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Autore: Red Owl    05/10/2017    1 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
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Nelle due ore che trascorsero insieme, Tito tentò di illustrare a Lidia i confusi dettagli del piano che gli si stava disegnando nella mente, ma la ragazza non era dell’umore giusto per ascoltare quelle congetture. Rannicchiata contro il suo petto, la giovane cercava di trarre conforto dalla sua presenza e dal suo calore, più che dalle cose che andava dicendo – anche perché, man mano che Tito acquisiva sicurezza nelle sue idee, la fanciulla ne perdeva. Malgrado l’enfasi crescente che il ragazzo metteva nelle sue parole, infatti, Lidia non riusciva a credere che i progetti di fuga elaborati da Tito potessero funzionare nella realtà.

Sembrerebbero ridicoli persino in un libro, pensava, sconsolata. Noi non siamo i tipi da mollare tutto e scappare via, da soli, magari inseguiti da dei malintenzionati. Ci riacciufferebbero dopo qualche ora.

Quando, nel tardo pomeriggio, Lidia lasciò la casa di Tito, non poté fare a meno di sentirsi più sperduta e confusa di quando vi era entrata. Se da un lato le faceva piacere sapere che il giovane l’amava al punto da essere disposto a lasciare tutto quello che aveva a Roma per fuggire con lei, dall’altro la consapevolezza di quanto fosse pericoloso anche solo discutere di quei progetti le faceva tremare le mani. La sua mente, abituata a cercare sempre il lato negativo di ogni situazione, le illustrò con una certa dovizia di particolari tutto quello che sarebbe potuto andare storto. In primis, il viaggio da Roma alla Germanica: con quale scusa Tito si sarebbe allontanato dalla casa paterna? Avrebbe viaggiato da solo? E poi, naturalmente, vi era la fuga in sé. Ci prenderanno, pensava. Ci ammazzeranno di sicuro. I germanici non apprezzeranno un mio tentativo di fuga. E nemmeno l’Imperatore lo apprezzerà, in effetti. Ci farà cercare dall’esercito, ci arresterà, ci condannerà a… e se anche riuscissimo a farla franca, moriremmo comunque di fame. Non sappiamo fare niente, noi. Dove prenderemmo i soldi? Di certo papà non sarà disposto a passarmi una paghetta mensile…

Senza nemmeno rendersene conto, Lidia prese a girovagare per le strade di Roma e fu solo quando si trovò di fronte a una domus famigliare che si riscosse dalla sorta di trance nella quale era caduta. Era la casa di Lucilla, un’altra persona che le sarebbe mancata da morire, su nelle fredde foreste germaniche.

Senza esitare, Lidia premette con forza un dito sul campanello di bronzo che scintillava nella luce calda dell’ora che precede il tramonto e attese che qualcuno venisse a riceverla. «Donna Lidia» l’accolse, dopo qualche minuto, un’anziana serva. «Posso fare qualcosa per te?»

«Lucilla è in casa?» chiese, allungando il collo per spiare oltre il cancello. «Tra qualche giorno lascerò Roma e vorrei salutarla.» La donna la lasciò entrare: «Naturalmente; vado subito a chiamarla. Vuoi accomodarti in casa?»

La giovane scosse il capo. «No, grazie. Aspetterò in giardino.» Mentre la serva si allontanava con un cenno d’assenso, Lidia si lasciò scivolare sulla panca di granito posizionata all’ombra del grande leccio che svettava nel centro del giardino della casa dell’amica. Ho sempre amato questa pianta, pensò, inclinandosi all’indietro fino a quando la schiena incontrò la corteccia ruvida. Un tempo a uno dei rami più bassi era appesa un’altalena e lei e Lucilla avevano passato dei pomeriggi memorabili a dondolarsi nell’ombra fresca e a fingere di prendere il volo.

Abbiamo anche fatto litigate memorabili, qui sotto, ricordò, con un sorriso carico di nostalgia. Litigate che si risolvevano nel giro di pochi minuti, però, perché Lucilla era così: le bastava un istante per passare dall’allegria più sfrenata alla rabbia più esplosiva… e viceversa. Lidia la invidiava.

Chissà se in Germanica crescono i lecci, pensò la ragazza, alzando gli occhi sulle foglie che fremevano, scosse da una brezza leggera. Non ne aveva idea, ma nella sua fantasia le foreste del nord erano popolate da enormi abeti neri e vecchi alberi lugubri e scuri, ricoperti di muschio ed erbe limacciose. La fanciulla tremò dal disgusto al solo pensiero di sfiorare uno di quegli alberi; poi una voce proveniente dalla sua sinistra la distrasse. «Eccoti qui! Cosa ci fai qui fuori? Potevi entrare in casa!»

Lidia si voltò verso l’amica, sulle labbra un sorriso pallido. «Sono un po’ troppo nervosa per starmene seduta al chiuso… preferisco restare all’aperto, almeno non mi manca l’aria» confessò. Lucilla sbatté rapidamente gli occhi, elaborando le parole della ragazza bruna, poi ridacchiò. «Aaah, ho capito: tu dove vai?» le chiese, guardandola con fare eloquente.

«A Erding, o da quelle parti» replicò Lidia, sorpresa. «Parti anche tu?»

Lucilla annuì. «Sì» disse, con aria svagata. «Però io vado più a nord. Afen, Asen, qualcosa del genere. Nel bel mezzo delle montagne, comunque. Mi sono informata e mi hanno detto che, da quelle parti, d’inverno nevica un sacco: spero che non mi si ghiaccino le dita dei piedi!»

Lidia non poté fare a meno di percepire una nota stonata. «Non mi sembra che la cosa ti disturbi più di tanto» fece, incerta, osservando con attenzione il volto luminoso di Lucilla.

L’altra fanciulla rise, quasi trovasse la sua perplessità estremamente divertente. «No, infatti!»

L’amica la guardò con tanto d’occhi: come poteva prenderla così alla leggera? «M-ma…» balbettò. «Ma non hai paura? Dover sposare un germanico…»

Lucilla sventolò una mano con aria di sufficienza. «E che vuoi che sia?» sbuffò. «Tanto gli uomini sono tutti uguali. Prendilo romano o prendilo germanico poco cambia, solo una cosa vogliono!» Lidia arrossì, intuendo il significato non detto. «Se non altro», sorrise Lucilla, «su dovrebbero esserci un po’ meno formalità! O così mi hanno detto, almeno.»

La ragazza scosse il capo: Lucilla riusciva a trovare un risvolto positivo praticamente in tutto. A volte si chiedeva se al mondo esistesse qualcosa in grado di abbatterla. «E non ti dispiace lasciare Roma?» indagò.

«Un po’», ammise l’amica, facendo le spallucce, «però in Germanica ci sono tante cose interessanti…»

«La nebbia» sospirò Lidia.

«Gli orsi neri!» controbatté la seconda ragazza.

«Pioggia tutto l’anno» gemette Lidia.

«I lupi striati!» esclamò Lucilla.

«Ma queste non sono cose positive!»

«Come no! Sarà un’avventura!»

Lidia si passò una mano sul volto, trovandosi a sorridere suo malgrado. A volte si stupiva di come lei e Lucilla avessero potuto diventare tanto amiche: la loro diversità non si limitava all’aspetto fisico – Lucilla era bionda, paffuta e con dei grandi occhi azzurri, mentre Lidia era scura e minuta – ma interessava soprattutto i loro caratteri. Se Lidia bramava la tranquillità e la sicurezza, gli occhi di Lucilla si illuminavano di fronte alla prospettiva dell’avventura e del pericolo.

Non che si fosse mai realmente trovata in una situazione di pericolo, comunque.

«E Tito come l’ha presa?» chiese la bionda, facendosi seria.

Lidia si guardò attorno per assicurarsi che nessuno la sentisse, poi sussurrò, avvicinandosi all’orecchio dell’amica: «Dice che verrà a prendermi. Ha degli amici di stanza a Erding e secondo lui portarmi via da lì sarà piuttosto semplice.»

Lucilla la guardò con aria critica. «Lidia… a me non sembra una grande idea. Se anche ci riuscisse… dove andreste?»

Lidia strusciò la punta del piede a terra, afflitta. «Lo so» sospirò. «Nemmeno a me convince, il suo piano. Però lui è così deciso…»

La sua amica scosse il capo. «Finirà col farsi ammazzare» borbottò, rivolta più a se stessa che a Lidia.

«Ho cercato di fargli cambiare idea, ma lui… l-lui è così determinato. Ho paura che faccia qualche idiozia…» la ragazza sentì le lacrime bruciare agli angoli degli occhi. Avvertendo che l’umore dell’amica era in caduta libera, Lucilla corse ai ripari. «Su, vedrai che cambierà idea. Deve solo abituarsi alla tua partenza. E chissà, magari ti troverai bene con il tuo nuovo marito. Io spero di trovarmi bene con il mio», si interruppe di colpo, poi sorrise, «per quanto non so come farò a non scoppiare a ridere ogni volta che pronuncerò il suo nome. Si chiama Ekbert. Che razza di nome è Ekbert?! Sembra uno starnuto! Vorrei tanto che avesse un nome normale, come… non so… per esempio, il tuo come si chiama?»

Travolta dal fiume di parole di Lucilla, Lidia ci mise qualche attimo a capire che la ragazza le aveva rivolto una domanda. «Eh… io… io non lo so» disse, quasi stupita.

La giovane bionda la guardò con gli occhi sgranati. «Non lo sai? Ti sposi tra meno di un mese e non sai nemmeno come si chiama il tuo uomo?»

«Non me lo sono certo scelta io» ribatté Lidia, un po’ piccata.

«D’accordo, ma non sei curiosa?»

La ragazza bruna si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo. «No» ammise. «Preferisco non pensarci, a dire il vero. Se non ci penso, mi sembra che non sia vero niente.»

Lucilla scosse il capo, guardando l’amica con un’espressione preoccupata. «Fare così non ti aiuterà, Lidia» le fece notare, con delicatezza. «Al di là delle battute, ho preso anch’io un colpo, quando l’ho scoperto. Però, poi, riflettendoci bene, ho pensato che, forse, anche da questa cosa potrà venire qualcosa di buono. Anzi, sono certa che sarà così.»

La giovane annuì. «Sì, lo so», sospirò, «ma per te è più facile. Io invece ho Tito.»

«Avevi Tito…»

«So anche questo!» scattò Lidia, facendola sobbalzare. «Non c’è bisogno che tu me lo ripeta!»

Sorpresa dal tono dell’amica, anche Lucilla alzò la voce. «Lo ripeterò finché non smetterai di far finta che questa sia solo una situazione momentanea! Perché ho come l’impressione che tu ci creda veramente, al progetto di Tito… quindi te lo ripeto: è una pazzia. Voi non potete scappare insieme!»

«So come stanno le cose», fece Lidia, balzando in piedi e iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro, «ma io voglio crederci! Voglio credere di avere una via d’uscita!» In due passi Lucilla la raggiunse e la afferrò per le spalle. «E per far cosa? Per stare ancora peggio quando non succederà e dovrai ammettere di esserti illusa inutilmente?»

Lidia soppesò le parole della ragazza. «Dovrei fare come fai tu, allora? Rassegnarmi già in partenza?»

Lucilla scosse la testa. «Ma non vedi che io non sono rassegnata? Io voglio impegnarmi per essere felice. Qui, in Germanica… non mi interessa, non permetterò a nessuno di rovinarmi la vita.»

«Facile dirlo adesso» mormorò Lidia, lanciandole un’occhiata storta. «Vallo a spiegare a quel selvaggio di tuo marito, quando ti farà diventare la sua schiava e ti costringerà a sfornare un figlio all’anno.»

Lucilla la soppesò con lo sguardo. «Non ti sembra di essere un po’ troppo melodrammatica, adesso?»

«In che senso?»

«Non mi pare che le donne germaniche siano tutte delle serve dei loro uomini.»

Lidia la guardò con aria critica. «Ne hai incontrate molte?»

«Qualcuna» rispose Lucilla, con una smorfietta.

«E comunque noi siamo romane» insistette la ragazza bruna. «Quelli ci odiano e di certo non ci renderanno la vita facile.»

La bionda si strinse nelle spalle. «Forse», concesse, «e forse no. Io non li odio, magari nemmeno mio marito odierà me. E comunque non sarà certo immune al mio fascino femminile.»

Lidia si ritrovò a sorridere di fronte all’atteggiamento da donna navigata assunto dall’amica, mentre l’irritazione di un istante prima iniziava a sfumare. «E comunque non è solo quello» disse, dopo alcuni minuti in cui le due ragazze osservarono in silenzio il giardino, ognuna persa nei propri pensieri. «Ho paura che mi mancherà Roma, la vita qui, i miei amici…»

«… i tuoi genitori?» le suggerì Lucilla.

«Mia madre, se non altro» borbottò lei.

«Be’, penso che sia normale», disse pensierosa la ragazza bionda, «ma è per questo che io intendo cercare di ambientarmi subito. Del resto siamo donne, l’abbiamo sempre saputo che un giorno o l’altro avremmo dovuto farci una nuova famiglia, no?»

Lidia dovette ammettere che, in un certo senso, Lucilla non aveva tutti i torti. Anche se, fino al giorno prima, lei era stata convinta che la sua nuova famiglia sarebbe stata a Roma, poco distante dalla casa dove era nata e cresciuta. «Forse hai ragione» sospirò, cercando vanamente di convincersi che c’era una certa dose di verità, nelle parole di Lucilla.

«Ma certo che ho ragione!» esclamò la sua amica, passandole un braccio attorno alle spalle. «Ma adesso basta parlare di queste cose. Ci restano solo un paio di giorni qui a Roma: godiamocela!»

 

   
 
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