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Autore: Fedroraba    02/10/2017    0 recensioni
Forse è ora che Hunk lasci perdere i pettegolezzi.
[hinted!Shallura ; onesided!Sheith]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Garrison Hunk, Kogane Keith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“No, ti prego”, esclama Pidge, alzando lo sguardo dal groviglio di fili del motore di una delle navi di emergenza. “Ti prego, dimmi che non è vero.” La sua voce rimbomba per tutto l’hangar.


“Mi avevi promesso non avresti urlato!” Hunk le copre la bocca, e butta un occhio dietro le spalle, la paranoia che ci fosse qualcuno ad ascoltarli troppo rumorosa per  ignorarla. Si gira di nuovo verso Pidge, ancora sconvolta per togliersi la sua mano gigantesca dalla faccia, le tenaglie in bilico tra le sue dita molli


“Hunk, se è vero…” mugugna contro il suo palmo, alzando piccole dita per liberarsene. Ma Hunk non cede, o perlomeno finché non si sente leccare il centro del palmo, e ritrae la mano disgustato. “Sarebbe la cosa più epica di sempre,” dice tutto in un fiato, un sorriso stampato sulle labbra. Si tira su gli occhiali, ma se fa caso ad Hunk che si asciuga il palmo sulla sua tuta, non lo dice. 


“No, per niente”, le strappa dalle dita le tenaglie prima che cadessero sul serio, e le butta nel resto degli attrezzi, occhieggiando male il sorriso di Pidge ancora lì. “Cosa pensi potrebbe dire Lance?” E allarga di colpo le braccia, come a comprendere tutti gli scenari catastrofici che potrebbero accadere.


“Lance?” Piega un po’ la testa a destra, un piccolo dito sotto il labbro inferiore. Prima che Hunk possa dire qualcosa, già ha iniziato lei. “Cioè, intendi il fatto che gli è sempre piaciuta Allura?”


“Sì, proprio questo piccolo dettaglio”, il tono forse un po' troppo acuto, mentre muove adesso su e giù le braccia ancora allargate per comprendere la totalità completa degli scenari catastrofici.


“Ma Allura non ha mai ricambiato,” constata Pidge, e gli rivolge un’occhiata accigliata quando Hunk sbuffa esasperato. Ma poi riporta di nuovo lo sguardo verso l’interno della navicella, l’argomento che ha sicuramente perso qualunque interesse per lei.


“Non lo vedi anche tu il problema?” continua Hunk, per niente intenzionato a lasciar andare. Gli passa malvolentieri una chiave inglese nel suo palmo teso, e davvero si sente molto come uno di quei personaggi nei film che preannunciano un’apocalisse zombie e che nessuno ascolta fino alla fine. Quando arriva l’apocalisse zombie, cioè.


“Hunk, cosa vuoi che succeda”, scandisce Pidge a tempo con lo stringere un bullone, uno sbuffo d’aria che le alza il ciuffo rosso di capelli, sfuggito dalla forcina che le ha prestato Coran.


“Te lo dico io cosa vuoi che succeda”, urla sussurrando Hunk, il respiro spezzato e corto contro la faccia di Pidge ancora immersa fino alle orecchie nella tecnologia di Altea. “Succederà che lo scoprirà, e non vorrà più parlare a Shiro, e nemmeno ad Allura, e non vorrà più stare nel team, non vorrà più guidare Blue, non potremo mai più formare Voltron, non salveremo mai l’universo, che o esploderà oppure diventeremo tutti schiavi Galra come Shiro, e io odio combattere, e non credo mi donerebbe un ciuffo bianco quanto dona a lui.” Stressa le ultime parole, e poi porta subito dopo una mano sul petto per prendere un ampio respiro, senza fiato per aver detto un centinaio di parole in meno di venti secondi, senza esagerare davvero.   


“E invece credo potrebbe starti bene”, sente mugolare Pidge, che nel frattempo si era ficcata con la testa dentro il vano aperto fino ai fianchi, bilanciandosi precariamente sul bordo. Non appena la vede, Hunk la afferra per non farla cadere, come è invece successo l’ultima volta, ma in un attimo si è dimenticato l'esasperazione. 


“Dici davvero?”, esclama lusingato. “Ho sempre pensato di cambiare colore di capelli, magari un verde foresta, ma ho sempre avuto…”


“Stavo scherzando,” arriva dal vano, e gli angoli della bocca di Hunk cadono in giù, ricordandosi solo dopo che Pidge non lo può vedere.


“Comunque,” dice, riemergendo dal vano e svincolandosi dalle sue mani, una macchia di grasso blu sullo zigomo, che si allarga ancora di più quando Hunk le fa cenno di essere sporca e lei si pulisce con i polsi ancora più zuppi di olio. “Non succederà niente di quello che dici.”


“Chi è il migliore amico di Lance?” le si avvicina al viso, le braccia incrociate sul petto, gli angoli delle labbra tirati all’ingiù con fare inquisitorio.


“Chi ha una connessione mentale da mesi?” controbatte Pidge, la lingua affilata e saccente. Hunk apre la bocca, ma glielo deve concedere, non è il solo adesso a conoscere Lance.


“Serio, Hunk, devi un po’ controllare quest’ansia.” Gli poggia una mano sulla spalla, offendogli un sorriso comprensivo e caldo. Hunk sente le lacrime affiorargli agli occhi dalla commozione… Per modo di dire. “Vedi, non lascerà il team per qualcosa di così stupido come una cotta,” gli dà una pacca sulla spalla, “Lance è adulto.”


“Chi è che sarebbe adulto?”


Si girano entrambi, trasaliti come se avessero sentito chissà quale soldato Galra o che fantasma, e invece era solo Keith.


“Stavamo parlando di Lance,” ridacchia Pidge, dando una gomitata nelle costole di Hunk, che già aveva aperto bocca, il vero argomento trattenuto a stento tra i denti affondati nelle labbra. Ma Hunk sente anche lo sguardo di fuoco di Keith sulle stesse labbra, e non può fare a meno di tremare sotto il suo scrutinio.

“Di quanto sia cresciuto..." continua Pidge, e Hunk annuisce ripetutamente al suo fianco, il mento che gli buca lo sterno ogni volta per lo zelo con il quale compie ogni movimento, le dita che nel frattempo tormentano un filo sciolto del suo gilet.


“Sì, certo.” Vede la solita espressione neutra di Keith farsi semplicemente di poco più acida, poco prima di girarsi per dirigersi verso l’hangar del suo leone.


“Anche di Shiro, però”, lancia dietro Keith, e Hunk sente al suo fianco Pidge schiaffarsi una mano in faccia e lamentarsi con una piccola voce. Keith si gira lentissimamente, e Hunk nonostante sopra la navicella e a qualche metro di distanza riesce a distinguere chiaramente lo sguardo di pura confusione che gli oscura il viso.


“Oh-kay, se mi cercate…” Si gira di scatto verso Pidge, in tempo per vederla entrare nel vano del motore con tutto il suo corpo e vedere l’occhiataccia gelida che gli rivolge. Hunk allunga una mano per fermarla, ma Pidge gli sorride rapida e sparisce tra i cavi come una biscia. 

Hunk non può sopportare tutta questa pressione, un giorno di questi esploderà, esploderà e non saprà mai se sta bene con i capelli verde foresta. Butta un occhio giù dal tetto della navicella e vede Keith che è già sotto, con tanto di sopracciglio alzato e un piede che batte impaziente, mentre guarda Hunk scendere con il piccolo trasportatore a levitazione magnetica.


“Allora, che c'entra Shiro con Lance?” chiede, e le parole sono mille aghi nel cuore di Hunk.


“Niente…?” la voce più acuta sulla i, il collo incassato tra le spalle in un disperato tentativo di protezione.


“Senti,” sospira, un tipo particolare di impazienza che Hunk non riesce a riconoscere in lui, "Sto cercando di darmi una regolata in questi ultimi tempi… Ma cioè, se ogni volta fai una faccia come se ti volessi dare un pugno, non riesco a parlarti.”


“Ah…” come se fosse una perdita d'aria, e Hunk chiude subito dopo la bocca con un rumore sordo dei denti. “Cioè, no, è che non so se posso dirtelo.”


“Non sai se…” comincia Keith, e aggrotta ancora di più le sopracciglia, avvicinandosi di poco a lui. “In che senso?”


“È…” Hunk si allontana istintivamente di qualche centimetro. “Privato?”


“E tu come lo sai, allora?”


Lo sapeva, parola sbagliata. “Io, cioè, ho sentito per sbaglio, ma non ne sono sicuro…” comincia a balbettare, ma davvero si è cacciato in un gran pasticcio. Già sapeva che non l’avrebbe mai dovuto dire a Pidge in primo luogo, ma di questo passo l’avrebbe saputo tutto il castello.


Keith gli si avvicina ancora di più. “Hunk, Shiro sta bene, vero?” una vena di allarme nella sua voce, e adesso è Hunk a sentirsi confuso.


Frappone le mani tra loro per fermare Keith, i palmi ad un paio di centimetri dal suo petto. “Sì, certo che sta bene”, quasi chiede Hunk, occhieggiando l’espressione completamente allarmata di Keith.


“Anzi, cioè, sta benissimo con Allu-”, allungando la u, ma anche se si copre la bocca poco dopo, ormai l’ha detto.


“Cosa?”


Crede sia la prima volta che Keith abbia alzato la voce da quando lo ha conosciuto qualche mese prima, al punto che neanche durante le battaglie l'ha mai sentito alzare quel monotono di voce che ha. E nemmeno l'ha visto così allarmato, gli piazza persino una mano sulla spalla per scrollarlo. Ma Hunk non riesce a rispondere e mantiene lo sguardo basso e concentrato a trasmettere tutta la forza dei suoi pensieri nel pavimento, e magari per qualche miracolo o forse per grazia della quintessenza riuscirà a farsi inghiottire e a trovarsi magari direttamente in cucina a fare biscotti.


“Hunk, hai davvero appena detto che hai visto Shiro stare con Allura?” chiede Keith, la mano che lo scrolla ora sono due e Hunk si sente più milkshake che paladino di Voltron.


“Dipende cosa intendi con stare”, cerca di aggrapparsi, i suoi tentativi di comunicazione spirituale con il pavimento ha capito essere fallimentari.


“Stare nel senso di stare, Hunk, lo sai che intendo”, esclama esasperato Keith, un'emozione che non gli dona per niente, se Hunk deve essere sincero. Pensa anche vagamente che deve essere bruttissimo mentre piange.


“Stare”, risponde semplice, non intenzionato a divulgare ancora e peggiorare la sua situazione. “Ma non visto… Sentito, più che altro”, cerca di precisare.


“E che hai sentito?” chiede ancora, l’urgenza che rende la sua voce quasi un falsetto. Hunk avrebbe riso, se non avesse temuto per la sua vita così tanto.


“Non molto…” mente. “Forse qualche voce..?”


“E dove?” incalza. 


“Nella stanza di Shiro.” E avrebbe voluto inventarsi una bugia, ma la sua bocca è decisamente più veloce dei suoi pensieri, a volte. “Ma dovevano stare lontano dalla porta, perché anche se non sono insonorizzate, comunque sentivo gli ansimi lontani…” pensa ad alta voce, guardando verso l'alto, come alla ricerca di una specie di risposta che già si era dato solo poche varga prima.


Finché poi non abbassa lo sguardo, e vede Keith, e si rende conto finalmente di cosa ha detto. 


Alza subito di nuovo le mani, lo sguardo che gli rivolge Keith ora positivamente omicida. “Ho solo detto quello che ho sentito, può darsi pure che ho frainteso...” cerca di rimediare, ma Keith è ormai diretto a passo deciso fuori dall’hangar


Hunk fa un sospiro lungo un secolo, e gli è già dietro correndo.




“Keith fermati”, Hunk allunga una mano per afferrargli il braccio, già senza fiato, ma la stringe intorno al nulla. Correre dietro a Keith per mezzo castello è già di suo un’attività fisica considerevole, per di più quando è così determinato, i pugni chiusi che imitano le falcate delle gambe. Ancora peggio, Hunk ha un pessimo presentimento che gli toglie il fiato e gli apre lo stomaco, e forse davvero aveva bisogno di fare quei biscotti.


Si ferma nel mezzo del corridoio, le mani sulle ginocchia, respirando forte.


“Keith, davvero, dove vuoi andare?” ansima ancora, e sente i passi pesanti di Keith fermarsi di colpo, lontano diecimila chilometri di distanza, quasi alla fine del corridoio. E comunque in un attimo lo raggiunge e vede sotto i suoi occhi il suo piede battere impazienza. Di malavoglia alza lo sguardo dal pavimento dove sta gocciolando il mare di sudore in cui si è ridotto.


“Da Shiro,” la voce velata di una calma che fa da contrasto alle sua faccia ancora aggrottata.


Hunk fa uno sforzo immane per riuscire a recuperare il fiato e ficcare incredulità credibile nella sua voce ancora sconvolta dallo sforzo. “Esattamente, perché?” e il presentimento che sentiva ora vicinissimo a diventare realtà.


Non si aspetta che Keith indietreggiasse di poco, come se gli fossero esplosi di nuovo i comandi di Red in faccia, e gli vede passargli una frazione di espressione in viso. Ma poi ritorna alla solita faccia corrucciata.


“Cosa t’importa”, incrocia le braccia e poggia il peso su un piede. Alza di poco il mento, e nonostante la differenza di altezza tra loro, riesce comunque a guardarlo dall’alto in basso.


“Non…” si interrompe, di certo non la risposta che si aspettava. Improvvisamente si rende conto della stranezza del loro scambio, e Hunk non si è più molto sicuro neanche del perché ha inseguito Keith in giro. “Cioè, non voglio immischiarmi.”


“Poco credibile”, lo guarda ancora con quegli occhi viola, socchiusi e lontani. “Cioè, senza offesa, ma persino qualcosa di così privato tra Allura e Shiro lo saprà già tutto il castello.” Si stringe nelle spalle, le mani strette nei pugni e nascoste tra i gomiti. “Non credo a questo punto potrei confidarti chissà cosa, visto come non riesci a trattenerti dallo spiattellare tutto.”


Hunk non deve concentrarsi per mostrare incredulità, stavolta. “Wow, Keith, davvero gratuito e poco gentile.”


“Anche quello che hai fatto tu è stato poco gentile”, controbatte, imitando la voce di Hunk verso la fine. Hunk le sente benissimo le spine, e indietreggia, aumentando il passo di distanza tra loro.  


“Ed è questo che stai andando a dire a Shiro? Neanche fare la spia è poi tanto giusto.”


Ma Keith gli ha già voltato le spalle. “Ho già detto che non voglio parlarne con te.”


Hunk ha come l’impressione che le figura di Keith davanti a lui si stesse afflosciando sempre di più, ma non riesce proprio a controllarsi, e ormai ha già allungato la mano ad afferrare la pelle fredda della sua stupida giacca.  


“Keith-” chiama, e fa pressione sulla mano per tirarlo verso di lui, ma Keith può benissimo essersi incollato i piedi al pavimento, perché riesce a rimanere perfettamente immobile e fermo nel suo dargli le spalle, le mani ancora strette in pugni lungo i suoi fianchi.


Ma poi sente il respiro sotto le sue dita impigliarsi nel petto di Keith. E così dal nulla, Hunk sente come un click, un rumore di realizzazione totalmente immaginato nelle sue orecchie, e si trova a sentirsi sconvolto per la seconda volta in pochissime varga. Tutti i sentimenti feriti da quelle poche parole di prima lo lasciano in un verso che gli esce troppo rumoroso, e improvvisamente quella lontananza negli occhi di Keith gli sembra ora molto più chiara, e quel che è peggio non sa cosa farsene. Non sa nemmeno cosa farne della mano ancora sulla sua spalla, quando i sospiri incastrati cominciano a sembrare dei singhiozzi. L’unica cosa che gli viene in mente è di scusarsi, ma si sente quasi ironicamente senza voce, la distanza tra loro incolmabile, e Hunk per la prima volta rimpiange di aver sottovalutato il loro legame.

Quando però alla fine Keith si gira dopo un tempo che a Hunk è sembrato un secolo, ha di nuovo le labbra tirate in giù nella sua solita espressione socchiusa, gli occhi asciutti e distolti, ad evitare il contatto. Ed è solo perché Hunk sa che ha pianto che riesce a notare gli zigomi un po’ gonfi e la punta del naso di poco arrossata. Senza volerlo sbircia anche il bordo della manica che Keith stringe tra le dita, e già lo sa che è bagnata. Come suo solito, ha il pensiero più inopportuno che potesse avere, e cioè che si deve ricredere, Keith è molto carino quando piange.


Lascia scivolare via la mano, già abbastanza goffa e inopportuna prima, ora quasi doloroso lasciarla lì mentre sente il petto divorato dall’imbarazzo. La infila nella tasca del pantalone, le dita che si contorcono intorno al tessuto sfilacciato, il senso di colpa che continua a legargli le parole intorno alla lingua.


“Scusami, cioè non avevo idea…” Hunk alza di poco gli occhi, e lo vede asciugarsi il naso con lo stesso angolo bagnato della manica e ficcare le mani poco dopo nella giacca.


“Che insomma…” comincia, e sospira esasperato. Essere emotivi rende anche più difficile affrontare i sentimenti, Hunk lo sta scoprendo nel peggior modo. “Senti, non voglio farti piangere di nuovo, ma ho sentito..." Struscia un piede contro il pavimento, e alza ancora un altro po’ lo sguardo per sbirciare cosa dicono invece gli occhi di Keith. “Sai, il legame telepatico e tutto.”


“I miei sentimenti sono miei,” si stringe le spalle e allarga le mani ancora nelle tasche, una strana espressione gli colora le guance. “Cioè, non hai di che scusarti, non ha senso.”

“E invece sì,” prende Keith per le spalle con entrambe le mani e lo guarda negli occhi. Nei quali vede balenare allarme, ma non ci fa caso. “Mi ero preoccupato tanto che non lo sapesse Lance, quando poi avrei dovuto pensare anche a te”, e in un certo modo aveva molto più senso nella sua testa, ma almeno spera che Keith capisca quanto gli dispiaccia, e soprattutto che non lo allontani e che non vada tutto sottosopra perché ha ferito i sentimenti di qualcuno.


L’agitazione di Keith si scioglie nelle sue ultime parole, e cerca di svincolarsi dalle sue mani. “Te l’ho detto, che ne sapevi, cioè se me l’avessi detto di proposito, sapendo che mi piace…” si trattiene un attimo, le pupille che lo evitano per lo stesso tempo. “Che mi piace Shiro, sarebbe stata un’altra cosa, credo.”


Ad Hunk fa ancora più strano sentirlo direttamente da Keith, e sente una risata salirgli in gola, di quelle nervose e strane, ma riesce all’ultimo a soffocarla schiarendosi la voce in un pugno chiuso.


“Mi dispiace,” e la mano sulla spalla che gli poggia adesso non è per Hunk, per assicurarsi che Keith non scappi o che lo ascolti, ma per lui, per Keith. Lo vorrebbe tirare in un abbraccio, ma se ha imparato qualcosa oggi è di dover controllare meglio i suoi istinti. E più di tutto le reazioni di Keith ancora lo inquietano, per quanto ora sembri ancora più piccolo di quanto non lo sia già. Keith abbassa la testa, ma non scarta più via dalla sua mano, poggiando brevemente la sua sopra quella di Hunk. Sentono entrambi il sospiro trattenuto, e Hunk lo lascia andare poco dopo, vedendolo ora visibilmente rilassato, e Hunk non è tanto sicuro se è per l'essersi “confidato” o per essere stato rilasciato dalla sua mano gigante.


“Non ti facevo tipo, però,” dice dopo qualche tick di silenzio imbarazzato, offrendo un sorriso sghembo a Keith. “Da sentimenti romantici.”


Keith fa le spallucce. “Non ti facevo tipo da giudicare un libro dalla copertina,” gli angoli della bocca quasi, e Hunk non lo sta immaginando, quasi in su.




Salve a tutte voi del fandom di Voltron!


È stato divertente scrivere questa piccola storiella, composta quasi per senso di dovere… Dal momento che sento di non dedicare a questi tre l'attenzione che si meritano ( -_-)’’

Lentamente sto cercando di recuperare le fanfic di questo piccolo fandom, ma da quel poco che ho letto è probabile che questa oneshot possa sembrarvi forse poco convenzionale…(?) Fatemi sapere cosa ne pensate! Sono ancora una fanwriter in erba e amo ricevere qualunque tipo di feedback (*^▽^*)

   
 
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