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Autore: guiky80    03/10/2017    7 recensioni
I ricordi assalgono Hajime in un momento molto particolare...
“Vuoi sapere cosa ho pensato quando hai fatto quello che hai fatto?”
Non rispondo.
“No? Beh, te lo dico lo stesso. Ho pensato che non avrei più voluto baciare nessuno all'infuori di te. Mai più.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolino dell’autrice. Ed ecco il momento fluff dei Ciccioli! Kara, è tutta per te!!! Raimondino mio!!! Te la dedico tutta questa one shot!
Grazie, un grazie enorme a Melanto che si è dedicata al betaggio di questa storia che è partita intricatissima con il passato, ma ne sono uscita, ed è tutto merito suo, di Mel!!!! Grazie!!!
 
 
 
 
Eravamo piccoli, bambini allegri pronti a correre dietro a un pallone alla prima occasione. Stessa classe, stessa squadra, la più forte: la Shutetsu.
Il Capitano era il nostro mito. Sempre con il cappellino calcato in testa, sempre con lo sguardo ombroso, parlava poco, rideva ancora meno. Camminava sempre nello stesso modo: testa alta e sguardo fisso, nessuno poteva fare nulla contro di lui, il migliore nel suo ruolo, il migliore in assoluto: Genzo Wakabayashi.
Io, seduto in panchina, lo guardavo allenarsi fino allo stremo, sapendo benissimo che una volta tornato a casa, il suo tutore l'avrebbe sottoposto a un altro allenamento, mentre noi ce ne andavamo a giocare ai video games.
Eravamo i più forti, la Nankatsu non poteva nulla contro di noi; se non ci battevano quelli più bravi, figurati quella squadra di mezze calzette.
 
Un giorno arrivò un ragazzino, Tsubasa Ozora, sembrava piccolo e innocuo, ma riuscì nell'impresa: segnare al Capitano. Nessuno aveva mai violato la sua porta.
Da quel giorno, la Shutetsu cambiò. Sembrava quasi che un'aura nera fosse calata sulla squadra. Genzo non venne più a scuola, chiuso nella sua villa ad allenarsi, in vista della partita, quando si sarebbe trovato di nuovo di fronte a Ozora.
Noi al campo di allenamento, seguivamo gli ordini del mister, ma non era la stessa cosa senza il Capitano.
La partita arrivò e passò, finì con un pareggio, ma noi scoprimmo che la squadra avversaria era diventata più forte: l'arrivo di Tsubasa aveva dato una spinta a tutti gli altri.
Quel giorno tornai a casa contento nonostante il pareggio e camminavo con te al mio fianco.
Ho sempre camminato con te al mio fianco.
 
Anni dopo mi ritrovo seduto su questo declivio erboso vicino al fiume, ti guardo con il fiatone.
Cosa posso fare se mi dirai di no?
Come faccio se ora decidi di non parlarmi più?
Se decidi, in questo istante, che non vuoi essere il mio ragazzo, ma nemmeno mio amico?
Prego di conservare almeno al nostra amicizia, anche se magari non esclusiva.
Ti fisso, non so con che coraggio ti guardo negli occhi, ma lo faccio, tu sei confuso, lo vedo bene.
I tuoi occhi enormi sono puntati a me, hai la bocca leggermente aperta, respiri male anche tu, veloce, colto di sorpresa.
Forse devo tornare indietro di qualche minuto per capire cosa è successo.
 
Stavamo tornando a casa dagli allenamenti, ormai eravamo membri affermati della grande Nankatsu, quella con Capitano Tsubasa, quella che vinceva sempre, quella che aveva Yuzo al posto di Genzo in porta.
Forse una battuta, forse una spinta e io ero inciampato, ed ecco come  ero finito sul declivio erboso. Ridevi, ridevi tanto, e io non ce l'avevo fatta, non avevo resistito.
Avevo infilato la mano tra i tuoi riccioli e ti avevo baciato.
Un bacio a stampo, veloce, il silenzio era calato, assoluto, non ti avevo dato tempo di riflettere, ti avevo baciato di nuovo, e la bocca sgranata per la sorpresa, mi aveva permesso di approfondire, di toccare la tua lingua, che si era legata alla mia un istante prima del tuo sussulto che mi aveva fatto staccare.
 
Da quel momento i nostri sguardi sono legati. Cos’è successo?
No, cos’è successo lo so, e so anche il perché, ma forse tu no.
Perché tu non puoi sapere che da qualche tempo hai smesso di essere solo il buon amico, il mio migliore amico, quello con cui divido tutto sin dalla Shutetsu.
Tu non sai che ogni sera guardo le nostre foto, rido, ricordo, mi chiudo in bagno e mi do sollievo da solo. Ogni volta, immancabile, cala la tristezza, un dolore quasi fisico, nonostante l’orgasmo, o forse proprio per quello.
Mi sento sbagliato, mi sento stupido, ho addirittura parlato con un medico, lo sai?
No, non lo sai.
Mi ha detto che va tutto bene, che ho gli ormoni danzanti, impazziti, che è normale, e che avrei capito da solo qual è la mia strada.
Il problema è che ogni volta la mia strada s’intreccia con la tua, inevitabilmente.
Ho paura.
Paura di rovinare tutto, di averlo appena fatto.
Paura che tu alzandoti, te ne andrai, forse mi picchierai, urlerai il tuo disprezzo. Invece rimani zitto a fissarmi.
A cosa stai pensando? Cosa ti passa per il cervello in questo momento? Ho tanta voglia di saperlo, ma ho paura, anche di questo.
Alla fine, mi alzo io; non posso restare ancora qui a fissare i tuoi occhi sgranati.
Faccio un passo indietro abbassando il viso.
“Scusa.” L’unica parola che sussurro, ma tanto è il silenzio che mi sembra di aver urlato.
Solo ora ti riscuoti, sbatti gli occhi, come se ti stessi svegliando.
Mentre me ne vado, sento solo una parola da te, sussurrata.
Il mio nome.
“Hajime…”
Non ho il coraggio di restare a sentire il seguito.
 
Oggi ti trovo fuori da casa, mi aspetti per andare a scuola. Stringo le labbra, senza dir nulla, tu mi saluti e ti metti a camminare. Affiancati, mani in tasca, cartella sotto al braccio, come sempre. Ma qualcosa di diverso c'è, non parliamo, non scherziamo, un silenzio assoluto ci accompagna.
Poi quel declivio erboso, lo stesso di ieri sera, io che cerco di distogliere lo sguardo, tu che ti fermi.
La tua voce mi blocca due passi più in là, resto raggelato dalle tue parole.
“Che cazzo ti è venuto in mente di fare l'altra sera?”
Alzo gli occhi al cielo e deglutisco vistosamente, ma non mi volto, troppa la paura di cosa potrei vedere guardandoti in faccia.
Cosa potrei dirti ora? Cosa, per non farmi odiare da te?
Il mio cervello sembra spento, non elabora nessuna risposta sensata, anche stupida, anche scherzosa per dare un senso a quel momento.
Il tuo sospiro e i tuoi passi che si avvicinano, mi bloccano al suolo, irrigidito, non un muscolo si muove, respiro a fatica.
“Perché l'hai fatto?”
Non rispondo ancora. Non ce la faccio davvero e mi dispiace perché sei mio amico, dovresti essere la persona giusta con cui parlare, quella che capisce sempre, perché mi conosci forse meglio di come mi conosco io, ma non ce la faccio.
“Sei proprio un codardo, lo sai? Fai tanto il figo che si atteggia, poi fai una cosa del genere e adesso non riesci nemmeno a guardami in faccia!”
Il tuo tono diventa quasi cattivo. Normalmente ti direi di non rompere le palle, di startene zitto, ma in questo momento non riesco a farlo, rammollito di botto!
Forse voglio che tu ti arrabbi, così avrei una scusa per tagliare i ponti con te. Anche se è l'ultima cosa che vorrei fare.
“Guardami, Hajime.”
Immobile, come una statua di sale. Ti sento sbuffare, poi mi giri intorno, le tue scarpe entrano nel mio campo visivo.
“Vuoi sapere cosa ho pensato quando hai fatto quello che hai fatto?”
Non rispondo.
“No? Beh, te lo dico lo stesso. Ho pensato che non avrei più voluto baciare nessuno all'infuori di te. Mai più.”
Di scatto sollevo la testa, sei vicino, tanto, troppo e le tue labbra trovano le mie.
Le cartelle cadono al suolo mentre le mani trovano la divisa dell'altro. Non ci abbracciamo, ma restiamo arpionati alla giacca di chi ci sta di fronte. Quasi avessimo paura che possa scappare.
“Teppei...”
“Sai è da tanto che volevo dirtelo, ma non sapevo come avresti reagito, ieri sera sei scappato e io lo capisco, ma sono qui e intendo restarci. Siamo amici da sempre, ho imparato ad amarti da poco. Non ti lascerò scappare, né ora, né mai.”
Sospiro: “Quella... frase di prima, me la diresti di nuovo?”
Il tuo sorriso esplode e io penso che sia una giornata bellissima,  nonostante la nube nera che copre Nankatsu e che scaricherà acqua nel giro di un'ora.
“La prima volta che ci siamo baciati, ho capito che non avrei più voluto baciare altre labbra al di fuori delle tue. È stato il pensiero che mi ha attraversato la mente subito, immediatamente. Ed è vero, non potrei baciare più nessuno. Non vorrei...”
Il mio sospiro e il mio abbraccio ti sorprendono.
Mi tiri un pizzicotto al fianco sbuffando contro il mio collo.
“Ehi, non stringere così, mi manca l'aria!”
Ti bacio subito.
“Ti darò io tutta l'aria di cui hai bisogno, non preoccuparti.”
“Che frase romantica! Stiamo esagerando lo sai, ci verrà il diabete se continuano così!”
Scoppiamo a ridere raccogliendo le cartelle, ci avviamo, ma d'un tratto il ponte sul fiume attira la nostra attenzione, come il parco dall'altro lato, sorridendo appena ti tiro una gomitata.
“Senti e se bigiassimo?”
“Eh, ma così non va bene! Mi porti sulla via della perdizione da subito?”
La nostra risata liberatoria, accompagnata dalla deviazione verso il ponte, verso una giornata diversa, verso un nuovo futuro, che prevede l'allenamento del pomeriggio, lì non possiamo davvero mancare e dobbiamo cercare anche una scusa plausibile per il fatto di esserci assentati contemporaneamente da scuola. Ma non importa, esistiamo solo noi per oggi, e va bene così, e andrà bene anche domani e per tutti i giorni a venire.
   
 
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