò con in mano la borsa dell' amica.

 

Annie aveva iniziato a parlare e a focalizzare l'attenzione tutta su di lei, come al suo solito. Erano saliti in metropolitana, dato che nessuno dei tre aveva un mezzo proprio, in direzione del più vicino ospedale. Durante il tragitto la giovane monopolizzò la scena, lasciando a Dana l'ingrato ruolo di terzo incomodo. Non aveva fatto altro che parlare di lei o cercare di indagare nella vita del giovane, ricevendo spesso risposte monosillabiche o vaghe. La manfrina continuò anche nella sala d'aspetto del pronto soccorso. Quando fu il suo turno, Annie andò a farsi visitare zoppicando, sorretta da un'infermiera.

 

Dana scosse la resta, sorridendo rassegnata. «E' la solita...»

 

«Come scusa?» domandò lui.

 

«Deve sempre farsi riconoscere, è fatta così» rispose sorridendo.

 

«Siete amiche da molto?»

 

«Da tutta una vita...» disse un po' malinconica. «Comunque io mi chiamo Dana Lorch. Prima non ci siamo presentati, sai...la reginetta» esclamò ridacchiando e porgendogli la mano destra.

 

Lui sorrise. «Roger Smith, molto piacere»

   
 
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