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Autore: Applepagly    01/10/2017    5 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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IV
 
The ones who really love you
Walk up and down outside the wall
Some hand in hand
Some together in bands
Outside The Wall, Pink Floyd
 
Sola al centro della stanza, iniziò.
Un gesto della mano, e diverse spugne si immersero in secchi di acqua gelida, pronte a far risplendere le vetrate del salone. Bloom si accostò ad una di esse, sedendosi a gambe incrociate.
Dallo zainetto che aveva preso con sé estrasse il libro che Wizgiz aveva dato loro da leggere circa due settimane prima per l’indomani e che lei aveva a malapena iniziato.
In realtà, come poté constatare, le finestre erano quasi interamente coperte da tralci di quella che pareva una strana tipologia di edera violacea. Immediatamente la memoria corse alla foresta in cui si era trovata catapultata – o che forse aveva solo sognato – insieme ad Helia.
Voci e volti tutti uguali, danze energiche ed un bambino dagli occhi di fiamma. Poteva sentirlo ogni volta che la Fiamma del Drago giungeva lì per lei, in uno scintillante riflesso del suo reale splendore.
Scosse la testa, cercando di ridestarsi. Doveva evitare di distrarsi e leggere il più possibile di quel voluminoso tomo sui… Tettigantropi.
Improvvisamente, si ricordò anche della ricerca che avrebbe dovuto fare per Du Four, maledicendosi per aver procrastinato fino ad allora. Cercò di sopprimere quella flebile scossa che le era parso di sentire come la prima volta, abituatasi ormai a considerarlo uno scherzo della sua mente.
Come se non fosse bastato, in quel momento Alan irruppe nella stanza, con degli strani aggeggi caricati in spalla e tra le mani. La salutò con un rapido cenno del capo, grugnendo appena ed arrossendo quando si rese conto di chi lei fosse.
Bloom non lo conosceva un granché, ma non riusciva mai a nascondere una risata, quando aveva a che fare con lui. Il suo sereno e delicato aspetto contrastavano particolarmente con la sua personalità o, per lo meno, con quella che sembrava esserlo.
«Ci sei solo tu, oggi?» le chiese, lasciando a terra quegli alambicchi.
«No, tra un’oretta dovrebbero arrivare anche Musa e Stella. Ah, e forse sarebbe passato anche Brandon per dare una mano con quella colonia di pantegane viola che abbiamo visto l’altro giorno» rispose.
«Pantegane viola?» fece, allarmato.
Bloom annuì. «Non sono molte, ma credo si riproducano in fretta. Brandon è andato a prendere dei pesticidi non so dove…»
Alan storse il naso, un po’ per le pantegane e un po’ per Brandon, forse. Bloom si chiese perché ce l’avesse tanto con lui.
Nonostante lo conoscesse da poco, quel ragazzo biondo sembrava sempre infastidito, quando c’era di mezzo il fidanzato di Stella. Forse serbava quella sorta di rancore proprio perché si erano messi insieme, e magari Alan era innamorato di lei?
Eppure, lei stessa aveva detto che lui non era interessato alle ragazze… cosa aveva voluto dire?
«A cosa ti servono, quelli?» gli chiese, cambiando argomento.
«Un po’ di cose, in effetti. Rimuovere quello strato di ragnatele cementificate, saldare le falle nel soffitto e iniziare a sovrapporne un altro» spiegò. «Sì, sì, lo so – voi fatine potreste farlo in un battibaleno. Ma visto che ci siete sempre solo tu, Looma e un’altra che non conosco, direi che ce ne dobbiamo occupare noi»
Bloom aggrottò le sopracciglia.
Sembrava detestarle proprio, le fate. «E ne siete capaci?»
«Ci proviamo. Anche perché, non vedo molte alternative» disse lui, decidendo di mettersi all’opera.
Puntò uno di quegli aggeggi verso il soffitto, premendo poi un tasto che doveva essere quello d’accensione. Da uno dei tubi che procedevano dall’impugnatura, quello più grosso e spesso, si diffuse una strana corrente che sembrò risucchiare la fitta coltre di ragnatele.
Quello strumento non emetteva alcun rumore ma, ad un tratto, iniziò a produrre delle vibrazioni che fecero oscillare pericolosamente le pareti. Quando Bloom intravide una crepa increspare il muro sprovvisto di carta da parati, urlò ad Alan di spegnere quell’affare.
«Che problema hai?» le fece, infastidito.
«Non ti sei accorto delle vibrazioni? Avresti finito per far crollare tutto sulle nostre teste» gli fece notare. «Forse è meglio sbrigarsela con la magia»
Senza che lui potesse ribattere nulla, lei fissò lo sguardo sui pochi filamenti chiari rimasti. Avrebbe potuto incenerirli da lì sotto, ma avrebbe rischiato di mandare in fiamme anche quel che restava di antiche travi.
Si trasformò, volando poi in alto. Si apprestò ad ardere una ragnatela nascosta in un angolo. «Ah, certo. Dimenticavo che voi fate potete svolazzare di qua e di là, con le vostre belle alucce»
Guardò Alan, cercando di rivolgergli un’occhiata che fosse il più truce possibile. Forse aveva frequentato troppe streghe e avevano finito per contagiarlo; in genere, quei commenti li partorivano proprio loro.
Sospirò, riprendendo da dove si era interrotta. «Tuo fratello non viene?»
«Perché me lo chiedi?» ribatté immediatamente, brusco.
Non ti ho chiesto se nascondi una parrucca da donna nell’armadio, Alan...
Davvero non capiva come mai fosse così nervoso, quando aveva a che fare con lei. Lo aveva visto parlare diverse volte con alcuni suoi compagni, e le era parso completamente diverso.
«Arriverà, credo. In realtà non lo vedo da ieri» rispose, lascivo.
«Ma… condividete la stessa camera… e siete fratelli…» iniziò lei, confusa.
Alan sbuffò, spiegando che non frequentavano gli stessi corsi. Disse che dalla metà del secondo anno ciascuno studente doveva scegliere se continuare ad occuparsi del suo drago, intraprendendo un percorso finalizzato all’addestramento, o se dedicarsi allo studio delle altre specie.
Bill, a quanto pareva, aveva deciso di occuparsi di un allevamento di draghi rossi degli abissi, una razza il cui unico allevamento era fuori da Magix. «Ogni mercoledì mattina si sveglia alle quattro. Il viaggio verso l’Allevamento è piuttosto lungo»
«Allevamento?» chiese lei, dando fuoco all’ultimo ostacolo.
«L’Allevamento…» fece lui, sgranando gli occhi. «Il più grande allevamento di draghi… infatti lo chiamano “Allevamento” e basta. Davvero non… ne hai mai sentito parlare?»
Sorrise, abbassando lo sguardo. «No, io… sono cresciuta sulla Terra. Non so quasi nulla di… beh, di queste cose»
«Sei cresciuta sulla Terra?» per qualche ragione, sembrava essersi ammansito.
Spalancò ancora di più le orbite e sul suo viso si fece strada uno strano e sbilenco sorriso. Per un po’, sembrò aver perso la solita aria di sufficienza.
«Anche io e Sem»
Oh…
«Sul serio? E dove?» fece, interessata.
«In… Ucraina» rispose, distogliendo lo sguardo. «Era per… era per il lavoro di mio padre»
Bloom annuì, non molto convinta. Per qualche ragione, le sembrava che le parole di Alan non fossero state del tutto sincere.
Che si vergognasse del luogo in cui era cresciuto?
Prima che potesse indagare, la voce bassa di Sem si annunciò.
Fermo sulla porta, la sua espressione solitamente imperturbabile si piegava solo a tratti in una sottile macchia di dolore, che si dipinse ben nitida sul suo volto quando avanzò verso il fratello.
«Ho bisogno di un antidolorifico» rantolò, senza fornire spiegazioni.
«C’è l’infermiere, per quelli» replicò l’altro, chino sull’aggeggio che aveva portato con sé. «Non ti dirò dov’è la mia scorta. Ne usi troppi, e senza che nemmeno ti siano prescritti»
Il gemello storse appena il naso dritto, corrucciando il sopracciglio. Bloom si accorse solo in quel momento che era per metà bruciato ed attraversato da un taglio.
Fece per andarsene e soltanto quando si voltò la ragazza comprese finalmente la ragione di quella discussione.
Gli abiti di Sem erano laceri sul retro, squarciati da quelle che parevano profonde artigliate. Tra la stoffa squartata, spiccava una viva e lunga ferita rossa, che si estendeva per tutta la schiena.
La fata trattenne un grido, lasciando scorrere gli occhi sgranati da un fratello all’altro. Come potevano mantenere quell’aria così assolutamente… rilassata?
«Vai da Aibao, se proprio non vuoi farti guardare dall’infermiere» insistette Alan. «Sai che se la cava più che bene»
«Sì, lo so» fece l’altro, brusco.
Girò sui tacchi e se ne andò, seguito dallo sguardo del gemello, che scuoteva appena il capo. Sem non imparava mai.
«Va’ con lui» disse ad un tratto. «Non andrà da Aibao, quella testa di legno. Per favore, va’ con lui»
Bloom aggrottò la fronte; poi, raccolse le sue cose e corse verso il corridoio buio, senza replicare nulla. Alan sembrava subire un cambiamento radicale, quando si trattava del fratello.
Per un attimo, si domandò se quell’atteggiamento da nevrotico non fosse solo una copertura.
Sembrava così premuroso…
«Sem, aspettami!» lo chiamò, ansimando. Nonostante fosse ferito e dolorante, era stato comunque più veloce di lei.
Si voltò, forse sorpreso, chiedendosi perché l’avesse seguito. Quando si fermò di fronte a lui, china sulle ginocchia per riprendere fiato, non poté fare a meno di trovarla buffa.
«Hai bisogno di qualcosa?»
La ragazza scosse la testa, ora rialzandosi per fronteggiarlo. Due grosse pietre cristalline erano incastonate in una primavera di lentiggini; come una bambina.
«Alan mi ha detto di venire con te. Devi andare da quell’Aibao» fece, non del tutto sicura di come dovesse rivolgersi a lui.
Non aveva quasi mai parlato con quel ragazzo – tranne quando aveva dovuto scusarsi per avergli rovesciato un secchio d’acqua in testa; quel ragazzo che, dopotutto, interagiva quasi esclusivamente con il fratello, con Stella e con pochi altri compagni di accademia. Da come l’amica glielo aveva descritto, era uno di poche ma significative parole.
«So cosa devo fare» replicò, riprendendo a camminare.
Zoppicava un po’.
Senza dire nulla, Bloom lo raggiunse e cercò di sorreggerlo. «Perché non vuoi che ti aiutino? Sembra piuttosto grave»
«So cavarmela da solo. Ho soltanto bisogno di antidolorifici, in verità» borbottò. Fortunatamente, la stanza che condivideva con Alan era poco lontano.
Il ragazzo si avvicinò alla finestra, cercando qualcosa tra le tasche. Dopo aver armeggiato con i pantaloni, riuscì a ritrovare quella che sembrava una sorta di chiave.
Era sottile laddove avrebbe dovuto articolarsi di più; pareva più una tessera.
Sem la infilò della stretta fessura tra i cardini della finestra ed il muro, lasciandola scorrere velocemente verso il basso.
I pannelli si spalancarono improvvisamente; come il ragazzo scostò le tende, la prima cosa che Bloom vide fu un cumulo di magliette sovrastare uno dei due letti della camera. «Eppure gli avevo chiesto di dare una sistemata…» lo sentì sussurrare.
Lo Specialista si sedette su uno sgabello accostato alla scrivania, sotto la finestra, prendendo a rovistare tra i cassetti. Lei ebbe tutto il tempo di osservare quella stanza che aveva intravisto qualche giorno prima, oltre le spalle di Alan.
Era piccola, il mobilio e gli indumenti sparsi contribuivano ad amplificare l’effetto. Intuì che il gemello biondo, nonostante l’apparenza e quell’aria da puntiglioso, dovesse essere in realtà molto confusionario.
Mentre lei si guardava intorno, Sem aveva iniziato a disporre bende e creme sul tavolo.
«Come ti sei procurato quelle ferite?» gli domandò.
Non ottenne risposta.
Iniziò a provare un profondo senso di fastidio; chi diamine credeva di essere, per ignorarla in quel modo? Sembrava costantemente scocciato.
«Senti, non so perché mio fratello ti abbia chiesto di accompagnarmi» fece dopo un po’, esasperato.
«Credo fosse preoccupato che tu potessi svenire» masticò quelle parole in risposta. «Mi sembra normale, visto che siete fratelli»
Sem sospirò, lasciando marcire la conversazione. Impugnò dell’ovatta e, dopo averla imbevuta di quello che doveva essere disinfettante, si contorse in tutti i modi possibili perché arrivasse laddove il sangue aveva preso a colare copioso.
Bloom rise sotto i baffi della sua ostinazione. Forse, un po’ si somigliavano; anche lei era spesso troppo orgogliosa per chiedere aiuto.
«Lascia che faccia io» disse, avvicinandosi.
«No, ti ringrazio» rispose, secco. Si alzò di scatto, come a volersi allontanare.
«Non mi fa impressione…» cercò di insistere.
Lui scosse la testa. «Non mi serve il tuo aiuto. Dico davvero»
Bloom raggelò sul posto.
«Capisco» sussurrò, voltandosi verso la soglia. La trovò aperta.
Decise di fare ritorno direttamente ad Alfea.
Forse non avrebbe dovuto dare retta ad Alan.
 
«Quel ragazzo è completamente fuori di testa!»
Quell’esclamazione risuonò per tutto l’appartamento. Musa aggrottò un sopracciglio, distogliendo lo sguardo dallo spesso volume che stava leggendo.
Possibile che fosse appena tornata e che avesse già iniziato a fare tutto quel baccano?
La domenica era sempre un giorno terribile, perché le sue amiche non avevano nulla di meglio, da fare, che cimentarsi in chiacchierate assolutamente fastidiose.
E, a quanto pareva, non era intenzionata a smettere. Poteva sentire distintamente ogni impropero che Bloom stava vomitando in faccia a Stella, una stanza più in là.
Cercò di non prestare attenzione a quel che si dicevano, perché non la riguardava. Afferrò gli auricolari, sperando che almeno così funzionasse; ma si accorse ben presto che il lettore musicale era scarico.
Sbuffò. Forse avrebbe potuto a Tecna di…
No. Non posso chiedere nulla, a lei.
Sbuffò nuovamente; era chiaro che non sarebbe riuscita a studiare, in quelle condizioni.
«Non riesco a capire perché sia così… così… stronzo. Cercavo solo di aiutarlo! E lui cosa ha fatto? Mi ha riservato occhiate raggelanti e qualche parola per ribadire la sua completa e presunta indipendenza. Non si è nemmeno degnato di rispondere alle mie domande!»
Di chi stava parlando?
Sembra tanto un Riven più intrattabile… il che è tutto un dire…
Sentì Stella ridere fragorosamente, com’era suo solito fare. «Oh, è un po’ così. Tra lui ed Alan non so chi abbia il carattere più strambo. Però sono sicura che non sia niente di personale»
Sem… ma certo…
Si diede della sciocca. Solo uno come Sem era capace di mandare qualcuno fuori di testa senza averci a che fare per più di venti minuti.
Ricordava bene di averlo detestato, all’inizio, quasi quanto mal sopportava Stella i primi giorni dell’anno precedente. Era taciturno, a tratti brusco e diretto, a tratti impacciato e discreto.
Non si sorprese poi molto che anche Bloom lo trovasse spiacevole.
Chiuse il libro, alzandosi per riporlo su uno scaffale. Decise di sgranchirsi le gambe con una passeggiata per il cortile.
Come raggiunse la scalinata dell’ingresso della scuola, rimase pietrificata.
Tecna era lì, intenta ad immergere una ramazza in una bacinella d’acqua. Il suo viso sottile era il ritratto della noia.
Era in… punizione? Proprio lei?
Cos’aveva combinato?
«Ciao» la salutò, evitando il suo sguardo. L’altra ricambiò con un breve cenno del capo, ritornando subito al suo lavoro.
«Come mai sei in punizione?» domandò, fingendosi non troppo interessata.
«Come mai me lo domandi?» ottenne in risposta.
Musa poté avvertire le sopracciglia sfiorare le scure ciocche della frangia. C’era dell’astio, nella replica di Tecna? «Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda»
«No, temo di no» sospirò, senza nemmeno guardarla in viso. «Tuttavia, temo anche di non essere tenuta a fornirti un’effettiva risposta»
Con la coda dell’occhio, la fata della tecnologia seguì i passi stizziti dell’altra mentre imboccavano il portone principale. Per qualche vago istante, la possibilità che avesse sbagliato le attraversò la mente.
Soppresse immediatamente quel pensiero. A quanto pareva, Musa preferiva rinchiudersi in sé; e, allora, per quale motivo avrebbe dovuto condividere con lei qualcosa che non era disposta ad ascoltare?
Se vuole la guerra fredda…
Lasciò la ramazza nel secchio, concedendosi un po’ di riposo.
Fortunatamente, la punizione che lei e la principessa Aisha dovevano scontare era quasi terminata; per tutta la settimana, oltre a seguire le lezioni mattutine, non avevano fatto altro che correre di qua e di là per tutto il castello, armate di spugne e quant’altro.
Tecna non reputava di alcuno spessore le occhiate curiose o sprezzanti che alcune studentesse le rivolgevano quando la incontravano in quei momenti.
L’unica cosa che effettivamente la infastidisse, di tutta quella faccenda – oltre al ragguardevole numero di ore potenzialmente utili per lo studio e che, al contrario, spendeva in quei modi – era l’idea di non avere neppure un attimo per poter finalmente consultare ciò che era riuscita ad ottenere.
Il download delle conversazioni archiviate da Faragonda era completo, ma ancora non le era stato possibile riprodurle. Oltretutto, si supponeva che anche la principessa fosse presente; era previsto che si trovassero il giorno successivo.
«Tecna, di là ho finito» la principessa di Andros la raggiunse, con aria stremata. «Penso che andrò a farmi una bella dormita. Tutte queste pulizie mi stanno tenendo sveglia la notte»
L’altra annuì. Chissà come doveva apparire surreale, ad Aisha, il dovere di lustrare la scuola da cima a fondo. «Io ho quasi terminato»
«Ah, quasi dimenticavo… per domani… ricordi che ci saremmo dovute trovare a Magix per consultare le registrazioni?» fece, tornando sui suoi passi. «Noi del primo anno siamo in gita, perciò…»
Non concluse la frase; ma fu sufficiente perché Tecna provasse un senso di irritazione che sapeva essere sbagliato. Naturalmente, la colpa non poteva ricadere sulla principessa, ma avrebbe comunque potuto parlargliene prima.
«D’accordo. Sarà per un’altra volta» disse, senza perdere la sua solita impassibilità.
La salutò, forse sentendosi un po’ in torto per averle appena mentito. Non poteva aspettare, anche perché non era sicura che ci sarebbero state poi molte altre occasioni, prima che le vacanze iniziassero.
Decise che avrebbe consultato le informazioni ottenute quel giorno stesso, con o senza Aisha. Una volta finito di pulire quell’ala del castello, raggiunse la sua camera.
Non scese neppure a cenare, per la stanchezza e per la curiosità. Il momento della verità era arrivato.
Entrata nella stanza che condivideva con Musa, afferrò il portatile riposto sulla scrivania; lo schermo riportava la stessa notizia di quella mattina: il download era completo.
A quel punto, indugiò.
Se fosse rimasta nella sua stanza, probabilmente le altre l’avrebbero obbligata a cenare o l’avrebbero costretta a lasciare che anche loro ascoltassero le registrazioni. D’altra parte, non era certa di essere al sicuro da orecchie indiscrete nemmeno fuori di lì.
Sapeva perfettamente di essere tenuta d’occhio da Faragonda e non poteva rischiare di mandare tutto in fumo. Come fare?
Rifletté.
La preside non conosceva la ragione della sua incursione nell’ufficio; perciò, se non l’avesse vista a tavola non avrebbe avuto motivo di pensare che fosse per portare a termine le sue trame.
Forse si sarebbe potuta rintanare nella biblioteca, con la scusa di dover studiare per portarsi avanti. Lì, Barbatea non l’avrebbe certo infastidita e avrebbe eventualmente potuto farle da testimone, qualora Faragonda avesse deciso di investigare.
Mentre imboccava le scale con il portatile e qualche libro sotto braccio, continuava a ripassare mentalmente quel piano, chiedendosi se avesse delle falle.
Forse stava sbagliando tutto; forse avrebbe davvero dovuto aspettare un altro momento.
Ma non era mai riuscita a tenere a freno la curiosità, nonostante essa spesso contravvenisse al regolamento; lei doveva sapere.
Salutò la bibliotecaria, ricercando subito il tavolo più isolato, su cui la luce batteva più soffusa; scelse dagli scaffali dei libri che potessero rendere credibile la ragione della sua presenza lì.
Barbatea non le stava prestando alcuna attenzione.
Meglio così.
Accese il computer, connettendovi degli auricolari. Lanciò nuovamente un rapido sguardo alla donna, intenta a scribacchiare qualcosa su un registro.
Forse sarebbe stato più prudente infilare solo una cuffia.
Mentre la cartella in cui erano salvati i file si apriva, Tecna strinse i pugni. Era agitata; qualcosa di incomprensibile, per lei.
Ma era agitata. Aveva paura di quel che avrebbe potuto scoprire.
Da quando aveva assistito a quello spettacolo orrendo, non riusciva più a smettere di considerare qualsiasi notizia inaspettata come una minaccia. Stava diventando un’ossessione e ne era consapevole; ma c’era poco da fare, ormai.
Inspirò, iniziando a riprodurre la registrazione. Si accorse subito delle interferenze di sottofondo; forse i dati erano stati parzialmente corrotti quando aveva bruscamente estratto la chiavetta dal teleproiettore.
La voce della preside Griffin parlava basso, allarmata; discuteva sul da farsi.
Era la conversazione più vecchia e pareva risalisse a circa tre mesi prima, poco prima della ripresa delle lezioni. La strega sosteneva che i problemi di Saladin non fossero necessariamente anche di Torrenuvola; ribadiva la presunta pericolosità di quel che Faragonda doveva averle proposto.
Tecna mise momentaneamente in pausa la riproduzione.
Aveva avuto ragione. Stavano nascondendo loro qualcosa.
Griffin riprese a parlare, accennando ora al fatto che potesse trattarsi solo di dicerie.
«Noi non abbiamo la certezza che quelle storie siano vere, Faragonda. Quando fu il nostro turno di frequentare queste scuole, nessuno ne parlava; eppure erano giorni molto più vicini a quel che tu dici» disse ad un tratto. «Se quel male si annida veramente a Fonterossa non è detto che sia anche nei nostri istituti»
Dunque, si trattava di presunte leggende metropolitane che riguardavano tutte e tre le scuole? Questo significava che doveva esserci del materiale a riguardo, nella scuola.
Si parlava di un potenziale pericolo che riguardava Saladin, e quindi Fonterossa, in primo luogo; un pericolo che risaliva a prima degli anni in cui gli attuali presidi erano stati studenti?
Se solo il teleproiettore avesse registrato anche le parole di Faragonda…
Il monologo si interruppe, ed il portatile caricò un’altra registrazione. Era dello stesso giorno.
«Purtroppo, è come ti ho detto. Abbiamo nuovamente setacciato le rovine della scuola e ciò che abbiamo trovato è affine a quello di cui ti ho parlato pocanzi. In più, la terra continua a vibrare» diceva il preside Saladin. «Non voglio che questo ci impedisca di dare a questi ragazzi un’istruzione adeguata, come dovrebbe essere in condizioni normali. Quel che abbiamo rinvenuto durante i mesi precedenti non deve distoglierci dalle nostre solite mansioni»
Tecna rifletté. Certo, era logico; la fonte di potenziale pericolo era venuta alla luce solo durante l’estate precedente, quando erano stati avviati i lavori di restauro dell’accademia?
Ma di cosa poteva trattarsi? Cos’avrebbe mai potuto rappresentare una minaccia tale da allarmare i presidi? Vibrazioni del terreno?
La registrazione proseguì, ma lei poté coglierne solo qualche sprazzo; i dati si facevano ancora più incomprensibili ed il database era riuscito a salvare ben poco.
Ascoltò anche quel che rimaneva di quelle successive, che tuttavia ripetevano bene o male le stesse informazioni e confermavano le sue deduzioni. Una delle ultime catturò la sua attenzione: risaliva a qualche giorno prima dei colloqui generali e l’interlocutore di Faragonda era il sovrano di Andros.
«… intollerabile! Non lascerò che mia… se la situazione non dovesse essere risolta il… lei capisce bene che non…» il tono dell’uomo pareva piuttosto acceso e contrariato. «Domani ne discuteremo con più… ma non si aspetti… è per il bene di mia figlia, lei…»
Una leggera pressione sulla spalla la riportò alla realtà, lontano da quegli strascichi di segreti. Impallidì all’istante.
«Ecco dove ti eri imboscata!» la voce di Stella la fece sobbalzare immediatamente sulla sedia; per un attimo aveva temuto che Barbatea o qualunque altro professore l’avesse scoperta.
«Sembri sconvolta… va tutto bene, Tecna?» fece Bloom, prendendo posto accanto a lei. Immediatamente, la sua attenzione si focalizzò sul computer che Tecna aveva con sé, e tutto fu più chiaro.
Le tre si scambiarono un’occhiata allarmata.
«Cos’hai scoperto?» domandò Flora.
L’altra si sporse leggermente e si accorse di aver attirato lo sguardo sospettoso della bibliotecaria. «Non qui» rispose a voce bassa, raccogliendo le sue cose.
A quanto pareva, era inevitabile coinvolgere anche loro. E, se all’esterno si mostrava infastidita, in verità provava una sorta di sollievo, forse.
Forse, agire da sola non l’avrebbe portata molto lontano. Loro erano lì, avrebbero affrontato ogni guaio insieme; era quello che facevano le amiche, dopotutto.
Si chiusero in camera di Stella, badando bene a non alzare troppo i toni.
Tecna lasciò che ascoltassero le registrazioni, vedendo di volta in volta delle espressioni perplesse sui loro visi.
Cos’avrebbero dovuto pensare? Il fatto che il pericolo, di qualsiasi natura esso fosse, avesse creato un trambusto simile… non lasciava presagire nulla di positivo.
«Perciò… le nostre vacanze sono in qualche modo legate a questa storia?» ipotizzò Bloom. «Credete che abbiano intenzione di sbarazzarsi di quella… cosa mentre siamo via?»
«Non avrebbero potuto occuparsene direttamente quando è saltata fuori?» borbottò la principessa. «Voglio dire, così hanno solo peggiorato tutto»
Tecna scosse la testa, sospirando. «Evidentemente la natura del problema è ben più grave di quanto si aspettassero. È possibile che, quando si sono accorti della sua esistenza, non avessero i mezzi adatti per estirpare questo parassita»
«Tu credi che si tratti di una creatura?» chiese Flora.
Lei annuì. «È altamente probabile. Se così non fosse, non riuscirei proprio a spiegarmi di cosa si possa trattare» ammise. «Credo che i presidi siano intenzionati a fronteggiarla proprio in quel periodo in modo da garantire l’incolumità degli studenti»
«Cosa possiamo fare?» domandò Bloom, scrutando il cielo oltre la finestra.
«Non lo so… io…» mormorò Tecna. «Io cercherò tutto il materiale possibile in biblioteca; ma dubito sarà sufficiente»
«Potremmo chiedere ai ragazzi se hanno notato qualcosa di strano» realizzò Stella. «Si saranno pur chiesti a cosa siano effettivamente dovute, queste vacanze! Ne hai parlato con Timmy?»
Con Timmy?
Scosse la testa. No, non ne aveva parlato, con Timmy.
In effetti, era da giorni che non si faceva vivo; e lo stesso valeva per lei. Tra lo studio, la punizione e lo scombussolamento generale, non ci aveva minimamente pensato.
Per un attimo provò un vago senso di colpa. Aveva deciso di fare un tentativo, con quel povero ragazzo; eppure, forse, la cosa era scivolata in secondo piano.
Certo, avrebbe anche potuto contattarla lui. Talvolta Tecna non era in grado di comprendere dove finisse la timidezza di lui e dove iniziasse il disinteresse.
«Chiederò a Brandon, ma non penso che si sia allarmato più di tanto. Sapete com’è fatto…» scherzò la bionda. «A proposito di allarmarsi… beh, voi due lo sapete già. Tecna… ti va di venire ad una festa?»
 
I’m coming out my skin tonight
So tell me if you’re ready or no
I’m tired of living out a lie
Sitting here watching things flying by me
Maybe Maybe, Nico Stai
 
Ve l’avevo detto, no? Sem è un tenerone.
Sì, certe cose me le sono inventate, come i Tettigantropi, Aibao e l’infermiere (insomma, ‘sti ragazzi si spaccano la schiena ogni giorno tra draghi e spade, e non hanno nemmeno qualcuno che li possa medicare? Codatorta e le sue manone non mi sembravano indicate).
Il Club è più di supporto a Tecna, ora. Povero tesoro; inizia a capire che ne ha bisogno? Andrà alla festa? Bloom riuscirà a sistemare quel postaccio senza avere un esaurimento nervoso?
Si deciderà ad usare la magia?
Lo scopriremo nella prossima puntata!
Per ora ringrazio il trio della speranza (alias Tressa, Still_Sane e Great_Gospel), sempre qui ad infondermi sentimenti positivi, ed anche tutti coloro che passano di qui, anche per errore!
Appuntamento al 15!
7th
  
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