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Autore: Halcyon Days    01/10/2017    2 recensioni
L’eco dei cani che abbaiavano in lontananza la costrinsero ad aumentare l’andatura.
«È mio fratello!» urlò Reagan.
James le lanciò un’occhiataccia da sopra la spalla. «Sapeva a cosa stava andando incontro.» e prima che la ragazzina potesse fiatare un’altra volta, riprese. «La gente muore, Sette!» continuò a camminare in direzione del bosco.
La raggiunse nuovamente, trattenendola per una manica del giubbotto, la costrinse a fermarsi. «È mio fratello.» ripeté a denti stretti, tirò su con il naso trattenendo a fatica le lacrime. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, James fu la prima a distogliere lo sguardo, e a Reagan sembrò di averla avuta vinta, ma solo per posarlo sull'edificio in fiamme che le aveva tenute prigioniere fino a qualche minuto fa. Scrollò le spalle, si liberò dalla presa di Reagan e continuò a costeggiare il lago allontanandosi sempre più. «Ti odio.» sentì urlare alle sue spalle e poi un grido di frustrazione.
Evitò di voltarsi e proseguì costeggiando il lago lasciando dietro di sé gli Harlow, Candice e l’edificio in fiamme. Non ebbe alcun cenno di esitazione o segni di rimorso, ne era sicura, si sarebbero rivisti tutti all’Inferno.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diede un’occhiata veloce allo specchietto retrovisore e lasciò andare lentamente il piede dall’acceleratore. Guardò di nuovo. Avevtenuto mentalmente il conto e quella era la trecento diciassettesima volta, trecento diciotto si corresse mentalmente, che sbirciava dallo specchietto per controllare se le stessero ancora seguendo. Si concesse un sospiro di sollievo quando constatò che la strada alle loro spalle era libera. Si rilassò maggiormente contro lo schienale del sedile, lasciò il volante per legarsi i lunghi capelli scuri in una crocchia disordinata. «Ehi tesoro, era un fuoco fatuo quello?» la bambina seduta al posto del passeggero mugugnò e si rannicchiò ancora di più contro la portiera. «Stavi dormendo, scusa.» 

Abbassò il finestrino, l’aria pungente le attanagliò il braccio, lo richiuse immediatamente. Era ancora troppo presto per guidare con il braccio fuori come piaceva a lei, mancavano ancora cinquantaquattro giorni. Lanciò un’occhiata alla bambina al suo fianco e le sistemò la coperta di pile sulla spalla, Fin mugugnò qualcosa a proposito dei fuochi d’artificio ed emise un lungo sospiro lasciando della condensa sul vetro del finestrino. La donna sorrise e riprese il controllo della macchina che aveva sbandato. «Niente scherzi bolide.» esclamò rivolta al volante. «Almeno non adesso.» aggiunse sbirciando nuovamente dallo specchietto. Trecento diciannove. La bambina di fianco a lei si stiracchiò facendo cadere la coperta di pile decorata in stile scozzese e sbadigliò. «Ehi Fin! Buongiorno!» esclamò sorridente. «Almeno credo sia ancora giorno.» aggiunse sporgendosi in avanti per guardare il cielo dal parabrezza. Alberi, tronchi, rami e foglie e le radici che si facevano largo tra l’asfalto erano le uniche cose che si presentavano alla sua vista. Del cielo nemmeno l’ombra. 

 «Non chiamarmi in quel modo.» borbottò la bambina. Aveva già messo su il broncio: braccia incrociate, testa incassata tra le spalle e labbra e naso arricciati. Le diede un buffetto sulla spalla e Fin si fece scappare un sorriso, allo stesso tempo però si ricordò di essere ancora arrabbiata con lei ed allontanò la mano della madre, come se fosse stata una mosca fastidiosa, e ritornò a fare l’imbronciata. 

Annie si allungò nuovamente in avanti, ancora nessun cartello. Roy le aveva detto di prendere la statale ovest e di proseguire finché non avesse trovato un cartello che l’avesse indirizzata verso le montagne, evidentemente se l’era perso. «Con tutti questi alberi non capisco.» borbottò. Fin sbadigliò nuovamente e si sistemò meglio sul sedile. «Hai dormito bene?» la bambina annuì sorridente, il broncio ormai era solo un ricordo. Le sfiorò la guancia piena e morbida, era di ghiaccio. «Tesoro, hai freddo?» La bambina scosse la testa con veemenza, ma le labbra orribilmente viola e la punta delle dita arrossate testimoniavano il contrario. «Jack ti ha morso!» la bambina ignorò la donna a fianco a lei e si allungò sul cruscotto per prendere la cartina stradale. «Jack Frost non esiste.» sbuffò e si allungò verso la donna, frugò nella tasca del giaccone e ne tirò fuori un paio di guanti che si infilò prontamente, poi alzò le sopracciglia facendole vedere le mani coperte. 

 «Ecco, brava Fin.» disse aiutandola a dispiegare la cartina con una mano mentre con l‘altra teneva poco saldamente il volante. «Guarda dove siamo finite e sistemati questo.» le abbassò il cappellino di lana sulla fronte. «Così va meglio.» 

 «E tu guarda avanti o finiremo contro un albero.» la rimproverò la bambina. 

 «Ti preferivo mentre dormivi.» la riprese scherzosamente. Fin rise e, dopo aver individuato il nord sulla cartina, cominciò a lisciarla con le mani. 

 «Hai sbagliato direzione, dovevi continuare e poi svoltare sulla superstrada, invece hai girato per di qua allungando il tragitto.» le spiegò puntando il dito su una linea bianca e seguendone le curve.  «Saremmo già arrivate.» 

Annie accarezzò la testa della figlia ma Fin la scansò con un gesto della mano, si spostò un ciuffo immaginario e riprese il controllo della macchina.  «Lo so che sei stanca e hai freddo ma cerca di resistere che manca poco, ok?» Tutto quello che la bambina fu in grado di rispondere fu: «Mh 

Per tutta l'ora successiva l’abitacolo venne avvolto nel silenzio interrotto di tanto in tanto da uno starnuto o da un colpo di tosse. 

Roy sapeva che sarebbe successo, lo sapeva e quel giorno le aveva detto di evitare la superstrada, la gente terrorizzata si sarebbe precipitata fuori città, riversata nelle strade e bloccato la circolazione. Dopo la notizia che il terremoto aveva provocato l’esplosione di tre centrali, una di seguito all’altrae che i gas che esse contenevano stavano fuoriuscendo, si era scatenato il caos; e mentre la città si era svuotata in un lasso di tempo minimo, la periferia e la zona industriale si erano trasformate in un inferno. 

Aveva trovato Fin, per miracolo, rannicchiata dietro al cespuglio secco del rododendro, aveva ancora lo zaino sulle spalle, era il suo primo giorno di scuola, stringeva il suo orsacchiotto e tutta sporca di polvere piangeva e urlava. Poi era arrivato, le aveva detto che in periferia non era rimasto quasi più niente, -il terremoto aveva fatto crollare la parte Ovest della cittadella e gran parte della zona Nord (ma di quello se n'era accorta da sola) e che dovevano andarsene, trovare un posto sicuro e lui sapeva dove. Non ci pensò un secondo di più, prese in braccio una Fin urlante e scioccata e lo seguì senza fare domande.  

Ora erano rimaste solo loro due. 

Si passò una mano in mezzo ai capelli e un ciuffo scuro le cadde davanti agli occhi. «C’era un fuoco fatuo!» si giustificò lei. «A te non piacciono i fuochi fatui?» La bambina aggrottò le sopracciglia e inclinò la testa in una muta rassegnazione. 

«Mamma, la magia non esiste.» borbottò lei, la macchina in quel momento si arrestò bruscamente e si spense l'auto. La donna diede due bruschi colpi al volante facendo suonare il clacson e si lasciò andare contro il sedile. «Hai solo otto anni Fin, non dovresti dire queste cose. Fino ad un mese fa andavi a caccia di fate in giardino e prima di andare a dormire mi chiedevi di controllare sotto al letto e dentro l’armadio. Avevamo anche la pozione scaccia mostri.» la rimproverò. «La magia esiste.» le sorrise. 

Fin smontò dall’auto e seguì sua madre. «Un mese fa ero stupida e lo so che quella pozione era solo acqua con un po’ di brillantini nella bottiglia del detersivo per i vetri.» affermò in tono piatto, alzando le sopracciglia come se volesse sfidarla a dire che ciò che aveva affermato non fosse la verità. Fin sembrò leggerle la conferma negli occhi. «La magia non esiste e tu non dovresti crederci» Avrebbe voluto controbattere ma preferì lasciar correre. «Che cosa stai facendo?» le chiese vedendola appoggiata al bagagliaio con il vano aperto mentre osservava il motore della macchina. «Controllo se ci sono problemi.» Osservò per pochi minuti quel groviglio di cavi, vaschette contenenti liquidi, scatole varie e ventole e decise che non c’era nessun problema. «Fin, davvero non credi nella magia?» chiese appoggiandosi al fianco della macchina, si picchio la fronte mentalmente, non aveva appena deciso di lasciar perdere? 

Fin si strinse al petto la cartina piegata accuratamente e alzò le spalle. «No.» rispose semplicemente. «Finché non riceverò la mia lettera per Hogwarts non ci credo 

La donna roteò gli occhi e sospirò. «Se avrai pazienza tra tre anni un gufo potrebbe lasciare nel camino la tua lettera.» 

La bambina parve scettica. «Quale camino?»  

Decise che era meglio ignorare la domanda. E così fece. «Dai Fin salta in macchina, problema risolto.» 

Fin le lanciò un’occhiataccia. «Tu non sai un cavolo di cose da maschi mamma… come le auto per esempio. Faceva tutto papà.» 

La donna sorrise perché sapeva che Fin aveva ragione. «Ti sbagli.» sospirò. «Ne so abbastanza per aver preso la patente e per sapere che una macchina del genere ha il motore dietro e non davanti, non credi?» Che fosse veloce per lei era abbastanza. Il più velocemente avessero lasciato quel luogo, prima avrebbero aggiunto il loro rifugio in mezzo alle montagne e meglio sarebbe stato. La bambina si mise una mano su un fianco e guardò la madre con un’espressione poco convinta. «Ti ricordo che tu la patente non ce l’hai più.» aprì la portiera della macchina. 

 «Tesoro, non c’è nessun problema, deve essersi infilato qualche ago nelle prese d’aria, sali in macchina.» le disse sistemandole il cappuccio sulla testa e spingendola dentro l’abitacolo. «Oppure siamo in riserva.» borbottò fra sé e sé. 

 «Mamma.» la chiamò dopo che ebbero ripreso il viaggio. Le labbra della bambina erano rimaste viola e anche le dita stavano diventando dello stesso colore. 

 «Hai freddo?» le calò il berretto sulla fronte, le labbra stavano diventando sempre più scure e il viso stava perdendo colore. Alla domanda della madre Fin scosse la testa e si alzò il cappello, le prudeva e non riusciva a tenerlo. «Rimettiti i guanti.» scosse di nuovo la testa. «Fin.» l’ammonì. Provò ad accendere il riscaldamento ma dalle ventole usciva solo aria fredda. Lo spense. «Fin, per favore.» la supplicò. 

La bambina scosse di nuovo la testa. «Non ho freddo.» il rumore dei denti che battevano tra di loro era l’unico rumore che faceva da sottofondo alla loro discussione. «Ho fame.» si rannicchiò contro il sedile stringendosi il giaccone attorno alla pancia. «Ho fame.» le brontolò lo stomaco ma nella sua testa c’era solo la voce della figlia che le ripeteva all’infinito “Ho fame!” 

La donna sospirò, lanciò un’occhiata allo specchietto. «Non possiamo fermarci Fin.» oltre che a battere i denti cominciava a far fatica a parlare. «Dobbiamo-» Fin scrollò le spalle, un movimento debole e privo di convinzione, si infilò i guanti e giusto per far felice la mamma anche il cappello e si acciambellò sul sedile nascondendo la testa tra le ginocchia. «È un sacco-» fece una pausa per fare un respiro profondo. «di tempo che cerchiamo questo posto» di nuovo una pausa «e la millesima volta che cambiamo macchina, spero solo che ci sia la cheesecake al limone più buona del mondo dove stiamo andando.» riuscì a brontolare prima di addormentarsi. 

La loro corsa durò solo un’ora in più. Lasciò andare lentamente l’acceleratore e si abbandonò contro il sedile finché la macchina non si fermò da sola. «Abbiamo finito la benzina.» si voltò a guardare la figlia ancora rannicchiata sotto la coperta di pile. «Fin vado a vedere se c’è qualcosa qui attorno. Fin?» scosse la spalla della bambina che non si mosse. «Ehi, tesoro.» la scosse più forte. «Fin!» le mise il dorso della mano sotto al naso, respirava ancora. «Fin.» la scosse più forte. La chiamò per nome. La bambina mugugnò, tentò di stiracchiarsi nello spazio ridotto e osservò la madre con lo sguardo assonnato.  

Fin si alzò a sedere. «Mh?» sbadigliò e le si inumidirono gli occhi. 

 «Mi hai fatto prendere uno spavento!» la strinse in un abbraccio. «Quanti sono questi?» 

La bambina le scansò la mano. «Quattro, mamma. Se conti il dito piegato sono cinque.»  

Le diede un bacio sulla fronte. «Brava la mia bambina.» Le abbottonò il collo del giaccone e le sistemò la coperta sulle spalle. «Vado a vedere se c’è una stazione di rifornimento qui attorno. Faccio presto. E copriti le orecchie o Jack Frost morderà anche quelle.» le diede un rapido bacio sulla punta del naso e uscì dall’abitacolo. 

 «Mamma!» urlò Fin seguendo la madre, la coperta le svolazzava attorno ai piedi e le faceva da mantello. «Mi lasci da sola?» sua madre si fermò a guardarla aggrottando le sopracciglia. «Non lo sai che cosa succede alle persone che vengono lasciate da sole?» si sistemò meglio la coperta sulle spalle e raggiunse sua madre. «Gli succedono-» fece una pausa e la madre la guardò preoccupata, tese le mani in avanti come se da un momento all’altro avesse potuto cadere. «Gli succedono sempre cose brutte, l’ho visto nei film. Non sono pronta a mangiare i serpenti, anche se sanno da pollo.» 

La donna sorrise. «E chi te li ha fatti vedere questi film?» le domandò stringendole la mano fasciata dai guanti. 

 «Papà.» sul viso di Fin si dipinse il sorriso più triste che la donna le avesse mai visto. 

 «Non credi alla magia ma a quello che succede nei film si?» le domandò incredula. La figlia alzò le spalle e le prese la mano. «E da dove sbuca fuori questa storia dei serpenti?» 

La bambina scosse le spalle. «Papà una volta mi ha fatto vedere un film su un signore che porta un cappello da cowboy e che una volta ha mangiato serpenti perché si era perso nel bosco.» Fin alzò nuovamente le spalle. «Lui ha detto che sapevano da pollo.» 

Il padre di Fin era morto circa due anni prima, faceva il ricercatore. Il giorno in cui le avevano dato la brutta notizia era il compleanno del marito e della figlia. Fin aveva voluto fare la torta da sola, aveva esagerato con la farina e si era mangiata tutta la cioccolata, se tirata in testa un sasso avrebbe fatto meno male, e poi si era nascosta in mezzo ai cuscini del divano in attesa di fare una sorpresa al padre. 

Quando il campanello aveva suonato sapeva che stavano arrivando brutte notizie. Due poliziotti se ne stavano davanti alla porta. «Deve venire con noi.» Non c’era nessun bisogno che aggiungessero altro, sapeva già cos’erano venuti a dirle. A quanto sembrava, dalla ricostruzione, suo marito era stato aggredito da un gruppo di ragazzini, alcuni testimoni li avevano visti mentre lo pestavano a sangue e come di consuetudine nessuno era intervenuto. Non era certo una novità, non in quel quartiere ed in quel periodo, che qualcuno venisse aggredito, derubato di qualsiasi cosa e poi ucciso. «Quando sono arrivati i soccorsi non c’era più nulla da fare.» Il che significava che i soccorsi non erano mai stati chiamati, non ce n’era bisogno se vivevi tra la zona Ovest e quella Nord, vivere in periferia o all’Inferno non faceva alcuna differenza. «Signora stiamo facendo il nostro meglio per identificare gli assassini, stiamo facendo il nostro meglio perché vengano assicurati alla giustizia.» Solo Dio sa cosa l’abbia trattenuta dallo sbattere la porta in faccia a quei due e mettersi ad urlare. I due poliziotti le chiesero nuovamente di seguirla per l’identificazione del corpo, al suo rifiuto si erano levati il cappello e avevano fatto un breve cenno con la testa. 

Aveva provato a convincere il marito a farsi trasferire in un ospedale del centro città, vicino alle mura sarebbe andato bene lo stesso, ma gli era stato detto che per loro non era consentito muoversi. Dovevano rimanere dov’erano. 

I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore assordante. «Mamma.» Fin le strattonò la manica del giaccone per richiamare la sua attenzione, indicò davanti a lei. Dalla direzione che la figlia le aveva indicato stava arrivando un grosso camion militare. 

 «Vieni.» agguantò Fin per un braccio e la trascinò verso il limitare della strada e poi in mezzo al bosco. 

 «Voglio vedere!» protestò la bambina. 

 «Fin non fare i capricci e muoviti.» 

   
 
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