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Autore: Giuls_BluRose    27/09/2017    1 recensioni
Raccolta di sette brevi flashback |
Si passò le mani tra i capelli e sospirò pesantemente, sentendo le lacrime scendere sulle sue guance dolorose come fiumi di lava: piangeva per la frustrazione, piangeva stringendo così tanto i pugni da farsi male ai palmi delle mani.
Improvvisamente, come un soffio di vento, sentì una mano posarsi sulle sue spalle e un soffio vicino al suo collo: spaventato si voltò di scatto, ma dietro di lui non c'era assolutamente nulla.
Si strinse ancora di più alla parete, controllando che non arrivasse nessuno nel bagno; chiuse gli occhi per calmarsi e proprio in quel momento la finestra si spalancò a causa di una forte volata di vento e Kurt potè quasi giurare di sentire una voce insieme al vento.
“Ci sono io con te, non ti lascio andare, non avere paura.”
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sette minuti

 

“Complimenti signora, è un bellissimo maschietto!”
Le parole del medico furono coperte da un lungo pianto di una nuova vita, la luce della sala parto erano bianche e ben decise, così come le pareti e quasi tutti gli arredi.
La signora Hummel era stata distesa su un lettino al centro della stanza, proprio sotto un grande lampadario; stava riposando dopo le quasi venti ore di travaglio, la fronte era imperlata di sudore freddo.
“Sei stata bravissima.”
La voce calda e rassicurante di Burt le arrivò dritto nelle orecchie, mentre la mano dell'uomo si stringeva a quella della moglie.
Il parto era stato lungo, ma per fortuna senza alcuna complicanza e il piccolo Kurt sembrava godere di ottima salute, cosa che stava dimostrando anche con il fragoroso pianto che sembrava possederlo in quel momento.
“Ecco a lei.”
Una volta pulito e vestito con una tutina gialla, il neonato fu portato tra le braccia della madre, che lo strinse immediatamente al seno mentre un tenero sorriso solcava le sue labbra.
“Il mio bambino...”
I due genitori si persero immediatamente nelle iridi color cielo di Kurt, brillanti e decise, ereditate forse dal bisnonno materno.
“Sarà un bimbo forte, i suoi occhi sembrano parlarci.”
Burt sorrise alle parole della moglie, così pura da credere a ciò che emanavano quei due occhietti appena aperti. Amava sua moglie, amava come la sua parte infantile non la avesse mai abbandonata, anche dopo tutto quello che aveva dovuto passare da giovane.
“Forte come te.”
Baciò i capelli della donna, mentre le sue mani vagavano in cerca di quelle del figlio, che nel frattempo stava smettendo lentamente di piangere, forse al contatto del calore materno.
Cullato dai battiti del cuore della madre Kurt non ci mise molto ad addormentarsi: quello era soltanto l'inizio della sua vita, i primi istanti di mille esperienze e il primo pianto che presto si sarebbe unito a centinaia di altri.


Quella era iniziata come una mattinata normale, ma Burt e sua moglie non si sarebbero mai aspettati che avrebbe preso proprio quella svolta.
Kurt, come tutte le mattine, era stato portato al nido e lo avevano lasciato tranquillo che giocava con un altro bambino.
Erano tornati a casa per sistemarla, dato che man mano che il bimbo cresceva quest'ultima diventata sempre più inagibile; stavano riordinando la stanza del piccolo quando il cellulare della donna squillò.
Lei rispose senza fare tanto caso al numero sullo schermo, riconobbe solo successivamente la voce della maestra Jenna.
“Signora Hummel?”
“Mi dica.”
La voce della maestra, seppur con una certa calma, celava una punta di preoccupazione, cosa che non riassicurò minimamente la donna.
“Credo che Kurt non stia tanto bene, ha smesso di giocare ed è venuto a rifugiarsi in lacrime tra le mie braccia; scotta, credo abbia la febbre.”
Una volta chiusa la chiamata partì insieme a Burt per andare a riprendere il figlio e, una volta arrivati, si accorsero subito che c'era qualcosa che non andava: il bambino di soli due anni era appena cosciente e aveva iniziato a parlare, quel poco che riusciva, in maniera scomposta e senza collegamento logico tra le frasi.
Lo misero immediatamente in auto e si misero in marcia per raggiungere il loro pediatra: la donna teneva sollevata la testa del figlio, carezzando i capelli color grano bruciato, le sue lacrime le straziavano il cuore, ma sapeva che non ci sarebbe voluto ancora molto prima di arrivare.
Burt cercava di fare il più in fretta possibile, dando di tanto in tanto uno sguardo indietro dallo specchietto per controllare le condizioni del figlio.
Durante il breve tragitto che li divideva dall'ospedale l'attenzione dei due genitori fu catturata da una frase di Kurt che li fece rimanere a bocca aperta.
“Mamma, sento un uomo piangere nella mia testa: mi sta dicendo che non devo abbandonarlo, che non può vivere senza di me...”
I due si guardarono senza capire, ma videro il piccolo crollare in un sonno profondo.


La porta dei bagni della scuola si chiuse violentemente e la serratura si mosse in pochi secondi.
Il petto di Kurt si abbassava e si alzava velocemente, il cuore che sembrava di dovergli esplodere dal petto da un momento all'altro.
Era iniziata da poco la giornata scolastica e già un gruppo di bulli lo aveva preso di mira: quella volta era riuscito a scappare e si era rifugiato all'interno dei bagni, senza la minima intenzione di uscirne prima del termine della seconda ora.
Una volta sicuro di essere da solo si lasciò cadere a terra, con la schiena contro la parete laterale del piccolo cunicolo: erano anni, fin dalle elementari, che i ragazzi prendevano di mira senza alcun apparente motivo.
Strano, diverso, ridicolo: questi erano solo i più gentili dei nomignoli che gli erano stati attribuiti, solo perchè era più minuto rispetto agli altri, o perchè indossava abiti che altri non avrebbero mai messo.
“Hanno solo paura della diversità.”
Questo era quello che continuava a ripetersi mattina dopo mattina, prima di entrare in quella scuola fredda e dimenticata dal mondo.
Spesso, però, non era sufficiente un supporto personale e, come quella volta, si trovava da solo a piangere nei bagni della scuola. Non piangeva però per paura o debolezza, piangeva perchè sapeva di non meritarsi tutto quell'odio gratuito, sapeva che tutto quello era solo perchè la società in cui viveva non era in grado ancora di comprendere quello che lui era. Cosa ci si può aspettare, infondo, da una cittadina nel cuore dell'Ohio dimenticata anche da Dio?
Si passò le mani tra i capelli e sospirò pesantemente, sentendo le lacrime scendere sulle sue guance dolorose come fiumi di lava: piangeva per la frustrazione, piangeva stringendo così tanto i pugni da farsi male ai palmi delle mani.
Improvvisamente, come un soffio di vento, sentì una mano posarsi sulle sue spalle e un soffio vicino al suo collo: spaventato si voltò di scatto, ma dietro di lui non c'era assolutamente nulla.
Si strinse ancora di più alla parete, controllando che non arrivasse nessuno nel bagno; chiuse gli occhi per calmarsi e proprio in quel momento la finestra si spalancò a causa di una forte volata di vento e Kurt potè quasi giurare di sentire una voce insieme al vento.
Ci sono io con te, non ti lascio andare, non avere paura.


Nella stanza da letto le luci erano soffuse e le tende lasciavano intravedere parte della luce lunare.
Kurt sorrise vedendo quei riflessi provenire dalla finestra e si strinse maggiormente tra le braccia di Blaine.
“Ti amo.”
Quelle due parole uscirono spontaneamente dalle sue labbra, cosa che fece intenerire il ragazzo dai capelli castani.
“Anche io, tantissimo.”
La giornata era stata intensa, preparare quella proposta di matrimonio aveva richiesto alcuni giorni e la preoccupazione che alla fine Kurt avrebbe rifiutato era stata alta fino all'ultimo momento; tutto però era andato secondo i piani e alla fine il ragazzo aveva accettato di diventare suo marito.
Il più grande, adesso, non smetteva di guardare il suo dito, dove indossava quell'anello, tanto semplice quanto prezioso e non poteva fare a meno di sorridere.
“Vedo che ti piace.”
Blaine lo strinse maggiormente a sé, mentre le labbra si posavano sulla pelle di alabastro del suo fidanzato: l'anello era stato un altro punto dolente, aveva paura di prenderne uno sbagliato o che non gli piacesse, ma per fortuna aveva fatto la scelta giusta.
Tutti avrebbero detto che erano troppo giovani, che avrebbero potuto aspettare ancora, che avevano tutta la vita ancora davanti a loro, ma per loro due quello sembrava davvero il momento giusto. Erano stati distanti per troppo tempo, sia a causa della distanza fisica, sia a causa della loro ultima separazione, non volevano aspettare ancora.
Sapevano bene che la distanza fisica sarebbe rimasta ancora qualche mese: giusto il tempo però che Blaine finisse il liceo, poi si sarebbe trasferito pure lui a New York e il loro sogno sarebbe finalmente iniziato.
“Kurt, non ti lascerò mai, te lo prometto. Resto qua con te, non me ne vado.”
Il castano lo baciò sulle labbra, per poi posare la testa al petto del moro e chiudere gli occhi, crollando tra le braccia di Morfeo, finalmente felice.
Quella stessa notte, però, avrebbe potuto giurare che le stesse parole che gli aveva detto Blaine prima di dormire lo avessero “perseguitato” in sogno, come in un lontano sussurro disperato, forse dette da un uomo che piangeva.


“Sbrigati papà, farò tardi per prendere l'aereo!”
Tracy correva da una parte all'altra della casa, cercando le ultime cose per la partenza. Kurt, come al solito, stava aspettando alla porta da venti minuti buoni, ma quella volta Blaine in un estremo ritardo, anche lui in frenesia per la casa per prendere ciò che gli serviva. L'uomo più grande della casa era scocciato nel vedere la figlia, che aveva anche il coraggio di brontolare, e il marito che non riuscivano mai ad essere in orario.
“Se perdi l'aereo dai la colpa a papà Blaine eh.”
La sua voce era dura, ma cercava di coprire una leggera risata.
La ragazza, una volta preso tutto, raggiunse il padre alla porta, seguita dalle sue valige: aveva finalmente finito il liceo e quello era il giorno previsto per la partenza per la Florida, dove avrebbe frequentato il College.
“Blaine, datti una mossa o le paghi tu il secondo volo!”
Dopo pochi minuti finalmente anche l'altro genitore era pronto e, senza perdere ulteriore tempo, scesero di casa ed entrarono in auto, destinazione aeroporto di New York.
“Tracy lo sai, per qualunque cosa non esitare a chiamare, noi saremo sempre qua per te.”
La ragazza annuì, sapendo bene che i suoi genitori si preoccupavano sempre troppo per qualsiasi cosa, ma ormai aveva imparato a conoscerli bene dopo quasi diciannove anni.
“Ci sarà pure zia Rachel a salutarmi?”
Blaine annuì, sapendo che la donna era già là ad aspettarli: durante la sua vita Rachel era stata un punto fisso per Tracy e aveva fatto tantissimo per lei, si volevano bene in maniera quasi morbosa e la distanza avrebbe fatto male a tutte e due.
“Papà?”
Sentendosi chiamare i due si girarono, facendo così sorridere la ragazza.
“Siete sempre così schifosamente in sincronia, fatevi curare da uno bravo!”
Nel frattempo erano arrivati a destinazione e l'auto si era fermata, si avvicinava così l'inesorabile ora dei saluti.
“Vi voglio bene, vi voglio un bene dell'anima.”
Tracy si morse le labbra, consapevole che forse non sarebbe riuscita a controllare le lacrime; Kurt strinse forte la mano a suo marito, sentendo così come un brivido lungo la schiena, come se qualcosa gli stesse dicendo di aver giù vissuto in passato quel momento.
“Ci saremo sempre qua per te piccola, qualunque cosa accada qua avrai sempre una casa in cui tornare.”

 

 

Kurt odiava gli ospedali, li aveva sempre odiati: gli ricordavano la morte di sua madre, la malattia del padre e altri ricordi che non voleva avere nella mente. Mai avrebbe voluto quel giorno trovarsi in quella spoglia sala d'attena, mai avrebbe voluto sua figlia e suo marito stretti a lui aspettando un resoconto che sembrava non arrivare mai. Era stato casualmente a fare una visita e quei valori del sangue alterati avevano preoccupato così tanto il medico da fargli fare delle analisi più approfondite, così adesso si trovavano lì, con l'ansia che scorreva loro nelle vene.
Inutile dire che tra i tre c'era un silenzio assordante, un silenzio pieno di paura e speranza, un silenzio che celava in sé fiumi e fiumi di parole.
Come una molla carica Kurt scattò in pieni non appena vide il medico uscire dallo studio e dirigersi verso di lui: aveva le mani tra i capelli che iniziavano ad avere accenni di bianco e continuava a mordersi le labbra, senza sapere che cosa si sarebbe potuto aspettare.
“Dottore..”
Il volto del medico era severo, teso e quasi inespressivo, cosa che preoccupò ulteriormente i tre.
“Signor Hummel, credo che sia inutile girarci tanto intorno: il valore dei globuli bianchi, come sa, è superiore di gran lunga alla media e, dalle analisi effettuate, sono sinceramente dispiaciuto di dirle che le abbiamo riscontrato un tumore maligno al fegato, ancora in stadio prematuro per fortuna.”
L'uomo non sentì neppure il medico che continuava a parlare, il mondo sotto di lui sembrò sbriciolarsi e aveva l'impressione che tutto si stesse lentamente tingendo di nero. Sentì la stretta presa della figlia accanto a lui, mentre poteva scorgere la figura di Blaine seduto sulla sedia, con il volto perso nel vuoto.
“Papà...”
La donna tremava, sentiva la bocca secca e le gambe che le stavano per cedere da un momento all'altro; lei non era pronta, così come i suoi genitori, a quello che stava per essere detto.
“Questo tipo di tumore al fegato è ancora in stato di studio, non esiste una cura certa...”
Quelle parole furono strazianti per tutti, ma mentre Kurt cercava di non crollare, cercava per quanto possibile di rimanere lucido, Blaine non resse lo stress e si lasciò cadere a terra, con la schiena contro il muro dietro di lui.
Per Kurt fu quasi come sentire un doppio urlo logorante: il primo fu quello di suo marito, che riuscì solo a scoppiare in lacrime chiudersi quasi completamente in se stesso; il secondo, invece, fu quello che da anni poteva giurare di sentire tutte le notti nel sonno, un uomo che piangeva disperato e la sensazione di una mano invisibile che si stringeva alla sua.

 

 

 

La vita da quel fatidico giorno non era stata più la stessa, era stato difficili andare avanti, ma i giorni erano passati, poi i mesi ed infine gli anni.
Dopo tante difficoltà quasi quindici anni erano scorsi più o meno tranquillamente, con momenti di ricadute e altri di miglioramenti, ma la speranza in casa Hummel-Anderson non era mai scomparsa.
Il tumore si era ingrandito con il passare del tempo e alla fine aveva costretto Kurt a recarsi in ospedale in condizioni che non promettevano nulla di buono: il volto era denutrito e scavato, la pelle peggiorava visibilmente e il gonfiore si estendeva progressivamente.
Ormai a poco servivano quelle continue flebo che gli venivano somministrate continuamente, l'uomo sentiva che la sua vita stava per finire.
La figlia, ormai donna, aveva preso un periodo di ferie dal lavoro per stare con il padre e Blaine ormai non lo lasciava solo neanche per un istante. Lui stesso non era al pieno delle sue condizioni fisiche, ma aveva il terrore che potesse succedere qualcosa a Kurt e che lui in quel momento non fosse lì.
Continuava a rimanere al suo capezzale, stringendo la sua mano e non facendo altro che piangere silenziosamente, sapendo che tutto stava per finire.
Tutti i medici gli avevano detto di tornare a casa per la notte o di uscire per farsi una doccia e prendersi qualcosa di meglio da mangiare del cibo della mensa, ma lui continuava a rifiutarsi categoricamente.
Kurt diventava più debole ogni minuto che passava e aveva iniziato ad odiarsi perchè Blaine si stava consumando dentro le mura di quell'ospedale; sentiva che la vita gli stava scivolando tra le mani, sentiva che quelli erano i suoi ultimi istanti.
Non riusciva più a parlare, teneva a malapena gli occhi aperti, ma sentiva chiaramente la forte presa del marito accanto a sé, sentiva che anche quella notte stava piangendo accanto a lui.
E proprio in quel momento, mentre il suo cuore stava battendo per le ultime volte, riconobbe nel pianto del marito quello che da sempre credeva di sentire nella sua testa, sentì chiaramente quella disperazione nella voce dell'uomo e, proprio quando il respiro corse via dal suo corpo, sentì quell'urlo, ma come se derivasse da due posizioni differenti dello spazio, come se si fondesse con il nulla più assoluto, affievolendosi nel più assoluto ed eterno silenzio. Capì troppo tardi che le preghiere di suo marito, in qualche modo, lo avevano seguito per tutta la sua vita.

 

 

 

 

The end



 


Note dell'autrice
Salve a tutti ragazzi, rieccomi qua con questa "Cosa"
L'idea mi è venuta da una cosa che aveva letto su internet qualche tempo fa, praticamente che durante gli ultimi minuti di vita il nostreo cervello la ripercorre in maniera perfettamente lucida, creando così il paradosso di non poter sapere se si sta vivendo realmente o in un sogno. Non credo sia fondata su basi scientifiche, ma mi sembrava una teoria molto interessante e così ne ho approfittato.
Per chiarire un po': Kurt sta rivivendo la sua vita negli ultimi istanti, ma sente il marito piangere al suo capezzale, captandolo però solo come se fosse nella sua mente.
Sono curiosa di sapere che cosa ne pensate, non so se esserne felice o meno.
Bhe, lascio la parola a voi allora, a presto!

Giulia Pierucci

   
 
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