Anime & Manga > Rocky Joe
Ricorda la storia  |       
Autore: Redferne    30/09/2017    5 recensioni
A cosa pensa un uomo durante gli ultimi istanti della sua vita?
A che pensa, mentre si trova sul punto di morire?
Genere: Drammatico, Sportivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danpei Tange, Joe Yabuki, José Mendoza, Sorpresa, Yoko Shiraki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il direttore di gara attendeva immobile al centro del ring.

Intabarrato nel suo tipico binomio composto da camicia bianca e pantaloni neri, con farfallino del medesimo colore a guarnire il tutto, non tradiva la benché minima emozione. Nemmeno un fremito. Pareva non respirasse neppure. In realtà doveva essere teso al pari di chiunque lì dentro, ma era bravo a non lasciar trasparire nulla. E’ il suo ruolo che glielo imponeva, del resto.

La camicia, pur mantenendo il suo colore primigenio, non era più immacolata: qua e là spuntavano chiazze color carminio, come se traspirassero direttamente dal tessuto. Come se fosse pelle. Un secondo strato piazzato sopra la seta, di pelle VIVA.

Macchie ormai rapprese di sangue e sudore. Muti e terribili testimoni della battaglia che si era appena conclusa all’interno di quel quadrato composto da un triplice giro di corde elastiche.

Pareva che lui stesso ne avesse preso parte.

Pochi istanti dopo, uno degli assistenti si guadagnò un po' di spazio tra la seconda e la terza e salì a sua volta sul quadrato. Gli si avvicinò e gli consegnò alcuni cartellini.

Un silenzio tombale avvolse l’intero Nippon Budokan di Tokyo. Il pubblico attendeva con il fiato sospeso. Come sempre, in questi casi. Ma questa volta, vista l’importanza della situazione, quell’improvviso zittirsi da parte loro contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più greve ed opprimente. Se davvero era possibile renderla ancora più greve ed opprimente di quanto già non fosse. L’arbitro non aveva avuto nemmeno il bisogno di ricorrere alle solite raccomandazioni di rito. E nemmeno di invitarli alla calma.

Consultò attentamente i biglietti in cartoncino, leggendoli e rileggendoli con calma e passandoseli di mano in mano uno dietro l’altro, con estrema cura. Sembrava titubante. Poi prese il microfono, lo porto alla bocca ed annunciò finalmente la sentenza.

“VINCE, PER DECISIONE DEI GIUDICI E CON VERDETTO NON UNANIME...”

Tutti trasalirono.

“Ti prego...” mormorò il vecchio allenatore, rivolgendo scongiuri e suppliche a qualunque divinità si potesse trovare all’ascolto in quel momento, che ci credesse o meno. Probabilmente non sapeva nemmeno lui A CHI O A COSA stesse votandosi.

Aveva solo una certezza, in quell’istante: ne avevano passate di ogni. Era da una vita che a loro andava sempre tutto quanto storto. Ed era da una vita che le cose finivano sempre per prendere la direzione sbagliata. Lottavano da sempre contro il destino avverso, ed erano sempre riusciti a piegarlo alla loro volontà. Anche quando sembrava tutto perduto. Doveva pur andar bene, una maledetta volta. Una sacrosanta, MERDOSISSIMA VOLTA.

Se lo meritavano loro, punto e basta.

“...E RIMANE DETENTORE DEL TITOLO MONDIALE, CATEGORIA BANTAM, NONCHE’ NUOVO CAMPIONE ASIATICO...JOSE’ MENDOZA!!”

Un mormorio di delusione serpeggiò tra la platea del palazzetto sportivo. Per contro, tra l’entourage all’angolo del messicano scoppiò il giubilo. Il manager e gli assistenti esultarono, scambiandosi abbracci, larghi sorrisi e pacche sul dorso, e saltellando tutt’intorno a più non posso. Era un autentico tripudio. Festeggiavano tutti, tranne il diretto interessato. José continuava a rimanere seduto sul proprio sgabello, completamente immobile. Qualcuno del suo team provava a rifilargli qualche buffetto ed alcune scrollatine all’altezza delle spalle, ma lui sembrava refrattario a qualunque tentativo di volerlo coinvolgere. Giaceva assolutamente inerte, come un fantoccio privo di vita. Si, sembrava davvero un gigantesco burattino di quelli che di norma giacciono sul fondo di un magazzino di teatro. Un burattino a cui avessero troncato brutalmente i fili che lo reggevano.

Danpei abbassò la testa, rassegnato. Non era affatto sorpreso, da quel verdetto. Anche se ci aveva sperato fino all’ultimo, in un capovolgimento di fronte.

No, inutile farsi illusioni. La verità é che se lo aspettava. Aveva sostenuto e visto fin troppi combattimenti per potersi sbagliare. Mendoza aveva dominato gran parte del match, e piazzato molti ma molti più colpi. E quando le cose si mettono così, non rimane che un solo modo per aggiudicarsi l’incontro e portarsi a casa la vittoria: il KO. Netto ed incontestabile. Ma non era accaduto, purtroppo.

Dipendesse solo dal merito, ognuno potrebbe mettere le mani su tutto ciò che desidera, solamente impegnandosi a fondo e con tutte le proprie forze. Darsi da fare uguale ricompensa. Una giornata di paga per una giornata di lavoro. Ma fare il pugile non é come asfaltare le strade o colare il cemento per poi posarvici sopra i mattoni. Il pugilato non é solo spezzarsi la schiena e sputare sangue. E’ fatto anche di calcoli e statistiche, soprattutto se la questione si protrae al punto da finire nelle mani dei giudici e dei loro cartellini.

Era andato tutto quanto come doveva andare, null’altro.

Ma anche se lo aveva previsto, gli dispiaceva ugualmente. Faceva lo stesso un gran male.

UN MALE DA MORIRE.

“Peccato...” disse sottovoce, mentre si trascinava verso Nishi e i ragazzi della palestra che quella sera erano venuti a dare una mano e a fare da assistenti. E verso il ragazzo. Il suo ragazzo.

In quel momento si sentì stanco. TERRIBILMENTE STANCO. Esausto e senza forze. Come mai si era sentito in tutta la sua vita. Gli sembrava che tutti gli anni vissuti fino a quel momento avessero di colpo deciso di volersi far sentire tutti quanti insieme. Anni di botte prese e di abusi di ogni tipo. Di tutto quel che può abusare senza riserve un vecchio barbone alcolizzato quale era lui, con il fegato rinsecchito e raggrinzito dalla cirrosi e sul punto di scoppiare da un istante all’altro.

Arrancava con un passo lento e pesante, come quello di un condannato alla pena capitale. O come quello di un vecchio e sfinito sagrestano di una chiesa sconsacrata e scalcinata che spegne le ultime candele, prima di coricarsi nella sua dimora nel sottoscala. Sei rimasto solo tu, e vai avanti imperterrito nonostante tutti quanti intorno ti dicano che diavolo stai facendo e ti implorano di smetterla perché tanto non é rimasto più nessuno, così come più nessuno si reca lì da anni per celebrare una funzione. Senza capire che é proprio quell’atto ripetuto tutti i santi giorni ed all’apparenza così inutile a tenerti in vita.

“Già. E’ davvero un peccato...” ripeté, mentre il suo occhio ancora buono iniziava già ad inumidirsi e farsi lucido.

Non c’é proprio nulla da fare. Non ci si abitua mai, a questo genere di cose. Ti fanno sentire INUTILE. Ti fanno proprio pensare che tutta quanta la fatica ed il sudore che hai sprecato e versato non siano serviti a NIENTE.

Si dice che non bisogna credere nella malasorte, che non esista. Eppure…

Forse lui ed il ragazzo erano davvero nati sotto il segno di una cattiva stella. Di quelle tra le più belle e lucenti ma, al contempo, anche più crudeli e bastarde. Di quelle che si divertono a distribuirti qualche buona carta tra una pessima mano e l’altra. Per convincerti a rimanere e a giocare ancora, anche quando avresti intenzione di piantare lì tutto e tornartene a casa. La cosa più giusta e migliore che dovresti fare, in quel momento. Eppure ci caschi e ricaschi, SEMPRE. E quando sei lì, all’ultimo giro, che senti di avercela fatta, finalmente, e ti guardi le carte e già pregusti l’istante in cui ti porterai via tutto quanto il banco e ti rifarai in un sol colpo di quel che che hai perduto fino a quel momento, mentre le butti giù sul tavolo...per poi scoprire che il tuo avversario ne ha di migliori. Ti crogiolavi fino ad un attimo prima nella tua falsa certezza, con la tua SCALA DI COLORE, per poi scoprire che l’altro ha fatto SCALA REALE.

Seducenti e bastarde, era proprio il caso di dirlo. Ti illudono, ti lusingano, ti fanno intravedere il successo, la ricchezza ed un futuro luminoso e poi ti lasciano più povero in canna di quel che eri prima.

Avevano fatto tutto per il DOMANI. Solo ed unicamente per il DOMANI. Così gli aveva detto, mentre lo portavano via per condurlo in riformatorio. O chiamiamolo pure ISTITUTO DI RIEDUCAZIONE, che adesso va così tanto di moda riempirsi la bocca di paroloni tecnici ed altisonanti. Le cose puoi chiamarle come accidente ti pare, tanto la sostanza non cambia.

Ebbene...era così, che doveva concludersi la sua carriera? Era davvero destinato a concludersi così l’ultimo atto, poco prima che calasse il sipario? NESSUN LIETO FINE, DUNQUE?

 

ERA QUESTO IL DOMANI PER CUI AVEVANO FATICATO TANTO?

 

Ma forse é proprio così che va il mondo. NESSUNO HA MAI PARLATO DI UNA DANNATA RICOMPENSA. Ed é meglio che tu lo tenga bene a mente, prima di decidere di imbarcarti in qualunque impresa. Ricordati che PUOI FARCELA, ma non é detto CHE CE LA FARAI. E comunque, non é detto nemmeno che sia per forza colpa tua, se non ce la fai. Ci hai provato, Ed é pur sempre qualcosa. Qualcosa di meglio del NIENTE.

Semplice, no? Chiaro, limpido e lampante. Eppure é così difficile da accettare…

Sia come sia, ora spettava a lui trovare le parole per farglielo capire. O quantomeno per consolare, e fare in modo che se ne potesse fare una ragione di quanto era appena accaduto. Anche quello rientrava nelle sue mansioni, dopotutto.

Alzò lo sguardo. Lui era lì, ad attenderlo al varco. Forse era il caso di attaccare sin da subito, con il sermone. Tanto si sapeva come sarebbe andata a finire. Avrebbe finto di ascoltare per poi interromperlo dopo pochi istanti, intimandogli di chiudere il becco. E poi lo avrebbe mandato alla malora e gli avrebbe detto di andare a farsi friggere, lui e tutte le sue smancerie idiote da vecchio guercio rimbambito. Ma andava bene anche così.

“Beh...” esordì. “...é andata male, a quanto sembra. Ma...ma lascia che ti dica una cosa...”

“SONO FIERO DI TE, JOE.” aggiunse. “SEI STATO GRANDE, DAVVERO. SONO ORGOGLIOSO DI TE, MI HAI CAPITO?”

Nessuna risposta. Solo un ostinato mutismo che, forse, gli causava ancora più dolore degli improperi, delle urla e degli strepiti che si aspettava dovessero partire da un momento all’altro. Almeno costituivano una reazione, stavano a significare che il suo discorso aveva fatto presa, in un modo o nell’altro. Ma così, invece...così era come parlare ad un muro. Un muro fatto di gomma. Qualunque cosa potessi dire,era come se gli rimbalzasse contro e ti tornasse indietro.

“SENTI, JOE...NON MI IMPORTA DI QUELLO CHE HANNO DECISO I GIUDICI, E’ CHIARO?” Urlò, rincarando la dose. “PER QUEL CHE MI RIGUARDA IL DUELLO CON MENDOZA LO HAI VINTO TU! E CI TENGO CHE TU LO SAPPIA, DANNAZIONE!!”

Niente. Davvero strano. Lo conosceva fin troppo bene. Non era da lui, questo silenzio. No, non era proprio da lui.

“...Joe?”

Si avvicinò ancora e si chinò leggermente, come a voler mettere meglio a fuoco. E fu allora che CAPI’. Rivolse un occhiata a Nishi che si trovava vicino al palo di ferro, e si stava sporgendo nel tentativo di raccapezzarci qualcosa. E anche lui capì al volo.

Le braccia del vecchio Danpei cominciarono a scendere lentamente lungo i fianchi.

“...JOE...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buio.

Solamente buio. E silenzio.

Poi il nero pece divenne rosso acceso. Il rosso acceso del sangue che scorreva lungo i vasi sanguigni ed i capillari situati sotto alle sue palpebre.

Capì che poteva provare a riaprirli, e così fece.

La prima cosa che vide furono le sue mani, posizionate entrambe all’interno delle sue cosce. Era seduto. Le alzò e se le portò davanti al viso, per osservarle. Guardò i bendaggi bianchi e stretti, realizzati dal vecchio con la cura e la dedizione di sempre, che partivano dai polsi fino alla base delle dita e sotto, tra una nocca e l’altra, la morbida consistenza dei pezzetti di ovatta opportunamente pressata ed inserita per ammortizzare l’impatto.

“Ma che cazzo...” imprecò.

Osservò il completo da boxeur che indossava. I pantaloncini blu con l’ideogramma rappresentante il suo nome ricamato all’angolo sinistro, frutto delle abili mani di Noriko. E le scarpe, i cui legacci arrivavano fino alla metà inferiore del polpaccio. Un senso d’inquietudine lo assalì, come un colpo improvviso dato sotto la cintura.

Era proprio agghindato alla perfezione: pronto per salire sul ring da un momento all’altro e dare inizio all’ennesimo combattimento.

Tutto sotto controllo, dunque. Se non fosse che per un piccolo, ma significativo particolare. Non c’era nessun match, da iniziare. PERCHE’ C’ERA GIA’ STATO.

Esattamente. Si era appena concluso.

Eppure il suo corpo non era stanco, e nemmeno fradicio e madido di sudore come appena uscito da una doccia. E neanche dolente come lo era fino ad un attimo prima. Si sentiva fresco, invece. Fresco e riposato come una rosa da poco sbocciata.

Si diede un’occhiata intorno. Si trovava dentro ad uno spogliatoio, questo era certo. Ma era tutto immerso nelle tenebre e non gli riusciva di scorgere nulla. I suoi occhi non si erano ancora abituati all’oscurità circostante.

 

Aspetta un momento, pensò.

 

GLI OCCHI?!

Anche questo era ben strano. Fino a poco fa ci vedeva unicamente dall’occhio sinistro, e questo se lo ricordava benissimo. Ed invece adesso, come per incanto, anche il destro aveva ripreso a funzionare perfettamente, e senza l’ausilio di medici o chirurghi.

Era sempre più confuso. No, c’era decisamente qualcosa che non gli quadrava, lì.

Lui non aveva mai creduto nei miracoli. Perlomeno non in QUEL tipo di miracoli. Vale a dire quelli che si materializzavano per intervento o per volontà divina. Si era sempre definito un tipo pragmatico e con i piedi per terra, almeno da quel punto di vista. Era disposto ad accettare e riconoscere solo quelli che riusciva a compiere con le sue sole forze. E ne aveva realizzati tanti, da quando aveva accettato di farsi allenare da quel vecchio ubriacone mezzo matto, ed aveva iniziato a percorrere la via del pugile, sotto la sua guida ed in sua compagnia.

Alé, alé: tutti e due insieme appassionatamente! Un pugilomane alcolizzato ed un avanzo di riformatorio che allegri se ne van, lungo le strade di CAZZOTTOLANDIA, dove si vive, si prospera e si fatica seguendo le leggi della dolce scienza della boxe…

Già. Proprio una bella coppia, loro due. Manco fossero Pinocchio e Lucignolo diretti alla volta del paese dei balocchi. Ed in effetti era proprio quel che sembravano, alle volte…

Due scapestrati che vanno dritti a sbattere contro tutti gli ostacoli, senza sapere nemmeno a cosa vanno incontro. E senza valutare le possibili conseguenze. Spinti solo dal desiderio di farlo. Di farlo prima che sopraggiunga la paura a farti riflettere. E a bloccarti.

Sconfiggere la paura, proprio così. O almeno, se non riesci proprio a superarla, muoversi e darsi da fare prima che sopraggiunga. Agire per non dare a lei il tempo di agire.

Mentre cercava di fare luce su quanto stesse accadendo, la sua mente tornò per istinto al ricordo degli ultimi istanti precedenti a quel suo strano risveglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti!

E la prima volta che approdo a questi lidi, perlomeno come scrittore.

Fino ad ora ho operato in un altro Fandom, ma dopo aver letto la stupenda long L’UNICO DOMANI della bravissima innominetuo (che saluto) ho deciso di provarci. Ed eccomi qua.

Vi confesso che sono davvero MOLTO emozionato: insomma, qui si va a toccare uno dei mostri sacri della mia infanzia, uno dei cartoni con cui sono cresciuto. E che mi ha DAVVERO insegnato qualcosa. Può sembrare pazzesco, ma chi ha avuto la fortuna di vedere i cartoni animati che passavano in quel periodo, ha goduto di un periodo magico ed irripetibile.

Tutto merito (o colpa, a detta dei detrattori che ci vedevano troppa violenza e li consideravano diseducativi) di cartoni animati trasmessi all’orario dedicato a i bambini ma che proprio per bambini non erano...oggi, con tutti gli strumenti di controllo parentale che esistono, sarebbe IMPOSSIBILE.

E’ talmente profondo il rispetto che nutro nei confronti di quest’opera che ci ho pensato a lungo, prima di pubblicare questo racconto. Nonostante ce l’avessi nel cassetto da svariati mesi. Spero che possa rendergli tutto l’onore che merita.

Intanto ringrazio innominetuo per avermi fatto da musa ispiratrice.

E un grazie anticipato a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

A presto per il secondo capitolo!

 

See ya!!

 

Roberto

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rocky Joe / Vai alla pagina dell'autore: Redferne