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Autore: rainbowdasharp    29/09/2017    2 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6: La Torre



“Un giorno, il giovane elfo mi chiese cosa avevo lasciato alle mie spalle e io, con mia sorpresa, non seppi cosa rispondere. Quel posto così quieto, che sembrava avermi donato serenità, mi aveva accolto con così tanto amore che faticai a rimettere insieme i frammenti della mia vita prima del mio arrivo. Avevo perso di vista il mio obiettivo, di questo ero sicuro, ma non riuscivo neanche a ricordare cosa avrei dovuto fare. Lui mi carezzò il volto in un gesto familiare e gentile e mi sussurrò che non c'era fretta: potevo riposare ancora in quel luogo, avrebbe atteso ancora e ancora. Dovevo solo lasciar risanare le mie ferite.

Poi, con la sua voce soave, prese a cantare.”

 

L'Od Destruction si trovava nella zona periferica della città, quasi volesse nascondersi dagli sguardi indiscreti delle masse. Data l'ora tarda e la difficoltà di raggiungere il luogo, Leo aveva proposto a Robin di andare in macchina: era passato a prenderlo alla stazione più vicina e poi si erano diretti verso la zona industriale.

«Che luogo... rozzo» mugugnò Robin, mentre osservava l'ambiente circostante scorrere al di là del finestrino, con sguardo perplesso. «Intendo dire che è, mh, molto caotico».

Caotico a dir poco; il moro dovette sorbirsi tutte le lamentele di Leo mentre cercava un parcheggio per la sua modesta automobile (motivo per cui odiava guidare, tra i tanti: il parcheggio, insieme al fatto di non poter scrivere mentre era alla guida – una vera perdita di tempo... molto meglio i trasporti pubblici, in cui almeno poteva pensare ad altro).

Quando si trovarono davanti al locale, si resero conto che, nonostante non fosse ancora aperto, al suo interno c'era già un gran movimento: si trattava per lo più di giovani, tutti caratterizzati da un aspetto a dir poco peculiare, un insieme di colori vivaci e abiti di ogni genere, quasi fosse un raduno di anticonformisti allo stato puro. A Leo piacevano le stranezze, ma era quasi soffocante vederne così tante concentrate tutte nello stesso punto – era banalizzata, in quel modo, resa inerme, tanto che lui e Robin spiccavano come una chiazza di pittura nera su un abito da sposa in pizzo bianco... eppure, dei presenti, nessuno badò a loro.

La struttura sembrava un bunker preparato ad hoc ad un'apocalisse incombente, pronto per accogliere chi poteva – come una moderna ed impietosa Arca di Noè; Leo immaginò si dovesse trattare, in precedenza, di un magazzino di proporzioni gigantesche e quando era stato ripensato come locale, chiunque se ne fosse occupato non aveva neanche tentato di nascondere la sua iniziale funzione ma, piuttosto, la aveva accentuata ed estremizzata: oltre alla grande scritta luminosa formata di neon viola e argento, che ad intermittenza si lasciava leggere in “OD DESTRUCTION” a caratteri cubitali e dallo stile militare, l'entrata era ancora un'enorme saracinesca degna di un autorimessa, completamente pitturata a tinte fosche sugli stessi toni dell'insegna con un'aggiunta abbondante di nero opaco. Le pareti non erano state ridipinte ma piuttosto riempite di murales di ogni genere: colorati, tetri e lugubri, inneggianti alla pace oppure dai cupi toni infernali; l'unico tema ricorrente sembrava essere il numero cinque in ogni sua scrittura, unito alla parola, apparentemente senza senso, “rEVOL”.

L'entrata non era del tutto chiusa, fortunatamente, ma tenuta solo ammezzata – Leo e Robin si guardarono per un lungo istante, prima che il rosso prendesse la decisione di avvicinarsi al ragazzo che stava in piedi di fronte all'entrata, appoggiato alla saracinesca a braccia incrociate e l'aria di chi non vuole saperne di avere a che fare con gli sconsciuti: non era molto più alto di loro, pressoché quanto Robin e, nonostante l'espressione rabbiosa, Leo notò subito come il suo volto fosse marcato ma piacevole, reso ancora più intenso dagli occhi di un oro brillante e dalla chioma incolta di capelli grigi, lasciati allo stato brado nel tentativo forse di farli più somigliare ad una criniera che non a capelli umani.

Il ragazzo ringhiò. «E voi chi siete?!» La voce era roca, il tono aggressivo. Ritsu lo aveva avvertito che il locale era... un po' particolare. Robin, sempre vicino a Leo, fece un passo avanti, impettito: sembrava che il suo orgoglio (senza dimenicare il suo impeccabile bon ton) non gli permettesse di avere a che fare con quel genere di maleducati in silenzio e i due si fronteggiarono senza che Leo potesse impedirlo... anche se, ad essere sincero, era proprio curioso di vedere il moro alzare la voce con uno sconosciuto. Quel suo lato combattivo gli interessava molto, più di quanto in effetti non gli andasse di ammettere.

«Siamo ospiti» mise subito in chiaro Robin, ergendosi in tutta la sua statura, che più o meno equiparava quella della guardia arrabbiata. «Siamo qui sotto consiglio di Ritsu Sakuma».

Lo sconosciuto sembrò sul punto di rispondere qualcosa sul tono di: “Non me ne frega un accidente di chi vi manda!” ma ad evitare lo scontro che ormai sembrava assicurato, fu l'improvvisa comparsa di un uomo, troppo alto per i gusti di Leo, che poggiò la mano sulla spalla del tipo arrabbiato.

«Non c'è bisogno di ringhiare, Wanko».

Leo aveva incontrato un'unica volta Rei Sakuma e – impossibile trovare altre parole – aveva un fascino magnetico, quasi alieno. Non era solo il suo aspetto, indubbiamente piacevole, ma piuttosto sembrava emanasse un'aura particolare, in grado di attirare a sé chiunque lo circondasse: la somiglianza con il fratello più giovane era di certo innegabile – gli stessi capelli neri, seppur più lunghi e ribelli; gli stessi occhi rosso sangue, seppur dal taglio più allungato – ma se la presenza di Ritsu era pacifica come quella di un orso in pieno letargo, quella di Rei sembrava mettere in allarme ogni cellula del suo corpo che urlava a gran voce che sì, questo era un predatore e lui una preda.

Si rese conto di essere rimasto senza parole solo quando “Wanko” (dubitava fosse il nome del ragazzo) si voltò, apparentemente affatto colpito dall'atmosfera surreale che era scesa su tutti i presenti - Robin compreso – alla comparsa dell'uomo e prese ad urlare se possibile ancor più di prima.

«Brutto vecchio testa di cazzo, che ci fai già fuori da quella stramaledetta bara?!» esclamò e l'affermazione fu così assurda che fu in grado di riportare bruscamente alla realtà lo scrittore, che sbatté le palpebre e... si sentì, in qualche modo irritato: gli occhi rossi dell'uomo davano l'idea di conoscere già tutto sui due nuovi arrivati – il motivo per cui si trovavano lì, quello che Leo voleva e... Robin. C'era qualcosa di incredibilmente fastidioso nel modo in cui guardava entrambi, che per un attimo avvertì la tentazione di girare i tacchi e andarsene.

«Il mio adorabile fratello mi aveva avvertito che alcuni suoi amici desideravano conoscermi» rispose, senza neanche guardare il suo interlocutore negli occhi; il suo sguardo era fisso su Leo, che si era intestardito nel volerlo sostenere ad ogni costo. «Mi chiedo il perché».

Quando si erano incontrati la prima volta, Leo non gli aveva prestato troppa attenzione: stava ideando un racconto breve con le stelle come protagoniste, quindi quella gita in notturna era stata ideata prevalentemente a quello scopo – era stato Arashi ad insistere perché ne facessero un'uscita di gruppo, un'occasione per divertirsi tutti assieme. Allora, lui e Rei non parlarono molto, anche perché Ritsu non sembrava molto propenso a lasciare che interagisse con i suoi amici ma di certo si sarebbe ricordato se lo avesse fissato in quel modo, perché non era uno sguardo che si dimenticava facilmente.

Qui, invece, forse nel suo habitat naturale, sembrava un re della notte. Tutto di quel luogo, persino all'esterno, suggeriva che rispondeva solo e soltanto ai suoi comandi e metteva pressione agli intrusi e chiunque tentasse di carpirne i segreti, persino più dello scorbutico guardiano che, Leo notò, il maggiore dei Sakuma aveva accuratamente evitato di guardare negli occhi.

Rei li invitò dunque a seguirli nel locale, dopo aver intimato a “Wanko” di mantenere almeno un minimo di calma nell'accogliere sconosciuti (causando altre urla e offese in aggiunta a quelle di poco prima) e così Leo e Robin, dopo essersi scambiati una lunga occhiata in cui cercarono di comunicare tra loro senza successo, seguirono l'uomo all'interno del locale.

L'ambiente, inutile a dirsi, era buio; era in parte illuminato da led di ogni tipo, di colore prevalentemente sui tono del rosso e del viola scuro. Per quel che era possibile vedere, era un ampio spazio cosparso di numerosi tavoli e sedie di poco valore, per rimanere nell'atmosfera del bunker antinucleare che già l'esterno contribuiva a dare. Una musica rock suonava in un sottofondo ovattato, tenuto in un volume basso (forse per la presenza di poche, pochissime persone per il momento, all'interno del locale, considerando che non era ancora orario di apertura) ma Rei li guidò oltre l'ambiente principale ignorando i pochi presenti nel salone, verso uno delle poche stanze presenti sul fondo del capannone. Sulla porta in alluminio, oltre ad una piccola finestra, svettava un cartello con su scritto “privato”.

L'interno, se possibile, era ancora più spoglio di quello che Leo avrebbe potuto aspettarsi da un comune ufficio: c'erano una scrivania dall'aria trasandata, alcuni fogli sparsi sopra di essa che minacciavano di cadere a terra al minimo sbuffo d'aria, come altri avevano invece già fatto e la luce era così bassa che Leo faticò a mettere a fuoco il resto della stanza, anche se c'era poco altro di rilevante, oltre a... una bara. Una vera bara, in legno massiccio, nera e laccata in nero, per quello che riusciva a vedere.

Gettò un'occhiata a Robin, al suo fianco, giusto per capire se non se la stesse sognando ma, a giudicare dalla sua espressione di evidente sorpresa, la aveva notata anche lui. Il coperchio era appena spostato dalla sua naturale posizione, donandogli un'aria ancor più inquietante, come un morto dovesse uscirne da un momento all'altro.

Rei non si premurò neanche di sedersi e, piuttosto, si appoggiò alla scrivania, di fronte a loro, a braccia conserte. Sembrava vagamente divertito dalla situazione, nonché completamente a suo agio: Leo aveva conosciuto parecchi tipi strambi in vita sua (come Shu, ad esempio e lui per primo lo era) ma questo tizio andava oltre persino ad ogni sua più sfrenata fantasia.

«Non c'è molto su cui farvi accomodare, temo. Spero non vi dispiaccia troppo conversare in piedi» si scusò il padrone del locale, mentre lo scrittore si trovava a ripetersi nella mente quello che si era ripromesso di chiedergli: non avevano alcuna certezza che il “vampiro” fosse effettivamente coinvolto con i Dissidenti e non potevano in nessun modo scoprire le loro carte in tavola, almeno non subito. Doveva essere cauto e, soprattutto, furbo.

Quindi Leo si lasciò andare ad un mezzo sorriso, poi puntellò le mani sui fianchi ed iniziò a fare quel che meglio gli riusciva: improvvisare, nel suo stile chiassoso e infantile.

«È proprio un sacco strano questo posto, eh? Sembra quasi che vi prepariate ad una guerra!» esclamò con naturalezza; Robin, al suo fianco, sembrò riprendersi solo in quel momento dall'atmosfera quasi spettrale che pulsava dalle pareti del locale e, dopo averlo guardato un po' perplesso, annuì vigorosamente.

«Siamo qui... beh, per una ricerca, in effetti. Io devo svolgerla per l'università mentre il signor Leo...»

«... Immagino sia per uno dei suoi libri» concluse al suo posto Rei, che ancora non aveva perso quel sorrisetto divertito sulle labbra. Per quanto lo irritasse, Leo si stava premurando di annotare mentalmente quanti più dettagli possibili sull'uomo perché, ne era certo, avrebbe avuto un fantastico impatto sulla sua ispirazione quella sera. Riusciva già a pensare ad almeno cinque personaggi diversi che avrebbe potuto costruire su quel concentrato di stranezze.

«Esatto! Sono molto incuriosito da questa leggenda del vampiro, Rei. Ritsu non parla molto di te, quindi ho pensato fosse meglio venirti a trovare di persona!» La sua parlantina ormai si era scatenata come un fiume in piena, la sua curiosità di scrittore accompagnava di pari passo la disperazione di voler fuggire al suo Predestino; non gli era difficile, davanti a certi soggetti così interessanti, tornare a brillare come il sole di agosto, proprio come faceva un tempo con Eichi, quando tutto, anche pensare al futuro, sembrava più semplice.

«E io... ne ho approfittato. Mi scuso per l'intrusione» aggiunse incerto Robin, che quasi sembrava osservare più lui che il loro così tanto cercato interlocutore.

«E cosa volete sapere di me? Non mi ritengo una persona così interessante» ammise il più grande dei Sakuma, mentre il suo sguardo si spostava sul giovane universitario, che quasi trasalì. Sembrava che Rei fosse il peggior tipo di modesto che si potesse trovare.

«Ho sentito dire che il Vampiro – che sei tu, incredibile! È stata proprio una sorpresa! - è in grado di attirare a sé chiunque, facendo quasi dimenticare il Predestino, puff, come per mafia! Dato che quello che si dice sul tuo, mh, giaciglio» e qui Leo fece una pausa, gettando un'occhiata all'enorme bara posta non troppo distante da loro «sembra essere proprio vero, mi chiedevo se non lo fosse anche questo».

Calò, per un lungo attimo, il silenzio: Leo avvertì chiaramente lo sguardo di Rei tornare su di lui ed intensificarsi, in un certo senso, tanto che provò il desiderio di avvicinarglisi, come se lo stesse chiamando, eppure... sostenne il suo sguardo, fin quando le labbra del moro non tornarono a distendersi.

«Ritsu mi ha raccontato molte cose di te, Leo Tsukinaga» esordì, lasciando Leo interdetto; sembrava non avesse intenzione di rispondergli tanto facilmente – almeno, non senza girare attorno alla questione cambiando discorso e dirigendo il focus della conversazione su di lui. «Mi ha parlato del tuo talento nella scrittura, dell'amore che provi per il tuo lavoro e, soprattutto, della tua... convinzione che il Predestino potrebbe strapparti tutto questo, tarpando le ali alla tua fantasia». Ritsu glielo aveva raccontato? Da quello che sapeva, Ritsu parlava a stento con il fratello maggiore, a causa di vecchi rancori che il più piccolo covava nei confronti del fratello maggiore e, in generale, non era di certo un tipo da “parlare molto”, considerando che dormiva più o meno quasi tutto il giorno. «Non deve essere semplice fare i conti con i propri incubi, suppongo...» e il suo sguardo tornò su Robin, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio. La presenza di Rei doveva davvero metterlo a disagio ma Leo non poteva proprio biasimarlo. «Qualunque cosa tu stia cercando, ragazzo, io non posso dartela. Non credo che essere attratto da un ipotetico vampiro potrebbe essere di aiuto alla tua scrittura» e, nel dirlo, superò entrambi invitandoli ad affacciarsi al piccolo vetro che c'era sulla porta; indicò loro un tavolo più appartato, dove sedeva un ragazzo solo, preso evidentemente da... qualcosa che teneva sul tavolo, che però da quella distanza era impossibile decifrare. «Quello è Natsume Sakasaki, un indovino... il migliore che abbia mai conosciuto, in effetti. Se c'è qualcuno che può aiutarvi lungo la vostra ricerca... quello è lui».

 

Leo si rese conto di essere stato raggirato in neanche cinque minuti quando si trovò fuori dall'ufficio di Rei, diretto al tavolo dell'indovino; era vero che l'ignoto lo attraeva molto (cosa poteva sorprenderti più di ciò che l'umana mente non riusciva a concepire? Cosa c'era di più entusiasmante dell'immergersi in un libro che raccontava di mondi, terre e avventure altre?) ma era, paradossalmente, uno scettico (tranne che per gli alieni, ma quelli esistevano davvero). Amava ciò che il mistero riusciva a produrre, più che il mistero di per sé – apprezzava le reazioni, le emozioni che il non visibile riusciva a suscitare, ma da qui a credere ad un indovino...

Robin era al suo fianco, pensieroso. Da quando erano entrati nel locale si era come chiuso su se stesso, alla stregua di un animale in trappola. Certo, per quel poco che aveva cominciato a capire di lui, immaginava che un luogo come quello fosse ben distante da quelli che frequentava ma, ciò nonostante, vederlo così teso rendeva inevitabilmente agitato anche lui, quasi ne assorbisse le emozioni.

Quando però si sedettero di fronte al “mago”, se così poteva essere definito, lo sguardo di Leo fu più assorbito dal carpire i dettagli di quella nuova, ennesima emblematica figura.

Aveva l'impressione che Natsume Sakasaki fosse ben più giovane di lui: aveva gli occhi degni di un felino, ambrati e dal taglio allungato ed erano solo in parte coperti da un buffo taglio di capelli difficile da descrivere, irregolare e volutamente unico, nel suo doppio colore rosso fuoco e bianco; i lineamenti del suo volto pallido erano affilati, così come le dita affusolate, prese dallo sfiorare le carte disposte sul tavolo, intento forse a cercare quella giusta. Leo riconobbe il mazzo di carte come tarocchi – niente di meno, per un indovino.

Non guardò né lui né Robin fin quando non furono seduti di fronte a lui; solo allora sollevò gli occhi e li scrutò a lungo, non in modo molto diverso da quanto aveva fatto il titolare dell'Od Destruction poco prima. Prima fissò intensamente Leo e lasciò vagare le sue mani sul tavolo: le dita corsero velocemente sul dorso delle carte, fin quando non si fermarono su una, in modo apparentemente casuale, e la voltarono.

«Il Mago» pronunciò il ragazzo, affilando gli occhi e accennando un sorriso a Leo. «Un animo attento e curioso, dedito alla creazione. Capacità da vendere, talento, voglia di vivere... se rovesciato, diventa insicurezza, paura di azzardare». Lo scrittore conosceva vagamente il significato dei tarocchi (li aveva usati per un suo racconto breve che era stato poi pubblicato in una rivista) ma non si era mai soffermato a pensare di potervi... associare delle persone. Non aveva idea di come Natsume scegliesse le carte di fronte a sé – quel che era certo, era che quella descrizione era terribilmente accurata.

Fu poi il turno di Robin. Lo sguardo del giovane indovino si agganciò a quello del suo compagno di disavventure, che sembrava nervoso tanto quanto lo era stato al loro primo incontro, quando si era presentato alla fontana. C'erano dei momenti in cui Robin mostrava un'insicurezza ingiustificata, per poi tornare nel pieno del suo spirito combattivo, degno di un cavaliere di tempi andati e Leo davvero non riusciva a capire cosa, in effetti, lo turbasse a tal punto: anche Natsume sembrava un tipo strano, era vero, ma in confronto a Rei era una presenza più tiepida, rassicurante. Non si sentiva in... pericolo di seguire una strada sbagliata, a differenza di poco prima.

«La Giustizia, lealtà pura» sentenziò infine, mentre il moro al fianco di Leo traeva un sospiro di sollievo. Che fosse superstizioso? Avrebbe in effetti spiegato molte cose. «Ma c'è anche un desiderio di verifica in te, stai cercando conferme. La vostra ricerca vi ha condotto fin qui, dico bene?» Improvvisamente, il suo sguardo si addolcì notevolmente, come se fino a quel momento non li avesse conosciuti in quanto altri essere umani ma piuttosto come soggetti da analizzare.

«... è così, stiamo cercando delle risposte» azzardò Leo, lo sguardo fisso sulle carte che, se lo sentiva, il mago non aveva ancora finito di svelare. «Tu puoi darcele, Natsume?»

Il ragazzo non sembrò turbato dalla confidenza presa dallo scrittore ma, piuttosto, si portò una mano al mento, concentrato su ciò che i tarocchi sparsi sul tavolo, ancora coperti, potevano raccontare.

«Non sempre le risposte sono di nostro gradimento» li avvertì il giovane, sollevando lo sguardo verso di loro. «E le carte non perdonano facilmente, soprattutto se le domande sono scomode». Questa, pensò Leo, suonò apertamente come una minaccia nonostante sul volto del ragazzo non ci fosse alcuna espressione violenta o divertita; radunò le carte e le mischiò, con tanta grazia che i due clienti occasionali ne rimasero affascinati. L'indovino trattava le carte come esseri viventi e quando le dispose di nuovo sul tavolo, la composizione era decisamente diversa da quella di poco prima.

Robin e Leo si trovavano di fronte ad un disegno piramidale formato da carte coperte, la cui punta era rivolta verso di loro; una volta finite di sistemare tutte con movimenti sicuri e precisione degna di un architetto, Natsume tornò a guardare i due ragazzi, anche se spesso il suo sguardo sembrava distratto da qualcosa tra di loro, come se ci fosse qualcosa ad attirare di continuo la sua attenzione; il suo silenzio, però, suggerì ai suoi ospiti che era giunto il momento di porre le domande.

Leo inspirò a fondo. «Io e Robin vogliamo sfuggire al Predestino. È possibile?» L'occhiata di Natsume fu quella di chi viene colto di sorpresa; sbatté lentamente le palpebre, poi voltò la prima carta sulla sommità della piramide.

«Gli amanti» spiegò l'indovino, svelando la figura rappresentata; rimase poi in silenzio, come se stesse interpretando la carta nel modo più corretto (a Leo però non sembrava un bell'inizio, considerando che “gli amanti” era esattamente ciò da cui volevano fuggire). «Siete sulla soglia di una scelta. Nella mia conoscenza non... ortodossa del Predestino, ho imparato che nessuno ne è veramente libero, ma esistono molti modi per evitare di innamorarsi. Ma queste scelte, come le mie carte... tendono ad essere molto dure. Bisogna avere una grande forza d'animo per riuscire a sfuggire a ciò che il destino ha già scritto e sono in pochi, davvero pochissimi ad esserne capaci».

Come avrebbero dovuto interpretare quelle parole? Leo era sempre più sicuro di essere nel posto giusto nel momento sbagliato, come se i Dissidenti li stessero osservando dallo spioncino di una porta blindata e stessero chiedendo loro una password che non conoscevano. Oltretutto, ciò che l'indovino aveva detto non suonava come “una soluzione c'è”, quanto piuttosto “ci siamo intestarditi quanto e più di te e abbiamo smesso di soffrirne”.

«In parole povere, ci stai dicendo che non siamo all'altezza di sconfiggerlo» mormorò Robin, per la prima volta da quando si erano seduti al tavolo. Sembrava ancora teso ma, di nuovo, quando c'era il suo orgoglio in gioco il suo animo ribolliva di una sicurezza inspiegabile e persino il suo tono di voce calmo e pacato riusciva a mettere timore.

Proprio come i cavalieri delle storie che tanto amava.

«Non proprio» lo corresse senza indugio nella voce Natsume, che sollevò la carta seguente, al secondo livello della piramide e la vista del tarocco lo fece sorridere, come se avesse appena ricevuto un complimento o, meglio, una conferma a ciò che pensava. «Il Giudizio. Le vostre scelte vi condurranno ad una nuova vita, ma prima dovete prendere a tesoro quello che le carte vi hanno detto: il Predestino non si può cancellare e negarlo non porta alcuna gioia, quanto piuttosto una vita solitaria piena di compromessi».

Improvvisamente, senza alcun motivo apparente, il pensiero di Leo corse a Shu: chiuso nel suo studio, nel suo mondo fatto di libri e all'occorrenza ago e filo senza neanche sollevare lo sguardo verso il prossimo, che a malapena riusciva a dare peso a ciò che lo circondava. Il suo asettico mondo costruito dettaglio dopo dettaglio sembrava calzare perfettamente con quello che l'indovino stava dicendo loro e sentì vacillare le proprie convinzioni: far parte dei Dissidenti significava quindi negare le proprie emozioni?

Si sarebbe rivelato tutto inutile allora – la sua capacità di scrivere era direttamente legata a quello che provava, sentiva, soffriva anche; cercare costantemente di far finta che nulla potesse scalfirlo si sarebbe rivelato dannoso non solo per i suoi racconti, ma anche per se stesso. Non era abituato a tenere sigillato quello che provava e, quelle poche volte che vi riusciva, non era mai troppo a lungo: una sera, un pomeriggio e poi il vaso di Pandora si apriva con la forza di un fiume in piena che esondava, distruggendo tutto ciò che lo circondava, sia il male... che il bene.

No, non era quello che voleva.

Senza che loro lo notassero, quasi quel piccolo tavolo non fosse collegato alla realtà, il locale si era riempito; la musica aveva iniziato a risuonare con sempre più violenza nella stanza, che si era fatta gremita. Ogni persona presente, delle generazioni e ambienti sociali più disparati ballava, vicina e poi lontana, senza mai davvero incrociarsi perché lì dentro non avevano alcuna emozione, nessuna individualità – non erano persone, ma fuggitivi.

Era questo l'unico modo per sfuggire al Predestino.

 

Uscire da quella marea umana non fu semplice, dopo aver finito di ascoltare Natsume Sakasaki e le sue predizioni. Molte gomitate e spintoni dopo, Leo e Robin tornarono all'aria aperta, con la luce della luna che li bagnava con un disinteressato ma rassicurante silenzio.

Fuori c'era molta meno gente – solo chi, a quanto pareva, aveva voglia di fumarsi una sigaretta (o altro, a giudicare dall'odore dolciastro ed invadente), con poca voglia di parlare se non a bassa voce e lentamente, scandendo ogni parola. Non furono loro due, così alieni da ciò che li circondava, ad interrompere quel momento quasi sospeso nel tempo e piuttosto lasciarono il locale straniti, pieni di sentimenti contrastanti a cui sembrava davvero difficile dare un nome.

Fu solo quando giunsero di fronte alla piccola utilitaria di Leo che finalmente si sentirono liberi da quell'universo parallelo che li aveva quasi inghiottiti: trovarono il coraggio di sollevare lo sguardo, di guardarsi di nuovo, cercare cosa l'altro avesse tratto da quella loro breve avventura in quella sottospecie di regno stregato.

Fu Robin il primo a parlare. «... Pensi davvero che loro siano... ?» La voce del ragazzo si affievolì, come se la parola “Dissidenti” che fino a qualche ora prima pronunciava senza alcun timore si fosse caricata di una carica esoterica, in grado di risucchiarli di nuovo in quell'enorme stanza fatta di musica, insinuazioni e tarocchi.

«Sì» rispose Leo, senza alcun indugio. Non riusciva a smettere di guardare la carta che Natsume aveva donato a Robin, prima di congedarli: era l'ultima che aveva voltato, parlando direttamente con lui perché capisse quale strada prendere e, da quando il suo ormai compagno l'aveva vista, si era fatto ancora più silenzioso. La carta era “La Torre”, una carta che, Sakasaki aveva spiegato loro, implicava il caos prima dell'ordine – quale genere di ordine, però, la carta non era in grado di dirlo. “Questo ruolo” aveva detto l'indovino, mentre porgeva la carta al moro “spetta a te soltanto”.

Sembrava che quella predizione (se così si poteva chiamare ma che era suonata più come una sentenza) lo avesse colpito abbastanza da lasciarlo cadere in un silenzio fatto di riflessioni, com'era evidente dalla sua fronte aggrottata.

«Anche io» replicò, con un sospiro, poggiandosi all'auto di Leo, che poco dopo seguì il suo esempio. Improvvisamente, sembrava che tutto l'entusiasmo che li aveva animati nel cercare informazioni, nel consultarsi, nell'ideare ed immaginare come sarebbe stato arrivare a conoscere i Dissidenti si fosse dissolto, lasciando di loro solo delle marionette vuote, senza più vita alcuna.

La loro unica consolazione, si ritrovò a pensare Leo, era che almeno erano ancora vicini. Quella delusione li accomunava, uniti dalla consapevolezza che viaggiavano entrambi sulla stessa barca diretta verso delle pericolose cascate.

«Che... cosa vuoi fare, adesso?» Lo scrittore, per un attimo, si chiese perché Robin insistesse nell'affidare a lui ogni decisione; era stato così fin dal primo momento, accondiscendente come uno studente ansioso con il proprio professore. Poi, però, capì il vero motivo dietro quella domanda: quella loro pazza e breve ricerca li aveva effettivamente portati dove volevano arrivare, ma il risultato era stato... inaspettato. Era chiaro ad entrambi che, di fronte a loro, le porte dei Dissidenti si fossero chiuse con una certa forza. E Leo non sapeva davvero come sentirsi al riguardo, ma di certo non era deluso dall'essere stato escluso. Questo era quello che lo sconcertava maggiormente.

«Non lo so» ammise, mentre apriva la macchina – un gesto che Robin interpretò come segnale per andarsene, lasciandosi alle spalle quella stramba serata. Si accomodarono sui sedili, ma Leo rimase per qualche minuto a fissare il cruscotto, ancora spento, cercando di rimettere in ordine le idee. «Non era così che li immaginavo».

Calò ancora il silenzio. «Potremmo... fare le cose a modo nostro, però. Non c'è bisogno di stare con loro, se... se dopotutto non esiste una vera e propria soluzione» azzardò, con tono incerto, mentre teneva ancora tra le mani la carta, lo sguardo fisso su di essa.

Ancora una volta, Robin riuscì a prenderlo alla sprovvista. Stava già pensando a come rassegnarsi al suo Predestino, a quel ragazzo della festa, alla mancanza della sua scrittura e il giovane cavaliere errante aveva fatto sparire ogni brutto pensiero così, con una semplice osservazione.

“Facciamo le cose a modo nostro”, aveva detto.

Leo lo prese in parola.

Era buio, nella macchina ancora spenta. Le chiavi penzolavano dal quadro, ansiose di essere girate per dare vita al motore. L'unica fonte di luce era un lampione non troppo vicino e dalla luce fioca, stanca, che illuminava a stento l'interno dell'auto. In quella parziale oscurità, gli occhi di Robin non scintillavano più del viola intenso che spesso lo facevano sussultare ancora di timore, rendendolo esitante – no, in quella macchina, il Predestino non c'era. Erano solo lui, il bello sconosciuto dall'accento straniero che lo aveva seguito fin lì e un'idea pazza, folle, che si faceva strada nel cuore e nella mente di Leo.

Robin era un vulcano dormiente. Poteva sentire la lava fatta di spirito combattivo che scorreva sotto la sua pelle, sentiva il suo calore che emetteva dietro i suoi modi pacati; Robin poteva far tremare tutto ciò che lo circondava con estrema facilità, lasciando che il mondo fatto di carta di Leo crollasse, riportandolo al presente.

A quella macchina, a loro due.

Leo non pensava mai troppo. Non ci fu alcun comando preciso dietro alla sua mano destra che si posava sul volto del ragazzo, toccando per la prima volta la sua pelle liscia; non ci fu alcun pensiero chiaro che lo spinse a spostarsi in avanti, verso il sedile del passeggero, fin quando i loro volti non furono così vicini che Robin divenne l'unica figura ad occupare tutta la sua visuale; non ci fu alcuna premeditata intenzione, come dietro ai suoi migliori scritti, nell'unire le proprie labbra a quelle del moro, assaporandone il sussulto sorpreso, poi l'accettazione e, infine, l'essere ricambiato.
 


Note: Questo capitolo, lo avrete notato, è lunghissimo. Inizialmente non pensavo che sarebbe uscito questo papiro immenso, ma mentre scrivevo mi sono resa conto che ci sono troppi personaggi che vorrei interagissero, seppur in minima parte, con Leo e credo che Natsume sia capitato a pennello (mi dispiace non aver potuto inserire Adonis e Kaoru, ma per loro mi piacerebbe recuperare nelle one shot che seguiranno sporadicamente a questa long!) in questo contesto; volevo che qualcuno di sconosciuto suggerisse a Robin e Leo cosa significa essere un Dissidente, senza farne parola direttamente. Sono un gruppo complicato e spero di avere modo di parlarne meglio in altri ambiti o, magari, vicino alla chiusura della fic. 
E poi... beh, il bacio? Fremevo tantissimo di trovare il momento giusto per Leo di farsi avanti. Spero non sia sembrato affrettato (perché non lo è), quanto più avventato. Leo si fa trasportare dalle emozioni con facilità disarmante, sia quando scrive che quando si trova di fronte a qualcosa che gli interessa e Robin ha saputo attrarlo tanto quanto Izumi, abbastanza da spingerlo a fare il primo passo. Era un momento di svolta importante, soprattutto per Leo e riuscire ad ascoltare quello che prova in quanto individuo (senza Predestino, senza distaccarsene dopotutto) grazie a quello che Robin gli ha detto... beh, quali saranno le conseguenze?
Per concludere, anche se non sono convintissima di questo capitolo, per svariati motivi, spero almeno che saprà farsi perdonare per l'attesa! Avverto inoltre che sono parecchio impegnata coi preparativi per Romics e Lucca Comics, quindi il ritmo dei capitoli potrebbe variare per le prossime settimane ;; Alla prossima <3

 

   
 
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