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Autore: Amarida    27/09/2017    1 recensioni
"E lo sai che non mi basterà una vita intera per ringraziati, e non solo per avermi salvato la vita… e, diamine, certo che ti puoi fidare! Solo che, ecco, è davvero troppo divertente osservarti quando togli la maschera da duro e ti mostri per quella specie di orsetto di peluche che sei in realtà: adorabile!”
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Richard Speight Jr., Rob Benedict
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La maggior parte delle volte progettavano prima cosa fare e cosa dire alle Convention: dopotutto erano professionisti seri. Altre volte le cose semplicemente succedevano, e funzionavano, senza che nessuno dei due sapesse bene come.
La chimica tra loro era innegabile e si conoscevano ormai abbastanza bene da capirsi con uno sguardo. Erano quasi sempre in grado di indovinare dove sarebbe andato a parare l’altro e reggergli il gioco, con un misto inscindibile di mestiere e sincero divertimento.
Alcuni gesti e alcune battute che facevano letteralmente impazzire i fan alle Convention erano diventati per loro quasi meccanici e s’erano andati pian piano svuotando di significato; alcuni, non tutti…

Nella green room stranamente quieta e semideserta, Rob sedeva al tavolo, riordinando pigramente gli spartiti delle canzoni sul suo tablet. Teneva la chitarra stretta tra le cosce e rivolgeva di tanto in tanto un’occhiata un po’ divertita e un po’ intenerita al collega, che sonnecchiava avvolto in un plaid sull’unico divano.
Solo quando lo vide stiracchiarsi si attentò a richiamare la sua attenzione.
“Richie?”
“Mmmh?”

Una testa incredibilmente spettinata e un solo occhio dorato emersero dal plaid. Rob si trattenne a stento dal ridere a quella visione.
“Begin the begin?” chiese piano.
“Perché no?” Rispose l’altro, aprendo entrambi gli occhi e districandosi lentamente dalla coperta: “è un po’ che non la facciamo.”
“Stesso copione?” domandò ancora Rob, con un lieve tremito nella voce.
“Certo, Robbie!” Esclamò l’altro, ormai perfettamente sveglio e già pronto per una prova.
Rob imbracciò la chitarra con un ampio sorriso.

Il concerto stava andando decisamente bene. Gil aveva raggiunto note incredibili come al solito; Matt compensava con il fascino e l’eleganza felina l’inesperienza come cantante; ma la voce era buona e non era il caso di essere critici.
Kim non si era persa l’occasione per rubare a Rob un bacio sulle labbra alla fine della sua canzone, mandando in delirio le fan.
“Eh, neanche fossi Jensen!” Aveva sussurrato Rob a Rich, che aveva sottratto il basso a Michael per suonare un paio canzoni.
“Non sottovalutarti, kiddo…” era stata la sua risposta.
Briana era una forza della natura, generosa di forme e di voce. Rob si divertiva sinceramente ad accompagnarla, le loro voci curiosamente bene assortite.
Adesso toccava a Richard.

Una sistemata al microfono, un saluto al pubblico, un’occhiata al collega per avere l’attacco e via: la voce calda di Richard ancora una volta rotolava giù per il palco a infiammare il pubblico, sempre un poco stupito - chissà perché? - delle doti canore dell’attore.
Per buona parte della canzone Rob si limitò a suonare la chitarra; solo per pochi versi la sua voce si unì a quella dell’altro, ma sempre con discrezione, lasciando a lui il centro del palco e dell’attenzione.

Ecco un’altra cosa che a Richard piaceva moltissimo del suo migliore amico: nonostante l’aspetto gentile e minuto, poteva trasformarsi in un perfetto animale da palcoscenico capace di inchiodare a sé l’attenzione dell’intera platea; ma era altrettanto capace di fare un passo indietro, sinceramente felice che altri ricevessero applausi e attenzioni al suo posto. Era la spalla perfetta: con la sua presenza discreta ma costante era riuscito a tirar fuori il meglio da mezzo cast. Chi credete abbia trasformato Jensen da riluttante strimpellatore di chitarra e sussurratore di canzoni delle prime convention a quella specie di bellissimo dio del rock in giacca di pelle delle ultime performances?

Al contrario di altri colleghi, a Richard cantare piaceva da sempre: era nato a Nashville, che diamine! La città più musicale d’America. A due terzi del pezzo, si girò verso il collega: “Ora?” domandò con un cenno. “Vai”, gli rispose l’altro con un’occhiata.
Aveva avuto il permesso di scatenarsi dal leader della band e se lo prese: emise un grido roco, che fece saltare sulla sedia anche gli spettatori più distratti, poi, in due falcate attraversò il palco e andò ad acchiappare Rob, gli passò un braccio attorno al collo e lo tirò a sé, chitarra compresa.

Richard sorrise, sentendo crescere i mormorii eccitati dalla platea.
Dopo anni di convention era facile sapere come comportarsi per suscitare una determinata reazione. Erano innegabilmente molto rock in quella posa e, insieme, anche inspiegabilmente teneri, pure se Richard non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.

La verità era che, al di là della messa in scena ad uso del pubblico, quella manciata di secondi in cui poteva permettersi di tenere stretto il suo collega gli piacevano molto.
Gli piaceva il modo fiducioso con il quale si appoggiava a lui, gli piaceva sentir vibrare le note della chitarra attraverso il suo corpo. E, anche se sapeva che, con il fracasso degli altri strumenti e il vocio del pubblico, era praticamente impossibile, avrebbe giurato di poter sentire battere il cuore di Rob sotto le dita della mano che aveva posato sul suo petto. Inevitabilmente, il ricordo di quando quel cuore aveva rischiato di fermarsi lo colse a tradimento e la sua voce tremò per un istante.

Nonostante ciò che credevano i fan, non è che lui e Rob si vedessero tutti i giorni: non erano come Jared e Jensen che facevano anche le vacanze assieme, ognuno aveva la propria famiglia, un collaudato giro di amicizie e impegni lavorativi che solo in qualche fortunato caso coincidevano. Però era innegabile che quell’uomo fosse stato capace di infilarsi con discrezione nella sua vita, diventando in breve tempo uno dei suoi più cari amici. Aveva saputo scavarsi a colpi di intelligenza, ironia, e una certa goffa dolcezza, un posto d’onore nei suoi pensieri. Dio, sarebbe stato orribile perderlo! Non solo perché erano diventati l’anima delle Convention di Supernatural, perché erano riusciti a lavorare insieme in tv, o perché, dopo aver messo in piedi una web serie, avevano in cantiere molti altri progetti: no, tutto questo era solo la superficie. Gli sarebbe mancata la sua mente, capace di macinare mille idee al minuto e mescolarle con altrettante paure; gli sarebbe mancata la sua voce, decisamente buffa quando si faceva stridula per paura o eccitazione, ma capace di adattarsi come poche altre ad esprimere tutte le emozioni di un testo recitato o cantato; gli sarebbero mancati i suoi occhi, grandi e chiari come quelli di un bambino e altrettanto capaci di curiosità e stupore, ma, all’occorrenza, maliziosi e sornioni. Gli sarebbe mancato il suo corpo, apparentemente minuto, ma in realtà forte e stranamente rassicurante: gli bastava sedersi accanto a lui nella green room o su un aereo, senza neppure sfiorarlo, per sentirsi al sicuro. No, non poteva neppure pensarci!

Rob, che, in quanto creatura ipersensibile, era un mago a fiutare le insicurezze altrui, si accorse subito che qualcosa non andava e si girò a guardarlo. Erano così vicini che Richard sentì i suoi riccioli umidi sfiorargli una guancia e, prima di incontrare i suoi occhi, decise che era tempo di proseguire col copione. Lo allontanò da sé con una spinta decisa ma gentile e terminò la canzone. Si bevve gli applausi del pubblico e il sorriso soddisfatto del collega, lasciandosi scivolare addosso i cattivi pensieri, ritornando il solito cazzone adorato dai fan, ma sapeva che non l’avrebbe passata liscia.

Infatti, appena rientrati nella green room, Richard si affrettò nell’angolo in cui aveva posato la valigia, vi si accucciò accanto, la aprì e si mise a sistemarla brontolando: un modo come un altro per dare le spalle al collega ed essere lasciato in pace. Non funzionò. Rob gli si avvicinò in silenzio, si inginocchiò accanto a lui e gli posò la mano su una spalla: “Richie?” disse dolcemente.
Richard si voltò con una delle sue migliori espressioni da misantropo scocciato, talmente ben riuscita da far fare a Rob un balzo indietro: se ne dispiacque immediatamente, ma tentò di rimanere nella parte: “Che c’è?” chiese duro.

L’altro non si lasciò scoraggiare: sfoderò il suo altrettanto temibile sguardo da cucciolo e, con un filo di voce esordì: “Scu… scusa, ma, io… cioè… stai bene? Prima, durante la canzone, hai… hai…” La mano poggiata sulla sua spalla tremava leggermente, ma la presa era salda e, in qualche modo, confortante. Non poteva sfuggire, né mentire.

“Mi sono commosso, va bene? Questo è quanto”, rispose secco, sperando che all’altro bastasse. Ovviamente non bastava. “Perché?” chiese allora Rob, con la stessa espressione sinceramente curiosa che avrebbe potuto avere uno dei suoi figli. “Perché, perché… perché ogni volta che ti stringo mentre canto e che tu ti appoggi a me mi ricordo di Toronto: non riesco a impedirmelo, cazzo, e fa ancora male” sputò d’un fiato, poi si sedette per terra, svuotato e sconfitto: aveva mostrato la sua debolezza ed era pronto ad affrontarne le conseguenze.

“Oh” esalò Rob, e si sedette lui pure a terra, di fronte a Richard. La mano che prima teneva sulla sua spalla era scivolata lungo il braccio e si era fermata su quella dell’altro, che l’afferrò con decisione.
“Mi… mi dispiace”.
“Come sarebbe a dire ti dispiace?” sbottò Richard: “Tu sei stato male, sei quasi morto! Non vorrai prenderti la colpa anche di questo? Sono io che credevo di essere un uomo adulto, capace di affrontare ogni situazione e, invece, mi sono scoperto una specie di adolescente in crisi ormonale e per chi? Per mia moglie? Per uno dei miei figli? No, cavolo! Quello sarebbe normale! No, dopo anni me ne sto qui a commuovermi peggio di una delle nostre fangirl per la paura orrenda che ho di perdere il mio mio migliore amico!”

Un singhiozzo soffocato di Rob interruppe la sua faticosa filippica e lo costrinse ad alzare lo sguardo: il disgraziato rideva! Coprendosi il volto con le mani, gli occhi lucenti che lo sbirciavano tra le dita. Lo spintonò rudemente e per poco non lo fece cadere di schiena sul pavimento.

“Ecco, bravo, pigliami anche per il culo! E io che credevo di potermi fidare di te…”
“Scusa… scusa” disse l’altro, cercando di tornare serio: “non ti sto prendendo in giro: non lo farei mai, non su questo! E lo sai che non mi basterà una vita intera per ringraziati, e non solo per avermi salvato la vita… e, diamine, certo che ti puoi fidare! Solo che, ecco, è davvero troppo divertente osservarti quando togli la maschera da duro e ti mostri per quella specie di orsetto di peluche che sei in realtà: adorabile!”
“Ma vaffan…”
Per un attimo Rob temette che Richard gli piantasse un ceffone, ma l’altro, ancora una volta, lo sorprese.

Sai una cosa?” disse balzando in piedi, come colto da un'improvvisa realizzazione. Per un momento torreggiò su di lui, rivolgendogli un ghigno decisamente preoccupante, poi gli allungò una mano per aiutarlo a rialzarsi.
“Cosa?”chiese Rob quando furono entrambi in piedi l’uno di fronte all’altro.
“Ho deciso che, per una volta, non me ne può fregare di meno: ho deciso che per te ne vale la pena” disse, e lo tirò a sé strizzandolo in un abbraccio possessivo, talmente forte che finì col sollevarlo leggermente da terra.
L’altro, spiazzato, subito sì irrigidì, poi, ricambiò la stretta, andando a posare con fiducia la testa sulla sua spalla.
“Va tutto bene, Richie, va tutto bene: non ho nessuna intenzione di andarmene”.

“Prendetevi una stanza!” tuonò la voce di Jensen da qualche parte nella green room.
Scoppiarono a ridere entrambi.
Lo spettacolo sarebbe continuato. E sarebbe stato bellissimo.


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Nel caso non si fosse capito, io questi due li amo.
Se non avete visto il video di Richard che canta begin the begin e acchiappa Robert, potete trovarlo qui: https://www.youtube.com/watch?v=SeJ7GViyx-w

Ora torno al lavoro.
Baci.

  
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