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Autore: _Frame_    01/10/2017    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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143. Merkur e Scorcher

 

 

27 aprile 1941,

Porto Rafti, Attica Orientale, Grecia

 

Pennacchi di fumo nero e pesante, colloso come un vapore di catrame, si elevavano dalla linea d’orizzonte del porto, si gonfiavano superando i profili delle imbarcazioni, graffiavano la sagoma rossa e fiammeggiante del sole al tramonto, e si arrampicavano attraverso il cielo chiazzato di grigio, fino a spandersi diventando una nebbia granulosa che si confondeva con il colore del mare. Un’ala di vento salmastro sbatté sul porto, sollevò uno scroscio di onde che si schiantarono sugli scafi degli incrociatori e sul cemento della banchina, dei pontili. Quell’aria dall’odore di catrame bruciato fece volare via uno stormo di cinque gabbiani che stridevano attorno agli alberi delle navi, e soffiò un alone nero in mezzo a tutti i soldati radunati davanti ai ponti.

Gli squilli soffiati dalle navi risuonarono attraverso il porto come echi di tuono, si mescolarono al gracchiare arrugginito delle ancore che venivano issate, al ronzio dei motori che smuovevano le masse degli incrociatori tagliando il pelo dell’acqua come un panno di velluto lucente. Coprivano il vociare dei soldati radunati sotto le imbarcazioni – con gli zaini in spalla e i visi bruciati dal sole, gli occhi stanchi –, nascondevano il suono dei passi che si spostavano in gruppo e che calpestavano i ponti.

Inghilterra si rimboccò il bavero della giacca sotto la gola, resistette al vento della sera che gli aveva buttato in faccia il bruciante odore del mare e degli incendi che puzzavano di catrame sciolto e carburante bruciato. Rabbrividì, scosso da quel viscido tocco di aria che gli aveva fatto salire la pelle d’oca, e incrociò le braccia davanti al petto, continuando a camminare lungo la banchina, distante dai loro eserciti e dalle imbarcazioni che erano solo sagome nere contro il cielo arancio e grigio. Calciò un sasso. La pietra andò a sbattere contro un pilone e cadde in acqua. Plof! Cerchi concentrici incresparono la superficie dell’acqua sporca di schiuma verde che si incollava al cemento.

La luce del tramonto che batteva sul Porto di Rafti luccicò sulle pieghe dell’acqua, sulle corazze degli incrociatori – due ancorati e uno già lontano, grande quanto la sagoma del sole – e deformò le ombre gettate dai gruppi di soldati radunati sulla banchina e sui pontili, allungandole come artigli neri.

Inghilterra chiuse gli occhi. Nel buio delle palpebre abbassate ricomparve il profilo di Grecia, il giorno in cui si erano separati alle Termopili. Lo sguardo sereno ma consapevole, gli occhi tristi ma ancora vivi, animati da quel luccichio che non si era mai spento, nemmeno davanti alla morte.

Soffiò di nuovo il vento. Trascinò con sé le ultime parole che Inghilterra aveva rivolto a Grecia, e gli sbatté in faccia lo stesso dolore che aveva provato quel giorno, quando le aveva pronunciate, come uno schiaffo. “Mi dispiace davvero per quello che è successo. Ho sperato davvero che saremmo riusciti a evitarlo.”

Le parole di Grecia suonarono più morbide, sincere come l’ultimo sguardo che gli aveva rivolto. “Ti ringrazio per averci provato. Dico davvero.”

Inghilterra stritolò le dita contro le braccia incrociate, i pugni tremarono, e un groppo di rabbia e frustrazione gli arrestò il respiro, gli riempì la bocca di un sapore amaro come una leccata di sangue. Come fate a tenere quella faccia...

Il viso sereno e rassegnato di Grecia, ingrigito dalle nubi, si trasformò in quello altrettanto triste e rassegnato di Francia, toccato dai raggi del tramonto macchiato di fumo che stava calando su Dunkerque.

Inghilterra fece stridere i denti, e dietro gli occhi strizzati dalle rughe di ira tornò ad aprirsi solo una chiazza di nero. Come fate a reggervi ancora in piedi dopo tutto quello che vi hanno fatto?

Una frustata di vento sulla guancia e contro le orecchie lo spinse a riaprire gli occhi, a fronteggiare la sconfitta, la fuga dal porto.

Inghilterra si portò una mano davanti alla fronte, e il suo sguardo incontrò il profilo dell’incrociatore già salpato. Una scia di fumo segnava il cielo sotto il suo passaggio, un tappeto di schiuma bianca attraversava il mare sotto il tocco che lo scafo aveva tagliato in acqua. Le sagome dei gabbiani, piccole come mosche, volavano ancora attorno alle torrette, e le loro strida si mescolavano al rombo dei motori, agli scrosci delle onde e ai fischi del vento.

La rabbia si sciolse dagli occhi di Inghilterra, li lasciò lucidi e acquosi, freddi e scuri come quel tramonto primaverile che baciava la superficie del porto. So cosa vi spinge a combattere piuttosto che ad arrendervi al nemico. Io stesso mi sarei comportato come voi. Si tolse la mano dalla fronte e riprese a camminare, diede un calcio a un sasso. Ma sapere di non essere riuscito a mettervi in salvo come avrei dovuto, e sapere che queste perdite sono in parte anche colpa mia... Strinse i pugni contro i fianchi. Tremori attraversarono i muscoli e tornarono a raccogliere quel groppo di fuoco in fondo al petto e allo stomaco. Fa male quanto subire ogni giorno tutte le morti che affliggono il mio paese.

Le nocche sfiorarono la tasca della giacca leggermente rigonfia. Una piccola scossa schioccò contro la pelle e gli percorse la mano, si raccolse dentro il palmo in un sottile alone di calore. Inghilterra irrigidì, colto da quel piccolo spasmo di energia, e fece scivolare la mano nella tasca, andando incontro a quella scossa che lo aveva punto come uno spillo.

Le dita raggiunsero la consistenza spugnosa della terra tiepida, affondarono con le punte fra i grani soffici, incontrarono qualche filo di radice rinsecchita che aveva la consistenza di capelli crespi e spettinati, e sotto le unghie si infilarono sassolini minuscoli come grani di polvere. Il pugno di terriccio pulsò di nuovo, trasmise a Inghilterra quel battito di dolore che si era fatto più fioco, come un cuore addormentato.

Inghilterra sospirò, e un’altra fitta si strinse attorno al suo cuore. Quando finirà? Un’ondata di sensi di colpa lo travolse con la stessa violenza del mare che si schiantava contro gli scafi degli incrociatori e del vento che gli sbatteva sulla schiena e sulla faccia. Quand’è che smetterò di assistere a nazioni che crollano e che muoiono sotto i miei occhi, mentre io sono costretto a continuare a combattere, senza potermi fermare a raccoglierli da terra e senza essere in grado di impedire che cadano?

Passi in corsa schioccarono sul cemento della banchina e lo raggiunsero alle sue spalle, sormontati da due voci familiari. “Inghilterra!”

Inghilterra voltò lo sguardo senza spostarsi e senza togliere la mano dalla tasca.

Australia e Nuova Zelanda si fermarono di colpo davanti a lui, facendo stridere le suole sul cemento, tirarono su le spalle raddrizzando le schiene, e i loro sguardi finirono toccati di striscio dalla luce del tramonto e dal vento che gli agitava i capelli. Australia riprese fiato dopo la corsa. “Abbiamo appena finito di coordinare l’imbarco della Quarta e della Quinta Brigata Neozelandese,” esclamò. “Abbiamo anche già avuto conferma dalle squadriglie della RAF che sono già pronte per tenere sott’occhio la situazione.”

Nuova Zelanda annuì di rimando. “Ci hanno già segnalato che la Luftwaffe si è fatta sentire anche nei giorni in cui noi non eravamo qui, e anche in tutti gli altri porti dell’Attica dai quali stiamo salpando.”

Australia annuì a sua volta e si premette il pollice al petto. “Hanno già fatto partire più di diecimila uomini delle mie truppe.” Sollevò l’indice al cielo, a puntare le nuvole arancio che si stavano infittendo, gonfiate dalla brezza della sera. “Sono partiti da Nafplio e da Megara, e ne partiranno altri duemila entro questa notte. Raggiungeranno sia Creta che Alessandria, come avevamo previsto.”

“Probabilmente riusciremo a portare tutto a termine entro il trenta,” concluse per lui Nuova Zelanda. “E a quel punto non ci resterà altro da fare che...” Le sue parole si persero in un mormorio soffiato al vento. La luce racchiusa nei suoi occhi tremolò come il riflesso del sole che si specchiava sulle onde, e Nuova Zelanda abbassò di colpo lo sguardo, si morsicò il labbro per ingoiare il sapore di quel brutto presagio che li avvolgeva come una scura nuvola di pioggia. Non ci resterà altro da fare che difendere Creta.

Inghilterra annuì con un gesto molle e stanco. “Bene.” Tornò a voltare lo sguardo, infilò in tasca anche l’altra mano e si strinse nelle spalle. Rivolse al cielo un amaro e piccolo sorriso di consolazione. “Almeno una notizia per lo meno decente.” Riprese a camminare lungo la banchina, allontanandosi dall’odore degli incendi, da quello della nafta bruciata, e dal fracasso di voci, dello stridere dei gabbiani e degli scrosci delle onde. Mosse le punte delle dita dentro il pugno di terriccio, ne assorbì un altro battito. Completò un passo, e la punta del suo piede urtò un’altra piccola pietra che rotolò accanto alla sua suola. “Prepariamoci anche noi a salpare, ma non prima che tutte le truppe siano in salvo.” Diede una spinta a un altro sasso. “Raggiungiamo Creta e da lì riorganizziamo il Quartier Generale con le truppe disponibili.”

Australia e Nuova Zelanda annuirono, “Sì!”, gli corsero dietro e si misero al suo passo, seguendolo lungo la banchina.

Inghilterra fece ciondolare il capo fra le spalle, guardò per terra, nascosto dietro il velo di penombra, e trascinò i piedi urtando un altro sasso. Un pesante senso di sconfitta gli gravava sulla groppa, i battiti del cuore premevano lenti e vuoti contro il suo animo.

Australia si sporse in avanti, gli zampettò affianco cercandogli il viso, e inarcò un sopracciglio in un’espressione preoccupata. “Ehi, è...” Accelerò, superò Inghilterra, e continuò a camminare all’indietro, per fronteggiarlo. “È tutto okay?”

Inghilterra sollevò la fronte, e l’ombra si infittì attorno agli occhi, dando al suo volto un’aria scavata e appesantita dalla stanchezza. Esalò un sospiro esasperato. “Cosa?” Diede un calcetto a un altro sasso.

Australia reclinò il capo e gli lanciò un’altra occhiata perplessa. “Hai una faccia da funerale...”

Nuova Zelanda annuì e saltellò a sua volta più avanti per poterlo vedere meglio in viso. “È vero.”

Inghilterra si immusonì ancora di più e si strinse nelle spalle. “E che faccia dovrei avere?” Urtò un altro dei sassi sparsi sulla banchina, senza calciarlo, e si chinò a raccoglierlo da terra. Lo fece rimbalzare sul palmo, lo acchiappò al volo, e lo rigirò fra le dita.

Australia scosse la testa continuando a camminare all’indietro. “Non dovresti fare quel muso,” lo rimproverò. “È vero che ora Grecia è in pasto ai crucchi, che la campagna è stata un disastro, che ci hanno sconfitto su tutte le linee senza che riuscissimo a proteggere Atene, ma siamo riusciti a salvare comunque tanti uomini.” Strinse i pugni davanti al petto e annuì con decisione. Il tramonto gli illuminò il viso che brillava di ottimismo. “Dovremmo pensare alle cose belle invece che solo a quelle brutte.”

Nuova Zelanda annuì a sua volta, accelerò per stare al passo con entrambi. “E poi abbiamo ancora un’occasione per dare una lezione ai tedeschi con la resistenza a Creta.” Toccò il braccio di Inghilterra e gli mostrò un’espressione apprensiva. I suoi occhi luccicarono di avvilimento. “Non devi farti abbattere così, devi essere in forma per quando dovremo combattere ancora.”

Inghilterra schiacciò il sasso che aveva raccolto fra le dita, il suo braccio tremò, e gli occhi rabbuiati dalla penombra si infiammarono di rabbia come le sue guance, come il gorgoglio che gli ribolliva nel petto e nello stomaco. Urtò altri due sassi e si chinò a raccogliere anche quelli. Rigirò la pietra a forma di piccolo uovo, e la superficie bianca si tinse di arancio. Inghilterra sbuffò, amareggiato, e si piegò a raccoglierne altri due. “Ancora un’occasione,” grugnì fra i denti. Fronteggiò il mare striato dai raggi del tramonto, fece rimbalzare il sasso, lo riacchiappò al volo come aveva fatto prima, e lo stritolò graffiando le unghie sulla pietra. “Un’occasione per dimostrargli cosa?” Tirò il braccio sopra la testa e lanciò il sasso. Tunf! Aprì un piccolo cratere di schizzi che spaccò lo strato di schiuma verdognola che galleggiava nel mare. Inghilterra prese un altro dei quattro sassi che gli avanzavano e pestò un passo più vicino all’orlo della banchina. “Un’altra occasione per renderci ridicoli!” Tirò il sasso mirando al profilo nero e lontano dell’incrociatore abbagliato dalla luce del sole, e aprì un altro buco nell’acqua. Sbuffò di frustrazione, prese un terzo sasso e gettò la mano dietro la spalla. “Un’occasione per rifilarci l’ennesima umiliazione!” Lanciò, e dovette rimbalzare su un piede per restare in equilibrio. Tunf! L’acqua inghiottì la pietra e si richiuse. Inghilterra prese un altro sasso, e la mano cominciò a bruciare di rabbia, come il suo viso e la sua gola. “Un’occasione per fargli credere che l’hanno vinta loro,” lanciò il sasso forando la superficie d’acqua scura, “e che possono continuare a fare quel diavolo che gli pare sterminando una nazione dopo l’altra!” Il quinto sasso colpì uno dei piloni, schizzò all’indietro e finì sparato come un proiettile contro la gamba di Inghilterra. Gli colpì il ginocchio. “Argh!” Inghilterra sbiancò per il dolore e si aggrappò alla rotula, rimbalzò di due passetti e crollò a terra, sul gomito, continuando a reggersi la gamba.

“Inghilterra!” Australia e Nuova Zelanda si precipitarono a inginocchiarsi a loro volta accanto a lui.

Australia gli posò la mano sulla spalla. “Ti sei fatto male?” E Nuova Zelanda si mise gattoni, le spalle chine e i palmi sul cemento, per cercargli il viso nascosto dai ciuffi di capelli scompigliati. “Stai bene?”

Il dolore della sassata al ginocchio si spostò all’interno del suo petto, e anche il suo cuore divenne di pietra. I battiti pesanti e dolorosi contro le costole, come il sasso che gli aveva centrato la rotula. Se sto bene? Inghilterra si morse il labbro. “N-no.” Mollò la rotula e rimase inginocchiato, a spalle chine e capo basso. Si prese il viso fra le mani e scosse il capo, ingoiando il dolore che spingeva fra le costole. “No, non sto bene.” Strinse i denti e la bocca tremò. “Io questa volta...” Staccò una mano dal viso e picchiò il pugno a terra, sbucciandosi le nocche sul cemento. “Ci avevo provato davvero.” Prese un aspro respiro fra i denti e tornò a chinare la fronte, schiacciato dal peso dello sconforto che gli era precipitato sulle spalle. Un soffio di vento gli passò attraverso, trascinò via le sue ultime parole di disperazione. “Volevo davvero salvarlo, merda.” Un brivido gli attraversò il corpo, si trasmise anche alla mano di Australia posata sulla sua spalla.

Nuova Zelanda sospirò, sconsolato anche lui, e gli batté la mano sulla schiena. “Ma anche Grecia sa che ci hai provato tanto.”

Australia annuì. “Già.” Gli diede anche lui una pacca sulla spalla. “Non ce l’avrà con te, fidati.” Il suo sguardo si rifece serio e agguerrito, la mano posata sulla sua scapola premette con più forza e gli trasmise una calda vibrazione di fiducia e di speranza. “Però adesso devi dimostrargli che tu sai essere forte e testardo quanto lo è stato lui, e che saprai combattere fino alla fine come ha fatto lui, anche se pensi che non ci sia più motivo di farlo.”

Nuova Zelanda fece correre la mano lungo il braccio di Inghilterra e la aprì sul suo pugno schiacciato sul cemento. Un caldo gesto di conforto. “È quello che vorrebbe.”

Quel tocco semplice ma forte trasmise a Inghilterra una spinta di energia. Inghilterra si liberò di quel peso con un sospiro, e annuì stando ancora a fronte bassa. “Sì,” soffiò. “Immagino sia così.” Raddrizzò la schiena, sollevò un ginocchio da terra premendo il piede sul cemento, e fece un cenno agli altri due. “Andiamo.” Le braccia di Australia e Nuova Zelanda si allacciarono attorno ai suoi gomiti, aiutandolo ad alzarsi, e lo tirarono su.

Annuirono entrambi. “Sì.” Australia gli diede un’ultima spintarella di incoraggiamento sulla schiena.

Inghilterra si spolverò i pantaloni, lisciò anche la giacca, e soffermò il tocco sulla tasca rigonfia di terriccio. Strinse le punte delle dita, ne assorbì il battito fioco ma ancora vivo, e aggrottò la fronte in un’espressione più agguerrita, come gli aveva mostrato Australia.

Non era ancora tempo di lasciarla andare.

 

♦♦♦

 

11 maggio 1941,

La Canea, Isola di Creta

 

Inghilterra tirò un’altra aspra sorsata dal bicchiere di rum – niente ghiaccio –, strizzò gli occhi per resistere alla sensazione pungente del liquore che scendeva fino allo stomaco come un pugno di puntine da disegno, e staccò le labbra dall’orlo traendo un lungo e rauco sospiro di liberazione. Barcollò di un passo all’indietro resistendo al capogiro che gli era ronzato attorno alla testa, si passò una manica sulle labbra, e tornò in equilibrio. Entrambi i piedi premuti saldamente sul pavimento della tenda da campo. Guardò all’interno del bicchiere – un velo di rum ne macchiava il fondo – e fece ondeggiare le poche gocce avanzate. Storse una smorfia di disappunto che si infossò nelle guance già arrossate, e guadagnò un sospiro più fresco che rischiarì la testa già ovattata dai vapori dell’alcol. “Dunque...” Camminò davanti al tavolo da cui pendevano gli angoli di alcuni fogli di carta sfuggiti dai fascicoli socchiusi, e poggiò il bicchiere accanto ai tre vuoti, già risucchiati, che aveva abbandonato accanto alle carte millimetrate impilate vicino alle mappe del Peloponneso. “Siamo rimasti in tre.” Portò le mani dietro la schiena, intrecciandole, e continuò a camminare su e giù fra il tavolo e il cavalletto che esibiva la carta geografica dell’Isola di Creta. Inghilterra sollevò un sopracciglio, e la smorfia di irritazione si trasformò in un’espressione di scetticismo. “Tre nazioni che dovranno difendere un territorio che non ci appartiene,” borbottò, “che non conosciamo, ma che abbiamo promesso di proteggere fino a che avanzerà anche solo una microscopica isola da conquistare da parte dei tedeschi.” Completò un passo e piantò il piede a terra. Si girò dando la schiena alla mappa di Creta, tirò su le spalle stringendo le mani dietro la schiena, e fronteggiò le due presenze che lo osservavano al di là del tavolo. Inghilterra aggrottò la fronte, e negli occhi rabbuiati si accese una scintilla di forza e determinazione che brillò sopra quella che avevano acceso le sorsate di rum. “Vi sentite in grado di portare a termine anche l’ultimo compito che Grecia ci ha affidato, combattendo con lo stesso coraggio e la stessa forza di cui sia noi che lui abbiamo dato prova finora?”

Gli sguardi di Australia e di Nuova Zelanda si illuminarono di entusiasmo, ed entrambi annuirono con convinzione. “Sissignore!” Nuova Zelanda fece dondolare le gambe che pendevano dalla sedia su cui era seduto, non riuscì a far star fermi i piedi che bruciavano come il suo animo infiammato dalla voglia di combattere.

Inghilterra annuì accennando un sorriso di orgoglio. “Bravi.” Si girò, incrociò le braccia al petto, e fronteggiò la mappa di Creta, lunga e stretta. Quattro zone sezionavano l’isola. Solo qualche sottile chiazza verde la colorava, infilandosi nelle rientranze del colore giallo che la riempiva quasi interamente e che si concentrava in un marrone scuro in soli tre piccoli picchi montuosi. La scritta ‘Operazione Scorcher’ era marchiata sulla cima dell’isola, nell’azzurro del Mar Mediterraneo. Inghilterra fece tamburellare le dita sulle braccia, punzecchiato dall’esitazione che ritrasformò in un broncio il piccolo sorriso appena sbocciato. Tossicchiò, si schiarì la gola dal sapore del rum. “Dunque.” Allentò il bavero della giacca, cominciava a sentire caldo. “Dobbiamo difendere Creta,” annunciò, “non c’è altra alternativa. So che può sembrare una mossa inutile e da suicidio, considerando che ora Grecia si trova in prigione e che Germania è già padrone di quasi tutto il suo territorio,” scosse il capo, “ma non possiamo permettere che l’isola entri in mano tedesca.”

Australia diede uno slancio con i piedi e raccolse le gambe sulla sedia, incrociandole. Si strinse le caviglie e fece dondolare le ginocchia, sul suo sguardo si dipinse un’espressione di dubbio. “Ma perché è così importante? Insomma...” Reclinò il capo e si strofinò la nuca, scrollò le spalle. “Ormai Atene è andata.”

Nuova Zelanda annuì con vigore. “Già,” esclamò. “Pensavo anch’io che il punto più importante di una nazione fosse la capitale, perché rappresenta il nostro cuore.”

Inghilterra si strinse nelle spalle. “La capitale sarà anche il nostro cuore e la nostra primaria fonte di vita,” rispose, “ma non è l’unico elemento che mantiene in vita una nazione. In questo caso...” Si avvicinò al cavalletto che reggeva la mappa e raccolse una delle carte che aveva ribaltato all’indietro. Tornò a stenderla, facendola ricadere su Creta, e rivelò una mappa del Peloponneso che racchiudeva tutta l’area del Mediterraneo – Sud Italia, Peloponneso, Turchia, e coste dell’Africa. Inghilterra batté la mano sull’Isola di Creta, ora grande quanto metà del suo palmo, cerchiata con un segno di matita rossa. “Creta è importante perché è posizionata in un punto geografico che permette un controllo strategico di tutto il Mediterraneo. Appropriandoci di Creta, anzi, difendendola, dato che ormai è sotto le nostre mani a tutti gli effetti, allora potremo lo stesso avere a disposizione un piccolo trampolino di lancio per la riconquista dell’Europa intera.” Restrinse le dita graffiando la carta, e la sua voce tornò a inasprirsi, gli occhi a tingersi di buio. “O, per lo meno, di una base che ci permetterebbe di tenere d’occhio i traffici tedeschi del Mediterraneo e impedire in questo modo a Germania di continuare a espandersi e a ostacolarci, soprattutto per quanto riguarda gli scambi con Alessandria.” Inghilterra staccò la mano dalla carta, tornò ad annodare le braccia al petto, e rivolse lo sguardo a Nuova Zelanda. “Per questo dobbiamo combattere come se in ballo ci fosse l’intero destino della guerra,” spiegò. “Perché effettivamente in ballo c’è l’intero destino della guerra.”

Gli occhi di Nuova Zelanda luccicarono di realizzazione e lui trasse un lungo sospiro di meraviglia. “Ooh.”

Australia alzò la mano sopra la testa e la fece sventolare due volte. Lo sguardo ancora corrugato in un’espressione scettica. “Però pensavo che fossi già riuscito nell’impresa di tenerti il controllo del Mediterraneo, dopo l’attacco a Matapan.”

Inghilterra annuì. “Vero,” rispose. “L’attacco a Matapan mi ha aiutato parecchio, soprattutto perché ho potuto dare il benservito alla Marina Italiana.” Tirò su il mento, gonfiò un ghigno d’orgoglio, e si spolverò una spallina. “Di nuovo,” specificò. Si spostò lasciando libera la visione del Mediterraneo, compì un paio di passi di lato, e posò l’indice sul mare che circondava Creta. “E questo sarà un altro vantaggio a nostro favore. Ora che gran parte del Mediterraneo è in mano mia, infatti, potrò gestire meglio la difesa di Creta stessa,” tracciò un cerchio invisibile attorno all’isola, “creando una sorta di barriera navale attorno alle coste. In questo modo, impedirò a Germania di avvicinarsi via mare, di scaricare rifornimenti e artiglierie pesanti, e di rinforzare il suo attacco.”

“Uhm.” Nuova Zelanda si strofinò la nuca e sollevò gli occhi al soffitto della tenda. Dondolò avanti e indietro con le spalle, rimuginando. “Ma allora come farà Germania ad attaccare Creta?”

Inghilterra fece scivolare l’indice giù dalla mappa e scrollò le spalle. “Be’, dato che la via del mare per ora è fuori discussione...” Tamburellò le dita sulle braccia conserte, aggrottò un sopracciglio squadrando le coste del Peloponneso e i porti cerchiati di rosso – tutti in mano ai tedeschi. Sospirò. “Non gli rimane che quella dell’aria.”

Nuova Zelanda sgranò gli occhi e squittì un gemito impaurito che lo fece rimbalzare sulla sedia. “Bombardamenti aerei?”

“Come fai a essere sicuro che sceglieranno proprio l’attacco aereo?” intervenne Australia.

“Perché l’ho sentito,” rispose Inghilterra. “Anzi...” Si indicò un orecchio e piegò un mezzo sorriso di soddisfazione. “L’ho captato.”

Australia sollevò un sopracciglio e sul suo volto rimase dipinta quella ruga di scetticismo. Buttò un’occhiata confusa a Nuova Zelanda e lui si strinse nelle spalle scuotendo il capo, rispondendo con la medesima espressione.

Inghilterra compì un paio di passi verso il tavolo che li separava dai due, e continuò a spiegare. “La vittoria e la presa di Atene hanno giocato un brutto tiro ai tedeschi.” Spostò uno dei quattro bicchieri macchiati di rum, fece spazio sull’orlo del tavolo e si sedette sopra con un balzo. I piedi a dondolare verso il pavimento. “Durante il massiccio trasferimento delle forze armate nella capitale, i loro traffici radio sono stati più caotici, affollati, e...” Accennò un ghigno brillante che gli affilò lo sguardo. “Meno controllati.”

Quella stessa scintilla si riflesse anche negli occhi di Australia. “Questo...” Australia sgranò le palpebre, trasse un sospiro di realizzazione. “Questo vuol dire che...”

“Esatto.” Il piccolo ghigno di Inghilterra si stese, trasformandosi in un sorriso aguzzo e affilato che già si pregustava il sapore della vittoria: succulento, caldo e pungente come quello del rum che gli era rimasto fra le labbra. “Erano tutti così distratti dall’invasione di Atene, che non si sono nemmeno accorti che li ho intercettati con le apparecchiature ULTRA e che ora conosco tutti i loro piani d’attacco, comprese le zone calde dove intendono colpire qua a Creta.”

Le guance di Nuova Zelanda si infiammarono di entusiasmo, gli occhi spalancati luccicarono di gioia, e il suo sorriso si allargò fin quasi a toccare le orecchie. “Whoo!” Strinse i pugni davanti al petto e saltellò sulla sedia. “Grande!” esclamò. “Siamo tipo delle spie in missione segreta!”

Australia strinse i pugni a sua volta e compì anche lui un salto stando seduto. “Spie in missione segreta per il salvataggio di Creta e di tutto il Mediterraneo!” Si batterono i gomiti.

“Non gioite troppo in fretta,” li frenò Inghilterra. “È vero che abbiamo questo vantaggio, ma Germania stesso darà il tutto e per tutto per portare a termine l’attacco.” Corrugò un broncio, alzò gli occhi al soffitto, e sbuffò un sospiro seccato. “Dunque dobbiamo aspettarci un ennesimo massacro.”

Australia e Nuova Zelanda tornarono seri e si rimisero seduti composti, le spalle dritte, le gambe ferme, e i pugni chiusi sulle cosce. Gli occhi di Australia si fecero duri e profondi, come quando correva in mezzo al campo di battaglia con il fucile in mano. “Come suddividiamo la difesa?”

Inghilterra diede un piccolo slancio con le gambe. “Innanzitutto,” saltò giù dal tavolo e si lisciò i pantaloni che si erano sgualciti, “individuando le zone calde e studiando la loro posizione.” Tornò accanto al cavalletto su cui era stesa la carta che racchiudeva il Mediterraneo, afferrò il lembo della seconda mappa e la ribaltò esibendo di nuovo la geografia di Creta sezionata in quattro zone. Compì un passo all’indietro per far vedere anche ad Australia e a Nuova Zelanda, e squadrò la carta con un’espressione contrariata. “Purtroppo per noi,” borbottò, “Germania non è stupido. Sa fare il suo lavoro e sa costruire una strategia solida, come abbiamo già visto durante le operazioni di conquista dei Balcani.” Raccolse la matita rossa alla base del cavalletto e la fece rimbalzare sul palmo. “Perciò ha pensato bene di lanciare gli attacchi sugli aeroporti e sulle piste di aviazione.”

Nuova Zelanda inarcò l’estremità di un sopracciglio. “Perché proprio lì?”

Anche lo sguardo di Australia si corrugò. “Mhm.” Lui si strinse il mento fra le dita, fece tamburellare l’indice sulla guancia, e arricciò un angolo della bocca, pensoso. “Aeroporti e piste di aviazione?” rimuginò. Una scintilla si accese nella sua testa. Australia puntò l’indice su Inghilterra, mostrando due occhi luccicanti di aspettativa. “Impossessandosi degli aeroporti, potrebbe essere più facile per lui far arrivare munizioni, altri uomini, e supporti di qualsiasi genere via aria, dato che il mare è bloccato dalla Royal Navy.”

Inghilterra rinnovò un abbozzo di sorriso e annuì. “Proprio così.” Rigirò la matita rossa fra le dita e ne rivolse la punta alle quattro sezioni che tagliavano Creta. “Anche noi dunque ci piazzeremo dove sappiamo bene che arriveranno le ondate dei tedeschi, ossia...” Premette la punta della matita sulla città di costa al centro del secondo settore a partire da destra, e la cerchiò di rosso. “Heraklion.” Spostò la matita di un settore a sinistra, si fermò sempre sulla costa, e ne cerchiò un’altra. “Rethymno.” Raggiunse il primo settore di destra, ed entrambe le città erano racchiuse lì, adiacenti l’una all’altra. “La Canea, e Maleme.” Inghilterra si soffermò su La Canea e vi batté sopra due volte con la punta della matita. “Il Quartier Generale lo piazzeremo proprio qua a La Canea.”

Nuova Zelanda si sporse in avanti con le spalle senza alzarsi dalla sedia. “Ma come facciamo a resistere a un attacco aereo così grande e forte?” chiese. “Difendere un’isola è complicato, perché non abbiamo nemmeno posti dove ritirarci, e finiremmo in trappola se dovessimo fallire.”

Inghilterra scosse il capo, staccò la matita dalla mappa. “L’unico a finire in trappola sarà Germania, invece.” Tornò a mettersi a braccia conserte e fece correre gli occhi da un punto cerchiato all’altro, squadrando le quattro città affacciate sulle coste di Creta. Un’ombra grigia si infossò fra le palpebre ristrette. “È vero, difendere un’isola è pericoloso, perché non abbiamo possibilità di ritirata, ed è come muoversi in una fortezza. Ma come ogni fortezza...”  Tese due dita e sfiorò l’immagine dell’isola, attraversò la scritta ‘CRETA’ stampata in grassetto sotto il settore di La Canea. “Anche Creta ha le sue barriere.”

Australia corrugò un sopracciglio. Barriere? “Uhm.” Fece schioccare le dita e lanciò l’indice verso Inghilterra. “Mura attorno al mare?”

Inghilterra scosse il capo. “Nulla del genere.” Si allontanò di un paio di passi dalla mappa appesa al cavalletto, e rivolse la punta della matita verso il soffitto della tenda. “Gli ulivi.”

Australia e Nuova Zelanda sobbalzarono, rimasero a bocca aperta. “Che cosa?” Ad Australia traballò una palpebra per lo sconcerto.

“Gli ulivi,” ripeté Inghilterra. Tornò accanto alla mappa e aprì la mano sopra l’isola, strinse i polpastrelli per far attrito sulla carta. “Creta è piena di campi di ulivi,” spiegò, “e gli alberi sono così fitti che creano davvero una sorta di barriera naturale per gli invasori. Considerando che gli invasori in questione saranno tutti dei paracadutisti, non ci resterà altro da fare che guardarli mentre rimarranno impigliati.” Staccò la mano dalla carta e scrollò le spalle. “Un magro vantaggio, ma sicuramente molto utile contro attacchi a ondata come questi.”

Nuova Zelanda tornò a sgranare le palpebre, gli occhi illuminati. “Ooh.” Batté le mani e annuì. “Capito.”

Inghilterra tornò a rivolgersi alla mappa di Creta e passò la matita da una mano all’altra, facendola rotolare fra le dita. “Suddivideremo la difesa in queste quattro zone, dunque. Ci serviremo di quarantamila uomini, utilizzando ogni mezzo a nostra disposizione che siamo riusciti a trasferire dalla Grecia. Quindi reparti di fanteria, artiglieria, reparti corazzati, più i genio, e tutto il resto, compresi quelli di sorveglianza.” Arrestò i rotolii della matita rossa e appuntò i numeri delle fazioni sull’orlo bianco della carta. “Terza, Quarta e Quinta Brigata Neozelandese. Decima e Diciannovesima Brigata Australiana. La mia Quattordicesima, e i reggimenti di supporto greci. Il Secondo, Il Sesto, il Quinto e l’Ottavo.”

Australia impennò il braccio sopra la testa come aveva fatto all’inizio della riunione, sventolò la mano. “E la difesa via mare?”

Inghilterra finì di appuntare l’ultimo reggimento, ‘VIII’, e staccò la matita dalla carta. “Quella sarà completata entro il quindici,” rispose, “e sto radunando gran parte della Mobile Naval Base Defence Organisation, quindi quattro corazzate, undici incrociatori, quaranta cacciatorpediniere, e la portaerei Formidable.” Compì un passetto all’indietro urtando l’orlo del tavolo, si portò la punta della matita sul labbro inferiore, e la fece tamburellare. Il suo sguardo assorto e annebbiato da una sottile ombra sfilò lungo la superficie del mare che circondava Creta. “Ho il sospetto che Germania si appoggerà anche alla Regia Marina. Quindi, oltre che a creare il guscio attorno alle coste di Creta, dobbiamo soprattutto fare in modo che queste potenze navali ci riforniscano di tutta l’artiglieria necessaria per difenderci anche via terra, contraerea compresa.”

Australia abbassò il braccio. “Ma utilizzare così tante navi non sarà pericoloso?” chiese. “Voglio dire, se la difesa dovesse, ecco...” Si chiuse nelle spalle, arricciò un angolo della bocca in un’espressione incerta. “Fallire, e non è che mi piaccia portare sfiga,” aggiunse portando le mani avanti, “poi rimarresti indebolito per quanto riguarda la protezione dell’Africa, no?”

Anche Nuova Zelanda finì fulminato da quel pensiero. “Oh, è vero, ci sono anche le coste dell’Africa.”

Inghilterra inspirò a fondo, passò la matita da una mano all’altra, facendola rimbalzare sui palmi, e la roteò fra le dita. Picchiettò l’unghia del pollice sulla punta rossa, consumata a metà, e tornò a guardare la mappa di Creta. Visualizzò mentalmente gli schieramenti navali attorno all’isola. Gli schieramenti navali che avrebbero dovuto essere a proteggere le coste dell’Africa. Si strinse la fronte fra entrambe le mani e massaggiò le tempie con movimenti profondi e stanchi. “È un rischio che devo correre,” mormorò. “I territori in Africa sarebbero in pericolo anche se io perdessi Creta, d’altronde. Quindi devo fare di tutto per non perdere Creta.” Inghilterra fece scivolare le dita dalla fronte e si diede una strofinata alle guance arrossite dai quattro bicchieri di rum. Ricominciò a fare su e giù fra il tavolo e il cavalletto, le mani dietro la schiena e lo sguardo basso. “Dopo che Germania comincerà l’attacco,” riprese, “il che dovrebbe accadere attorno al diciotto o al venti, dipende da quanto ci impiegheranno a radunare le forze, per noi sarà più difficile far arrivare altra artiglieria da terra, dunque ci accontenteremo di quella già a disposizione.” Sfilò una mano da dietro la schiena e stese le dita per contare sulle punte. “Due batterie pesanti di contraerea, tre leggere mobili. Proprio ieri, poi, sono arrivati gli obici da montagna da novantaquattro millimetri. In aggiunta abbiamo tre da carro, sedici carri leggeri, e tutto il supporto aereo dei Fulmar.”

Lo sguardo di Nuova Zelanda tornò ad accendersi. “Carri?” Si sporse con le spalle, trasse un sospiro di meraviglia che fece sbocciare sciami di stelline negli occhi, spolverandogli le guance di rosa. “Siamo riusciti a portare anche i carri armati qua sull’isola?”

Inghilterra sollevò il mento, gonfiò il petto con un respiro d’orgoglio, e stese un ghigno affilato da guancia a guancia. “Ovviamente.” Fece di nuovo rimbalzare la matita sul palmo. “E Germania non se lo aspetterà, quindi vediamo di sfruttarli per bene.”

“Oh,” esclamò Australia. “Ora che ci penso, non sarà un rischio troppo grande suddividerci? Dopotutto...” Si posò le mani sul petto. “Noi riusciamo a dare il massimo solo quando siamo assieme, e separandoci rischiamo solo di disperdere le forze.”

L’entusiasmo sbiadì dalle guance di Nuova Zelanda, ammosciò il suo sorriso, e anche lui dovette annuire con decisione. “È vero.”

Inghilterra continuò a camminare su e giù fra tavolo e cavalletto, e chinò lo sguardo a terra, in mezzo ai suoi piedi. Lanciò la matita. Disperdere le forze. La riacchiappò al volo e annuì corrugando un’espressione amareggiata. “Sì, è un rischio, lo so anch’io.” Mirò la punta rossa su Australia e Nuova Zelanda. La sua voce riacquistò un tono più duro e fiducioso. “Ma sono sicuro che anche Germania si suddividerà. Considerando che loro sono in otto e che con un numero tale riusciranno sicuramente a coprire tutti e quattro i punti, dobbiamo anche noi essere in grado di indebolirli uno per uno.” Si girò e batté la mano spalancata sulla mappa. “E la soluzione migliore è suddividerci nei punti nevralgici che attaccheranno.”

Nuova Zelanda fece scorrere gli occhi sulle quattro città cerchiate di rosso, e si grattò dietro l’orecchio sollevando l’estremità di un sopracciglio in un’espressione dubbiosa. “E come ci divideremo?”

Inghilterra cominciò indicando proprio lui. Gli occhi lucidi di determinazione nonostante il rossore dell’alcol. “Io e te ci sposteremo su Maleme, per difendere il campo di aviazione.” Puntò l’indice sulla prima città che aveva cerchiato a partire dal lato ovest dell’isola. “Se Germania dovesse riuscire a conquistarlo sarebbe la fine, anche perché lì vicino scorre il fiume Tavronides, attraverso il quale è possibile far passare i mezzi corazzati costruendoci una testa di ponte.” Vi picchiettò il polpastrello sopra. “Quindi è fondamentale essere in due per proteggerci a vicenda durante l’attacco.”

Australia impennò di nuovo il braccio e sventolò la mano. “E io?”

Inghilterra superò Maleme, accanto a La Canea, e si portò ancora più a est, nel secondo settore. “Tu invece ti piazzerai su Rethymno,” batté l’unghia anche lì, “ad attendere la seconda ondata.” Squadrò Australia con occhi più cauti, la sua voce suonò grave e profonda, leggermente arrochita dalle graffiate di rum. “Pensi di farcela anche da solo?”

Australia allargò le spalle, spinse il petto all’infuori, e si batté la mano sullo sterno. “Assolutamente sì.”

“Bene.” Inghilterra ripose la matita rossa sul ripiano del cavalletto, si strinse di nuovo la fronte, massaggiò le tempie distendendo la tensione dei nervi, e soffiò un sospiro stanco che trascinava con sé tutto il peso della fatica che si era accumulata sulle ossa. Camminò attorno al tavolo. I piedi pesanti e rallentati dalla collosa nebbiolina di stordimento che odorava di rum. “Non voglio mentirvi,” mormorò. Inghilterra si sedette sull’orlo del tavolo, accavallò le gambe, e fece dondolare il piede. Strinse le braccia al petto e allontanò lo sguardo da quelli di Australia e Nuova Zelanda. Un’ombra di timore gli rese gli occhi più scuri. “Questa sarà un’operazione estremamente rischiosa, e potrebbe trasformarsi facilmente in un’ecatombe da ambo i lati.” Già gli parve di sentire la consistenza calda e scivolosa del sangue gocciolargli dalle dita, l’odore pungente e ferroso penetrargli le narici, soffocargli la gola. “Tuttavia...” I suoi occhi riacquistarono un calore bruciante, di coraggio e di speranza. “Ho promesso a Grecia che avrei combattuto fino alla fine, e ho promesso a voi che non vi avrei lasciato succedere nulla.” Rivolse quello sguardo ad Australia e a Nuova Zelanda, trasmettendo loro quel forte calore protettivo che Grecia aveva saputo donargli. “Siete disposti a fidarvi di me un’ultima volta?”

Australia e Nuova Zelanda non fecero attendere la risposta. “Sissignore.” Si lasciarono travolgere da quelle fiamme che infuocarono anche i loro animi.

Inghilterra annuì, soddisfatto. “Allora anche io avrò fiducia in voi.” Alle sue spalle, piatta e silenziosa, la mappa di Creta cerchiata dalla matita rossa non aspettava altro che macchiarsi del loro sangue.

 

♦♦♦

 

11 maggio 1941, Atene

 

Sulla mappa raffigurante l’Isola di Creta erano cerchiate quattro città affacciate al mare: Maleme, La Canea, Rethymno ed Heraklion. I confini della carta racchiudevano tutti i Balcani, Italia compresa, assieme a Turchia e alle coste dell’Africa. Dai porti del Peloponneso sotto il controllo tedesco, cerchiati anche quelli come le città di Creta, partivano frecce curve che attraversavano la porzione azzurra di Mediterraneo e che si riversavano sull’isola, sulle città segnate. ‘Operazione Merkur’ si leggeva sull’orlo superiore della carta, scritta a mano.

Germania batté il palmo sulla mappa appesa alla parete della sala, accanto a Creta, sopra la scritta ‘Mar Mediterraneo’ e si rivolse agli sguardi che lo seguivano dalla tavolata. “Ora che tutti i maggiori porti dell’Attica sono caduti nelle nostre mani, il nostro obiettivo è ovviamente espanderci anche sul resto delle isole, in modo da completare l’assedio dell’intero Peloponneso.” Fece scivolare la mano dalla carta, la strinse dietro la schiena intrecciandola all’altra, e compì un paio di passi davanti al tavolo. Guardò davanti a sé, verso uno dei muri spogli della stanza. Gli occhi assorti e distaccati. “All’inizio, nutrivo qualche dubbio, chiedendomi se fosse più saggio occupare prima Creta o prima Malta. Ma alla fine la mia scelta è ricaduta su Creta.” Spostò lo sguardo sulla tavolata e inquisì gli occhi che lo stavano osservando. “Potete immaginare perché?”

Sguardi perplessi volarono attraverso la sala delle riunioni.

Romania scoccò un’occhiata di sbieco a Bulgaria, tenendo il gomito premuto sul tavolo e il mento poggiato sul dorso della mano; Bulgaria si strinse nelle spalle stravaccate sullo schienale della sedia, fece tamburellare le dita sulle braccia incrociate, e anche lui buttò uno sguardo interrogativo nel posto accanto al suo. Raggiunse lo sguardo di Ungheria e si incrociò di striscio anche con quello di Romano. Romano allontanò gli occhi e li posò su Italia, seduto vicino a lui, che si limitò a stringere i pugnetti sulle cosce e a oscillare avanti e indietro con le spalle, stando a fronte bassa. Ungheria strizzò le dita intrecciate sul tavolo facendo sbiancare le nocche, e passò quello sguardo corrugato dal dubbio ad Austria, che sedeva fra lei e Prussia. Prussia era distratto. Sfogliava altri fascicoli, un gomito sul tavolo e il capo reclinato di lato, poggiato sulla mano premuta alla guancia. Non aveva mai alzato gli occhi dalle carte.

Austria snodò una mano dalle braccia conserte e spinse due dita sulla montatura degli occhiali. Un fascio di luce attraversò le lenti, tenendo il volto ancora più in ombra. “Direi per un maggior controllo del Mediterraneo,” rispose a Germania, “e per contrastare i traffici di Inghilterra che prenderanno Alessandria come base di riferimento.”

Germania annuì. “Giusto.” Tornò accanto alla mappa. “Ma solo in parte.” Posò la mano sull’Europa e batté due soffici colpi sull’area balcanica. “Se Inghilterra prendesse possesso di Creta, e di conseguenza dei suoi aeroporti, allora è molto probabile che decida di organizzare degli attacchi aerei sull’Europa stessa, proprio nei punti dove non può arrivare partendo dal Regno Unito.”

Ungheria sollevò un sopracciglio, ancora scettica, e rilassò la tensione delle mani intrecciate. “Attaccherebbe nei Balcani, quindi?” domandò. “Ma per quale motivo dovrebbe farlo?” Si sporse più avanti, trascinando la sedia, e rivolse l’indice verso Berlino, segnata in grassetto. “Se fossi in lui e se ne avessi la possibilità, punterei direttamente su Berlino.”

Le rispose una voce alla sua destra. “Lo farebbe per i pozzi petroliferi.”

Tutti – tranne Prussia – rivolsero gli sguardi a Romania. Bulgaria spinse le spalle all’indietro per guardarlo meglio in viso.

Romania tolse il gomito dal tavolo e si mise a schiena dritta. I suoi occhi scivolarono oltre la spalla di Germania e si soffermarono sulla mappa segnata da frecce e cerchi, squadrarono l’area balcanica. “Se Inghilterra dovesse attaccare qualcuno in Europa,” si posò la mano sul petto, “il primo sarei io, ovviamente, perché i miei pozzi petroliferi sono praticamente il carburante dell’intera Wehrmacht.”

Austria fece roteare lo sguardo al soffitto e soffiò parole aspre. “Che esagerazione.” Nessuno lo sentì.

“Russia ha avuto tutte le sue buone ragioni di infuriarsi, quando Germania mi ha occupato senza dirgli nulla,” continuò Romania. “Perché conosce il rischio di perdere completamente il controllo su di me. Se Inghilterra riuscisse a distruggere i pozzi, Germania subirebbe un danno non indifferente, e a quel punto...” Posò lo sguardo sulla porzione di Unione Sovietica che sbucava a Est e che la mappa non riusciva a contenere tutta. Le sue palpebre si strinsero, la voce si trasformò in un cauto mormorio che cristallizzò uno strato di gelo fra le pareti. “Non saremmo più nemmeno in grado di sferrare l’attacco contro l’Unione Sovietica.”

Bulgaria si morse il labbro e scostò lo sguardo, Ungheria guardò Austria e anche lei irrigidì, ammutolendo. Romano inviò un’occhiata a Italia, trattenendo il fiato, ma non riuscì a incrociare il suo viso. Prussia fermò il tocco fra le carte e le fotografie che stava sfogliando nei fascicoli, e fu l’unico a fronteggiare la piccola porzione di Unione Sovietica, senza però sollevare la fronte china.

Germania ruppe il silenzio. “Esatto,” rispose alle considerazioni di Romania. “Creta può essere considerata una vera e propria portaerei, immobile ma anche inaffondabile.” Tornò anche lui a guardare Creta e vi posò le dita sopra. “Se riuscissimo a espugnarla, ci impadroniremmo di un’ottima base per il controllo del Mediterraneo.” Tracciò un cerchio invisibile attorno all’isola, e arrivò a toccare anche le coste dell’Africa. “Inoltre bloccheremmo i traffici di Inghilterra su Alessandria e saremmo in grado di velocizzare i nostri su tutta l’Africa Settentrionale.”

Bulgaria alzò la mano sopra la spalla e diede un leggero sventolio. “Ma come faremo a sferrare un attacco così massiccio su un’isola sorvegliata come una fortezza?”

Ungheria si strinse il mento fra le dita e aggrottò un sopracciglio, tornando a squadrare la distanza fra i porti e i campi di volo cerchiati e le città di Creta. “Con un attacco aereo, non vedo altra soluzione.”

Bulgaria abbassò la mano. “Bombardamenti a ripetizione, quindi?”

Austria si rimise a braccia conserte e reclinò le spalle sullo schienale. “Oppure...” La calma che regnava nell’atmosfera della sala riunioni gli fece storcere il naso, soppresse quella frase sulla punta della lingua. Niente interruzioni, niente schiamazzi, niente gomitate o spallate, o pedate da sotto il tavolo. Troppo tranquillo. Molto sospetto. Austria si girò alla sua sinistra, tamburellò le dita sulle braccia conserte, aggrottò un sopracciglio, e lo chiamò a bassa voce. “Prussia.”

Prussia sfogliò un’altra carta, raccolse la fotografia aerea che ritraeva la panoramica di un porto, e non rispose. Gli occhi risucchiati nei fascicoli riflettevano le immagini che gli passavano sotto lo sguardo. In sottofondo, le parole di Germania divennero un brusio soffuso, coperto dai sussurri che si stavano scambiando Bulgaria e Romania.

Austria si schiarì la voce, si isolò dalla discussione, e toccò la spalla di Prussia con il gomito. “Prussia.”

Prussia sobbalzò come se l’avesse punto. “Eh?” Si girò, le dita irrigidirono sui fogli, e un luccichio di smarrimento gli lampeggiò fra le palpebre. “Cosa?”

Austria aggrottò la fronte in un’espressione severa e incredula allo stesso tempo. “Non stai seguendo?”

Prussia tornò ad abbassare gli occhi, sbuffò, sfogliò una fotografia, e sventolò la mano verso Austria come per scacciare il ronzio di una mosca. “Chiudi la bocca.”

Austria scosse il capo e lasciò perdere.

La voce di Germania tornò a suonare più limpida, riprese forma. “L’invasione aerea ci permetterà di scaricare una grossa quantità di paracadutisti che si distribuiranno in quattro zone principali,” tornò a indicare le città cerchiate su Creta, “conquistando gli aeroporti e i campi di aviazione. E questo metodo ci permetterà di prendere il controllo dell’isola intera. Partiremo dai campi di aviazione di Megara,” indicò i porti e i campi cerchiati sulle coste del Peloponneso, “Corinto, Topelia, Delium ed Eleusi, e sfrutteremo anche le isole che abbiamo già occupato, come Citerea e Anticiterea.” Si allontanò dalla mappa appesa alla parete e si portò davanti al tavolo, dove altri fascicoli erano impilati accanto alle carte millimetrate. Raccolse tre fotografie di modelli aerei e le fece passare porgendole per primo a Bulgaria. “Abbiamo a disposizione duecentoventotto bombardieri Junker Ju-52, duecentocinque Stuka, centonove...” La sua voce tornò a perdersi, lo sfogliare delle foto che stava passando si sovrappose a quello più scivoloso e ruvido che scorreva fra le dita di Prussia.

Prussia scartò un’altra fotografia – due file di marinai in uniforme nera, invernale, rivolgevano il saluto militare a un generale che ispezionava il ponte della corazzata –, e arrivò a una panoramica della Bismarck scattata da un altro incrociatore. La massa della corazzata non ancora verniciata con le tinte mimetiche scivolava sul pelo dell’acqua, davanti al paesaggio collinare che si stendeva lungo la superficie del porto da cui stava salpando.

Prussia toccò il fianco della nave, percorse l’albero maestro, una delle quattro torrette, e un peso al cuore lo isolò all’interno di una nebbiolina grigia, risucchiandolo nella foto e strappandolo dalla camera delle riunioni. Bismarck. Quel nome lo riportò indietro, davanti al profilo di un uomo affacciato alla finestra che parlava con voce distante, offuscata dalla lontananza del ricordo e dalla luce polverosa che filtrava attraverso il vetro. “Il nuovo Reich nasce proprio da quello che la Storia ci ha lasciato...”

La fotografia di un Junker Ju-52 a eliche spente, ancora fermo sulla pista di decollo e circondato da tre piloti, di cui uno di loro infilato nella cabina, scivolò sopra quella della corazzata e tornò a catapultare Prussia sulla sedia davanti al tavolo. La mano di Austria che aveva posato la foto davanti a lui si ritirò, e la voce di Germania prese il posto di quella evocata dal ricordo.

“Utilizzando i Ju-52, tuttavia, andremo incontro a uno svantaggio,” spiegò Germania, “questi sono aerei molto lenti nelle azioni di manovra, quindi dovranno volare a una quota molto bassa per non rischiare di rimanere troppo tempo sotto il tiro del fuoco nemico, e non saranno in grado di compiere azioni veloci.”

Prussia scosse il capo per riprendersi, raccolse la fotografia del Junker, e la tese a Romano.

Romano rigirò la fotografia dell’aereo, aggrottò un sopracciglio, e lanciò un’occhiata storta a Germania da dietro il cartoncino lucido. “Non rischiare di rimanere troppo tempo sotto il tiro del fuoco nemico?” Passò a sua volta la foto a Italia che si limitò a osservarla senza aprire bocca. “Intendi dire che Inghilterra sarebbe capace di sparare ai paracadutisti in volo?”

Ungheria sollevò di scatto lo sguardo dalla terza foto che le era appena arrivata fra le mani. “Cosa?” esclamò, gli occhi increduli. “No, non può farlo, è contro il codice militare.”

Germania scosse il capo. “Non possiamo correre il rischio.” Richiuse il fascicolo da cui aveva estratto le fotografie e si allontanò dal tavolo. “Questa è una battaglia a cui anche Inghilterra tiene molto, quindi sarà capace di qualsiasi cosa pur di ottenere una vittoria. Anche se sporca.”

“E se attaccassimo di notte?” propose Romania. “Così c’è meno rischio di venire scoperti.”

“Ma più rischio di dispersione,” precisò Germania. “E invece noi dobbiamo essere in grado di ricongiungere immediatamente le truppe per non perdere nemmeno un minuto da dedicare all’assalto vero e proprio.”

Bulgaria tornò a mettersi a braccia conserte, e sbuffò alzando gli occhi al soffitto. “Già.” Accavallò le gambe e fece dondolare il piede sotto il tavolo. Lo sguardo rimase distante e distaccato. “Considerando che il territorio così scosceso e pieno di campi di ulivi non aiuta...”

“Nemmeno le strade faciliteranno un’operazione del genere,” riprese Germania, “ma dovremo adattarci.” Si rimise accanto alla cartina e percorse con l’indice le venature grigie che attraversavano il territorio di Creta color ocra, per la maggior parte collinare. “L’Isola di Creta possiede strade primitive, molto polverose, poco asfaltate, e tutto rende i trasporti più lenti e le comunicazioni più difficili. Le reti dei telefoni e delle radio sono tutte saltate, ma questo sarà un problema solo per Inghilterra, dato che noi ci affideremo alle comunicazioni esterne.” Vi picchiettò l’indice sopra. “E in più dovremo fare attenzione durante gli spostamenti, perché i ponti sono molto fragili e non sopportano un tonnellaggio troppo pesante.”

Ungheria emise un lungo sospiro di stanchezza e reclinò le spalle contro lo schienale della sedia, spostò i capelli per non farli rimanere impigliati. “Come faremo a far avanzare gli uomini sugli obiettivi, allora?” domandò. “Senza un’artiglieria pesante a disposizione, sarà difficile tenere testa agli inglesi durante l’assedio.”

“Abbiamo già addestrato le truppe a un’eventualità del genere, e sono ben preparate.” Germania ricominciò a camminare avanti e indietro davanti alla carta, portò le mani dietro la schiena, e irrigidì lo sguardo, facendolo tornare assente e lontano dagli altri. “Equipaggeremo gli uomini con armamenti leggeri, quindi solo pistole, granate e bombe a mano. Ovviamente sarà così anche per noi, e così sarà fino a quando non riusciremo a farci inviare qualche artiglieria pesante via mare, ma non prima di aver costruito delle teste di ponte più solide, altrimenti sarebbe impossibile trasportarle e saremmo daccapo.”

Austria storse un sopracciglio, strinse le dita sulle braccia incrociate, e lanciò un’occhiata scettica al profilo di Germania. “E per l’attacco in mare come faremo?”

“A questo...” Germania si fermò, e la sua attenzione si concentrò su Italia e Romano. “Ci penserà la Regia Marina.”

Romano esitò con un sussulto. Strinse i pugni, si morse il labbro inferiore per contenere un broncio che gli scurì il volto, e rivolse lo sguardo a Italia. Italia si strinse nelle spalle e si girò, schivandolo e tenendo il capo basso. Romano sbuffò, si girò di profilo, diede la schiena a Italia e tenne gli occhi lontani da Germania. “Non vediamo l’ora,” brontolò.

Bulgaria sghignazzò una risatina soffusa e si coprì una guancia per non far notare il movimento delle labbra. “Vi è avanzata ferraglia anche dopo l’attacco a Matapan?”

Gli occhi di Romano si incendiarono e fiammeggiarono nel viso diventato nero di rabbia. “Chiudi quella merda di bocca!” gli ruggì contro, e Romania dovette spingere un braccio in avanti per proteggere Bulgaria. “Chi cazzo credi di essere per venire a farci i conti in tasca e –”

Italia gli diede una soffice gomitata che lo zittì subito. Romano scansò il braccio che gli aveva toccato, fulminò anche lui, ma Italia gli rispose scuotendo la testa. Avvicinò la sedia al tavolo, vi intrecciò le mani sopra tenendo la fronte bassa, e si schiarì la voce. “Anche se siamo un po’ indeboliti, proprio per questo vogliamo rifarci contro Inghilterra.” Italia sollevò gli occhi che brillarono di una luce diversa, più fredda, che tenne il suo sguardo celato nella penombra, senza riuscire a illuminarlo come faceva di solito quando sorrideva. “Lasciate fare a noi. Se la Royal Navy dovesse ostacolarci, sapremo contrastarla. Abbiamo le torpediniere, poi i sommergibili.” Annuì con un piccolo cenno. “Sorpasseremo la difesa.”

Una fitta aria silenziosa inglobò tutta la camera. Romania e Bulgaria si scambiarono un’occhiata perplessa e Bulgaria tenne le palpebre sgranate, riempite da un lampo di stordimento. Romania scrollò le spalle e scosse la testa. Ungheria si rosicchiò l’unghia del mignolo e cercò lo sguardo di Austria, gli rivolse un’occhiata afflitta e preoccupata che rifletteva tutto il dolore che le aveva appena graffiato il cuore. Reclinò il capo e indicò Prussia con un’alzata di sopracciglia, senza staccare gli occhi da Austria. Austria capì il gesto di complicità, lesse il turbamento che l’aveva fatta impallidire e che aveva toccato anche lui, e le rispose annuendo.

La voce di Germania tornò a essere un brusio in sottofondo. “D’accordo. Detto questo...”

Austria reclinò la spalla verso Prussia e gli mormorò accanto alla guancia. “Che cos’ha Italia?”

Prussia non alzò gli occhi dai documenti, sfogliò un’altra pagina. “Cosa dovrebbe avere?” Un’altra ancora.

Austria scosse il capo. “Si comporta in modo strano. È troppo silenzioso.”

“Sarà solo stanco.”

“No,” ribatté Austria. “C’è qualcosa che lo turba.”

Prussia reclinò il fascicolo, lo fronteggiò con un’espressione annoiata, e sospirò. “E cosa te lo fa pensare?”

Austria aggrottò la fronte, indurì lo sguardo da dietro le lenti, e il peso che si era infittito attorno al cuore aggravò il suo tono di voce. “Perché conosco Italia da più tempo di voi e conosco anche il suo umore.” Gli lanciò un’occhiata rapida e sfuggente – Italia era tornato a capo chino, lontano anche dallo sguardo preoccupato di Romano –, e si rivolse a Prussia con la stessa impazienza. “Germania gli ha forse detto qualcosa?”

Prussia si leccò la punta del pollice e girò una delle fotografie, gli occhi di nuovo distanti e distratti. “Cosa avrebbe dovuto dirgli?”

Il broncio di Austria si velò di un’ombra offesa che gli indurì il riflesso degli occhi sulle lenti. “Qualcosa riguardante quello che è capitato alle Termopili, per esempio.”

Il tocco di Prussia si fermò, il respiro si spense e lo sguardo si perse, allontanandosi dalla sala riunioni e dalle fotografie increspate dalla pressione delle dita irrigidite. Prussia scosse il capo, si riprese, e anche lui fece l’offeso. “Lascia stare le Termopili.”

“Perché?” insistette Austria. “Tu non ci pensi?”

“No.”

“Io sì, invece.” Austria abbassò gli occhi, nascose quel brivido di dolore che non era ancora riuscito a scrollarsi di dosso da quel giorno. “E molto.”

Prussia sogghignò a labbra chiuse, ignorandolo. “Buon per te.”

“Prussia.” Austria gli toccò il braccio, strinse delicatamente sul polso, e aspettò che Prussia sollevasse di nuovo lo sguardo su di lui. Gli rivolse un’occhiata tesa, ancora velata dallo spavento che gli aveva morso il cuore alle Termopili. “Sono serio e ti prego di ascoltarmi.” La sua mano, stretta al polso di Prussia, tremò. La sua voce suonò più bassa e turbata, senza più quella solita punta di disapprovazione a inasprirla. “Non hai davvero intenzione di...”

“In definitiva...” La voce di Germania tornò a farsi più alta, spinse Austria a rimangiarsi le parole e a irrigidire il tocco attorno al polso di Prussia. “Saranno l’Undicesimo e l’Ottavo Fliegerkorps a farsi carico dei paracadutisti.” Germania indicò un altro punto sulla mappa e riprese a spiegare. “Da qui, poi, contiamo di...”

Prussia tirò il braccio indietro, slacciandosi da Austria, si spinse più in là con la sedia e voltò la spalla per dargli la schiena. “Lascia perdere le Termopili, ti ho detto.” Diede un’altra sfogliata alle carte, alle fotografie, e arrivò a una rotta tracciata su Mar Baltico e Mare del Nord, diretta nelle acque dell’Atlantico. Prussia sfregò il pollice sull’orlo della mappa, i suoi occhi percorsero la rotta più volte. “Ora abbiamo problemi più grossi fra le mani.”

“Daremo inizio all’Operazione Merkur all’alba del venti,” continuò la voce di Germania in sottofondo, “e ci divideremo in due squadre, una che condurrà i due gruppi la mattina e l’altra che agirà guidando i due del primo pomeriggio. Andremo a colpire rispettivamente...”

I pensieri di Prussia tornarono a isolarsi, a essere risucchiati nelle fotografie scattate al porto e sul ponte della corazzata, in mezzo agli ufficiali e ai marinai. Un fuoco di invidia gli divorò il battito del cuore. Dovrei esserci anch’io lì. Prussia chiuse gli occhi, strinse le mani sulle carte, le braccia tremarono, e si lasciò rapire dalla sensazione estatica di avere i piedi premuti sulla Bismarck, di avere i pugni stretti sui suoi comandi e la sua potenza racchiusa fra le dita. Dovrei essere lì per marchiarla a fuoco, per sentire la sua energia scorrermi sotto le mani, dovrei essere io a ripagare Bismarck per quello che lui è riuscito a ottenere dalla rinascita e dalla crescita della nostra nazione.

Riaprì gli occhi e sfogliò un’altra fotografia. Un’altra inquadratura della corazzata vista dalla poppa. Il muso grosso e imponente, ornato di fili di bandierine, a riempire tutto il cartoncino. Prussia sospirò. La prima vera missione della corazzata che porta il suo nome...

Carezzò la foto. Un tocco caldo e delicato. Dovrei essere io a battezzarla, dannazione. Sbatté gli occhi e rivide quel lampo lontano, quel profilo baffuto toccato di striscio dalle luci soffuse che riempivano la cattedrale che profumava di incenso e di polline dei gigli, di vesti bianche e fresche come la nazione appena nata che aveva stretto fra le braccia. Esattamente come Bismarck quella volta ha battezzato...

“Prussia.”

La voce di Austria lo riportò nell’aria più densa e tiepida della sala riunioni. “Eh?” Prussia si guardò attorno, ancora mezzo smarrito. “Cosa? Chi?”

Austria aggrottò le punte delle sopracciglia e reclinò il capo a indicare Germania. “Sei nel primo gruppo,” gli spiegò. “Tu e tuo fratello attaccherete la mattina assieme a Italia e a Romano su Maleme.” Si posò la mano sul petto. “Noi altri quattro durante il pomeriggio, su Rethymno.”

“Ah.” Prussia si strofinò dietro l’orecchio. Il suo sguardo ancora distratto e appannato tornò a vagare fra le fotografie. “Uhm, sì, okay. Faccio...” Girò una foto e arrivò di nuovo a una carta nautica. Annuì con un gesto sbrigativo. “Facciamo quello che dice West, allora.”

La solita petulante espressione di disappunto tornò a increspare la fronte di Austria. Un sottile broncio gli toccò le labbra, e la sua voce suonò più sottile e bassa, lontana dagli altri. “Che cosa prende anche a te?”

Prussia sbuffò, senza guardarlo in viso. “Cosa dovrebbe prendermi?” Girò un altro foglio.

“Sei distratto,” lo canzonò Austria. “Non hai aperto bocca per tutta la riunione.” Scosse il capo, e una sincera scintilla di preoccupazione gli scivolò davanti agli occhi. “Non è da te.”

Prussia si girò, dandogli la schiena, e rinnovò il tono lamentoso, da offeso. “Piantala, ti ho detto. È solo...” La Bismarck, la missione nell’Atlantico, il carico di responsabilità che gli pulsava sul petto, sulla croce di ferro, e quel bruciore di desiderio che gli ardeva in fondo al cuore e fra le mani che reggevano le foto della corazzata. “Solo che...” Che mi toccherà dire a West che dovranno fare a meno di me qua a Creta.

 

.

 

Germania strinse le braccia conserte, indurì l’espressione, allontanò gli occhi freddi e intransigenti da quelli supplicanti di Prussia, e scosse il capo con decisione. “È fuori discussione.”

Prussia sgranò le palpebre, si strozzò con il suo fiato, e un lampo di sconcerto gli volò attraverso il viso. “Cooosa?” Premette le mani sul tavolo che separava lui e Germania, un braccio urtò i fascicoli impilati e fece scivolare le carte della rotta atlantica fuori da una delle cartelle. Prussia tese le spalle in avanti, salì sulle punte dei piedi per avvicinarsi a Germania, e lo fronteggiò con due occhi lucidi di incredulità. “Ma perché no, West?” si lamentò.

Germania rinnovò quell’espressione dura e inscalfibile, aggrottò la fronte, e lo fronteggiò a sua volta. Le dita si chiusero sulle braccia conserte, i suoi occhi si fecero più freddi. “Perché sarebbe assurdo da parte tua separarti da noi e abbandonare la campagna a Creta solo per seguire delle operazioni di perlustrazione nell’Atlantico.”

Prussia alzò gli occhi al soffitto, soffiò un sospiro sdrammatizzante. “Ma io non starei abbandonando la campagna, West. Starei solo...” Tolse le mani dal tavolo scostando le carte che erano scivolate fuori dai fascicoli, e ci girò attorno portandosi davanti a Germania. “Intraprendendone una supplementare.” Rimbalzò sull’orlo del tavolo, si sedette tenendo le punte dei piedi premute a terra, e accavallò le gambe.

Germania scosse di nuovo il capo. “Non posso comunque permettertelo.” Compì un paio di passi lontani da Prussia, e tornò a sfilare davanti alla mappa di Creta segnata dai cerchi attorno alle città che avevano appeso al soffitto. ‘Operazione Merkur’ spiccava ancora sull’orlo superiore. “La tua forza e la tua disciplina servono qua, perché l’Operazione Merkur è troppo importante per essere presa sotto gamba.”

Un germoglio di fierezza si piantò nel petto di Prussia, crebbe attorno al suo cuore, gonfiandolo di un orgoglio bollente e formicolante. Prussia raccolse uno dei bollettini che erano scivolati fuori dal fascicolo, si fece aria al viso agitando la carta come un ventaglio di pizzo, e vi nascose dietro un sorrisetto fine e signorile che gli fece diventare le guance rosse. “Uh-uh,” si gongolò. “Forza e disciplina.”

Germania lo fulminò con un’occhiataccia.

Prussia sollevò le mani in segno di resa e fece sbiadire il sorriso e il rossore sulle guance. “B-be’, d’accordo. Ma...” Lasciò ricadere il bollettino sopra le mappe dell’Atlantico e le foto della Bismarck, e anche i suoi occhi tornarono seri, il tono di voce più duro. “Considera la realtà dei fatti, West.” Scivolò giù dall’orlo del tavolo e si strinse nelle spalle, alzò i palmi al soffitto. “Stiamo andando forte,” lo rassicurò. “Grecia è in prigione e non può influenzare Inghilterra e gli altri due con la sua energia o guidandoli tramite i suoi comandi. Sarete sette contro tre, e ci saresti comunque tu a guidarli.” Gli diede tre pacche sulla scapola. “Anche se non sei bravo e bello quanto me – perché non esiste nessuno bravo e bello quanto me – sei comunque mio fratello, sai combattere, sai affrontare e superare le difficoltà, e sai mettere in pratica tutto quello che ti ho insegnato io. Non correresti alcun rischio di perdere e di mandare all’aria l’operazione.”

Germania gli cinse la mano e la scostò dalla sua spalla, la sua fronte rimase corrugata in quell’espressione scettica che infittiva un’ombra di indecisione attorno al suo sguardo. “Che motivo avresti di imbarcarti sulla Bismarck?” L’occhio gli cadde sulle carte scivolate fuori dai fascicoli che si erano sparsi sul tavolo. Su una delle mappe nautiche, una linea rossa tratteggiata nasceva dal porto di Gotenhafen, si infilava fra Svezia e Danimarca, percorreva i fiordi norvegesi, e imboccava la via di mare che circumnavigava l’Islanda attraverso lo Stretto di Danimarca. “Inghilterra è qua in Grecia, e ci rimarrà fino alla fine della campagna,” riprese Germania, “non c’è pericolo che lui ci crei problemi nell’Atlantico.”

Prussia scosse il capo. “Proprio perché ora Inghilterra si trova qui che devo approfittarne. Ascolta...” Si portò davanti a Germania e gli strinse di nuovo la spalla a cui prima aveva dato i colpetti. Sollevò la fronte guardandolo dritto negli occhi. “So che l’Operazione Merkur è importante per il proseguimento della guerra intera, ma anche la Rheinübung lo è.” Attraverso la sua mano, Prussia gli trasmise un brivido rovente di eccitazione che corse anche nel sangue di Germania, facendogli rizzare la pelle d’oca. Gli occhi di Prussia bruciavano come braci, animati di fiducia. “Se riuscissi a guidare bene i convogli e a flagellare i traffici mercantili di Inghilterra, allora sarebbe un po’ come tagliargli il cordone ombelicale. Gli scambi con America si interromperebbero, lui stesso non avrebbe più modo di difendere le coste, e allora potremmo finalmente invaderlo come abbiamo sempre voluto fare dall’inizio della guerra.”

Germania sciolse il brivido che gli era penetrato nel petto, e lo sostituì un fremito più freddo, viscido e sospettoso, carico di un cattivo presagio che gli correva nel sangue come ghiaccio liquido. “Mi stai dicendo che intendi ingaggiare una battaglia navale?”

Prussia gli tolse la mano dalla spalla e allontanò gli occhi, senza riuscire a nascondere il luccichio scarlatto. Mostrò un’aria più vaga increspata da un sorrisetto da furbo. “Be’, se si ritenesse necessario.” Strinse le braccia al petto, camminò lungo il tavolo, squadrò i fascicoli ancora chiusi che contenevano le foto delle due imbarcazioni. “Sia la Bismarck che il Prinz Eugen non avrebbero comunque difficoltà a tenere testa ai convogli inglesi.”

Germania scosse il capo con un gesto più rigido e deciso. “È impossibile battere Inghilterra in una pura battaglia navale. Ha troppa esperienza sulle spalle.” Anche lui tornò a portarsi davanti al tavolo, chinò lo sguardo sulle mappe, e strinse le mani dietro la schiena. Raccolse e soppresse fra le dita un brivido di timore. “La nostra potenza marittima rimane comunque inferiore alla sua, e anche l’utilizzo degli U-Boot ci sta dando problemi. Sono armi che non padroneggiamo ancora bene come vorremmo, e Inghilterra è fin troppo abile in mare per poter pensare di superarlo.”

“Ma se abbiamo deciso di far partire questa operazione è proprio perché le precedenti ricognizioni sono andate alla grande e hanno confermato che la situazione non è così tragica come la facciamo noi.”

Germania corrugò un sopracciglio, distolse lo sguardo, emise un profondo sospiro di indecisione, e si massaggiò la nuca.

Prussia gli strinse anche l’altra spalla. “Eddai, West.” Gli inviò un’occhiata più adulta, meno arrogante, e la sua presa si fece più calda. “Fidati di me.”

Lo sguardo di Germania rimase cauto, toccato da una sfumatura sinceramente confusa. “Perché me lo stai chiedendo?” Fece scivolare la mano di suo fratello giù dalla sua spalla.

Prussia sbatté le palpebre e sollevò un sopracciglio. Non capì quella domanda.

“Non avresti bisogno del mio permesso per imbarcarti, se questo è davvero quello che vuoi,” gli spiegò Germania. “Io non ho né il potere né il diritto di fermarti.”

Un lampo di realizzazione attraversò lo sguardo di Prussia, lo fece esitare, e allora capì.

Prussia tornò serio in volto, lo sguardo più buio, e fece scivolare anche l’altra mano giù dalla spalla di Germania. “Ma io voglio che siamo d’accordo tutti e due.” Strinse le braccia al petto e i suoi occhi si spostarono verso le porte della sala riunioni, verso i posti vuoti attorno al tavolo. “Abbiamo già assistito a cosa succede quando una nazione segue due teste che ragionano in maniera diversa.” Scosse il capo. “Non voglio che succeda anche a noi due.”

Quella stessa rivelazione trafisse anche Germania, gli fece sbarrare le palpebre e gli bloccò il fiato. Quando una nazione segue due teste che ragionano in maniera diversa. Davanti ai suoi occhi comparve l’immagine di Italia e di Romano che si davano la schiena, i loro sguardi distanti, rivolti in direzione opposta, e quel senso di distacco che li spingeva sempre più lontani l’uno dall’altro. Un inconscio brivido di timore corse sotto la pelle di Germania, e gli tornò a trasmettere la stessa immagine. Lui e Prussia al posto di Italia e di Romano.

Germania sospirò a fondo, accostò una mano alla fronte, si massaggiò le tempie e le palpebre, e lo disse prima di cambiare idea. “D’accordo.”

Prussia spalancò gli occhi, li sbatté due volte, abbagliato da un lampo di incredulità che già gli stava spolverando le guance di rosso, quasi non riuscisse a crederci.

Germania si rimise a braccia conserte, si girò di fianco e fronteggiò la mappa di Creta. “Segui le operazioni sulla Bismarck,” tamburellò le dita, “qui a Creta porterò a termine io l’invasione.”

Lo sguardo di Prussia si infiammò di gioia, gli occhi si accesero di un rosso splendente, la piccola smorfia di incredulità si stese in un largo e luminoso sorriso di entusiasmo e soddisfazione. Prussia gettò le braccia al soffitto e compì un salto su Germania. “Grande, grande, West!” Gli saltò con le braccia al collo, facendolo sbilanciare, e gli strofinò un pugno fra i capelli. “Il più magnifico del mondo, sapevo che tu mi avresti capito!”

Germania scosse la testa. “Fermo!” Gli schiacciò le mani sulle spalle. “Lasciami finire.” Se lo scollò di dosso, facendolo riatterrare con le piante dei piedi sul pavimento, e si diede una lisciata alla giacca che aveva sgualcito durante l’abbraccio. Si passò una mano fra i capelli, facendoli tornare in ordine, e si rimise a braccia conserte. “Non posso comunque ignorare il fatto che potrebbe rivelarsi un’operazione più rischiosa di quello che crediamo.” Scosse il capo, e tornò a indurire un tono autoritario e intransigente. “Non voglio che tu la affronti da solo.”

Lo smagliante sorriso di Prussia tornò di nuovo a splendere di arroganza. “Ooh, non c’è problema per quello.” Si appoggiò al tavolo con l’anca e si esaminò le unghie di una mano. Scrollò le spalle. “Fammi portare dietro Romano e mi accontento.”

“No,” rispose Germania, secco. “Romano mi serve qua, e serve soprattutto a suo fratello. Poi un ambiente così freddo, poco soleggiato, in un mare di ghiaccio...” Scosse il capo e si massaggiò la nuca. “Non è decisamente luogo per lui. Lo destabilizzerebbe. Tu invece hai bisogno di qualcuno che conosca quei mari e che ti guidi.”

Prussia smise di guardarsi le unghie e fece tamburellare l’indice sul labbro, corrugò un sopracciglio. “Finlandia, allora?” propose. “Dopotutto, ha già il compito di sorvegliare le coste.”

“No, non va bene neanche lui.” Un’ombra di inquietudine rabbuiò lo sguardo di Germania. “Non possiamo tirare troppo la corda con Finlandia. Russia potrebbe insospettirsi e non dobbiamo calcare troppo la mano.”

Prussia si strinse nelle spalle e volse i palmi al cielo, inarcò un sopracciglio in un’espressione di dubbio e confusione. “Ma allora chi mi porto dietro?”

Germania rivolse uno sguardo alle carte stese sul tavolo, restrinse le palpebre, e lo rassicurò. “Non ti preoccupare.” Si avvicinò anche lui, tese la mano verso la mappa della Scandinavia segnata dal percorso del convoglio, e le sue dita sfiorarono le nazioni affacciate al Mare del Nord.

Nella sua mente sbocciò un eco lontano. Un grido che mesi prima aveva arrestato la sua marcia sulla neve, tirandolo a sé.

“Usa me!”

Germania abbassò le palpebre e si ritrovò a fronteggiare gli occhi di Danimarca, infiammati di rabbia ma gonfi di vergogna e risentimento. Occhi che si erano subito abbassati, piegati a terra, in mezzo alla neve, come il suo corpo inginocchiato e tenuto fermo dai soldati. Le mani strizzate nel ghiaccio e il peso dell’umiliazione a farlo tremare di rabbia. “Se dovrai ancora combattere,” aveva gridato. “Allora voglio essere solo io a partecipare alle battaglie.”

Germania schiuse le palpebre, e l’immagine di Danimarca finì sostituita da quella della sua nazione che si affacciava sul mare, immobile e silenziosa. Germania gli rivolse lo stesso sguardo autoritario con cui lo aveva sepolto quel giorno. Non credere di riuscire a cavartela come vuoi tu. Spostò gli occhi più a nord, e si fermò su un altro frammento di terra. ‘Norvegia’.

Germania stese le dita e toccò entrambi. “Abbiamo già due volontari.”


 


N.d.A.

Durante il prossimo weekend sarò via e non mi sarà possibile accedere a una connessione, dunque urge una piccola pausetta di una settimana. E io che speravo di riuscire a fare tutta una bella tirata fino alla pausa natalizia (T_T). Potrebbe incombere un’altra mini-pausa anche a novembre per gli stessi motivi, ma farò di tutto per impedirla, promesso! Male che vada vi avviserò come sempre e posterò il capitolo di lunedì invece che di domenica, vedremo come saprò organizzarmi a tempo debito, senza fasciarmi la testa prima di romperla.

In ogni caso, nel prossimo arco narrativo le cose si faranno parecchio intricate, dunque ne approfitterò anche per perfezionare al meglio l’organizzazione e la suddivisione dei capitoli. Voglio sia tutto perfetto!

Appuntamento quindi a domenica 15 ottobre per la ripresa della pubblicazione e per l’entrata della ciurma sulla Bismarck! Non vedo l’ora di cominciare. :D


   
 
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