Serie TV > Queer as Folk
Segui la storia  |       
Autore: piccina    02/10/2017    5 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ho scopero QAF da pochissimo, con circa dieci anni di ritardo e ne sono stata irretita. E' la prima FF che pubblico su EFP, spero che a qualcuno venga voglia di leggere e di lasciare un piccolo commento. Non ho ancora idea di quanti capitoli ci aspettino, ma mi auguro di aggiornare con una certa frequenza. Buona lettura. 

TORONTO

Non aveva aspettato il giorno seguente per prendere l’aereo, dopo l’ennesima telefonata sconfortata e angosciata di Linz, era salito in auto e adesso, dopo sette ore di guida praticamente ininterrotta, era arrivato a Toronto. Lo sciagurato non era a casa, era uscito sbattendo la porta e aveva lasciato le sue mamme sgomente e turbate. Per fortuna JR non era presente quando aveva alzato le mani strattonando prima Linz e poi Mel che cercava di calmarlo. Questo era veramente troppo, questo non poteva essere tollerato, per questo era lì: per rimettere in riga suo figlio.
Aprendo la porta di casa non si aspettava di trovarlo seduto in poltrona ad aspettarlo. La figura imponente, le gambe incrociate, lo sguardo serio che incontrò appena superata la porta, lì per lì lo intimidirono. Un effetto che suo padre otteneva senza sforzo quando era incazzato. Dopo un attimo di titubanza nel quale aveva distolto lo sguardo e abbassato gli occhi, aveva sfacciatamente dato mostra di ignorarne la presenza, non era più un moccioso cacasotto e anche quel fenomeno di suo padre se ne sarebbe accorto. Si era rivolto, quasi urlando, a sua madre che, muta, appoggiata allo stipite dell’arco della sala, assisteva alla scena.  
“Lo hai chiamato! Ma certo, hai chiamato il santo Brian, l’angelo vendicatore, l’infaticabile protettore della povera Linz. Statemi bene”
Non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi alla scala per guadagnare il piano di sopra e camera sua, dove intendeva chiudersi, che si era trovato suo padre a ostruirgli il passaggio. Non si era neppure accorto che si fosse alzato dalla poltrona e adesso era lì, fermo, che lo fissava negli occhi dall’alto in basso. Per quanto fosse cresciuto e fosse mediamente più alto dei ragazzi della sua età era ancora sensibilmente più basso di suo padre, che in quel momento stava volutamente sfruttando i centimetri che li dividevano per metterlo in difficoltà.
“Gira le chiappe, torna in sala e mettiti seduto” gli aveva ordinato senza scomporsi. “Tua madre ed io abbiamo da dirti alcune cosette”
“Non mi interessa, lasciami passare” aveva ribattuto cercando di scansarlo con un piccolo spintone. Rapidissima la mano di suo padre lo aveva afferrato fra il collo e la spalla, stringendo e costringendolo a piegarsi per il male. Con una leggera spinta l’aveva costretto a voltarsi e a dirigersi verso il divano.
“Muto e apri bene le orecchie, chiaro? Oppure da domani canterai in falsetto, parola mia” aveva aggiunto mettendolo a sedere con poca grazia. Quindi si era aggiustato la giacca e aveva preso posto sulla poltrona davanti a lui. Quando lo vide, furibondo, ma seduto e zitto, Linz ebbe la certezza di aver fatto bene a chiedere l’intervento di Brian, per quanto Mel non fosse così convinta. Da troppi mesi avevano perso contatto e controllo con Gus, diventato un incattivito e intrattabile adolescente e la situazione stava degenerando, era evidente che né lei né Mel riuscivano a scalfire la corazza di dolore e cattiveria che si era posata sul ragazzo. Il malessere era evidente anche a scuola, con voti che peggioravano, note comportamentali, insofferenza agli allenamenti che invece lo avevano appassionato fino a pochi mesi prima.
La stanza era rimasta per qualche minuto nel più profondo silenzio. Linz faceva fatica a trattenere le lacrime, mentre Brian sembrava perfettamente padrone di sé e incredibilmente calmo, forsanche un po’ scocciato e Gus osservava, prima uno e poi l’altra, con aperto sguardo di sfida. Si chiese come mai Mel non fosse presente, quando c’era da fargli il culo non mancava mai, men che meno se c’era anche suo padre, cosa che, a dire il vero, avveniva di rado.
In quel momento non glielo avrebbe mai concesso, non lo avrebbe mai ammesso, ma era difficile che suo padre si incazzasse, non era un rompicoglioni, anzi spesso era stato un insospettabile alleato nel convincere le mamme a lasciarlo respirare e a non stargli troppo addosso.
Strano che Mel lasciasse soli i suoi genitori biologici a vedersela con lui. Le prima parole che avevano rotto il silenzio e che provenivano dalla voce pacata e determinata di Brian avevano svelato il mistero.
“Domani partiamo, vieni a Pittsburgh e mercoledì inizi alla St Jeams. Per quest’anno avrai a che fare con me e vedremo se ti risulterà così facile alzare le mani quando ti si chiede un comportamento civile”
“Tu sei pazzo” era esploso il ragazzo.
Brian aveva annuito, aveva puntato la lingua contro la guancia prima di rispondere: “Lo pensano in molti, ciò non toglie che ti sei messo nella merda e da domani vieni e a vivere con il tuo caro papà” aveva concluso con ironia. “Non ci penso neanche”  
“Gus …” provò intervenire Linz prima di essere assalita dalle parole del figlio: “Non ti vado più bene e mi scarichi a papà. Brava, brave, tenetevi JR. Lei sì che va bene, brava giudiziosa, femmina. Se poi diventa lesbica avete fatto bingo. Vaffanculo a te e a Mel. Dov’è la grande lesbica con le palle? A scaricare il figlio venuto male ci ha lasciato solo te eh?”
Linz aveva sgranato gli occhi, aperto la bocca, ma non era riuscita a far uscire neppure un suono. Le parole di Gus l’avevano schiaffeggiata così forte da toglierle il respiro. Forse stavano sbagliando, forse non era una buona idea mandarlo da Brian, forse era colpa loro se Gus stava male, forse non si sentiva amato, forse … In meno di mezzo secondo stava per mettere in discussione tutto, tutti e la decisione che avevano preso insieme, lei, Mel e Brian per cercare di trovare una soluzione al dolore di Gus: allontanarlo da Toronto, da quella casa dove non riuscivano più a comunicare se non litigando, ferendosi e scappando. Brian non le lasciò il tempo di far percepire al figlio quella ondata di pensieri confusi, amareggiati, spaventati e pieni di sensi di colpa.
Era convinto che portalo con sé a Pittsburgh fosse la scelta giusta, non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui, aveva bisogno di confrontarsi con un uomo, aveva bisogno di scontrarsi con chi lo amava, ma riusciva a non farsi schiacciare da quell’amore. Aveva bisogno di suo padre e lui ci sarebbe stato, che Gus lo volesse o meno è con lui che avrebbe dovuto fare i conti nei prossimi mesi.
“Oliver Twist, risparmiati la sceneggiata strappalacrime. Le tue mamme non ti stanno scaricando, abbiamo - e sottolineo abbiamo - deciso che per un po’ starai con me. Punto. Fine.”
“E di cosa ne penso io non ve ne frega un cazzo?”
“Esatto” aveva replicato serafico il padre “proprio così, non ce ne frega un cazzo. Sta ancora a noi decidere per il tuo bene. Quindi puoi venire con me incazzato o facendo buon viso, per me è lo stesso. Adesso vai ad aiutare Mel a finire di fare i tuoi bagagli.”
“Col cazzo”
“Ok, ma non venire a chiedere a me di ricomprarti qualcosa che hai lasciato qui, ne farai a meno.”
“Col cazzo che vengo via con te!” aveva chiarito il figlio.
“Puoi scommetterci, figliolo” gli aveva risposto innalzando leggermente le sopracciglia, poi senza degnarlo di uno sguardo si era rivolto a Linz, che sembrava stare in piedi solo perché sorretta dalla parete alla quale si era appoggiata “Mi fai compagnia per una sigaretta?”  e si era allontanato verso la porta finestra che si apriva sul giardino, prima di uscire aveva aggiunto:
“Hai tempo fino a domani mattina per chiedere scusa a tua madre. A tutte e due.”
“Vaffanculo”
“Non mancherò appena saremo arrivati a casa da Justin”
Inutile, sapeva per esperienza che non gli avrebbe mai lasciato l’ultima parola, sbattè con stizza i piedi sul pavimento, mentre lasciava la stanza e saliva in camera.
Avrebbe fatto i bagagli, non aveva altra scelta, ma suo padre si sarebbe pentito di averlo trascinato a Pittsburgh.

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Queer as Folk / Vai alla pagina dell'autore: piccina